Vento del Suo Spirito che soffi dove vuole, libero e liberatore,
vincitore della legge, del peccato e della morte... Vieni!
Vento del Suo Spirito che alloggiasti
nel ventre e nel cuore di una cittadina di Nazareth... Vieni!
Vento del Suo Spirito che ti impadronisti di Gesù
per inviarlo ad annunciare una buona notizia ai poveri
e la libertà ai prigionieri... Vieni!
Vento del Suo Spirito che ti portasti via nella Pentecoste
i pregiudizi, gli interessi e la paura degli Apostoli
e spalancasti le porte del cenacolo
perché la comunità dei seguaci di Gesù
fosse sempre aperta al mondo, libera nella sua parola
coerente nella sua testimonianza
e invincibile nella sua speranza.. Vieni!
Vento del Suo Spirito che ti porti via sempre le nuove paure della Chiesa
e bruci in essa ogni potere che non sia servizio fraterno
e la purifichi con la povertà e con il martirio... Vieni!
Vento del Suo Spirito che riduci in cenere la prepotenza, l'ipocrisia e il lucro
e alimenti le fiamme della Giustizia e della Liberazione
e che sei l'anima del Regno... Vieni!
Vieni o Spirito perché siamo tutti vento nel tuo Vento,
vento del tuo Vento,
dunque eternamente fratelli.
Pedro Casaldaliga
Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog
Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.
giovedì 8 giugno 2017
domenica 16 aprile 2017
1246 - AUGURI PAPA BENEDETTO!
I 90 anni di Benedetto XVI: l’augurio di mons. Gänswein, “il Signore gli mantenga la pace dell’anima e la gioia del cuore”.
"Benedetto XVI è sereno, di buon umore, lucidissimo. Certo le forze fisiche diminuiscono. Nel camminare fa fatica, perciò usa un deambulatore che gli garantisce autonomia nel movimento e sicurezza. Le giornate sono ben scandite, come da sempre: preghiera, meditazione, lettura, studio, corrispondenza; ci sono anche visite, la musica ha certamente il suo posto insieme alla passeggiata quotidiana".
Alla vigilia del 90° compleanno del Papa emerito abbiamo incontrato monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare di Benedetto XVI. Ecco cosa ci racconta
Per il 90° compleanno non ci saranno festeggiamenti particolari. Vorrebbe fare solo un piccolo momento di festa adatto alle sue forze. Questo momento ci sarà a Pasquetta, un giorno dopo il compleanno, con una modesta festa alla “bavarese”, con una piccola delegazione dalla Baviera e con la presenza degli “Schützen”. Sarà presente anche suo fratello Georg, il dono più bello per questo giorno.
Pensando ai 90 anni di Benedetto, vengono in mente le figure dei patriarchi, la cui longevità è vista come segno della benedizione di Dio…
Infatti è così, ma d’altra parte non dimentichiamo ciò che ci dice il Salmo 90: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti … passano presto e noi voliamo via”.
C’è anche un’altra immagine biblica che può essere evocata, rileggendo la rinuncia al soglio pontificio e la scelta di vivere in preghiera nel Monastero “Mater Ecclesiae”. È quella di Mosè che prega con le braccia elevate nella lotta contro Amalèk: “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lascia cadere, prevaleva Amalèk” (Es 17,11).Benedetto spesso ha parlato del primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo. Questo vale anche e anzitutto per il governo della Chiesa universale. Proprio nel momento della rinuncia si sentiva chiamato a “salire sul monte”, a dedicarsi ancora di più alla preghiera e alla meditazione per sostenere in questo modo la Chiesa e il suo successore sulla cattedra di Pietro.
È un impegno al quale si dedica giorno per giorno, volentieri e con tutto il cuore.
Sono riflessioni che conducono nell’intimità del Papa emerito. Ma quanto è stato compreso, negli anni, l’uomo e il sacerdote Joseph Ratzinger? Sotto continui attacchi durante il Pontificato, ma anche prima come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e ora strumentalizzato in un’ipotetica polemica con Francesco: è così?
Ha ragione. Gli attacchi non sono mancati né prima al cardinale Ratzinger da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede né dopo a Papa Benedetto. Devo dire che egli non si è lasciato provocare, tanto meno intimidire da reazioni ostili o, persino, denigratorie.
Difendere la verità della fede, difendere la Chiesa – importune opportune – ha il suo prezzo. In sincerità ci si dovrebbe domandare se le critiche alla persona e all’operato fossero fondate e convincenti. C’è stato un miscuglio d’incomprensione e aggressione, mai del tutto chiarito. Infine, creare e nutrire “ex post” ipotetiche polemiche fra Papa Francesco e il suo predecessore è un gioco troppo superficiale e scorretto. Le polemiche piacciono al mondo mediatico per “salare” osservazioni o affermazioni, ma non s’interessano se le informazioni corrispondano alla realtà o meno. La polemica ama strumentalizzare, ma non serve per offrire informazioni e aiutare nella comprensione della realtà.
Forse uno degli spunti più interessanti di una visione comune con Francesco è nel rapporto Chiesa universale-Chiese particolari?
Al riguardo non vedo alcuna differenza fra Papa Francesco e il Papa emerito.
Non c’è, dunque, alcuna contrapposizione con Francesco?
Prendendo atto di ciò che producono i mass-media non è possibile che non ci si accorga che ogni tanto si vogliono operare queste contrapposizioni. È fin troppo ovvio per quali motivi si creano dal nulla tali contrasti.
Eccellenza, lei è a contatto con Benedetto XVI da oltre 20 anni: qual è il più grande insegnamento ricevuto? E cosa sente di augurargli per i 90 anni?
Ce ne sono tanti. Sento una grande gratitudine nei suoi confronti e gli auguro che il Signore gli mantenga la pace dell’anima e la gioia del cuore.
"Benedetto XVI è sereno, di buon umore, lucidissimo. Certo le forze fisiche diminuiscono. Nel camminare fa fatica, perciò usa un deambulatore che gli garantisce autonomia nel movimento e sicurezza. Le giornate sono ben scandite, come da sempre: preghiera, meditazione, lettura, studio, corrispondenza; ci sono anche visite, la musica ha certamente il suo posto insieme alla passeggiata quotidiana".
Alla vigilia del 90° compleanno del Papa emerito abbiamo incontrato monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare di Benedetto XVI. Ecco cosa ci racconta
Per il 90° compleanno non ci saranno festeggiamenti particolari. Vorrebbe fare solo un piccolo momento di festa adatto alle sue forze. Questo momento ci sarà a Pasquetta, un giorno dopo il compleanno, con una modesta festa alla “bavarese”, con una piccola delegazione dalla Baviera e con la presenza degli “Schützen”. Sarà presente anche suo fratello Georg, il dono più bello per questo giorno.
Pensando ai 90 anni di Benedetto, vengono in mente le figure dei patriarchi, la cui longevità è vista come segno della benedizione di Dio…
Infatti è così, ma d’altra parte non dimentichiamo ciò che ci dice il Salmo 90: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti … passano presto e noi voliamo via”.
C’è anche un’altra immagine biblica che può essere evocata, rileggendo la rinuncia al soglio pontificio e la scelta di vivere in preghiera nel Monastero “Mater Ecclesiae”. È quella di Mosè che prega con le braccia elevate nella lotta contro Amalèk: “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lascia cadere, prevaleva Amalèk” (Es 17,11).Benedetto spesso ha parlato del primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo. Questo vale anche e anzitutto per il governo della Chiesa universale. Proprio nel momento della rinuncia si sentiva chiamato a “salire sul monte”, a dedicarsi ancora di più alla preghiera e alla meditazione per sostenere in questo modo la Chiesa e il suo successore sulla cattedra di Pietro.
È un impegno al quale si dedica giorno per giorno, volentieri e con tutto il cuore.
Sono riflessioni che conducono nell’intimità del Papa emerito. Ma quanto è stato compreso, negli anni, l’uomo e il sacerdote Joseph Ratzinger? Sotto continui attacchi durante il Pontificato, ma anche prima come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e ora strumentalizzato in un’ipotetica polemica con Francesco: è così?
Ha ragione. Gli attacchi non sono mancati né prima al cardinale Ratzinger da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede né dopo a Papa Benedetto. Devo dire che egli non si è lasciato provocare, tanto meno intimidire da reazioni ostili o, persino, denigratorie.
Difendere la verità della fede, difendere la Chiesa – importune opportune – ha il suo prezzo. In sincerità ci si dovrebbe domandare se le critiche alla persona e all’operato fossero fondate e convincenti. C’è stato un miscuglio d’incomprensione e aggressione, mai del tutto chiarito. Infine, creare e nutrire “ex post” ipotetiche polemiche fra Papa Francesco e il suo predecessore è un gioco troppo superficiale e scorretto. Le polemiche piacciono al mondo mediatico per “salare” osservazioni o affermazioni, ma non s’interessano se le informazioni corrispondano alla realtà o meno. La polemica ama strumentalizzare, ma non serve per offrire informazioni e aiutare nella comprensione della realtà.
Forse uno degli spunti più interessanti di una visione comune con Francesco è nel rapporto Chiesa universale-Chiese particolari?
Al riguardo non vedo alcuna differenza fra Papa Francesco e il Papa emerito.
Non c’è, dunque, alcuna contrapposizione con Francesco?
Prendendo atto di ciò che producono i mass-media non è possibile che non ci si accorga che ogni tanto si vogliono operare queste contrapposizioni. È fin troppo ovvio per quali motivi si creano dal nulla tali contrasti.
Eccellenza, lei è a contatto con Benedetto XVI da oltre 20 anni: qual è il più grande insegnamento ricevuto? E cosa sente di augurargli per i 90 anni?
Ce ne sono tanti. Sento una grande gratitudine nei suoi confronti e gli auguro che il Signore gli mantenga la pace dell’anima e la gioia del cuore.
(Agenzia SIR)
sabato 15 aprile 2017
1245 - BUONA PASQUA
1244 - MATTINO DI PASQUA
Buia la notte nella tomba,
ma i raggi delle sante ferite
penetrano la durezza della pietra,
sollevata leggermente e posta a lato;
dal buio della tomba si erge
il corpo del Figlio dell’Uomo
illuminato di luce, irraggiante splendore,
nuovo corpo risorto del Figlio dell’Uomo.
Lento nella caverna Egli esce
nella tacita prima aurora del silente mattino,
ma i raggi delle sante ferite
penetrano la durezza della pietra,
sollevata leggermente e posta a lato;
dal buio della tomba si erge
il corpo del Figlio dell’Uomo
illuminato di luce, irraggiante splendore,
nuovo corpo risorto del Figlio dell’Uomo.
Lento nella caverna Egli esce
nella tacita prima aurora del silente mattino,
lieve nebbia ricopre la terra;
profondamente ora sarà attraversato da luce
di bianco bagliore
e il Salvatore oltrepassa il silenzio
della terra nuovamente ridestata dal sonno.
Sotto i passi dei santi suoi piedi
fioriscono, mai visti, fiori di luce
e dove, lievemente, le sue vesti sfiorano il suolo,
scintilla il terreno, brillio di smeraldo.
Dalle sue mani fluisce la benedizione
sui campi, sui prati in turgidi, chiari profluvi,
nella rugiada mattutina della pienezza della grazia
irraggia, giubilando, la natura del Risorto,
quando Egli silente procede a fianco degli uomini.
Edith Stein
profondamente ora sarà attraversato da luce
di bianco bagliore
e il Salvatore oltrepassa il silenzio
della terra nuovamente ridestata dal sonno.
Sotto i passi dei santi suoi piedi
fioriscono, mai visti, fiori di luce
e dove, lievemente, le sue vesti sfiorano il suolo,
scintilla il terreno, brillio di smeraldo.
Dalle sue mani fluisce la benedizione
sui campi, sui prati in turgidi, chiari profluvi,
nella rugiada mattutina della pienezza della grazia
irraggia, giubilando, la natura del Risorto,
quando Egli silente procede a fianco degli uomini.
Edith Stein
venerdì 14 aprile 2017
1242 - TUTTO E' COMPIUTO
“Tutto è compiuto”
da parte Tua, sì! Da parte nostra,
ci manca ancora questo lungo giorno per giorno
di ogni scoria umana,
di tutta l’Umana Storia.
Tu hai già compiuto tutto, Re e Regno!
Tutto
rimane da fare, alla luce del Regno,
in questa notte che ci assedia
(di profondo egoismo,
di paura e di menzogna,
di odio e di guerre).
Il Padre ti diede un Corpo di servizio
e Tu hai reso il centuplo, l’infinito.
Tutto è compiuto,
nel Perdono e nella Gloria.
Tutto può essere Grazia, nella lotta e nel cammin.
da parte Tua, sì! Da parte nostra,
ci manca ancora questo lungo giorno per giorno
di ogni scoria umana,
di tutta l’Umana Storia.
Tu hai già compiuto tutto, Re e Regno!
Tutto
rimane da fare, alla luce del Regno,
in questa notte che ci assedia
(di profondo egoismo,
di paura e di menzogna,
di odio e di guerre).
Il Padre ti diede un Corpo di servizio
e Tu hai reso il centuplo, l’infinito.
Tutto è compiuto,
nel Perdono e nella Gloria.
Tutto può essere Grazia, nella lotta e nel cammin.
Sei
già stato la Via, Compagno nostro.
E sei, infine, l’Arrivo!
Nella Tua Croce si annullano
il potere del Peccato
e la sentenza della Morte.
Tutto canta Speranza…
Pedro Casaldaliga
già stato la Via, Compagno nostro.
E sei, infine, l’Arrivo!
Nella Tua Croce si annullano
il potere del Peccato
e la sentenza della Morte.
Tutto canta Speranza…
Pedro Casaldaliga
mercoledì 12 aprile 2017
1240 - ESSERE CHIESA DEL GIOVEDI' SANTO - 2 -
Mi lascio ispirare brevemente dalle tre letture bibliche proposte dalla liturgia per aiutarci a contemplare e ad adorare, con gli occhi della mente e del cuore, il prodigio dell'ultima Cena.
I segni del pane e del vino
* La I lettura, dal libro di Giona, ci fa riflettere, sulla fedeltà e la tenerezza di Dio per la città di Ninive e per lo stesso profeta, atteggiamenti che trovano espressione compiuta nell'Eucaristia, in quell'ora che perdura lungo i secoli e le generazioni e nella quale - come recita l'inno di s. Tommaso d'Aquino che canteremo dopo la comunione portando in processione il Santissimo Sacramento - "il Verbo incarnato con la sua parola trasforma il vero pane nella sua carne, si dà in cibo ai Dodici".
* Della II e della III lettura che abbiamo ascoltato sottolineo le due sconvolgenti affermazioni di Gesù sul pane e sul vino e le conseguenze ne derivano. Nel brano della lettera di Paolo ai Corinti, scritta verso la Pasqua del 57, l'apostolo ci trasmette ciò che ha ricevuto dal Signore. Nella notte in cui fu tradito, prese il pane, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo per voi". Il pane spezzato, che è Cristo stesso, è inseparabile dallo spezzarsi della sua vita sulla Croce, e perciò l'Eucaristia è annuncio della morte del Signore, finché egli venga. Ogni Messa che celebriamo ci fa passare dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre, ci attira prepotentemente verso il cielo dove si celebrerà per sempre il banchetto della gioia messianica; in ogni Messa si ripete il prodigio della divina misericordia. Non solo, ma il pane che spezziamo è la carne per la vita del mondo, in quanto l'Eucaristia supera tutti i confini e si pone come giudizio sulla storia, giudizio sulla capacità dei discepoli di Gesù di essere, in lui, segno di unità e di amore. Dunque la Messa ci apre al mondo e diventa missione, passione d'amore della Chiesa per la salvezza dell'umanità.
* Il testo del vangelo secondo Matteo premette, al racconto della passione, la descrizione dell'ultima Cena e ci dice che Gesù, dopo aver preso il calice del vino, afferma: "Bevetene tutti, perché questo è il sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati". La parola biblica 'alleanza' richiama tutta l'iniziativa d'amore di Dio per l'uomo, a partire da Noè ad Abramo a Mosè e lungo i secoli. Pure nell'Eucaristia che stiamo celebrando l'intera storia della salvezza - passata, presente e futura - viene riassunta e sfocia nell'eternità; grazie a essa l'umanità divisa e dispersa diventa a poco a poco una nel Cristo.
Una duplice certezza
Possiamo trarre una triplice certezza sul rapporto di Gesù con la sua morte.
1. Gesù ha potuto anche come uomo prevedere sempre più chiaramente la sua morte violenta. Non è stato colto di sorpresa. Ciò che al più avrebbe potuto non attendersi era l'uccisione sul patibolo della croce da parte di legionari romani; conoscendo l'avversione crescente degli ambienti religiosi alla sua attività profetica, si sarebbe piuttosto aspettato di perire sotto la lapidazione, in un tumulto di folla, a cui si era già più di una volta sottratto. Egli stesso aveva pianto su Gerusalemme dicendo: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati…(Lc 13,34). In ogni caso le vicende lo mettevano sempre di più di fronte al rischio di morte.
2. Prevedendo la sua morte, Gesù non solo non si è tirato indietro, ma neppure ha tenuto per sé questa previsione: ne ha parlato apertamente nella cerchia ristretta dei discepoli, come mostrano le predizioni sulla passione. Non ha voluto quindi mai rimuovere questo argomento.
3. Gesù stesso, con le parole dell'ultima cena, ha indicato il senso che avrebbe avuto la sua morte guardata in faccia con amore e per amore nostro e ha consegnato tale senso nell'Eucaristia.
Sta a noi non ricevere invano questo mistero d'amore, sta a noi partecipare alla sua cena con quell'atteggiamento di continua conversione di cui ci ha parlato il libro di Giona: conversione della città di Ninive e conversione del profeta che è chiamato ad accettare l'agire perdonante e misericordioso di Dio per i peccatori. Nella comunione eucaristica il Signore si dona a noi e ci assimila a sé nella misura in cui il nostro cuore è indiviso e rinunciamo a noi stessi per accettare di diventare figli di Dio in Gesù e fratelli di ogni uomo; nella misura in cui ci amiamo reciprocamente e ci serviamo gli uni gli altri come ci ha comandato di fare dopo aver lavato i piedi ai discepoli. Per questo anch'io, all'inizio della celebrazione, ho lavato i piedi a dodici giovani che rappresentano, quali "Sentinelle del mattino", il futuro della nostra chiesa che vogliamo sia un futuro di amore e di servizio.
Per tutti noi ricevere la comunione questa sera significa affermare la nostra piena adesione alla volontà del Padre e insieme l'impegno di donarci con amore al prossimo, di vivere le beatitudini, di spendere la nostra vita per far nascere un mondo nuovo che sia riflesso del Regno di Dio, regno di pace e di giustizia, regno di amore e di verità.
Non c'è niente che ci apre alla conoscenza profonda di Gesù come l'incontro eucaristico, dove tutto avviene nello splendore e nella tenebra della fede: una conoscenza di amore e di fede, di amore che crede e di fede che ama. Se viviamo così il dono della comunione sapremo vedere il corpo e il sangue del Signore in ogni fratello, nelle povertà e nei limiti delle nostre comunità ecclesiali, nelle tante situazioni difficili del nostro tempo.
O Gesù, noi crediamo che il tuo corpo è veramente cibo, che il tuo sangue è veramente bevanda delle nostre anime sotto le specie del pane e del vino. Noi crediamo che nell'Eucaristia ti fai nostro contemporaneo, corrobori le nostre forze interiori, ci sostieni nel cammino verso l'eternità e che già sulla terra ci fai gustare quell'unione con la Trinità a cui, in te, il Padre ci chiama. Fa' che l'Eucaristia sia davvero il centro, il cuore della nostra vita cristiana, la sorgente inesauribile della riconciliazione, la medicina che ci guarisce dai peccati e ne strappa le radici, accresce la carità e rende più solida la comunione ecclesiale.
E tu, Maria, Madre dell'Eucaristia, ottienici in questa santa Messa di sentire quanto bisogno abbiamo di convertirci all'esercizio stabile e comune della carità nell'unità che hai vissuto nella tua esistenza terrena.
È così che si è Chiesa del Giovedì santo, che si è comunità eucaristica nel senso voluto dal Signore; una comunità che con l'amore può trasformare la terra arida in giardino vivibile e affrontare coraggiosamente le gravi sfide del nuovo millennio.
(Carlo Maria Martini, Omelia del Giovedì santo 2002 - seconda parte)
I segni del pane e del vino
* La I lettura, dal libro di Giona, ci fa riflettere, sulla fedeltà e la tenerezza di Dio per la città di Ninive e per lo stesso profeta, atteggiamenti che trovano espressione compiuta nell'Eucaristia, in quell'ora che perdura lungo i secoli e le generazioni e nella quale - come recita l'inno di s. Tommaso d'Aquino che canteremo dopo la comunione portando in processione il Santissimo Sacramento - "il Verbo incarnato con la sua parola trasforma il vero pane nella sua carne, si dà in cibo ai Dodici".
* Della II e della III lettura che abbiamo ascoltato sottolineo le due sconvolgenti affermazioni di Gesù sul pane e sul vino e le conseguenze ne derivano. Nel brano della lettera di Paolo ai Corinti, scritta verso la Pasqua del 57, l'apostolo ci trasmette ciò che ha ricevuto dal Signore. Nella notte in cui fu tradito, prese il pane, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo per voi". Il pane spezzato, che è Cristo stesso, è inseparabile dallo spezzarsi della sua vita sulla Croce, e perciò l'Eucaristia è annuncio della morte del Signore, finché egli venga. Ogni Messa che celebriamo ci fa passare dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre, ci attira prepotentemente verso il cielo dove si celebrerà per sempre il banchetto della gioia messianica; in ogni Messa si ripete il prodigio della divina misericordia. Non solo, ma il pane che spezziamo è la carne per la vita del mondo, in quanto l'Eucaristia supera tutti i confini e si pone come giudizio sulla storia, giudizio sulla capacità dei discepoli di Gesù di essere, in lui, segno di unità e di amore. Dunque la Messa ci apre al mondo e diventa missione, passione d'amore della Chiesa per la salvezza dell'umanità.
* Il testo del vangelo secondo Matteo premette, al racconto della passione, la descrizione dell'ultima Cena e ci dice che Gesù, dopo aver preso il calice del vino, afferma: "Bevetene tutti, perché questo è il sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati". La parola biblica 'alleanza' richiama tutta l'iniziativa d'amore di Dio per l'uomo, a partire da Noè ad Abramo a Mosè e lungo i secoli. Pure nell'Eucaristia che stiamo celebrando l'intera storia della salvezza - passata, presente e futura - viene riassunta e sfocia nell'eternità; grazie a essa l'umanità divisa e dispersa diventa a poco a poco una nel Cristo.
Una duplice certezza
Possiamo trarre una triplice certezza sul rapporto di Gesù con la sua morte.
1. Gesù ha potuto anche come uomo prevedere sempre più chiaramente la sua morte violenta. Non è stato colto di sorpresa. Ciò che al più avrebbe potuto non attendersi era l'uccisione sul patibolo della croce da parte di legionari romani; conoscendo l'avversione crescente degli ambienti religiosi alla sua attività profetica, si sarebbe piuttosto aspettato di perire sotto la lapidazione, in un tumulto di folla, a cui si era già più di una volta sottratto. Egli stesso aveva pianto su Gerusalemme dicendo: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati…(Lc 13,34). In ogni caso le vicende lo mettevano sempre di più di fronte al rischio di morte.
2. Prevedendo la sua morte, Gesù non solo non si è tirato indietro, ma neppure ha tenuto per sé questa previsione: ne ha parlato apertamente nella cerchia ristretta dei discepoli, come mostrano le predizioni sulla passione. Non ha voluto quindi mai rimuovere questo argomento.
3. Gesù stesso, con le parole dell'ultima cena, ha indicato il senso che avrebbe avuto la sua morte guardata in faccia con amore e per amore nostro e ha consegnato tale senso nell'Eucaristia.
Sta a noi non ricevere invano questo mistero d'amore, sta a noi partecipare alla sua cena con quell'atteggiamento di continua conversione di cui ci ha parlato il libro di Giona: conversione della città di Ninive e conversione del profeta che è chiamato ad accettare l'agire perdonante e misericordioso di Dio per i peccatori. Nella comunione eucaristica il Signore si dona a noi e ci assimila a sé nella misura in cui il nostro cuore è indiviso e rinunciamo a noi stessi per accettare di diventare figli di Dio in Gesù e fratelli di ogni uomo; nella misura in cui ci amiamo reciprocamente e ci serviamo gli uni gli altri come ci ha comandato di fare dopo aver lavato i piedi ai discepoli. Per questo anch'io, all'inizio della celebrazione, ho lavato i piedi a dodici giovani che rappresentano, quali "Sentinelle del mattino", il futuro della nostra chiesa che vogliamo sia un futuro di amore e di servizio.
Per tutti noi ricevere la comunione questa sera significa affermare la nostra piena adesione alla volontà del Padre e insieme l'impegno di donarci con amore al prossimo, di vivere le beatitudini, di spendere la nostra vita per far nascere un mondo nuovo che sia riflesso del Regno di Dio, regno di pace e di giustizia, regno di amore e di verità.
Non c'è niente che ci apre alla conoscenza profonda di Gesù come l'incontro eucaristico, dove tutto avviene nello splendore e nella tenebra della fede: una conoscenza di amore e di fede, di amore che crede e di fede che ama. Se viviamo così il dono della comunione sapremo vedere il corpo e il sangue del Signore in ogni fratello, nelle povertà e nei limiti delle nostre comunità ecclesiali, nelle tante situazioni difficili del nostro tempo.
O Gesù, noi crediamo che il tuo corpo è veramente cibo, che il tuo sangue è veramente bevanda delle nostre anime sotto le specie del pane e del vino. Noi crediamo che nell'Eucaristia ti fai nostro contemporaneo, corrobori le nostre forze interiori, ci sostieni nel cammino verso l'eternità e che già sulla terra ci fai gustare quell'unione con la Trinità a cui, in te, il Padre ci chiama. Fa' che l'Eucaristia sia davvero il centro, il cuore della nostra vita cristiana, la sorgente inesauribile della riconciliazione, la medicina che ci guarisce dai peccati e ne strappa le radici, accresce la carità e rende più solida la comunione ecclesiale.
E tu, Maria, Madre dell'Eucaristia, ottienici in questa santa Messa di sentire quanto bisogno abbiamo di convertirci all'esercizio stabile e comune della carità nell'unità che hai vissuto nella tua esistenza terrena.
È così che si è Chiesa del Giovedì santo, che si è comunità eucaristica nel senso voluto dal Signore; una comunità che con l'amore può trasformare la terra arida in giardino vivibile e affrontare coraggiosamente le gravi sfide del nuovo millennio.
(Carlo Maria Martini, Omelia del Giovedì santo 2002 - seconda parte)
1239 - ESSERE CHIESA DEL GIOVEDI' SANTO
Con la celebrazione di questa Messa vespertina, che rievoca e rende presente l'ultima Cena di Gesù con i discepoli prima della sua passione, entriamo nel cuore dell'Anno liturgico, che è il grande Triduo pasquale.
Noi siamo perciò riuniti per fare memoria di quella prima Eucaristia celebrata da Gesù, per rendere presente questa stupenda realtà come memoria e insieme attualizzazione, come ricordo del passato e insieme presenza, come speranza e profezia per il futuro.
La sera del Giovedì santo è infatti il momento in cui Gesù, con i segni del pane spezzato e del vino versato, anticipa il sacrificio cruento della croce, avvenuto una volta per tutte sul Calvario, perché il suo corpo eucaristico e il suo sangue eucaristico restassero ad assicurarci la sua presenza lungo i secoli della storia. Egli stabilisce così in modo concreto la permanenza visibile e misteriosa della sua morte in croce per noi, del suo supremo amore per l'umanità, del suo venire al di dentro di noi per salvarci e santificarci.
E nell'Eucaristia sono racchiusi tutti gli eventi successivi alla Cena - dall'agonia alla passione, crocifissione, morte di Gesù, alla notte gelida del sepolcro e al mattino radioso della risurrezione.
Gesù riassume fedelmente, nel suo gesto inaudito e umanamente incomprensibile, tutto quanto il Padre gli ha chiesto di fare per la salvezza del mondo, la sua incondizionata dedizione che non si blocca davanti al tradimento di Giuda, ai nostri tradimenti, al rinnegamento di Pietro, alle nostre incoerenze. Il suo cuore, che sulla croce verrà squarciato, si apre già nella Cena per riversare lo Spirito sulla Chiesa e sul mondo.
Questo Spirito viene effuso su di noi, che stiamo per iniziare il Triduo pasquale con la tristezza nel cuore per l'inasprirsi dei conflitti e degli atti terroristici, che in Medio Oriente non hanno risparmiato neppure il giorno più sacro ai nostri fratelli ebrei, spargendo nuovo sangue innocente.
Come affermava Giovanni Paolo II nel suo messaggio per la pace di quest'anno: "Il terrorismo si fonda sul disprezzo per la vita dell'uomo. Proprio per questo esso non dà solo origine a crimini intollerabili, ma costituisce esso stesso, in quanto ricorso al terrore come strategia politica ed economica, un crimine contro l'umanità".
O Gesù, ancora una volta ci mettiamo davanti a te con dolore e tristezza per tante sofferenze di nostri fratelli e invochiamo con angoscia la cessazione di simili atti di violenza nel nostro paese e in ogni altro. Viviamo la preghiera di questi giorni anche come suffragio per i morti, conforto per i sopravvissuti, intercessione per quella pace che viene dalla potenza della tua risurrezione.
O Gesù, noi siamo davanti a te con stupore e tremore, riconoscendo che col tuo gesto eucaristico poni la tua vita nelle nostre mani per confermarci la tua misericordia, per ricordarci che nell'Eucaristia ogni promessa di Dio si compie, la violenza può essere vinta e Tu stesso diventi nostra vita e nostra pace.
Noi siamo perciò riuniti per fare memoria di quella prima Eucaristia celebrata da Gesù, per rendere presente questa stupenda realtà come memoria e insieme attualizzazione, come ricordo del passato e insieme presenza, come speranza e profezia per il futuro.
La sera del Giovedì santo è infatti il momento in cui Gesù, con i segni del pane spezzato e del vino versato, anticipa il sacrificio cruento della croce, avvenuto una volta per tutte sul Calvario, perché il suo corpo eucaristico e il suo sangue eucaristico restassero ad assicurarci la sua presenza lungo i secoli della storia. Egli stabilisce così in modo concreto la permanenza visibile e misteriosa della sua morte in croce per noi, del suo supremo amore per l'umanità, del suo venire al di dentro di noi per salvarci e santificarci.
E nell'Eucaristia sono racchiusi tutti gli eventi successivi alla Cena - dall'agonia alla passione, crocifissione, morte di Gesù, alla notte gelida del sepolcro e al mattino radioso della risurrezione.
Gesù riassume fedelmente, nel suo gesto inaudito e umanamente incomprensibile, tutto quanto il Padre gli ha chiesto di fare per la salvezza del mondo, la sua incondizionata dedizione che non si blocca davanti al tradimento di Giuda, ai nostri tradimenti, al rinnegamento di Pietro, alle nostre incoerenze. Il suo cuore, che sulla croce verrà squarciato, si apre già nella Cena per riversare lo Spirito sulla Chiesa e sul mondo.
Questo Spirito viene effuso su di noi, che stiamo per iniziare il Triduo pasquale con la tristezza nel cuore per l'inasprirsi dei conflitti e degli atti terroristici, che in Medio Oriente non hanno risparmiato neppure il giorno più sacro ai nostri fratelli ebrei, spargendo nuovo sangue innocente.
Come affermava Giovanni Paolo II nel suo messaggio per la pace di quest'anno: "Il terrorismo si fonda sul disprezzo per la vita dell'uomo. Proprio per questo esso non dà solo origine a crimini intollerabili, ma costituisce esso stesso, in quanto ricorso al terrore come strategia politica ed economica, un crimine contro l'umanità".
O Gesù, ancora una volta ci mettiamo davanti a te con dolore e tristezza per tante sofferenze di nostri fratelli e invochiamo con angoscia la cessazione di simili atti di violenza nel nostro paese e in ogni altro. Viviamo la preghiera di questi giorni anche come suffragio per i morti, conforto per i sopravvissuti, intercessione per quella pace che viene dalla potenza della tua risurrezione.
O Gesù, noi siamo davanti a te con stupore e tremore, riconoscendo che col tuo gesto eucaristico poni la tua vita nelle nostre mani per confermarci la tua misericordia, per ricordarci che nell'Eucaristia ogni promessa di Dio si compie, la violenza può essere vinta e Tu stesso diventi nostra vita e nostra pace.
(Carlo Maria Martini, Omelia per il Giovedì santo 2002)
martedì 11 aprile 2017
1238 - IN PREPARAZIONE ALLA PASSIONE DI GESU'
Questa straordinaria narrazione della Passione di Gesù, per quanto la ascoltiamo e la leggiamo, ci trova sempre disposti a percepire la novità, a misurare la nostra impossibilità a relegarla fra le cose già sapute e scontate. È come se ci fosse, in queste pagine, una permanente eccedenza sulla nostra capacità di intendere e una specie di rimando al futuro. Il vero commento a queste pagine non è il discorso concettuale ma è la vita vissuta. Con questo animo vorrei indicare semplicemente alcuni spunti di riflessione che potrebbero anche diventare la trama per una meditazione della settimana santa che comincia oggi. Mi colloco nell'ottica di questo centurione - la figura che balza all'improvviso al termine della narrazione - che dinanzi alla morte di Gesù dice: «Veramente quest'uomo era figlio di Dio!». E una confessione di fede di una purezza sconcertante. I discepoli erano fuggiti. Pietro, che aveva promesso di stare vicino al maestro a costo della morte, lui che aveva fatto la professione di fede che gli aveva meritato l’investitura - «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa».- non c'era. C'era soltanto questo pagano, che vede morire un uomo e avendolo visto morire in quel modo non dice: «che disperato!». Dice: «Veramente costui era figlio di Dio». C'è una contraddizione fra ciò che ha visto e ciò che ha confessato. È proprio in questa contraddizione che si annida il segreto di Gesù, il segreto della universalità e della permanenza del messaggio della Passione. Come tante e tante volte si è detto, la figura di Gesù non può essere posta nella serie dei fondatori di religioni o dei grandi pensatori, perché la sua singolarità è di aver fatto coincidere la via della conoscenza di Dio con la via della verità dell'uomo. Nell'ordine del confronto ha la priorità la via dell'uomo. La via crucis è la via dell'uomo. Chi percorre quella via fino in fondo, può arrivare anche a confessare che Gesù è figlio di Dio. Ma se non la percorre e confessa che Gesù è figlio di Dio, ha già commesso un' evasione in quanto parla di Lui attribuendo a Lui l'immagine di Dio che ci possiamo formare con le filosofie o con le superstizioni. Mentre dice che Gesù è Dio, uccide la verità della professione di fede. Questa verità si manifesta in fondo alla verità della croce. Perché si manifesta in fondo? Immaginate un uomo che abbia come sua unica legge l'amore per gli altri, un amore disposto fino al totale dono di sé. Fate camminare quest'uomo dove volete: in un mercato, in una banca, in un parlamento, in un ministero, in una curia ecclesiastica... Fatelo parlare, mettetelo a confronto con le figure che rappresentano le istituzioni che vi ho elencato. Che cosa avverrebbe? Avverrebbe che quest'uomo sarebbe, con una solidarietà immancabile, espulso da tutti, cacciato via. Uno direbbe, magari un suo amico: «Io quest'uomo non lo conosco nemmeno». Un altro direbbe: «Questo è pazzo», come disse Erede, un altro direbbe - magari in una curia ecclesiastica -: «Quest'uomo ha bestemmiato». Quest'uomo non potrebbe rientrare nei modi di vivere e di comprendere la vita che sono i nostri. Sarebbe un estraneo e troverebbe un'accoglienza solo tra i più disperati, che non essendo integrati nella società, hanno una sincera disponibilità al nuovo. Forse quest'uomo troverebbe il suo luogo proprio nelle periferie, nelle baraccopoli dove vive la gentaglia, perché là tutto è possibile, mancano le strutture di giudizio e c'è disponibilità ad accogliere ogni forma di esistenza purché sia irregolare in rapporto a quella istituzionalizzata. Quest'uomo ipotetico è Gesù Cristo. Questa è stata la sua vita, sempre, perfino prima di nascere. I suoi non furono accolti in un albergo perché non c'era posto per loro. In realtà non c'era posto per Lui. Ma perché non c'è posto? Non c'è posto perché il senso intimo di questa vita, la sua esemplarità che sorpassa ogni altro modello, è la coerenza con l'amore per gli altri fino al dono della propria vita. Dopo, è successo che la sua figura, consegnata alla memoria, è stata riadattata al tessuto convenzionale, al codice di esistenza vigente. Quest'uomo che è stato l'amore stesso è anche l'uomo in nome del quale sono stati accesi i roghi, si sono sgozzati gli uomini… è diventato un idolo, un dio inzuppato dei nostri fanatismi ideologici. No, il Gesù vigente non è il Gesù della Passione. Noi crediamo che ripetendo un nome ci rifacciamo alla realtà significata dal nome. E invece il nome di Gesù è un passe-partout che serve per tutto, è servito per tutto e serve ancora oggi per tutto. Ecco perché queste pagine o si leggono, stendendoci sopra, come si fa spesso, un velo devozionale e si ascoltano con uno spirito devoto e con buoni sentimenti in modo che esse non ci scalfiscano la coscienza, oppure ci apriamo alla forza del loro messaggio e sentiamo che i conti con la verità non li abbiamo ancora fatti. Abbiamo dentro di noi un'aspirazione senza la quale veramente tutta la storia sarebbe già chiusa, l'aspirazione ad una forma di esistenza che sia proprio quella in cui l'amore è l'unica legge. Non c'è uomo perverso, posto che si possano usare questi termini, che non abbia in un angolo di sé il sogno di una vita in cui l'unica legge sia l'amore. Nella figura di Gesù noi abbiamo la rappresentazione reale - sia pure attraverso le testimonianze codificate dei Vangeli - di questo modello di esistenza verso cui il fondo della nostra coscienza va come una pietra verso il centro di gravitazione. Come Giuseppe d'Arimatea era «uno che aspettava il regno», così noi tutti aspettiamo questo regno. C'è in noi questa attesa. Certo, siamo disgraziati! Lo attendiamo in questi anni perfino all'ombra dei missili! Forse non ci arriveremo mai, forse fra qualche anno sulla terra ci sarà un palmo di cenere in più e tutto sarà finito. Però esso è possibile. E allora la mia fede è aperta a questa possibilità. Io credo in questo e dico, vedendo consumarsi la vita di Gesù, dell'uomo giusto crocifisso fra due delinquenti: «costui è veramente il figlio di Dio». Più che se dicessi ai venti: «fermatevi!» e dicessi ai tumulti delle acque: «placatevi!», questo è il miracolo dei miracoli, è l'eterno miracolo morale. Il fatto che un'esistenza possa essere plasmata solo dall'amore è un miracolo. Del resto, se vi succede di trovare qualche persona in cui questo avviene anche appena in modo incipiente, voi dite: «ma questo è un miracolo!». Il miracolo che aspettiamo tutti è il mondo spoglio di violenza, è il mondo animato dall'amore. Lo chiamiamo col nome biblico? Chiamiamolo regno di Dio. La passione ha due epicentri. Uno è il Golgota dove si consuma tutto, dove anche la religione si chiude «si spaccò il velo del tempio» -, dove è finita per sempre la mediazione religiosa, perché il rapporto con Dio è ormai quello dell'amore che si dona. Anche il buon ladrone - lo chiamiamo così - entrò nel regno in un attimo solo perché si inserì nella logica di Gesù. L'altro è il momento in cui Gesù. anticipando quell'evento, prese del pane e del vino, raccolse i suoi e disse: «questo è il mio corpo e questo è il mio sangue». È il legame del rito, del gesto simbolico che inserisce nel tempo che va, nei secoli che corrono, quell'evento del Golgota. E un racconto sacramentale tra la nostra esperienza dispersa nel tempo e nello spazio e quel centra da cui tutto è stato annunciato in quanto è stata annunciata la verità che stiamo cercando, che il senso della vita è l'amore. Non dite che è la conoscenza di Dio. Certo sapere chi è Dio è tutto, ma purché si passi per questa porta stretta! Il Dio di Gesù non è il Dio dei filosofi, dei teologi... ma è questo Dio che il centurione vide mentre un uomo insanguinato, agitato, perfino con l'ombra della disperazione - «Dio mio perché mi hai abbandonato?» - spirò. Oggi mi sento fratello di questo centurione, l'unico che ha visto bene. Con tanti sacerdoti e uomini politici e discepoli di Gesù e future pietre della chiesa l'unico che ha visto giusto è stato questo pagano, uno che era dalla parte dei crocifissori. ha visto bene, ha intuito che il figlio di Dio è l'Amore e che l'alternativa del regno che Egli annuncia è vivere e morire per amore degli altri.
Ernesto Balducci – "Il Vangelo della pace" anno B – vol. 2
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