Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 31 ottobre 2009

141 - UNA CULTURA DI SANTITA’

Oggi più che mai il mondo ha bisogno di una “cultura di santità”.

Il Concilio Vaticano II, sottolineando la vocazione universale alla santità, ha detto parole in qualche modo nuove. Ha detto che “tutti i fedeli, di qualsiasi stato e grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità”. E’ questa generazione di santità che il Concilio si augura: una santità che si possa, per così dire, trovare per le strade, che si possa incontrare sull’autobus, nella metropolitana, nella fabbrica, nell’ufficio, nella famiglia, una santità che esce dalle chiese per entrare nella realtà della vita di ogni giorno. Sarà necessariamente una santità non clamorosa, non conclamata, ma una santità luminosa e trasparente, capace di lasciare intuire il volto di Cristo in cui traspare la gloria di Dio. Attraverso la presenza discreta, umile, ma decisa e coraggiosa di questa generazione di santità, si rinnoverà il prodigio del sale della terra, capace di conservare la vita e la speranza di vita per un mondo che si sente inevitabilmente avviato verso una cultura di morte.

Dice ancora il Concilio: “da questa santità così universale e diffusa, è promosso anche nella società terrena un tenore di vita più umano”.

Se pensiamo alla vita dei Santi che più conosciamo, noi li vediamo appunto come il Vangelo li descrive: poveri in spirito, miti, assetati di giustizia, misericordiosi, puri di cuore, perseguitati a causa del Vangelo, e proprio per questo, tutti quanti operatori di pace.

(Cardinale Carlo Maria Martini, Omelia per la solennità dei Santi 1981).

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venerdì 30 ottobre 2009

140 - II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE DELLA CATTEDRALE

Ad ogni messa il prete annuncia: "Beati gli invitati alla cena del Signore", e subito la Chiesa ci fa rispondere: "Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa". Chi se ne sente degno? La comunione non è il premio a chi è santo, ma la medicina per noi che siamo deboli. E' l'atteggiamento di fondo suggerito oggi dalla Parola: il dono di Dio precede il merito, e quindi ogni uomo è chiamato al suo banchetto, alla salvezza.

L'invito è per tutti - anche per quelli che sembrano più lontani -, purché naturalmente si risponda di sì e non si snobbi l'invito di Dio.


L'accento oggi è posto - in polemica coi farisei - sul fatto che vengono chiamati di preferenza quelli che sembrano i meno preparati, i lontani, "poveri, storpi, ciechi, zoppi", quelli raccolti "per le strade e lungo le siepi", quasi "costretti ad entrare perché la mia casa si riempia". Quante volte Gesù stesso sottolineò provocatoriamente questa preferenza, chiamando la Maddalena, la Samaritana, Zaccheo, .., "perché io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori" (Mt 9,13). "Gli stranieri li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera, perché la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli" (Lett.). Diceva Mazzolari: "Davvero la grazia, per strade che solo l'amore conosce, arriva dove neanche arriva il nostro sogno", cioè ben oltre ogni nostro perbenismo presuntuoso che si crede "del giro" e quindi titolare di meriti e riconoscimenti.


Il nostro sia l'atteggiamento umile di chi si sa assolutamente indegno del dono di Dio e ne glorifica la gratuità e la misericordia. E' la nostra fortuna e la nostra serenità sapere - come diceva sant'Ambrogio - che se Cristo ha accettato il buon Ladrone, non abbandonerà anche noi. "Io non sono degno.., ma dì soltanto una parola e io sarò salvato". Una umiltà che si trasforma in stupore e ringraziamento per essere stati anche noi "edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d'angolo lo stesso Cristo Gesù" (Epist.). Venire a messa la domenica - ritornare nella famiglia di Dio che è la Chiesa - deve essere un bisogno, una gioia e un.. orgoglio per la fortuna che ci è capitata di fare della nostra esistenza "una costruzione ben ordinata per essere tempio santo del Signore", cioè autentici membri della casa di Dio.

All'invito generoso di Dio bisogna che ognuno dica liberamente il proprio sì. Anzitutto trovando concretamente spazio da riservargli. "Ho comprato un campo.., ho comprato cinque paia di buoi.., mi sono appena sposato e perciò non posso venire". Si potrebbe aggiungere: devo andare a sciare, oggi sto tutto il giorno al supermercato, ho le gare di sport..: a messa non posso venire! Per non parlare di altre scuse e pigrizie. Dio viene lasciato per ultimo, d'estate poi non c'è mai la chiesa vicina, e.. "come si fa a lasciare il villaggio"! Ma se manca anche quella poca ora la settimana per incontrarsi con Dio, .. è facile che presto Dio tramonti dal nostro orizzonte, e le cose che ci interessano saranno consumismo e il culto moderno della partita o dello sport!

"Nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena". La gravità del rifiuto sembra essere non l'ostilità, ma l'indifferenza, la poca serietà data al problema della propria salvezza o, più profondamente, quella religiosità superficiale che ha accompagnato magari già dall'infanzia una vita cristiana mal conosciuta (mai personalmente assimilata) e vissuta come pratica esteriore e tradizione. In sostanza, frutto di un cristianesimo "sociologico". Necessariamente a questo abbandono di Dio subentra l'adorazione degli idoli, perché chi non crede a Dio non è che non creda a niente, ma crede a tutto..: diventa schiavo delle mode, delle pressioni mediatiche, della secolarizzazione che rende l'uomo illuso della propria sufficienza e ridotto alla più banale alienazione. Ma san Pietro avverte molto fortemente quelli che, conosciuta la fede, poi vi rinunciano: "Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso" (2Pt 2,21).

In fondo il rifiuto e l'indifferenza nascono dal fatto di pensare che a Dio andiamo noi, quando e come ci scappa, con un soggettivismo che non tiene conto che è Dio per primo a venire verso di noi e a offrirci il banchetto della sua stessa mensa di Casa Trinità, della quale la messa è anticipo e caparra. Lui ha fissato gli strumenti per arrivare a toccarci; ha fissato cioè il modo oggettivo di santificarci e rendergli culto: sono la Parola di Dio, i Sacramenti e il vivere nella Chiesa. Questo è l'unico modo di essere cristiani. L'altro, quello soggettivistico, è illusione pagana. Si tratta allora di conoscere meglio i fatti che riguardano la nostra salvezza. Quindi obbedire a quel che Dio ha fissato. E magari l'umile preghiera: "Credo, Signore, aiuta la mia incredulità" (Mc 9,24).


"Costringili ad entrare". E' l'amore di Dio che vuole a tutti i costi i nostri cuori per lui. Dio allunga la mano: sta a noi lasciarci attrarre. Come è in questa preghiera medievale: "Poiché senza di te nessuno arriva a te, dammi la mano; se non tendo la mia verso la tua, afferrami i capelli, tirami verso te quasi per forza. Voglio venire incontro a te, e non so perché non faccio quello che vorrei" (Ausiàs March).

Don Romeo Maggioni

139 - MARIA DONNA ACCOGLIENTE - 2 -

Pinturicchio, Madonna che insegna a leggere al Bambino (1456)

Lo sappiamo: è la paura del nuovo a renderci spesso inospitali nei confronti del Signore che viene. I cambiamenti ci danno fastidio. E siccome lui scombina sempre i nostri pensieri, mette in discussione i nostri programmi e manda in crisi le nostre certezze, ci nascondiamo come Adamo nell'Eden, ogni volta che sentiamo i suoi passi. Facci comprendere che Dio, se ci guasta i progetti, non ci rovina la festa; se disturba i nostri sonni, non ci toglie la pace. E una volta che l'avremo accolto nel cuore, anche il nostro corpo brillerà della sua luce.


Santa Maria, donna accogliente, rendici capaci di gesti ospitali verso i fratelli. Sperimentiamo tempi difficili, in cui il pericolo di essere defraudati dalla cattiveria della gente ci fa vivere dietro porte blindate e sistemi di sicurezza. Non ci fidiamo più l'uno dell'altro. Vediamo agguati dappertutto. Il sospetto è diventato organico nei rapporti con il prossimo. Il terrore di essere ingannati ha preso il sopravvento sugli istinti di solidarietà che pure ci portiamo dentro. E il cuore se ne va a pezzi, dietro i cancelli dei nostri recinti.


Disperdi, ti preghiamo, le nostre diffidenze. Facci uscire dalla trincea degli egoismi corporativi. Sfascia le cinture delle leghe. Allenta le nostre ermetiche chiusure nei confronti di chi è diverso da noi. Abbatti le nostre frontiere. Quelle culturali, prima di quelle geografiche. Queste ultime cedono ormai sotto l'urto dei popoli "altri", ma le prime restano tenacemente impermeabili. Visto allora che siamo costretti ad accogliere stranieri nel corpo della nostra terra, aiutaci ad accoglierli anche nel cuore della nostra civiltà.


Santa Maria, donna accogliente, ostensorio del corpo di Gesù deposto dalla croce, accoglici sulle tue ginocchio, quando avremo reso lo spirito anche noi. Dona alla nostra morte la quiete fiduciosa di chi poggia il capo sulla spalla della madre e si addormenta sereno. Tienici per un poco sul tuo grembo, così come ci hai tenuti nel cuore per tutta la vita. Compi su di noi i rituali delle ultime purificazioni. E portaci, finalmente, sulle tue braccia davanti all'Eterno.


( Tonino Bello, Maria, donna accogliente, "Nigrizia", giugno 1991, p. 58)

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mercoledì 28 ottobre 2009

138 - MARIA DONNA ACCOGLIENTE - 1 -

La frase si trova in un testo del Concilio Vaticano II, ed è splendida per dottrina e concisione. Dice che, all'annuncio dell'Angelo, Maria «accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio».

Nel cuore e nel corpo. Fu, cioè, discepola e madre del Verbo. Discepola, perché si mise in ascolto della Parola e la conservò per sempre nel cuore. Madre, perché offrì il suo grembo alla Parola e la custodì per nove mesi nello scrigno del corpo.

Forse per capire fino in fondo la bellezza di questa verità, il vocabolario non basta. Bisogna ricorrere alle espressioni visive. E allora non c'è di meglio che rifarsi ad una celebre icona orientale, che raffigura Maria con il divin Figlio Gesù inscritto sul petto. È indicata come "la Madonna del segno", ma potrebbe essere chiamata "la Madonna dell'accoglienza", perché, con gli avambracci levati in alto, in atteggiamento di offertorio o di resa, essa appare il simbolo della più gratuita ospitalità.

Accolse nel cuore. Fece largo, cioè, nei suoi pensieri ai pensieri di Dio. ma non si sentì, per questo, ridotta al silenzio. Offrì volentieri il terreno vergine della sua intimità alla germinazione del Verbo, ma non si considerò espropriata di nulla. Gli cedette con gioia il suolo più inviolabile della sua vita, ma senza dover ridurre gli spazi della sua libertà. Diede alloggio al Signore nella sua casa, ma non ne sentì, la presenza come violazione di domicilio. Gli aprì le porte delle stanze più segrete, ma senza subirne lo sfratto.

Accolse nel corpo. Sentì, cioè, il peso fisico di un altro essere che prendeva dimora nel suo grembo di madre. Adattò, quindi, i suoi ritmi a quelli dell'ospite. Modificò le sue abitudini in funzione di un compito che non le alleggeriva certo la vita. Consacrò i suoi giorni alla gestazione di una creatura che non le avrebbe risparmiato preoccupazioni e fastidi. E poiché il frutto benedetto del seno suo era il Verbo di Dio che s'incarnava per la salvezza dell'umanità, capì di aver contratto con tutti i figli di Eva un debito di accoglienza che avrebbe pagato con cambiali di lacrime.

Quell'ospitalità fondamentale la dice lunga sullo stile di Maria e delle sue mille altre accoglienze di cui il vangelo non parla, ma che non ci è difficile intuire. Nessuno fu mai respinto da lei. Tutti trovarono riparo sotto la sua ombra. Dalle vicine di casa, alle antiche compagne di Nazaret. Dai parenti di Giuseppe, agli amici di gioventù di suo figlio. Dai poveri della contrada, ai pellegrini di passaggio. Da Pietro, in lacrime dopo il tradimento, a Giuda che, forse, quella notte non riuscì a trovarla in casa.

Santa Maria, donna accogliente, aiutaci ad accogliere la Parola nell'intimo del cuore. A capire, cioè, come hai saputo fare tu, le irruzioni di Dio nella nostra vita. Egli non bussa alla porta per intimarci lo sfratto, ma per riempire di luce la nostra solitudine. Non entra in casa per metterci le manette, ma per restituirci il gusto della vera libertà.

( Tonino Bello, Maria, donna accogliente, "Nigrizia", giugno 1991)

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137 - L’ENCICLICA “CARITAS IN VERITATE” IN PILLOLE - 1 -

Carità senza verità: Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. (n.3)

Carità senza Dio: Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. (n.4)

La Chiesa non fa politica: La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende « minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati ». Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. (n.9)

Il progresso, una vocazione: Nella Populorum Progressio, Paolo VI ha voluto dirci, prima di tutto, che il progresso è, nella sua scaturigine e nella sua essenza, una vocazione: « Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione ». È proprio questo fatto a legittimare l'intervento della Chiesa nelle problematiche dello sviluppo. Se esso riguardasse solo aspetti tecnici della vita dell'uomo, e non il senso del suo camminare nella storia assieme agli altri suoi fratelli né l'individuazione della meta di tale cammino, la Chiesa non avrebbe titolo per parlarne. (n.16)

La lezione della crisi: La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente. (n.21)

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domenica 25 ottobre 2009

136 - MARIA NELL'ARTE

La Madonna del cardellino è un dipinto ad olio su tavola di cm 107 x 77 realizzato nel 1506 circa dal pittore italiano Raffaello durante il suo soggiorno a Firenze. È conservato alla Galleria degli Uffizi a Firenze.

Il dipinto fu realizzato per Lorenzo Nasi, ricco commerciante di panni di lana, in occasione del suo matrimonio con Sandra Canigiari, donna appartenente all'alta borghesia di Firenze.

Nel 1547 l'opera fu ridotta in 17 pezzi a causa del crollo di un soffitto. I frammenti furono recuperati e rimessi insieme. Del danno subito, scrive nel 1568 Giorgio Vasari: «Ritrovati i pezzi fra i calcinacci della rovina furono da Battista, figlio di Lorenzo, amorevolissimo dell'arte, fatti rimettere insieme in quel miglior modo che si potesse». L'analisi ai raggi X permette di vedere le fratture tra i pezzi, colmate da nuova pittura. L'angolo in basso a sinistra e completamente rifatto, così come un rettangolo corrispondente alla gamba di Gesù.

Il quadro raffigura la Madonna seduta su di una roccia, con un libro in mano (da cui l'epiteto Sedes Sapientiae) che interrompe la sua lettura per rivolgere teneramente il suo sguardo verso i bambini che giocano davanti a lei: Gesù bambino (a destra) e San Giovannino che tiene in mano un cardellino, simbolo della Passione.

In questo dipinto la lezione di Leonardo emerge, oltre che dall'impostazione piramidale, in particolare dal bruno del terreno e dalla resa atmosferica del paesaggio di fondo, che si perde nei vapori della lontananza. I volti del Battista e di Cristo recano un’impronta inconfondibilmente leonardesca nello sfumato che li avvolge e nei tratti somatici.

135 - QUINTA SETTIMANA DELL'OTTOBRE MISSIONARIO

La Quinta settimana conclude l’Ottobre Missionario proponendo il tema del Ringraziamento, doveroso al termine di qualsiasi percorso di vita.

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Mons. Giorgio Bertin, Amministratore apostolico di Mogadiscio, ci presenta brevemente la figura di Annalena Tonelli che spese tutta la sua vita accanto agli ultimi, in Somala, in risposta al comandamento di quel Dio che, in un’ostia consacrata, recò sempre con sé, come Manna celeste, nel deserto della povertà e della disperazione.

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“Io ho vissuto con i santi” (…) Annalena Tonelli, l’avvocato che ha fatto il medico, era un gigante. Lo si percepiva dallo sguardo e dalla determinazione. Aveva trovato nell’amore a Dio e agli ultimi la ragione della sua vita di sacrificio. E’ vissuta nascosta al grande mondo. Quasi niente si sapeva della sua attività a favore dei malati di tubercolosi, degli handicappati e degli orfani, dei malati mentali e delle donne mutilate. Meno ancora si sapeva della fede solida che ne ha ispirato la vita, dell’Eucaristia che portava nel taschino. Annalena voleva “gridare il Vangelo con la vita”, sulla scia di Charles de Foucauld. Proprio perché regalata a Dio e ai più poveri tra i poveri, amava ripetere che la sua era “la miglior vita possibile”».

Annalena è stata uccisa a Borama, la sera del 5 ottobre 2003, dopo 35 anni di gratuità. E’ stata uccisa a due passi dal piccolo ospedale che aveva creato nel Nord del paese per la cura della tubercolosi.

Su Annalena Mons. Bertin si lascia andare a qualche confidenza in più e dice: “Ricordo che già nel 1971 ottenne da un Vescovo del Kenya il privilegio di tenere con sé l’Eucaristia. Più tardi, il mio predecessore a Mogadiscio, Mons. Colombo, le concesse lo stesso privilegio. Un Padre andava di tanto in tanto da lei per celebrare la Messa. Lo stesso feci pure io quando diventai Amministratore apostolico. L’ultima Messa che celebrai con lei fu nell’agosto 2003 a Borama. Al termine della Messa – eravamo solo io e lei – cambiai l’ostia consacrata precedente, e le lasciai in un purificatoio una parte dell’ostia grande con la quale avevamo celebrato la Messa”. E aggiunge: “Quell’ostia fu ritrovata qualche settimana dopo l’uccisione di Annalena, da Padre Sandro, mio Vicario generale a Gibuti. Dopo attenta ricerca, la trovò dentro un armadio, in un sacchetto di pelle morbida, insieme ad una croce francescana. All’interno di un purificatoio c’era metà dell’ostia consacrata, proprio quella che le avevo lasciato”. L’Eucaristia le dava grande serenità e le faceva dire: “Di là c’è Lui. E da quando sono qui al tavolino la sua voce non mi ha mai lasciato. Ormai la conosco a memoria perché la porto scritta nel cuore. Niente è più importante della preghiera. Conosco la sua voce meglio della mia, meglio dei miei pensieri. Mi riempie di una certezza di Paradiso e di un’ansia insopprimibile di rimanervi, ma anche quella ben chiara inquietudine della sofferenza del mondo e del comandamento unico di calarcisi dentro e di amarlo con una forza disperata”.

(Lorenzo Piva, Somalia: il sangue dei martiri feconda la terra, Intervista a Mons. Bertin, Amministratore apostolico di Mogadiscio, in Popoli e Missione, marzo 2007, pp. 8-9)

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venerdì 23 ottobre 2009

134 - I DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE DELLA CATTEDRALE

Il brano è preso dalla conclusione del Vangelo secondo Marco (vv 9-20) che presenta, come in sintesi, le apparizioni di Gesù risorto. Qui viene riportata la terza delle sue apparizioni, il cui racconto costituisce il momento centrale dello stesso brano così suddiviso: apparizione agli Undici (manca naturalmente Giuda), ai quali Gesù rimprovera l’incredulità da essi opposta a coloro che testimoniavano di averlo visto risorto (v 14); ad essi il Signore affida il mandato missionario universale accreditato da "segni" prodigiosi (vv 15-18). L’ultima parte riguarda l’ascensione di Gesù al Cielo da dove continua ad operare a fianco dei suoi missionari (vv 19-20).

Il testo evangelico nonché la Lettura e l’Epistola, proclamati nel momento liturgico che fa seguito alla solennità della Dedicazione del Duomo, illuminano in questa prima domenica la peculiare natura della missione affidata una volta per tutte dal Signore risorto alla sua Chiesa rappresentata dagli Undici (vv 15 ss). Non può certo sfuggire la precisazione relativa al luogo e alla circostanza legati all’apparizione del Signore e al conseguente mandato per la missione: essi sono a tavola (v 14)! Tale particolare ci autorizza a dire che il raduno della Chiesa attorno alla mensa eucaristica, è l’ambiente nel quale il Signore continua ad "apparire" ai suoi nei santi segni del suo Corpo e del suo Sangue e sempre e nuovamente li conferma e li invia per la specifica "missione" che, proprio dalla mensa eucaristica, si spalanca a «tutto il mondo».

La "missione" consiste essenzialmente nell’annuncio del Vangelo, si badi, "ad ogni creatura" (v 15). L’universo e quanto contiene è, dunque, il destinatario della predicazione della "bella notizia": il cosmo, l’intero creato, liberato dal giogo oppressivo del male nella vittoria pasquale del Signore, sta, oramai, sotto il suo "potere" che è un potere che libera e salva.

La Lettura presa dagli Atti degli Apostoli fornisce una evidente e chiara esemplificazione di come la Chiesa deve effettivamente assolvere, per intero, al compito ricevuto. Essa dovrà rimanere anzitutto fedele alla sua nativa vocazione che la mantiene aperta a tutti i popoli, a tutte le culture, a tutte le condizioni di vita rappresentate nell’Etiope, servo della regina Candace (8,27). L’umanità ha bisogno che la Chiesa le si affianchi nel suo non facile cammino e l’aiuti ad aprire l’intelligenza del cuore sul cuore stesso del volere salvifico di Dio stabilito nel suo Figlio che, «come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa» (Atti 8,32) perché, dal suo sacrificio, venisse tratta a libertà l’umanità intera come sua «discendenza» (cfr v 33).

In questa sorgente inesauribile dell’amore di Dio per noi, che è il suo Figlio immolato sulla croce, occorre poi immergersi per venire sottratti al potere tenebroso del male ed essere consegnati al potere luminoso del Signore. In questa impresa missionaria la Chiesa è certa di essere perennemente accompagnata dal Risorto il quale la assiste, la protegge e la libera da ogni insidia e da ogni pericolo e le assicura i suoi stessi poteri di "guarigione" e di liberazione (Marco 16,17-18) in primo luogo degli spiriti ottenebrati dall’incredulità e dei cuori devastati dal peccato.

Letture: At. 8,26-39; Sal 65; 1Tm 2,1-5; Mc. 14b-20

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133 - PREGHIERA A MARIA

La Madonna del duca d’Alba, dipinto di Raffaello, realizzato nel 1511. Nel quadro sono raffigurati la Madonna, Gesù Bambino, e Giovanni Battista. Giovanni Battista regge la base della croce che Gesù bambino afferra nella parte superiore. Tutti gli occhi osservano la croce.

PREGHIERA

O Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di fanciullo,

puro e limpido come acqua di sorgente.

Ottienimi un cuore semplice, che non assapori la tristezza;

un cuore magnanimo nel donarsi e tenero nella compassione;

un cuore fedele e generoso che non dimentichi nessun beneficio

e non serbi rancore per il male.

Forma in me un cuore dolce e umile,

che ami senza esigere di essere riamato,

contento di scomparire in altri cuori, sacrificandosi davanti al tuo divin Figlio;

un cuore grande ed indomabile che nessuna ingratitudine

possa chiudere e nessuna indifferenza possa stancare;

un cuore tormentato dalla gloria di Gesù Cristo,

ferito dal suo amore con una piaga che non rimargini se non in Cielo.

Amen.

P. de Grandmaison

giovedì 22 ottobre 2009

132 - IL MONDO DEI SENZA VOCE

Ci sono migliaia e migliaia di persone,

Signore, nei Paesi poveri

e nelle zone povere dei Paesi ricchi,

senza diritto di alzare le loro voci,

senza possibilità di reclamare, di protestare,

malgrado giusti siano i diritti che devono difendere.

I senza casa, senza cibo, gli ignudi, gli ammalati,

i derelitti, disoccupati, coloro che non hanno futuro,

i disperati, rischiano di cedere al fatalismo,

allo scoraggiamento, perdono la voce,

diventano dei “senza voce”.

Che sempre più, Padre, siamo uno col tuo Figlio!

Che il Cristo veda i nostri occhi,

ascolti con le nostre orecchie,

parli con le nostre labbra.

E manda, Signore, il tuo Spirito

perché lui solo può rinnovare la faccia della Terra.

Lui solo potrà cancellare gli egoismi, condizione indispensabile

perché siano superate le strutture ingiuste

che tengono milioni di esseri in schiavitù.

Lui solo potrà aiutarci a costruire un mondo più umano e cristiano.

Mons.Helder Câmara (testo adattato)

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131 - QUALE RAPPORTO ESISTE FRA LA TRADIZIONE E LA SACRA SCRITTURA?

La Tradizione e la Sacra Scrittura sono tra loro strettamente congiunte e comunicanti. Ambedue rendono presente e fecondo nella Chiesa il mistero di Cristo e scaturiscono dalla stessa sorgente divina: costituiscono un solo sacro deposito della fede, da cui la Chiesa attinge la propria certezza su tutte le verità rivelate.

(dal Compendio del catechismo della Chiesa Cattolica, nr.14).

What is the relationship between Tradition and Sacred Scripture?

Tradition and Sacred Scripture are bound closely together and communicate one with the other. Each of them makes present and fruitful in the Church the mystery of Christ. They flow out of the same divine well-spring and together make up one sacred deposit of faith from which the Church derives her certainty about revelation.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, nr. 14)

¿Qué relación existe entre Tradición y Sagrada Escritura?

La Tradición y la Sagrada Escritura están íntimamente unidas y compenetradas entre sí. En efecto, ambas hacen presente y fecundo en la Iglesia el Misterio de Cristo, y surgen de la misma fuente divina: constituyen un solo sagrado depósito de la fe, del cual la Iglesia saca su propia certeza sobre todas las cosas reveladas.

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.14)

mercoledì 21 ottobre 2009

130 - INCONTRO GIOVANILE


martedì 20 ottobre 2009

129 - ESSERE DI MARIA

Con il Rosario diciamo alla Madonna: “Voglio essere tutto tuo, Maria”, perché appartenere a Lei significa essere partecipi della sua missione universale di portare tutti a Gesù, fare incontrare il Signore a coloro che vivono lontani dalla sua grazia.

Essere di Maria è la risposta al suo amore, perché Lei ci ama personalmente e desidera la nostra santità. Essere tutto di Maria significa rispondere alla volontà di Dio, che ha scelto Maria come la via più breve, più sicura e più rapida per raggiungere Lui. Una via che ci dona forza, coraggio e serenità nelle prove e nelle sofferenze, che ci unisce indubbiamente a Gesù.

Essere tutto di Maria comporta la totale fiducia in Lei, e l’offerta di ogni cosa a Lei. E’ una fiducia totale, senza alcuna incertezza, perché Maria è piena di Dio, tutta di Dio. Lei è vera nostra Madre e non si allontana mai da ognuno di noi, perché vuole condurci alla santità. Avendo totale fiducia in Maria, le offriamo tutta la nostra persona, senza trattenere nulla, senza indecisioni, perché solo in Lei aumenterà in noi l’amore a Gesù e vivremo con coerenza gli insegnamenti di Gesù.

Che cosa dobbiamo offrire ogni giorno alla Madonna?

La nostra vita con i suoi obiettivi,

la nostra mente con i suoi pensieri, intuiti, preoccupazioni e ideali,

il nostro corpo con tutte le sue attitudini e afflizioni,

il nostro cuore, con tutti i suoi affetti, i sentimenti, l’amare e il donarsi.

Il lavoro mentale e fisico, tutte le azioni, le parole e le opere.

(Santo Rosario meditato, di p. Giulio Maria Scozzaro)

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128 - SCOPRIRE L'AMORE DI MARIA

La Madonna Sistina, di Raffaello, quadro realizzato tra il 1512 e il 1514.
E’ conservato alla Staatliche Gemaldegalerie di Dresda.
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Il momento più importante nella spiritualità mariana è quando si scopre l’amore della Madonna. Bisogna scoprire la Madonna nella propria vita. Non si amerà mai sul serio la Madonna se non ci si accorge della sua presenza, della sua opera e non si comprende il motivo di questa presenza, che cosa Lei vuole compiere in un’anima.

Quando si scopre la Madonna nella propria vita cambia tutto, perché la sua presenza invisibile diventa certezza di aiuto, sostegno, istruzione, colloquio amoroso, fiducia illimitata, preghiera piena di speranza e confidente. Cambia il modo di pregare, perché aumenta di molto la fiducia verso la Madonna, e la fiducia dà le ali alla preghiera, che diventa umile, semplice, sicura, costante, filiale.

La preghiera diventa colloquio con la Madonna, si parla con Lei con maggior rispetto, ma cresce la fiducia e l’abbandono in Lei, la confidenza si sviluppa ampiamente, ci si sente osservati, ascoltati e guidati da Lei, cosa che avviene realmente.

Scoprire e accettare la Madonna nella propria vita significa rispondere fedelmente al disegno che Gesù ha su di te, realizzare la tua vita di cristiano, riscuotere la fiducia di Dio, vivere come un vero apostolo di Maria.

E Maria compirà grandi opere in te, sarà Lei stessa a costruire un grande ed assestato edificio spirituale, xomposto e fortificato dalle virtù teologali (Fede, Speranza e Carità), dalle virtù cardinali (Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza), e dai doni dello Spirito Santo (Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà e Timor di Dio).

Quando saranno in te radicate queste virtù, sarai una persona nuova, rinata nel vangelo di Gesù, nel Cuore di Maria.

(Santo Rosario meditato, di p. Giulio Maria Scozzaro)

domenica 18 ottobre 2009

127 - QUARTA SETTIMANA DELL'OTTOBRE MISSIONARIO (18 - 24 OTTOBRE)

“Vangelo senza confini”: è il titolo di questa 83° Giornata Missionaria Mondiale che introduce la Quarta settimana dell’Ottobre Missionario dedicata al tema della Carità.

Il messaggio sottolinea che la missione della Chiesa è quella di contagiare di speranza tutti i popoli e riafferma la necessità di rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo, fermento di libertà, fraternità, unità e pace sopratutto in considerazione dei profondi cambiamenti della società attuale.

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"Le nazioni cammineranno alla sua luce" (Ap 21,24). Scopo della missione della Chiesa infatti è di illuminare con la luce del Vangelo tutti i popoli nel loro cammino storico verso Dio, perché in Lui abbiano la loro piena realizzazione ed il loro compimento. Dobbiamo sentire l'ansia e la passione di illuminare tutti i popoli, con la luce di Cristo, che risplende sul volto della Chiesa, perché tutti si raccolgano nell'unica famiglia umana, sotto la paternità amorevole di Dio.

È in questa prospettiva che i discepoli di Cristo sparsi in tutto il mondo operano, si affaticano, gemono sotto il peso delle sofferenze e donano la vita. Riaffermo con forza quanto più volte è stato detto dai miei venerati Predecessori: la Chiesa non agisce per estendere il suo potere o affermare il suo dominio, ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo. Noi non chiediamo altro che di metterci al servizio dell'umanità, specialmente di quella più sofferente ed emarginata, perché crediamo che "l'impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo è senza alcun dubbio un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l'umanità" (Evangelii nuntiandi, 1), che "conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza" (Redemptoris missio, 2).

Missio ad gentes

La missione della Chiesa, perciò, è quella di chiamare tutti i popoli alla salvezza operata da Dio tramite il Figlio suo incarnato. È necessario pertanto rinnovare l'impegno di annunciare il Vangelo, che è fermento di libertà e di progresso, di fraternità, di unità e di pace (cfr Ad gentes, 8). Voglio "nuovamente confermare che il mandato d'evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa" (Evangelii nuntiandi, 14),. compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della società attuale rendono ancor più urgenti. È in questione la salvezza eterna delle persone, il fine e compimento stesso della storia umana e dell'universo. Animati e ispirati dall'Apostolo delle genti, dobbiamo essere coscienti che Dio ha un popolo numeroso in tutte le città percorse anche dagli apostoli di oggi (cfr At 18, lO). Infatti "la promessa è per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro" (At 2,39). La Chiesa intera deve impegnarsi nella missio ad gentes, fino a che la sovranità salvifica di Cristo non sia pienamente realizzata: "Al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a Lui sottomessa" (Eb 2,8).

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Chiamati ad evangelizzare anche mediante il martirio

In questa Giornata dedicata alle missioni, ricordo nella preghiera coloro che della loro vita hanno fatto un 'esclusiva consacrazione al lavoro di evangelizzazione. Una menzione particolare è per quelle Chiese locali, e per quei missionari e missionarie che si trovano a testimoniare e diffondere il Regno di Dio in situazioni di persecuzione, con forme di oppressione che vanno dalla discriminazione sociale fino al carcere, alla tortura e alla morte. Non sono pochi quelli che attualmente sono messi a morte a causa del suo "Nome". È ancora di tremenda attualità quanto scriveva il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II: "La memoria giubilare ci ha aperto uno scenario sorprendente, mostrandoci il nostro tempo particolarmente ricco di testimoni che, in un modo o nell'altro, hanno saputo vivere il Vangelo in situazioni di ostilità e persecuzione, spesso fino a dare la prova suprema del sangue" (Novo millennio ineunte, 41). La partecipazione alla missione di Cristo, infatti, contrassegna anche il vivere degli annunciatori del Vangelo, cui è riservato lo stesso destino del loro Maestro. "Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Gv 15,20). La Chiesa si pone sulla stessa via e subisce la stessa sorte di Cristo, perché non agisce in base ad una logica umana o contando sulle ragioni della forza, ma seguendo la via della Croce e facendosi, in obbedienza filiale al Padre, testimone e compagna di viaggio di questa umanità. Alle Chiese antiche come a quelle di recente fondazione ricordo che sono poste dal Signore come sale della terra e luce del mondo, chiamate a diffondere Cristo, Luce delle genti, fino agli estremi confini della terra. La missio ad gentes deve costituire la priorità dei loro piani pastorali. Alle Pontificie Opere Missionarie va il mio ringraziamento e incoraggiamento per l'indispensabile lavoro che assicurano di animazione, formazione missionaria e aiuto economico alle giovani Chiese. Attraverso queste Istituzioni pontificie si realizza in maniera mirabile la comunione tra le Chiese, con lo scambio di doni, nella sollecitudine vicendevole e nella comune progettualità missionaria.

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Conclusione

La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità delle nostre Chiese (cfr Redemptoris Missio, 2). È necessario, tuttavia, riaffermare che l'evangelizzazione è opera dello Spirito e che prima ancora di essere azione è testimonianza e irradiazione della luce di Cristo (cfr Redemptoris missio, 26) da parte della Chiesa locale, la quale invia i suoi missionari e missionarie per spingersi oltre le sue frontiere. Chiedo perciò a tutti i cattolici di pregare lo Spirito Santo perché accresca nella Chiesa la passione per la missione di diffondere il Regno di Dio e di sostenere i missionari, le missionarie e le comunità cristiane impegnate in prima linea in questa missione, talvolta in ambienti ostili di persecuzione. Invito, allo stesso tempo, tutti a dare un segno credibile di comunione tra le Chiese, con un aiuto economico, specialmente nella fase di crisi che sta attraversando l'umanità, per mettere le giovani Chiese locali in condizione di illuminare le genti con il Vangelo della carità. Ci guidi nella nostra azione missionaria la Vergine Maria, stella della Nuova Evangelizzazione, che ha dato al mondo il Cristo, posto come luce delle genti, perché porti la salvezza "sino all'estremità della terra" (At 13,47).

A tutti la mia Benedizione

Benedetto XVI

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venerdì 16 ottobre 2009

126 - DEDICAZIONE DELLA CHIESA CATTEDRALE – 18 OTTOBRE 2009

L’annuale celebrazione della Dedicazione del Duomo di Milano, "chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani" ripresenta, nel segno esteriore del Duomo, il "mistero" della Chiesa, vale a dire della comunità dei credenti che in esso si raduna e che, in tutta verità, è designata "tempio di Dio" dove abita lo Spirito Santo (cfr Epistola: 1Corinzi 3,17). La presente celebrazione, inoltre, stimola la Chiesa a ricercare e a riconoscere nel mistero pasquale dell’amore del Signore crocifisso, risorto, datore dello Spirito, la sua stessa origine e il segreto della "sua arcana grandezza" (Prefazio).

L’immagine della città "forte", splendida, e al sicuro sotto la protezione di Dio proviene, come subito vedremo, dalla Scrittura. Nella Lettura profetica è riferita a Gerusalemme considerata, però, in una prospettiva che la supera, essendo destinata ad aprire le sue porte e a far entrare "una nazione giusta che si mantiene fedele" al Signore Dio (cfr Isaia 26,1-2). È ciò che la Lettura proposta come alternativa e presa dal libro dell’Apocalisse, vede avverarsi nella "città santa" "che scende la Cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio", ovvero nella "sposa dell’Agnello", la Chiesa (Apocalisse 21,9-10).

Il brano evangelico poi, preso dal capitolo 10 di Giovanni che riporta l’ultima controversia pubblica di Gesù con i Giudei ambientata, non a caso, nel Tempio di Gerusalemme, illumina ulteriormente il mistero della Chiesa che, stando alla parola apostolica, realizza tutto ciò che rappresenta e contiene l’immagine vetero-testamentaria del Tempio (cfr Epistola: 1Corinzi 3,16-17). In essa, dunque, Gesù ama stare e "passeggiare" (cfr Giovanni 10,23) e si trova perfettamente a suo agio in quanto la Chiesa è la "casa" del suo Padre! Non a caso, Gesù rivela, proprio nel Tempio, la sua identità definita in base alla sua relazione "unica" con Dio: "Io e il Padre siamo una cosa sola" (v 30). La Chiesa, pertanto, è il luogo dove viene proclamata incessantemente e a tutti, la fede nel Signore Gesù riconosciuto sì come il Messia che realizza la divina promessa, ma riconosciuto soprattutto come il Figlio di Dio che compie le "opere" stesse di Dio (cfr v 25).

In Gesù che guarisce lo storpio, che dà la vista al cieco, che risuscita i morti, che manda "assolta" la peccatrice, la Chiesa, riconosce all’opera nel mondo l’azione salvifica di Dio. Chi ne accoglie l’annunzio con fede viene ammesso a far parte del "gregge" del Signore come la Chiesa impara a comprendersi e a valutarsi. "Gregge" che sperimenta la premura amorosa del suo Signore e Pastore che nei santi misteri, con al centro l’Eucaristia, offre e dona la sua stessa vita, insegnando ai suoi a "seguirlo", a porsi cioè sulle sue orme, assumendone gli atteggiamenti e i sentimenti di filiale adesione al volere di Dio e di donazione per i fratelli.

La Chiesa comprende, così, di ricevere dal Signore quei beni imperituri che sono il dono "della vita eterna", della comunione cioè d’amore con Lui che preserva dalla "morte eterna" ossia dalla "perdizione" o "dannazione". Per questo la Chiesa procede sicura tra le prove e le avversità dei tempi, sapendo che il Signore la tiene nella sua mano e dunque la custodisce con l’invincibile potenza dispiegata nella sua Pasqua.

Con la rinnovata consapevolezza di fede stupita e ammirata che l’ascolto delle divine Scritture ha ravvivato nei nostri cuori, guardiamo oggi alla nostra Chiesa Cattedrale, al nostro Duomo, segno visibile dell’invisibile mistero che è la Chiesa stabilita dal Signore nel nostro territorio come città "forte" e "santa", come città che attira per la sua insuperabile bellezza e splendore che è l’Amore su cui è fondata. Città che spalanca le sue porte in ogni direzione perché chiunque possa trovarvi libero accesso e, così, divenire "cittadino" della santa città di Dio; Tempio nel quale è resa a Dio quell’adorazione "in spirito e verità" a Lui gradita; "gregge" che sente di dover comprendere l’intera umanità destinata da Dio a radunarsi attorno a un unico Pastore, il suo Figlio Gesù. (A. Fusi)

Letture: Is. 26,1.2-4.7-8; 54,12-14a; Sal 67; Epistola: 1Cor.3,9-17; Vangelo: Gv.10,22-30

125 - VEGLIA MISSIONARIA – 17 OTTOBRE 2009

Rivolgendosi a tutti i fratelli del popolo di Dio, nel messaggio per la 83ª Giornata Missionaria Mondiale 2009 “Le nazioni cammineranno alla sua luce” (Ap 21,24), il papa Benedetto XVI esorta a rinnovare la consapevolezza del mandato missionario di Cristo di fare discepoli tutti i popoli, sulle orme dell'apostolo Paolo. Il messaggio sottolinea che la missione della Chiesa è quella di contagiare di speranza tutti i popoli e riafferma la necessità di rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo, fermento di libertà, fraternità, unità e pace sopratutto in considerazione dei profondi cambiamenti della società attuale.

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Per il Papa, i vescovi, i sacerdoti, i diaconi chiamati ad essere pastori e guide di tutta la Chiesa, siano sempre educatori attenti e appassionati nel condurre il popolo di Dio ad una rinnovata consapevolezza missionaria e ad una carità operosa. Preghiamo.

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Anche se piccola e povera, antica o nuova, ogni comunità deve farsi segno dell’amore di Dio per tutti”*. Offriamo al Padre la nostra supplica per la Chiesa universale e per le comunità parrocchiali qui rappresentate, perché siano sempre aperte, con generoso slancio, alle necessità di ogni uomo. Preghiamo.

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Preghiamo per i missionari ad gentes, affinché siano “pungolo efficace nelle nostre comunità cristiane in vista di una risposta sempre più adeguata alla nostra vocazione”*. Affidiamo alla tua misericordia, o Padre, il servizio di questi nostri fratelli, perché attraverso il loro fedele annuncio il Vangelo non conosca confini. Preghiamo.

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La nostra preghiera sale a Te, o Dio, per tutti quegli uomini, donne e bambini che nel mondo soffrono a causa della fame, dell’ingiustizia, dell’indifferenza: “l’universalità di Gesù parte sempre dal basso, cioè dagli ultimi”*. Che il Vangelo della carità divenga incontro con l’amore del Padre e risposta concreta alle loro sofferenze. Preghiamo.

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Ancora oggi, nella Chiesa, tanti uomini e donne sono perseguitati a causa della loro fede. “I martiri invitano la nostra Chiesa a contare non sulla forza e il prestigio umani, ma sulla forza che Dio assicura a chi si affida a lui”*. Chiediamo al Signore che non venga mai meno la fedeltà al Vangelo per questi nostri fratelli e per ciascuno di noi. Preghiamo.

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Ti presentiamo, o Signore, il dolore di tanti fratelli malati nel corpo e nello spirito. Fa che uniti alla Croce del tuo Figlio Gesù, sappiano offrire con coraggio la loro sofferenza e divenire, attraverso il dolore, missionari del tuo Amore. Preghiamo.

Ascoltaci, Signore

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mercoledì 14 ottobre 2009

124 - IN QUALI MODI SI REALIZZA LA TRADIZIONE APOSTOLICA?

La Tradizione Apostolica si realizza in due modi: con la trasmissione viva della Parola di Dio (detta anche semplicemente la Tradizione), e con la Sacra Scrittura, che è lo stesso annuncio della salvezza messo per iscritto.

(dal Compendio del catechismo della Chiesa Cattolica, nr.13).

In what ways does Apostolic Tradition occur?

Apostolic Tradition occurs in two ways: through the living transmission of the word of God (also simply called Tradition) and through Sacred Scripture which is the same proclamation of salvation in written form.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, nr. 13)

¿De qué modo se realiza la Tradición Apostólica?

La Tradición Apostólica se realiza de dos modos: con la transmisión viva de la Palabra de Dios (también llamada simplemente Tradición) y con la Sagrada Escritura, que es el mismo anuncio de la salvación puesto por escrito.

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.13)

123 - CHE COS'È LA TRADIZIONE APOSTOLICA?

La Tradizione Apostolica è la trasmissione del messaggio di Cristo, compiuta, sin dalle origini del cristianesimo, mediante la predicazione, la testimonianza, le istituzioni, il culto, gli scritti ispirati. Gli Apostoli hanno trasmesso ai loro successori, i Vescovi, e, attraverso questi, a tutte le generazioni fino alla fine dei tempi, quanto hanno ricevuto da Cristo e appreso dallo Spirito Santo.

(dal Compendio del catechismo della Chiesa Cattolica, nr.12).

What is Apostolic Tradition?

Apostolic Tradition is the transmission of the message of Christ, brought about from the very beginnings of Christianity by means of preaching, bearing witness, institutions, worship, and inspired writings. The apostles transmitted all they received from Christ and learned from the Holy Spirit to their successors, the bishops, and through them to all generations until the end of the world.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, nr. 12)

¿Qué es la Tradición Apostólica?

La Tradición Apostólica es la transmisión del mensaje de Cristo llevada a cabo, desde los comienzos del cristianismo, por la predicación, el testimonio, las instituciones, el culto y los escritos inspirados. Los Apóstoles transmitieron a sus sucesores, los obispos y, a través de éstos, a todas las generaciones hasta el fin de los tiempos todo lo que habían recibido de Cristo y aprendido del Espíritu Santo.

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.12)

domenica 11 ottobre 2009

122 - 12 OTTOBRE 1997 - BEATIFICAZIONE DI PADRE GIOVANNI PIAMARTA

La parrocchia S. Girolamo Emiliani ricorda con gioia il dodicesimo anniversario della beatificazione di padre Giovanni Battista Piamarta.
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Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato Beato il 12 ottobre 1997. Questo il suo discorso: "Padre Piamarta, seguendo l’esempio di Cristo, seppe portare tanti fanciulli e giovani ad incontrare lo sguardo amoroso ed esigente del Signore. Quanti, grazie alla sua opera pastorale, poterono avviarsi con gioia nella vita, avendo appreso un mestiere e soprattutto avendo potuto incontrare Gesù ed il suo messaggio di salvezza! L’opera apostolica del novello Beato è poliedrica ed abbraccia molti campi del vivere sociale: dal mondo del lavoro a quello agricolo, dall’educazione scolastica al settore dell’editoria. Egli ha lasciato una grande impronta di sé nella Diocesi di Brescia e nell’intera Chiesa. Dove questo straordinario uomo di Dio attingeva l’energia sufficiente per la sua molteplice attività? La risposta è chiara: la preghiera assidua e fervorosa era la sorgente dell’ardore apostolico instancabile e dell’attrattiva benefica che esercitava su tutti coloro che avvicinava".

121 - ANCHE TU...

Anche tu

per evangelizzare il mondo...

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Non ti si chiede

nulla di straordinario,

solo un amore appassionato

di Gesù, della Chiesa e dell’uomo,

di avere il cuore grande

quanto il mondo,

di lasciarti scavare l’anima

dalle lacrime dei poveri,

di impegnarti a vivere

la vita come un dono,

e di deciderti a camminare

sulle strade del Vangelo,

missionario di giustizia

e di pace.

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Don Tonino Bello

120 - TERZA SETTIMANA DELL’OTTOBRE MISSIONARIO (11 - 17 OTTOBRE)

La Terza settimana dell’Ottobre Missionario propone il tema della misericordia di Dio da cui tutti siamo investiti, la Responsabilità di una risposta d’amore.

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Giuseppe (poi padre Damiano) de Veuster nacque il 3 gennaio 1840 a Tremelo, diocesi di Malines (Belgio). Educato cristianamente dai suoi genitori, fece le scuole elementari a Wechter e dopo quattro anni di lavoro nella azienda agricola familiare, nel gennaio 1859 seguì suo fratello Augusto (poi padre Panfilo) nella Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, a Lovanio. Pur non avendo seguito il normale corso di formazione al sacerdozio, i Superiori gli permisero di intraprendere gli studi superiori, ritenendolo intellettualmente dotato.

Fece il noviziato a Lovanio e a Parigi, ma dopo due anni si sentì inaspettatamente orientato verso la missione dell’Oceania. Il 7 ottobre 1860 emise i voti perpetui nella sua Congregazione e dopo un anno di studio della filosofia a Parigi, rientrò a Lovanio per gli studi di teologia. Suo fratello, destinato missionario nelle isole Hawai, si ammalò e padre Damiano si offrì di prendere il suo posto nella spedizione. Imbarcatosi il 9 novembre 1863, arrivò ad Honolulu il 19 marzo 1864, e là fu ordinato suddiacono, diacono e quindi sacerdote il 21 maggio 1864. Per nove anni esercitò il ministero nella grande isola Hawai.

Rispondendo ad un appello del Vescovo, che chiedeva ad alcuni sacerdoti di esercitare, a turno, il ministero pastorale tra i lebbrosi di Molokai, padre Damiano si offrì volontario per consacrare l’intera sua vita a quei malati di lebbra emarginati dalla società e ridotti in condizioni di sofferenza estrema, spirituale e materiale. Padre Damiano sbarcò sull’isola di Molokai il 10 maggio 1873. “Voglio sacrificarmi per i poveri lebbrosi” scrisse al suo Superiore provinciale, e scelse di rimanere, tutto solo, tra i malati di lebbra condividendone miserie e sofferenze fino a contrarre anch’egli la tremenda malattia. Al termine della sua vita missionaria al servizio dei lebbrosi scrisse una lettera al fratello Panfilo: “Sono il missionario più felice del mondo...”. Dopo aver trasformato un campo di dolore in una comunità fraterna, morì a Molokai, vittima della lebbra, il 15 aprile 1889.

Nel 1936 la salma di padre Damiano fu riportata in Belgio, dove ebbe solenni funerali di Stato, e collocata a Lovanio, nella chiesa dei padri dei Sacri Cuori. (Agenzia Fides 7/10/2009)

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Padre Damiano è stato beatificato a Roma il giorno 11 ottobre 2009.