Ha ancora senso parlare oggi di un Natale di gioia? Possiamo farlo in una società in cui la preoccupazione di chi non trova più un posto libero per le vacanze si affianca a quella di chi ha perso il posto di lavoro? Possiamo farlo in un mondo in cui c’è chi prepara cibi e bevande per un banchetto di festa, e chi ammassa truppe e armi per una offensiva di morte? Possiamo farlo quando ci sono persone che per libertà intendono l’imbarazzo della scelta tra infinite opportunità e altre che non sono libere nemmeno di esistere e di esprimere i loro sentimenti?
Dobbiamo farlo, perché è una gioia a caro prezzo quella che il Natale ci invita a vivere non la gioia momentanea di qualche luminaria, di un pranzo con la famiglia e gli amici, di un regalo che riesce ancora a stupire, ma la gioia sofferta di chi è consapevole che la speranza o è per tutti oppure è mortificata, di chi sa che la pace non è il deserto che si crea dopo la guerra, ma verità, giustizia, perdono, amore, bontà.
Il Natale non è solo una festa di pochi che chiudono gli occhi sul dolore di molti, è la celebrazione di un’attesa ben più vasta di ogni recinto privilegiato, è il barlume di una speranza che lenisce le sofferenze e angosce di tanti uomini e donne.
Il Natale è pegno di una vita più umana, una vita più impregnata di relazioni autentiche e di rispetto dell’altro, una vita ricca di senso, capace di esprimere in gesti e parole bellezza e luce che deve brillare in ogni luogo avvolto dalle tenebre e dal non senso.
(da Una casa per tutti i popoli, PP.OO.MM. 2003)
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