Se in principio c’era
La capacità di vivere un po’ del silenzio interiore connota il vero credente e lo stacca dal mondo dell’incredulità.
L’uomo che ha estromesso dai suoi pensieri, secondo i dettami della cultura dominante, il Dio vivo che di sé riempie ogni spazio, non può sopportare il silenzio. Per lui, che ritiene di vivere ai margini del nulla il silenzio è segno terrificante del vuoto. Ogni rumore, per quanto tormentoso e ossessivo, gli riesce più gradito; ogni parola, anche la più insipida, è liberatrice da un incubo, tutto è preferibile all’essere posti implacabilmente, quando ogni voce tace, davanti all’orrore del niente.
L’uomo “nuovo” sa che il vuoto non c’è e il niente è eternamente vinto dalla divina Infinità, sa che l’universo è popolato di creature gioiose, sa di essere spettatore e già in qualche modo partecipe dell’esultanza cosmica, riverberata dal mistero di luce, di amore, di felicità che sostanzia la vita inesauribile del Dio Trino.
Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da orde di parole, di suoni, di clamori, che assordano il nostro giorno e perfino la nostra notte; ciascuno è interiormente insidiato dal multiloquio mondano che con mille futilità ci distrae e ci disperde.
.
(Carlo Maria Martini, lettera pastorale “La dimensione contemplativa della vita”, 1980-81)