Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 31 ottobre 2014

990 - COMMEMORAZIONE DEI SANTI E DEFUNTI

Il giorno successivo alla festa dei Santi e delle Sante è il giorno che la Chiesa cattolica dedica alla commemorazione di tutti i defunti. Le due memorie sono logiche e connesse. Il mistero della santità che ieri abbiamo assaporato oggi viene esteso a tutti i defunti che noi vogliamo ancora affidare alla paternità di Dio e nello stesso tempo vogliamo pregare perché siano essi ad intercedere per noi che restiamo ancora pellegrini in cammino verso la Santa Gerusalemme. La commemorazione ha origini antiche e si perdono nella notte dei tempi. Il culto dei morti è la prima forma di religione primitiva che in epoca romana assume la forma del culto dei Lari1, dopo esse-re passati attraverso l’Ade dei Greci e il mondo dell’aldilà della cultura dell’Egitto dei Faraoni.
La commemorazione dei defunti sopravvive alle epoche e ai culti, all’ateismo e all’indifferentismo: dall’antica Roma, alle civiltà celtiche, dal Messico alla Cina, dalla notte dei tempi ai nostri giorni in questi giorni i cimiteri diventano luoghi di mesto pellegrinaggio, di visite alle tombe, ovunque con un solo obiettivo: consolare in qualche modo le anime dei defunti perché proteggano al vita dei viventi sulla terra. Con il passare del tempo questa ricorrenza come sempre diventò un momento pagano, senza alcun riferimento religioso, espressione di esorcismo delle paure che il lungo inverno con il suo messaggio di morte porta con sé. I defunti non sono più a-mici e protettore, ma pericolo e spiriti maligni. La tradizione celtica esprime questa realtà per cui la ricorrenza oggi restaurata di
Halloween (che in origine era Hallowmass: Santificazione/Messa in onore dei Santi), oggi è diventata un espediente economico che sfrutta le paure ancestrali a scapito di una riflessione seria e spirituale sul-la morte e sulla vita. In memoria dei morti e per spaventarli ci si mascherava da santi, da angeli e diavoli con ma-schere ricavate da zucche essiccate o svuotate per esorcizzare la paura accendendo grandi falò che illuminavano la notte e sconfiggevano il buio.
Di fronte a questa degenerazione la Chiesa reagì con l’istituzione della solennità di Tutti Santi istituita da papa Bonifacio IV il 13 maggio del 610 per celebrare la memoria dei cristiani ammazzati per la fede. Nel 835 Papa Gregorio III (731-741) spostò la ricorrenza dal 13 maggio al 1 novembre, pensando in questo modo di dare un nuovo significato alla ricorrenza ormai divenuta pagana. Nel 998 Odilone abate di Cluny nel 1048 aggiunge-va al calendario cristiano il 2 novembre come data per commemorare i defunti. La possibilità concessa ad ogni prete di celebrare in questo giorno tre messe, nel 1748 era riservata alla Spagna fino al 1915 quando Benedetto XV la estese a tutta la Chiesa universale.
Noi celebriamo questa Eucaristia per tutti i defunti dei presenti e ognuno potrà al momento giusto nomi-narli uno per uno: dire il Nome significa evocare la Persona, il suo valore e la sua Presenza. Celebriamo questa Eucaristia anche per tutti i defunti di tutti gli amici che conosciamo attraverso internet e tutti insieme formiamo una sola comunità, una sola chiesa. Di ieri, di oggi e di domani. Possa lo Spirito Santo darci il «gusto» della mor-te perché possiamo assaporare e vivere la vita nel segno della Risurrezione.
don Paolo Farinella

mercoledì 29 ottobre 2014

989 - CHIEDIAMO DI NON ESSERE MOTIVO DI SCANDALO

Quando ci riferiamo alla Chiesa, però, immediatamente il pensiero va alle nostre comunità, alle nostre parrocchie, alle nostre diocesi, alle strutture nelle quale siamo soliti riunirci e, ovviamente, anche alla componente e alle figure più istituzionali che la reggono, che la governano. È questa la realtà visibile della Chiesa. Dobbiamo chiederci, allora: si tratta di due cose diverse o dell’unica Chiesa? E, se è sempre l’unica Chiesa, come possiamo intendere il rapporto tra la sua realtà visibile e quella spirituale?
Innanzitutto, quando parliamo della realtà visibile della Chiesa (abbiamo detto che sono due: la realtà visibile della Chiesa, quella che si vede e la realtà spirituale), non dobbiamo pensare solamente al Papa, ai Vescovi, ai preti alle suore, alle persone consacrate. La realtà visibile della Chiesa è costituita dai tanti fratelli e sorelle battezzati che nel mondo credono, sperano e amano.
Tante volte sentiamo dire: ‘la Chiesa non fa questo, la Chiesa non fa quello”, ma dimmi, chi è la Chiesa? I preti, i vescovi, il papa, la Chiesa siamo tutti! Tutti noi!
Tutti i battezzati siamo la Chiesa, la Chiesa di Gesù. Da tutti coloro che seguono il Signore Gesù e che, nel suo nome, si fanno vicini agli ultimi e ai sofferenti, cercando di offrire un po’ di sollievo, di conforto e di pace. Tutti quelli che fanno ciò che il Signore ci ha comandato fanno la Chiesa. Comprendiamo, allora, che anche la realtà visibile della Chiesa non è misurabile, non è conoscibile in tutta la sua pienezza: come si fa a conoscere tutto il bene che viene fatto? Tante opere di amore! Tante fedeltà nelle famiglie! Tanto lavoro per educare i figli e per trasmettere la fede. Tanta sofferenza nei malati che offrono le loro sofferenze al Signore. Questo non si può misurare. È tanto grande! Come si fa a conoscere tutte le meraviglie che, attraverso di noi, Cristo riesce ad operare nel cuore e nella vita di ogni persona? Vedete: anche la realtà visibile della Chiesa va oltre il nostro controllo, va oltre le nostre forze, ed è una realtà misteriosa, perché viene da Dio.
Per comprendere il rapporto, nella Chiesa, tra la sua realtà visibile e quella spirituale, non c’è altra via che guardare a Cristo, del quale la Chiesa costituisce il corpo e dal quale essa viene generata, in un atto di infinito amore. Anche in Cristo infatti, in forza del mistero dell’Incarnazione, riconosciamo una natura umana e una natura divina, unite nella stessa persona in modo mirabile e indissolubile. Ciò vale in modo analogo anche per la Chiesa. E come in Cristo la natura umana asseconda pienamente quella divina e si pone al suo servizio, in funzione del compimento della salvezza, così avviene, nella Chiesa, per la sua realtà visibile, nei confronti di quella spirituale. Anche la Chiesa, quindi, è un mistero, nel quale ciò che non si vede è più importante di ciò che si vede, e può essere riconosciuto solo con gli occhi della fede (cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8).
Nel caso della Chiesa, però, dobbiamo chiederci: come la realtà visibile può porsi a servizio di quella spirituale? Ancora una volta, possiamo comprenderlo guardando a Cristo. Cristo è il modello della Chiesa che è il suo corpo, modello di tutti i cristiani, di tutti noi. Quando si guarda Cristo non si sbaglia. Nel Vangelo di Luca si racconta come Gesù, tornato a Nazaret, come abbiamo sentito, dove era cresciuto, entrò nella sinagoga e lesse, riferendolo a se stesso, il passo del profeta Isaia dove sta scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (4,18-19). Ecco: come Cristo si è servito della sua umanità, perché era anche uomo, per annunciare e realizzare il disegno divino di redenzione e di salvezza, perché era Dio, così deve essere anche per la Chiesa. Attraverso la sua realtà visibile, tutto ciò che si vede: i sacramenti, la testimonianza di tutti noi cristiani, la Chiesa è chiamata ogni giorno a farsi vicina ad ogni uomo, a cominciare da chi è povero, da chi soffre e da chi è emarginato, in modo da continuare a far sentire su tutti lo sguardo compassionevole e misericordioso di Gesù.
Cari fratelli e sorelle, spesso come Chiesa facciamo esperienza della nostra fragilità e dei nostri limiti, tutti ne abbiamo. Tutti siamo peccatori. Tutti, nessuno tra tutti noi può dire ‘io non sono peccatore’. Se qualcuno di noi se la sente di non essere peccatore alzi la mano, vediamo quanti. Non si può. Tutti lo siamo. Questi limiti, questi nostri peccati, è giusto che procurino in noi un profondo dispiacere, soprattutto quando diamo cattivo esempio e ci accorgiamo di diventare motivo di scandalo. Quante volte abbiamo sentito nel quartiere ‘quella persona di là sta sempre in chiesa ma sparla di tutti, spella tutti’; che cattivo esempio sparlare dell’altro! Questo non è cristiano, è un cattivo esempio. Così diamo un cattivo esempio: ‘se questo è un cristiano, io mi faccio ateo’. La nostra testimonianza è quella che fa capire cosa significa essere cristiano! Chiediamo di non essere motivo di scandalo. Chiediamo allora il dono della fede, perché possiamo comprendere come, nonostante la nostra pochezza e la nostra povertà, il Signore ci ha reso davvero strumento di grazia e segno visibile del suo amore per tutta l’umanità. Possiamo diventare motivo di scandalo, ma possiamo anche diventare motivo di testimonianza: essere testimone che con la nostra vita diciamo ‘così Gesù vuole che noi facciamo’.
Grazie.
Papa Francesco, Udienza generale 29 ottobre 2014

988 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - NOVEMBRE 2014

Intenzione generale : "Perché le persone che soffrono la solitudine sperimentino la vicinanza di Dio, e il sostegno dei fratelli".

Intenzione missionaria: "Perché i giovani Seminaristi, Religiosi e Religiose abbiano formatori saggi, e ben preparati".

Intenzione dei Vescovi: "Perché l’uomo riscopra la sacralità della vita, in un mondo che esalta l’avere e l’apparire, piuttosto che l’essere".

giovedì 23 ottobre 2014

987 - GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2014


986 - PERIFERIE CUORE DELLA MISSIONE

La parola “periferie” ricorre frequentemente nel magistero di papa Francesco, che si è presentato come ”venuto dalla fine del mondo” e che ci spinge continuamente a “uscire”, a creare nelle comunità le condizioni per favorire l’”inclusione”. Lui stesso non poteva che richiamare tutta la Chiesa a raggiungere le “periferie esistenziali”: dimenticati, esclusi, stranieri, umanità insomma ai “margini” della nostra vita (ma possiamo considerarci “noi” centro?). Nel tema della prossima giornata missionaria mondiale è contenuta una duplice “provocazione” per le nostre Chiese locali: accogliere l’invito a uscire dal nostro modo di pensare e vivere, per essere Chiesa attratta dai “lontani della terra”, per riscoprire il “cuore” della missionarietà, che è la gioia sperimentata dal missionario mentre evangelizza, sapendo che annunciando Gesù, tutti sono arricchiti e resi testimoni della gioia del Vangelo (= lieta notizia).
Soffermiamoci sul termine “periferia” per assimilare quale stile viene richiamato con questo tema: la periferia è il cuore della missione della Chiesa, è il cuore di ciò che vibra, ciò che raccoglie i desideri e le scelte dell’uomo, infatti chi pone il suo cuore nelle periferie è uno che esce continuamente dalle sue sicurezze e s’incammina verso l’altro che vive lontano da sé… Dio ci spinge a uscire da noi stessi per incontrare, nel volto dei fratelli, il suo stesso volto: “Ciò che avete fatto a uno di questi piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Dio s’identifica coi miei fratelli… il cuore paterno di Dio vuole abitare tra gli ultimi…
Andare / Uscire verso gli ultimi (poveri e peccatori) per i cristiani non vuol dire solo andare verso i fratelli e le sorelle, ma scoprire che Dio è già qui, Lui accanto all’umanità. Se le “periferie” sono il “luogo” dove si converte la Chiesa, andare verso le periferie (e abitarvi da poveri in mezzo ai poveri) significa far risuonare l’annuncio del Regno che libera dall’attaccamento disordinato nei confronti delle ricchezze…
Nella settimana di formazione di Assisi, a fine agosto 2013, meditando il passo di Atti 3,4, è stato fatto notare che la guarigione dello storpio presso la porta del Tempio, è una immagine chiara del dinamismo che qui vogliamo illustrare: Gesù ordina all’uomo storpio: “Alzati, mettiti nel mezzo” (la periferia diventa il centro della scena, mentre Gesù si colloca in secondo piano); Gesù vuole che tutti guardino con benevolenza e con misericordia quell’uomo, perché in modo fraterno si comprenda che la malattia lo ha “spinto fuori”, lo ha costretto a vivere ai margini… Potrebbe sembrare in controtendenza questo tema rispetto al titolo del prossimo Convegno Missionario Nazionale di Sacrofano: “Alzati e va’ a Ninive, la grande città”.
In realtà il suggerimento è quello di vedere nella “grande città” e nella vita della “gente di Ninive” le periferie, o comunque un luogo di molteplici povertà materiali e spirituali, dove moltissimi uomini e donne “non sanno distinguere la destra dalla sinistra”. Al numero 127 dell’Evangelii Gaudium, papa Francesco scrive, parlando della predicazione (e Giona si è dimostrato profeta efficace verso quelli di Ninive): “C’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai vicini quanto agli sconosciuti. E’ la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa…” L’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” (traducibile sia in “la gioia del vangelo” ma anche “la gioia di evangelizzare”) ci guiderà sicuramente neIl’itinerario di questi anni, ed i sussidi che vengono proposti da Missio, contribuiranno a sviluppare ciò che la preghiera preparata per la Giornata Missionaria Mondiale, contiene come enunciato: Il Signore ci aiuti a uscire dalle nostre certezze per incontrare chi sembra “lontano”; lo Spirito ci richiami a essere Luce del mondo alla periferia di ogni uomo, dove le tenebre impediscono ai nostri fratelli di essere pienamente uomini; il Padre ci renda misericordiosi e, commuovendoci per i fratelli più poveri, ci renda Dono per tutti.
Fondazione Missio

domenica 19 ottobre 2014

985 - PAOLO VI - LA GIOIA CRISTIANA

Il XX secolo ha un record di papi riconosciuti santi dalla Chiesa o di cui è in corso il processo di beatificazione, tanto che l’espressione “santo padre” sembra istituire un nesso quasi necessario tra l’esercizio del pontificato e la personale esperienza di santità. Ma si è santi per come si vive prima che per il ruolo di responsabilità che si esercita, per cui è essenziale entrare nella loro vita per impararne la profondità di dedizione totale a Dio, come nel caso della beatificazione di Paolo VI che non è figura circondata dalla popolarità di cui godono san Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II. Eppure la storia dimostra che egli è stato forse il più grande e significativo Papa del’900 poiché senza di lui la Chiesa non avrebbe fatto i grandi passi di rinnovamento legati soprattutto al Concilio, ma ciò è stato possibile grazie alla sua umanità spesa nell’intelligente e magnanimo servizio alla Chiesa dapprima nella diplomazia vaticana con Pio XII, poi da arcivescovo di Milano ed infine da papa.
Bisogna però sfatare alcuni luoghi comuni: papa Montini non era affatto il tipo dubbioso ed incerto, tormentato tra un’apertura eccessivamente progressista e una difesa acritica della tradizione; era piuttosto un cristiano a tutto tondo, realmente cattolico nell’apertura alla Verità tutta intera di cui voleva valorizzare ogni sfumatura. Tenendo ben ferma la barra del timone della barca di Pietro, fu fedele al mandato di custodire il deposito della fede non come sua proprietà, ma come dono ricevuto perché il Credo del popolo di Dio permanesse nel tempo. Il cuore della sua santità risiede proprio qui, nell’amare il primato di Dio nella vita per essere in grado di accogliere ed ascoltare tutto l’umano. Lo aveva imparato nel lavoro apparentemente formale svolto presso la Segreteria di Stato, lo aveva posto come programma del suo episcopato milanese, era pronto a realizzarlo compiutamente nello stile petrino che ha inaugurato.
Eletto Papa nel 1963, la prima decisione fu di continuare il Concilio e di dargli pieno compimento incrementando la comunione tra i vescovi con lo strumento del Sinodo e con la riforma della Curia romana, rilanciando l’evangelizzazione, affrontando gli enormi problemi di un mondo che stava rapidamente mutando. Con grande intelligenza ed acuta sensibilità culturale si è messo in ascolto delle istanze della modernità per coglierne gli aspetti autentici alla luce del Vangelo, senza timore di rendersi impopolare nella difesa dell’insegnamento morale della Chiesa (ricordiamo l’Humanae Vitae) o di difendere i diritti dei più poveri con l’insegnamento sociale della Populorum Progressio.
Ma nella straordinaria ampiezza del suo pontificato è importante ricordare soprattutto il suo essere uomo del dialogo con la modernità, guida di una nuova evangelizzazione, testimone della gioia cristiana.
Inaugura il metodo del dialogo con la prima enciclica programmatica del 1964 Ecclesiam Suam in cui a cerchi concentrici mostra come il dialogo dentro la Chiesa, tra le diverse confessioni e religioni deve raggiungere l’intera umanità, senza superba pretesa di una superiorità ma per la coscienza del carattere inclusivo che la fede ha di valorizzare ogni frammento di verità e di intercettare le giuste domande della modernità, parlando anche a quelle che papa Francesco chiamerebbe le periferie dell’umano. Da questa apertura del cuore e della mente nasce la forza dell’evangelizzazione che Paolo VI ha vissuto, in obbedienza al nome prescelto, come missione a tutte le genti inaugurando la prassi dei viaggi intercontinentali divenuti normali per i suoi successori. Ancor oggi Papa Bergoglio cita la Evangelii Nuntiandi del 1974 come uno dei testi esemplari per orientare una “Chiesa in uscita”.
Ma forse ciò che stupisce di più della sua personalità cristiana è la limpida testimonianza che ha saputo offrire della gioia cristiana cui, unico tra i papi, ha dedicato nel 1975 uno specifico documento, l’esortazione apostolica Gaudete in Domino. Solo un santo poteva scrivere un documento sulla gioia in un momento storico così travagliato e difficile, al termine di un Anno Santo che non aveva raccolto i frutti sperati. Ma la gioia vera non nasce dal successo mondano, bensì da Cristo che Montini aveva imparato ad amare sin da giovanissimo, l’Unico capace di trasfigurare l’esistenza sino alla morte avvenuta per lui proprio nel giorno dedicato alla Trasfigurazione del Signore del 1978.
La sintesi di questo pontificato sta proprio nella profonda religiosità di Montini, vissuta come cifra di ogni suo impegno e valorizzata nel naturale senso religioso di cui aveva scritto nel 1957 in una lettera pastorale per la grande missione cittadina di Milano. Ma prima ancora di questa finezza d’animo, in lui ha sempre prevalso la certezza che essere cristiani è bello, che Dio ha creato una bellezza che permea la scena drammatica di questo mondo e che rende ragionevole obbedire all’imperativo paolino “siate lieti nel Signore”.
Ora Paolo VI è riconosciuto beato e speriamo di poterlo annoverare presto tra i santi, nonostante le incomprensioni sofferte in vita, smentite dall’applauso scrosciante tributatogli il giorno del suo funerale, quando la sua povera bara di legno uscì da Piazza San Pietro accompagnata dalla commossa platea dell’umanità che aveva tanto amato
Giampaolo Cottini - 17/10/2014

sabato 18 ottobre 2014

984 - DEDICAZIONE DELLA CATTEDRALE


Duomo di Milano
Oggi la Chiesa ambrosiana ricorda la Dedicazione del Duomo, «la chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani». Per questo ci presenta Gesù che entra nel tempio, quasi a creare un rapporto tra quel tempio e il nostro, il Duomo. Il brano del Vangelo secondo Matteo (21, 10-17), dopo aver precisato il contesto, scandisce il brano con due citazioni bibliche.
Siamo a Gerusalemme, che è tutta «in agitazione» per l’arrivo di Gesù, che entra in città, acclamato come «colui che viene nel nome del Signore» al canto degli Osanna dei discepoli, ma anche della folla, che pare cantare a due cori. «La gente», dice Matteo, da una parte chiede chi sia «costui»; altra gente (l’altro coro) risponde: «È il profeta Gesù». Certo, potremmo pensare che la domanda della folla sia dubbiosa: «Ma chi è?». Nessuno lo conosce ancora e la risposta richiama il giudizio severo di Natanaele, ripreso da Giovanni: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?» (Giovanni 1,46).
Quasi a rispondere a queste domande Gesù entra nel tempio e ne scaccia i mercanti e i cambiavalute, che avevano avuto il permesso dei sacerdoti e pensavano di non fare nulla di male; anzi, credevano di fare una cosa buona, offrendo le colombe ai pellegrini e cambiando il loro denaro con le monete sacre del tempio, così che potessero fare un’offerta degna a Dio, e ai suoi sacerdoti.
Ed è questo il loro errore: si sono fatti “garanti” di ciò che Dio desidera e l’hanno “separato” dal mondo, facendo “monete speciali” per Dio! Gesù stesso spiega il suo gesto, citando insieme Isaia (56,7) e Geremia (7,11), che si completano a vicenda. Isaia canta il sogno di Dio: «Condurrò sul monte santo tutti i popoli e li colmerò di gioia nella mia casa». Il desiderio di Dio è di accogliere tutti, perché godano del suo amore e vivano secondo la sua alleanza. Geremia, a sua volta, ammoniva quelli che avevano fatto del tempio stesso una «spelonca di ladri», perché onoravano Dio, ma opprimevano lo straniero, l’orfano, la vedova.
Mons. Ennio Apeciti

venerdì 10 ottobre 2014

983 - VII DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Di questa pagina ricchissima (Matteo 13,3b-23) possiamo solo balbettare qualcosa sul seminatore, sul seme che siamo noi, sulla citazione di Isaia che Gesù propone ai suoi discepoli. Il seminatore: è sereno, generoso, fiducioso. Semina con largo gesto del braccio e vede bene che alcuni semi vanno sulla strada o sul terreno sassoso o tra le spine, ma non per questo trattiene il braccio o si fa prudente.
Non agisce al minimo né con prudenza: è pieno di speranza. Sa che nessun seme è perduto: nulla della generosità di Dio è perduto! Non vuole rischiare che per troppa prudenza, per non sprecare il seme, ci sia una parte del terreno buono che non riceve il seme. Il seme: la parabola ha un insegnamento fondamentale, quello della “crescita” del seme.
Quali sono le tappe per le quali deve passare il seme – che siamo noi – perché possa produrre il suo frutto prezioso? Occorre metterci “il cuore”, perché su questo si appunta la tentazione del Maligno: viene a rubare «ciò che è stato seminato nel cuore».
La parola di Dio ha bisogno non di un ascolto superficiale o distratto, ma deve scendere nel cuore, nella sede degli affetti profondi e delle scelte della vita.
Il secondo passo è il passaggio dall’entusiasmo del momento alla fedeltà del tempo, perché la fedeltà è la forma matura dell’amore. Come l’innamoramento (in-amore) è un ingresso nell’amore, così nella fede: per provare la vera gioia che non passa dopo i primi momenti di entusiasmo, occorre la perseveranza. 
Ed è questo il terzo passo: perseverare nella fedeltà dell’amore, anche quando la delusione emerge, quando la fatica è grande e la stanchezza pesa sul cuore e sul volto. Chi ama non si arrende. Certo questa scommessa sulla sicura vittoria del perdono e dell’amore non è condivisa da tutti, espone all’incomprensione, emargina da certi ambienti sociali. Per questo Gesù avvisa che occorre superare «la preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza».
Occorre il coraggio, che Gesù descrive attraverso la citazione del capitolo 6 di Isaia, quello che presenta la vocazione del profeta. Isaia all’inizio si spaventa, si sente indegno della chiamata di Dio, ma sentendo il grido di desiderio di Dio («Chi manderò? Chi andrà per noi?») brucia di entusiasmo: «Eccomi, manda me!». Il mondo ha bisogno di gente entusiasta, che, anche se debole, grida a Dio: «Eccomi, manda me!».
Mons.Ennio Apeciti

giovedì 2 ottobre 2014

982 - PAOLO VI, UN BEATO PER IL NOSTRO TEMPO

L'associazione Amici di "Dai Nostri Quartieri" ha organizzato per venerdì 3 Ottobre alle ore 21 presso la sala del consiglio di zona 3, in Via Sansovino 9 un incontro sul tema:

PAOLO VI, UN BEATO PER IL NOSTRO TEMPO

Una conversazione a 3 voci con Giselda Adornato, consulente storico della Causa di Beatificazione; Alberto Ratti, già presidente nazionale della Federazione Universitaria dei Cattolici Italiani e don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana.

Questi tre competenti relatori non faranno un “convegno” con tanti riferimenti, ma ci sveleranno tratti e insegnamenti ben chiari e precisi di Giovanni Battista Montini, Papa Paolo VI e prima Vescovo di Milano, compito nel quale ha promosso la costruzione di ben 5 chiese nella nostra attuale zona 3: S. Ignazio di Loyola, San Leone Magno, San Gerolamo Emiliani, San Vincenzo De’ Paoli e Santo Spirito.

Il legame chiesa-modernità, l’attenzione alla politica che Paolo VI ha definito “la più alta forma di carità” e le questioni sociali affrontate nell’enciclica Populorum Progressio saranno i temi che ci accompagneranno la sera di Venerdì attorno alla figura del prossimo Beato (19 Ottobre a Roma).

Sul sito
www.dainostriquartieri.it è caricato anche il video di Telenova che annuncia questo incontro.