Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 30 agosto 2014

975 - RICORDANDO IL CARD. MARTINI

La gioia del Vangelo
Martini, fin dai primissimi interventi a Milano, ha interpretato i testi evangelici come “manuali” di educazione alla fede cristiana
Essi sono nell’ordine progressivo il Vangelo di Marco (manuale del catecumeno), di Matteo (manuale del catechista), di Luca (manuale del testimone) e di Giovanni (manuale del cristiano maturo). Il Vangelo piu antico, Marco, e quello del catecumeno, colui che contempla dal di fuori il mistero di Cristo e vuole entrarvi dentro, giungere al momento in cui quanto vede dall’esterno gli venga svelato. Il pagano deve abbandonare la propria religiosita superstiziosa e possessiva per giungere all’esperienza di Dio che Gesu rivela. Il passo successivo e segnato da Matteo, il Vangelo del catechista. Il battezzato non ha detto solo un si a Dio e a Gesu ma si e inserito all’interno di una comunita concreta. Matteo, attraverso i suoi cinque discorsi, offre una catechesi ragionata del regno di Dio e conduce a comprendere come accoglierlo, come vivere l’etica cristiana, la tensione missionaria, la carita e il perdono. Luca e il passo successivo, quello della testimonianza verso coloro che non credono. Il Vangelo e poi il libro degli Atti contengono indicazioni per la formazione graduale e progressiva dell’evangelizzatore. Infine Giovanni rappresenta la maturita cristiana. E la situazione di colui che, dopo aver percorso le tappe precedenti, si chiede quale sia il centro delle esperienze fatte.
Il Vangelo contemplativo trova la sua sintesi nella fede e nella carità.
Questa “ipotesi di lavoro” ha guidato la predicazione e l’azione pastorale di Martini; egli proponeva cinque parole fondamentali come guida irrinunciabile per la vita della comunità cristiana: il silenzio, la Parola di Dio, l’Eucaristia, la missione e la carità
Dopo quindici anni di servizio episcopale, al termine del Sinodo diocesano 47°, il cardinale sintetizzava il compito della Chiesa per mezzo del verbo “evangelizzare”. In queste vibranti parole si percepisce, sinteticamente, il credente, l’esegeta, il vescovo, il comunicatore:
Che cosa e dunque l’evangelizzazione? Essa designa un duplice aspetto: negativo e positivo. In negativo, evangelizzare e ≪salvare dal male≫: tirare fuori dal non senso, dalla frustrazione e dalla noia, dalla disperazione, dal disgusto della vita, dalla incapacita di amare, dalla paura del dolore e della morte. E dare risposta alle invocazioni piu profonde di ogni coscienza umana. In positivo, evangelizzare e comunicare il ≪Vangelo≫, la buona notizia su Gesu: la buona notizia che Dio ci ama davvero, tutti e ciascuno, e che Gesu e morto e risorto per la nostra salvezza, per liberarci dal peccato e dal male; la buona notizia del Regno che viene in Gesu e che si realizza gradualmente
nella nostra adesione a Lui, nel diventare con Lui un solo Corpo, nell’entrare nella vita della Trinita. Evangelizzare non e soltanto comunicare verbalmente la buona notizia, ma comunicare vita, collaborare con lo Spirito del risorto che attrae ogni uomo per farlo una cosa sola in Gesu col Padre. […] L’evangelizzare suppone dunque che si sia assimilata nel cuore la realta del ≪Vangelo≫, la
sua ricchezza, la sua gioia, la pienezza di orizzonti che esso apre, il senso della vita che esso fa scoprire al di la di tutte le delusioni e le sofferenze, al di la della morte (Martini 1995, 33-34).

(da Matteo Crimella, Comunicare il Vangelo, il respiro di Carlo Maria Martini, Aggiornamenti sociali, settembre 2014)

974 - SCHUSTER UN ININTERROTTO AMORE PER LA SUA GENTE

Il 30 agosto ricorrono i 60 anni dalla morte dell’Arcivescovo benedettino, che non abbandonò Milano neppure nei giorni dei bombardamenti bellici.
In Diocesi di Milano era arrivato per la prima volta, in veste ufficiale, quale Visitatore Apostolico dei Seminari della Provincia Ecclesiastica, dal 1926 al 1928; poi, dopo nemmeno un anno, vi sarebbe tornato per sempre come Arcivescovo. Aveva lavorato bene, anche a Milano, l’abate Schuster ed era quasi ovvio pensare - più di uno, tra gli ecclesiastici e i giornalisti, lo fece - che Pio XI lo ritenesse adatto a guidare la Chiesa ambrosiana. È, infatti, l’estate del 1929 quando il Papa brianzolo, in uno strettissimo giro di tempo, già segna il futuro ambrosiano di Schuster, nominandolo arcivescovo di Milano il 26 giugno, creandolo cardinale il 15 luglio e ordinandolo vescovo il 21 luglio. L’8 settembre 1929 il nuovo Pastore, a nemmeno cinquant’anni - era nato a Roma il 18 gennaio 1880 -, farà il suo ingresso solenne a Milano.
Inizia così un quarto di secolo di Magistero indimenticabile, che vede la costante presenza di Schuster in ogni angolo della sua Chiesa, attraverso lo strumento privilegiato della Visita pastorale (compiuta ben cinque volte), ma anche con la consacrazione di 275 chiese e l’ordinazione di 1265 sacerdoti.
Anni difficili, quelli vissuti sulla Cattedra di Ambrogio e Carlo, fin dal 1931, quando l’attrito col fascismo diviene manifesto allorché il regime pretende di sciogliere le Organizzazioni cattoliche. Sono i roventi momenti del dissidio sull’Azione Cattolica, che vedono Schuster in prima linea. Mai, d’altra parte - come si legge in una riservatissima informativa del Regime - «l’Arcivescovo di Milano tacerà», come quando, il 13 novembre 1938, prima domenica d’Avvento, in un Duomo gremito il Cardinale pronuncia un’omelia destinata a diventare famosa, quella contro il razzismo definito «Eresia antiromana e anticristiana». A Milano la voce è di Schuster, ma si sa che è il Papa ad aver deciso così: non serve, due giorni dopo le leggi razziali diverranno inesorabilmente leggi dello Stato, ma c’è chi ha avuto il coraggio di parlare.
Ma certo è negli anni della Seconda guerra mondiale che il Beato Schuster assume quel ruolo di Defensor civitatis che gli sarà poi universalmente riconosciuto. Si adopera, infatti, in ogni modo per la “sua” gente: in Curia istituisce un Ufficio informazioni per militari e dispersi; soccorre i sinistrati; dirige personalmente lo smistamento di scatoloni di aiuti ammassati fin sulla soglia della sua camera; non abbandona mai Milano, nemmeno durante i tragici bombardamenti del ferragosto 1943; nei mesi sempre più “neri”, in tutti i sensi, della Repubblica sociale aiuta ebrei e chiunque sia caduto nelle maglie del terrore nazifascista (basti pensare ai tanti reclusi a San Vittore per cui l’Arcivescovo intercede). Infine, il 25 aprile 1945, la sua concreta mediazione fa dell’Arcivescovado il luogo dove si decidono le sorti dell’intero Paese. Accoglie Mussolini e i responsabili del Cln Alta Italia, per un colloquio passato alla storia. Solo lì, in quelle stanze percorse ordinariamente dal silenzio e dalla fede di un uomo superiore, era possibile incontrarsi. Poi verrà il dopoguerra della ricostruzione delle case e dei cuori: ancora un susseguirsi, senza tregua, di iniziative.
La preghiera continua del «monaco benedettino prestato a Milano» si ferma solo di fronte alla morte che giunge all’alba del 30 agosto 1954, in quel Seminario di Venegono tenacemente voluto e amato. I suoi funerali dal Seminario a Milano e, infine, in Duomo - dove l’orazione funebre è tenuta dal patriarca di Venezia, Angelo Roncalli - sono un trionfo di popolo che già lo onora come santo. Di quelli di fronte ai quali, ancora oggi, «la gente si inginocchia e prega».
www.incrocinews.it

973 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA SETTEMBRE 2014

Intenzione generale
"Perché i disabili mentali ricevano l’amore e l’aiuto di cui hanno bisogno, per una vita dignitosa".

Intenzione missionaria
"Perché i cristiani, ispirati dalla Parola di Dio, si impegnino nel servizio ai poveri e ai sofferenti".
 
Intenzione dei Vescovi
"Perché le grandi Religioni avanzino sulla via della reciproca conoscenza, e dell’impegno per la pace, e il rispetto del creato".

sabato 23 agosto 2014

972 - DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE

Oggi il Vangelo di Marco 12,13-17 ci offre una meditazione sull’ipocrisia, che Gesù svela. Ci aiuta a riconoscerne il volto e a fuggirne le tentazioni. L’ipocrita – come «gli scribi e gli anziani» e «alcuni farisei ed erodiani» – vuole la morte del fratello, scaricando su di lui la colpa: cerca di «coglierlo in fallo», per condannarlo. Ipocrita è chi fa del male al fratello, ammantandosi nel mantello del bene, del buono, del giusto. Ipocrita è colui che fingendo (credendo) di amare Dio, uccide il fratello, che è figlio di Dio. Non può dire di amare Dio chi uccide il fratello; non può essere Dio quel dio nel cui nome si uccide il fratello, come avviene in Nigeria, e non solo, per mano di integralisti che uccidono nel nome di un impossibile dio. L’ipocrita riveste di complimenti l’odio che lo rode; è gentile nei modi e perverso nei moti del cuore; non crede nelle parole che dice, nelle lodi che ammannisce. L’ipocrita è avvolgente, invitante, come lo fu il primo serpente. L’ipocrita è sempre vigliacco: manda avanti qualcun altro, su cui scaricare ogni colpa, perché dirà sempre: «Non sono stato io. Io non l’ho mai detto». L’ipocrita è menzognero, perché figlio del suo patrigno, il “Principe della menzogna”. L’ipocrita è astuto, sa come porre le domande compromettenti.
In effetti, la domanda che pongono a Gesù è astuta. L’ebreo osservante era tenuto a versare le sue tasse al tempio, o meglio a Dio: per la nascita di un figlio o per l’abbondanza del raccolto o la fecondità degli armenti. L’offerta richiesta (o tassa) era un atto di fede, il riconoscimento che a Dio appartengono la vita e la terra, che Dio benedice e protegge, che lui è il Signore, il Re. La tassa (o offerta) indica a chi sei sottomesso, a chi riconosci il diritto di essere per te guida e pastore. L’offerta (o tassa) si fa a chi riconosci come tua autorità, come colui che opera per il tuo bene e quello di tutti, perché l’autorità è servizio, ha come fine la crescita di chi mi accoglie e mi riconosce come loro autorità. Altrimenti è dittatura. Non ha autorità chi va contro il bene e la verità dell’uomo: questi è solo un tiranno.
Gli ebrei lo sapevano bene. Per questo nel tempio non circolavano monete romane o di altra nazione, ma solo quelle del tempio, distribuite dai cambiavalute, che Gesù aveva cacciato, perché la Casa di Dio non è «spelonca di ladri» (Marco 11,15-19). Gesù aveva citato Isaia (56,1) e Geremia (7,5-10): «Praticate la giustizia; non opprimete l’orfano né la vedova; non spargete sangue innocente». Chi crede in Dio, chi lo riconosce come sua autorità accetta questa legge.
La risposta di Gesù è incisiva: su quella moneta c’è il volto di Cesare e va data a colui cui appartiene. Usare la moneta di Cesare significa accettare che fuori dal Tempio egli sia l’autorità, che opera per la pace e il bene di tutti. Occorre rispettare l’autorità, quando è vera, quando opera per il bene dell’uomo, figlio di Dio. Altrimenti è dittatura.
Mons. Ennio Apeciti

venerdì 22 agosto 2014

971 - SANTA ROSA DA LIMA

Nacque a Lima, capitale dell'allora ricco Perù, il 20 aprile 1586, decima di tredici figli. Il suo nome di battesimo era Isabella. Era figlia di una nobile famiglia, di origine spagnola. Il padre si chiamava Gaspare Flores, gentiluomo della Compagnia degli Archibugi, la madre donna Maria de Oliva. Per cui, il nome della Santa era Isabella Flores de Oliva. Ma questo sarà dimenticato in favore del nome che le diede, per la prima volta, la serva affezionata, di origine india, Mariana, che le faceva da balia, la quale, colpita dalla bellezza della bambina, secondo il costume indios, le diede il nome di un fiore. “Sei bella - le disse - sei rosa”.
Fu cresimata per le mani dell'arcivescovo di Lima ed anche lui Santo, Toribio de Mogrovejo, che le confermò, tra l'altro, in onore alle sue straordinarie doti fisiche e morali, quell’appellativo datole dalla serva india. Rosa ad esso aggiunse “di Santa Maria” ad esprimere il tenerissimo amore che sempre la legò alla Vergine Madre del cielo soprattutto sotto il titolo di Regina del Rosario, la quale non mancò di comunicarle il dono dell'infanzia spirituale fino a farle condividere la gioia e l'onore di stringere spesso tra le braccia il Bambino Gesù.
Visse un'infanzia serena ed economicamente agiata. Ben presto, però, la sua famiglia subì un tracollo finanziario. Rosa, che aveva studiato con impegno, aveva una discreta cultura ed aveva appreso l'arte del ricamo. Si rimboccò, quindi, le maniche, aiutando la famiglia in ogni genere di attività, dai lavori casalinghi alla coltivazione dell'orto ed al ricamo, onde potersi guadagnare da vivere.
Sin da piccola aspirò a consacrarsi a Dio nella vita claustrale, ma il Signore le fece conoscere la sua volontà che rimanesse vergine nel mondo. Ebbe modo di leggere qualcosa di S. Caterina da Siena. Subito la elesse a propria madre e sorella, facendola suo modello di vita, apprendendo da lei l'amore per Cristo, per la sua Chiesa e per i fratelli indios. Come la santa senese vestì l'abito del Terz'ordine domenicano. Aveva vent'anni. Allestì nella casa materna una sorta di ricovero per i bisognosi, dove prestava assistenza ai bambini ed agli anziani abbandonati, in special modo a quelli di origine india. Sempre come Caterina, fu resa degna di soffrire la passione del Suo divino Sposo, ma provò pure la sofferenza della “notte oscura”, che durò ben 15 anni. Ebbe anche lo straordinario dono delle nozze mistiche. Fu arricchita dal suo Celeste Sposo altresì di vari carismi come quello di compiere miracoli, della profezia e della bilocazione.
Dal 1609 si richiuse in una cella di appena due metri quadrati, costruita nel giardino della casa materna, dalla quale usciva solo per la funzione religiosa, dove trascorreva gran parte delle sue giornate in ginocchio, a pregare ed in stretta unione con il Signore e delle sue visioni mistiche, che iniziarono a prodursi con impressionante regolarità, tutte le settimane, dal giovedì al sabato.
Nel 1614, obbligata a viva forza dai familiari, si trasferì nell'abitazione della nobile Maria de Ezategui, dove morì, straziata dalle privazioni, tre anni dopo.
Grande, già in vita, fu la sua fama di santità. L'episodio più eclatante della sua esistenza terrena ce la presenta abbracciata al tabernacolo per difenderlo dai calvinisti olandesi guidati all'assalto della città di Lima dalla flotta dello Spitberg. L’inattesa liberazione della città, dovuta all’improvvisa morte dell’ammiraglio olandese, fu attribuita alla sua intercessione.
Condivise la sofferenza degli indios, che si sentivano avviliti, emarginati, vilipesi, maltrattati soltanto a motivo della loro diversità di razza e di condizione sociale.
Sentendosi avvicinare la morte, confidò “Questo è il giorno delle mie nozze eterne”. Era il 24 agosto 1617, festa di S. Bartolomeo. Aveva 31 anni.
Il suo corpo si venera a Lima, nella basilica domenicana del S. Rosario. Fu beatificata nel 1668. Due anni dopo fu insolitamente proclamata patrona principale delle Americhe, delle Filippine e delle Indie occidentali: si trattava di un riconoscimento singolare dal momento che un decreto di Papa Barberini (Urbano VIII) del 1630 stabiliva che non potessero darsi quali protettori di regni e città persone che non fossero state canonizzate. Fu comunque canonizzata il 12 aprile 1671 da papa Clemente X.
È anche patrona dei giardinieri e dei fioristi. È invocata in caso di ferite, contro le eruzioni vulcaniche ed in caso di litigi in famiglia. http://www.santiebeati.it

970 - UN CUORE CRISTIANO NON VA MAI IN VACANZA

Non accontentiamoci di leggere le notizie sul giornale o di vedere qualcosa in televisione... Avvicinati con il tuo cuore. "Sto in vacanza, non posso...". Un cuore cristiano non va mai in vacanza. E' sempre aperto al servizio laddove c'è un bisogno, perchè sa che dove c'è un bisogno c'è un diritto...
Non so, ognuno vedrà come avvicinare il suo cuore: interrompi qualche divertimento, fai silenzio nella preghiera, fai qualche penitenza per accompagnare il dolore del tuo popolo, prìvati di qualcosa e dallo a chi ha bisogno di cibo e medicine. Mio fratello si trova lì, ai bordi del cammino dell'esistenza, sta soffrendo e io non posso fare il distratto.
Chiediamo alla Vergine che entri nel nostro cuore e che ci spinga a fare qualcosa: preghiera, penitenza, elemosina, privazione di qualcosa che ci piace in favore degli altri. Con quella carità che attraversa la mente, il cuore e tocca le tasche.
Card. Jorge Bergoglio, Buenos Aires 17 gennaio 2010.

giovedì 14 agosto 2014

969 - LA MADONNINA DEL DUOMO DI MILANO

La Madonnina del Duomo di Milano

La Madonnina è una statua, raffigurante Maria Vergine Assunta in cielo, realizzata, tra il 1769 ed il 1774, in rame sbalzato e dorato, dallo scultore Giuseppe Perego, dall'intagliatore Giuseppe Antignani e dall'orafo Giuseppe Bini, collocata sulla guglia maggiore del Duomo di Milano.
Dal momento della sua posa, avvenuta nel 1774, è diventata il simbolo di Milano, tanto che alcune frasi celebri come “all'ombra della Madonnina” indicano per antonomasia la città lombarda.
Maria Vergine assunta in cielo con angeli presenta uno sguardo rivolto al cielo e le braccia aperte ad implorare la protezione e la benedizione di Dio sulla città; accanto alla figura della Madonna è posta una alabarda.
La prima testimonianza di una possibile collocazione di statua di Maria Vergine sulla guglia maggiore si trova in un disegno dell'architetto Cesare Cesariano, datato 1521, dove compare una guglia centrale sormontata da un simulacro della Madonna Assunta.
Nel XVIII secolo, il Duomo era ancora quasi privo di guglie e in continuo stato di lavori ripresi, interrotti e mai completati.
L'arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli (1696-1783) decise di fare innalzare la guglia maggiore, che venne realizzata, tra il 1765 ed il 1769, dall'architetto Francesco Croce (1696 – 1773), raggiungendo l'altezza di 108,50 metri.
L'incarico di realizzare la statua fu affidato allo scultore Giuseppe Perego, che nel 1769 presentò tre diversi progetti.
Alla realizzazione dell'opera, deliberata il 17 giugno 1769, collaborarono anche l'intagliatore Giuseppe Antignati e l'orafo Giuseppe Bini che fuse le 33 lamine di rame sbalzato e dorato.
La statua venne collocata sulla guglia maggiore, nell'ottobre 1774, ed il Consiglio della Fabbrica del Duomo ne dette l'annuncio ufficiale il 30 dicembre dello stesso anno. L'evento passò in sordina, poiché non vi fu nessuna particolare cerimonia e nemmeno un cenno nei documenti ufficiali della Fabbrica del Duomo, forse per timore della reazione illuminista che contraddistingueva il periodo storico.
Nell'agosto del 1939, alla vigilia della Seconda Guerra mondiale, la Madonnina fu coperta da un panno grigioverde e rimase così per cinque anni, per evitare di fornire un facile bersaglio ai cacciabombardieri. Lo scoprimento avvenne il 6 maggio 1945 con rito solenne ad opera del cardinale Idelfonso Schuster, allora arcivescovo di Milano.
 La tradizione vuole che nessun edificio in Milano possa essere più alto della Madonnina. Questa è una consuetudine non scritta, ma poi resa ufficiale, quando venne impedito di superare i fatidici 108,5 m della Madonnina, sia alla Torre Branca del Parco Sempione (108 metri), realizzata nel 1933 da Giò Ponti, sia alla Torre Velasca (106 m), progettata nel 1958 dallo Studio BBPR.
Nel 1960, il Grattacielo Pirelli (detto popolarmente Pirellone) superò l'altezza della Madonnina, raggiungendo la misura di 127 metri, ma per rispettare la tradizione fu creata una copia della statua (alta 85 cm), che venne collocata sulla sommità del grattacielo.
Il 22 gennaio 2010 la copia è stata spostata sulla sommità del Palazzo Lombardia, nuova sede della Regione Lombardia, a 161 metri d'altezza.

968 - UN DIO DAVVERO MUNIFICO

Della festa definita "Dormitio Mariae" si hanno testimonianze in Oriente sin dal VI secolo, sia in ambito cattolico che nel mondo ortodosso, dove appunto in questo periodo si fissava al 15 Agosto la festa solenne della "Dormizione" (l'addormentamento della Vergine accerchiata dalla schiera degli apostoli). Essa riguardava già il fatto che il corpo della Vergine sarebbe stato preservato dalla corruzione al momento del decesso e un po' per volta si trasferì in Occidente e divenne "Festa dell'Assunzione", celebrata in tantissime comunità cattoliche e ortodosse.
Fu nel 1950 che, sulla scia di una lunghissima tradizione e dopo opportune verifiche teologiche, il papa Pio XII definì l'Assunzione di Maria "dogma di fede", verità da ritenersi inconfutabile in senso assoluto.
Originariamente un dogma veniva definito per porre fine a dubbi e perplessità inficiati dal serpeggiare di eresie all'interno del pensiero cattolico: poiché la presenza di svariate dottrine concomitanti suscitava una certa confusione all'interno della Chiesa, il Concilio interveniva definendo quella che da sempre era stata la verità insegnata dalla Chiesa definendo "anatema" chiunque si ostinasse nell'eresia. Di conseguenza un dogma nulla aggiunge all'insegnamento comune della Chiesa e, seppure emanato da un papa in via definitiva, esso non è un invenzione o un esercizio arbitrario da parte di un'autorità ecclesiastica, ma piuttosto una guida e un orientamento ai fedeli perché persistano nella vera fede e nella sana dottrina..
Preceduto da anni di studi, consultazioni, ricerche storiche e soprattutto non senza il ricorso allo Spirito Santo, esso risolve eventuali controversie protrattesi nel tempo fra i teologi e i fedeli, intervenendo ufficialmente su questioni che riguardano la dottrina tradizionale della Chiesa, il suo insegnamento originario.
Così Pio XII nel 1950 pronunciava ufficialmente vincolante il fatto che Maria è stata Assunta in Cielo, cioè che non solamente la sua anima ma anche il suo corpo è stato preservato dalla corruzione materiale. Quali le motivazioni di questa affermazione che fece tanto discutere dando alito a controversie e recriminazioni nel mondo protestante e anticattolico?
1) Certamente è vero che la Bibbia non parla mai esplicitamente di Assunzione della Vergine al Cielo, ma se guardiamo attentamente l'analisi dei testi della Scrittura osserviamo che comunque Dio ha assunto uomini come Enoch e Elia, improvvisamente rapiti al cielo. Paolo parla anche di persone catturate da Dio in cielo presumibilmente in anima e corpo. Perché allora non dovrebbe essere stata assunta Colei che era stata la dimora del Verbo Incarnato? Oltretutto la Scrittura, se è veramente da intendersi Parola di Dio, lo è sotto tutti gli aspetti, quindi anche in senso implicito e sotteso oltre che esplicito.
2) Oltre alle testimonianza dirette dei Vangeli e degli Scritti biblici, occorre considerare i dati trasmessi oralmente dagli apostoli fino ai nostri giorni (Tradizione) e fra questi non mancano testimonianze, sia pure incomplete e indirette di episodi di Dormizione e di trasporto del corpo della Vergine alla volta celeste (Germano di Costantinopoli, Andrea di Creta). Il fatto poi che la Festa abbia avuto riscontro nei secoli remoti e sia uno degli elementi di incontro fra cattolici e ortodossi è un'ulteriore giustificazione del dogma.
3)Maria è sempre stata associata al suo Figlio nella lotta contro il male e la si vede sempre presente, anche se talvolta in senso indiretto nell'opera di redenzione da questi apportata. Come poteva allora lei, prima discepola e prima redenta nonché Madre del Salvatore Dio fatto uomo, non meritare lo stesso destino di gloria finale del suo Figlio?
4) Sarebbe stato irriverente e ingrato da parte di Dio che il corpo di Colei che aveva ospitato il Verbo seguisse la sorte comune di senescienza e di corruzione destinata a tutti i cadaveri. Se davvero Dio è munifico e proporzionato nel ricompensare chi gli è fedele, doveva per forza concedere alla sua Madre una condecorazione proporzionata ad ogni suo atto di fedeltà.
Era necessario dunque che Maria dovesse essere assunta (cioè portata) in cielo nella sua anima e nel suo corpo e ciò non tanto considerando la limitatezza corporale della stessa Vergine esile e ristretta, ma le grandi capacità e lo spessore di infinita misericordia del munificentissimo Dio.
Nel documento di proclamazione del dogma, Pio XII infatti afferma: "Il munificentissimo Dio, che tutto può e le cui disposizioni di provvidenza sono fatte di sapienza e d'amore, nei suoi imperscrutabili disegni contempera nella vita dei popoli e in quella dei singoli uomini dolori e gioie, affinché per vie diverse e in diverse maniere tutto cooperi in bene per coloro che lo amano (cf. Rm 8,28)". Dio, che ricambia in oro ogni singola azione o pensiero a lui rivolto, non manca mai di dare adeguata ricompensa a coloro che gli si mostrano fedeli soprattutto nelle grandi occasioni sopportando a tal fine ogni sorta di male e di ingiustizia. Come poteva allora Dio non consentire che la fedeltà indiscussa di Maria venisse premiata con un guiderdone di gloria grandioso e commensurato alle lotte che tale fedeltà comportava? Come poteva insomma Dio non concedere l'assunzione del Corpo di Colei che aveva ospitato il suo Verbo e lo aveva strenuamente difeso non senza umilianti disavventure? Dire che Maria è stata assunta in Cielo non smentisce l'indiscussa autorità e superiorità che spetta esclusivamente a Dio ma al contrario conferma queste caratteristiche nel manifestare che in Dio onnipotenza e grandezza si coniugano con l'amore e con la munificenza. Anche noi troviamo nell'Assunzione un provvidenziale sprone alla perseveranza nel bene ai fini di giungere alla meritata ricompensa, una valida occasione di riscoprire la validità della lotta ai fini della conquista e la certezza di essere sempre assistiti da un Dio veramente munifico.
padre Gian Franco Scarpitta

967 - ASSUNZIONE DI MARIA

L'Assunzione di Ma­ria al cielo in anima e corpo è l'icona del nostro futuro, anticipazione di un comune destino: an­nuncia che l'anima è santa, ma che il Creatore non spre­ca le sue meraviglie: anche il corpo è santo e avrà, trasfi­gurato, lo stesso destino del­l'anima. Perché l'uomo è u­no.
I dogmi che riguardano Ma­ria, ben più che un privilegio esclusivo, sono indicazioni esistenziali valide per ogni uomo e ogni donna. Lo in­dica benissimo la lettura dell'Apocalisse: vidi una donna vestita di sole, che sta­va per partorire, e un drago .
Il segno della donna nel cie­lo evoca santa Maria, ma an­che l'intera umanità, la Chiesa di Dio, ciascuno di noi, anche me, piccolo cuo­re ancora vestito d'ombre, ma affamato di sole. Con­tiene la nostra comune vo­cazione: assorbire luce, far­sene custodi (vestita di sole), essere nella vita datori di vi­ta ( stava per partorire): ve­stiti di sole, portatori di vita, capaci di lottare contro il male ( il drago rosso). Indos­sare la luce, trasmettere vi­ta, non cedere al grande ma­le.
La festa dell'Assunta ci chia­ma ad aver fede nell'esito buono, positivo della storia: la terra è incinta di vita e non finirà fra le spire della vio­lenza; il futuro è minaccia­to, ma la bellezza e la vitalità della Donna sono più forti della violenza di qualsiasi drago.
Il Vangelo presenta l'unica pagina in cui sono protago­niste due donne, senza nes­sun'altra presenza, che non sia quella del mistero di Dio pulsante nel grembo. Nel Vangelo profetizzano per prime le madri.
«Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo». Prima parola di E­lisabetta, che mantiene e prolunga il giuramento irre­vocabile di Dio: Dio li benedisse (Genesi 1,28), e lo e­stende da Maria a ogni don­na, a ogni creatura. La pri­ma parola, la prima germi­nazione di pensiero, l'inizio di ogni dialogo fecondo è quando sai dire all'altro: che tu sia benedetto. Poterlo pensare e poi proclamare a chi ci sta vicino, a chi condi­vide strada e casa, a chi por­ta un mistero, a chi porta un abbraccio: «Tu sei benedet­to», Dio mi benedice con la tua presenza, possa bene­dirti con la mia presenza.
«L'anima mia magnifica il Signore». Magnificare signi­fica fare grande. Ma come può la piccola creatura fare grande il suo Creatore? Tu fai grande Dio nella misura in cui gli dai tempo e cuore. Tu fai piccolo Dio nella misura in cui Lui diminuisce nella tua vita.
Santa Maria ci aiuta a cam­minare occupati dall'avve­nire di cielo che è in noi co­me un germoglio di luce. Ad abitare la terra come lei, be­nedicendo le creature e facendo grande Dio.
p.Ermes Ronchi

martedì 12 agosto 2014

966 - ADOTTA UN CRISTIANO DI MOSUL

"Adotta un cristiano di Mosul", rispondere nei fatti e con la vita all'emergenza irachena AsiaNews lancia una raccolta fondi per sostenere i fedeli nel mirino dello Stato islamico, dopo le richieste del Patriarca di Baghdad e il pressante appello di papa Francesco "a assicurare gli aiuti necessari, soprattutto quelli più urgenti, a così tanti sfollati, la cui sorte dipende dalla solidarietà altrui". Oltre 100mila persone sono state costrette a fuggire dalle loro case senza niente addosso, e ora non hanno di che vivere. Per aiutarli, bastano 5 euro al giorno: i fondi raccolti saranno inviati al Patriarcato di Baghdad, che provvederà a distribuirli secondo i bisogni di ogni famiglia.
Una "catastrofe umanitaria, che rischia di divenire un vero e proprio genocidio": così Louis Sako, Patriarca di Baghdad, descrive ad AsiaNews la fuga dei cristiani da Mosul e Qaraqosh, nella piana di Ninive: oltre 100mila persone costrette dall'Esercito del califfato islamico a lasciare le proprie case e i propri averi, scappando verso il Kurdistan sotto la minaccia di morte. "Un esodo, una vera Via Crucis, con i cristiani costretti a marciare a piedi nella torrida estate irachena.... Fra loro vi sono anche malati, anziani, bambini e donne incinte. Hanno bisogno di cibo, acqua e riparo...".
Le migliaia di famiglie cristiane hanno dovuto fuggire minacciati di essere uccisi se non si convertivano all'islam, o se non accettavano di pagare la jiziya, la tassa dei "protetti" sotto una rigida sharia. Nella fuga essi sono stati costretti a lasciare tutto nelle mani dei loro aguzzini.
Davanti a questa tragedia, papa Francesco continua a inviare messaggi di solidarietà e appelli alla comunità internazionale affinché agisca per fermare le violenze e le sopraffazioni contro la comunità locale. Ieri il pontefice ha rivolto "il suo pressante appello alla Comunità Internazionale, affinché, attivandosi per porre fine al dramma umanitario in atto, ci si adoperi per proteggere quanti sono interessati o minacciati dalla violenza e per assicurare gli aiuti necessari, soprattutto quelli più urgenti, a così tanti sfollati, la cui sorte dipende dalla solidarietà altrui".

AsiaNews ha deciso di rispondere a questo appello con una raccolta fondi da destinare a questi fratelli e sorelle derubati del diritto alla vita e alla libertà. Per dare da mangiare a un cristiano di Mosul per un mese occorrono 160 euro; per una settimana ne bastano 40; per un giorno, soltanto 5 euro. Invitiamo tutti i nostri lettori e amici a contribuire, ad andare oltre l'indignazione e la condanna esprimendo la nostra solidarietà al sostentamento dei cristiani iracheni. I fondi raccolti saranno inviati al Patriarcato di Baghdad, che provvederà a distribuirli secondo i bisogni di ogni famiglia. 

Per il Patriarca di Baghdad, aiutare i cristiani in questa emergenza, lasciandoli in Iraq, è più importante che farli fuggire all'estero. L'Iraq e il Medio Oriente necessitano della testimonianza dei cristiani.
Per contribuire ad aiutare i cristiani di Mosul:
http://www.asianews.it
http://www.pimemilano.com

965 - LA PACE DI CRISTO

“La pace sia con voi” (Lc 24,36), tale è il saluto pasquale del Risorto: “Pax vobis”. Per portare la pace al mondo, è divenuto uomo. Lo annunciavano gli angeli nella campagna di Betlemme.
La pace – la sicurezza nel seno del Padre eterno – l’avevi, o Signore, anche quando soggiornavi da pellegrino su questa terra. L’aveva anche tua Madre, poiché il suo cuore era una cosa sola con il tuo. Rendesti omaggio al Padre nei cieli, affinché rivolgesse nuovamente lo sguardo verso la terra e ricevessero la pace anche coloro che ne erano sprovvisti. Questo si è compiuto solo con la tua morte. Dopo che avevi compiuto l’opera cruenta dell’espiazione e rimesso il tuo spirito nelle mani del Padre, Egli si chinò allora fino ai tuoi e li portò con te nel suo seno. Senza mai inaridire, sgorga il fiume della pace, il suo percorso attraversa il cuore di tua madre; Lei lo dirige verso gli uomini con le sue dolci mani.
Tu, regina della Pace, hai costruito la nostra casa affinché diventasse un luogo di pace. I cuori dei tuoi figli dovrebbero diventare coppe traboccanti della rugiada del cielo e dare fecondità alla terra arida.
Santa Edith Stein (1891-1942), carmelitana, martire, compatrona d'Europa

sabato 9 agosto 2014

964 - IL NOSTRO SILENZIO COLPEVOLE

“Qui a Qaraqosh la gente ha tanta paura: se i fondamentalisti entrano qui sarà un caos, una tragedia gravissima”. Così ci scriveva il 21 luglio Wisam, monaco iracheno che è stato più volte ospite della nostra Comunità a Bose assieme ai suoi due confratelli.
L’ultimo messaggio che ci ha mandato era datato 2 agosto e conteneva gli auguri per la festa della Trasfigurazione: “speriamo sia anche la Trasfigurazione dell’Iraq che sta soffrendo tanto”.
In queste ore anche Wisam e i suoi fratelli sono tra le decine di migliaia di profughi cristiani in fuga verso un luogo che non c’è. La vicenda di questa piccola comunità monastica è emblematica della tragedia che stanno vivendo i cristiani in quelle terre: nel 2005 l’auto su cui due di loro, allora studenti universitari di Baghdad, stavano viaggiando per andare a una cerimonia nuziale era stata colpita da un proiettile sparato da un autoblindo americano. Uno di loro era morto, l’altro sarebbe uscito dal coma dopo alcuni mesi: da allora si muove con due gambe artificiali e non oso immaginarlo oggi in fuga precipitosa. Da Baghdad si erano poi spostati nella piana di Ninive, dove sembrava che i cristiani potessero trovare maggiore protezione: lì conducevano la loro vita monastica alternando la preghiera notturna con il lavoro di manutenzione delle strade e di raccolta di detriti e rifiuti per sostentarsi e aiutare le persone ancora più in difficoltà di loro.
Tutto questo fino a ieri. Poi anche loro devono essere finiti inghiottiti nel fiume di sofferenze che sta travolgendo i cristiani di quella regione martoriata.
Papa Francesco, e con lui vescovi e patriarchi di quelle terre, non perdono occasione per richiamare, esortare, ammonire, invocare gesti e azioni degne dell’essere umano: ma la situazione non fa che peggiorare.
Gli organismi internazionali sono paralizzati, la politica estera europea è inesistente, il parlamento italiano è impegnato a oltranza a riformare se stesso, le urgenze di ciascuno di noi sono altre, dalla crisi economica e occupazionale all’organizzazione delle “meritate” ferie... e così decine di migliaia di persone abbandonano le loro case senza prendere nulla con sé, a centinaia sono uccisi, i più deboli – anziani, malati, bambini – muoiono per le insostenibili fatiche di un viaggio senza speranza.
I cristiani sono le prime vittime di queste atrocità e il loro perseverare nella fede dei padri è motivo di ostracismo e condanna, ma assieme a loro vengono colpiti anche i loro vicini musulmani.
Tornano qui alla mente le parole del testamento di fratel Christian, rapito e ucciso con i suoi fratelli in Algeria: “Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la “grazia del martirio”, il doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l'islam. So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell'islam che un certo islamismo incoraggia. E' troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti”. Sono parole che ho avuto modo di sentire applicare da Wisam alla situazione irachena e ai musulmani della sua terra e che, a nome loro, sento di dover riaffermare ancora oggi.
Certo, lo scoraggiamento, il senso di impotenza, l’istinto di rimozione per vincere l’angoscia, l’impossibilità ad assumere sulle nostre spalle tutte le miserie del mondo ci frenano, ma cosa deve ancora succedere perché le nostre coscienze siano scosse e chi ne ha il potere faccia qualcosa per fermare il massacro? La storia ci chiederà conto di questa catastrofe umanitaria che non riusciamo o non vogliamo impedire.
Perché in Iraq come in Siria non è a rischio solo la sopravvivenza di una comunità cristiana presente nella regione fin dai primissimi secoli: è a rischio l’umanità intesa come capacità di sentirsi ed essere responsabili del proprio simile; è a rischio quella dote umana di esprimere sentimenti e istanze morali che chiamiamo cultura; è a rischio il patrimonio etico della convivenza, del dialogo, del confronto per fronteggiare insieme il duro mestiere del vivere; è a rischio il rapporto stesso con il creato.
Nella tragedia irachena è in gioco la nostra risposta al lancinante interrogativo posto da Primo Levi settant’anni fa: chiediamoci “se questo è un uomo”, se siamo esseri umani noi che ci abituiamo a seguire queste vicende protetti da uno schermo, sempre pronti a cambiare canale, se sono degni dell’autorità e del potere loro conferito quanti chiudono gli occhi e pensano ad altro o, peggio ancora, si ingegnano a trovare opportunità di guadagno nelle catastrofi che si abbattono sugli altri.
Chiediamoci che crescita economica è quella alimentata dai mercanti d’armi e dai profittatori di ogni risma; che diplomazia è quella che si preoccupa solo di equilibrismi, di non ingerenza, di rispetto di zone di influenza; che politica è quella che ha perso il senso della polis e del mondo come spazio comune.
Se non ora, quando ci decideremo a lavorare con risoluta pazienza per un disarmo delle menti, dei cuori, delle braccia? Quando ci ricorderemo che chi ha pronunciato la terribile frase “sono forse il custode di mio fratello?” era in realtà il suo assassino?
Enzo Bianchi,
La Stampa, 8 agosto 2014

giovedì 7 agosto 2014

963 - LE PORTE APERTE DELLA CHIESA

La Chiesa “in uscita” è una Chiesa con le porte aperte. … La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. … Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi.
Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo. L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. … La Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa.
Se la Chiesa intera assume questo dinamismo missionario deve arrivare a tutti, senza eccezioni. Però chi dovrebbe privilegiare? Quando uno legge il Vangelo incontra un orientamento molto chiaro: non tanto gli amici e vicini ricchi bensì soprattutto i poveri e gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati, «coloro che non hanno da ricambiarti» (Lc 14,14).
Non devono restare dubbi né sussistono spiegazioni che indeboliscano questo messaggio tanto chiaro. Oggi e sempre, «i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo» (Benedetto XVI)… Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli.
Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. … Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. … Fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37).
Esortazione apostolica « Evangelii Gaudium / La gioia del Vangelo » §46-49.

sabato 2 agosto 2014

962 - IO HO SCELTO VOI


961 - VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

In quel tempo. Mentre camminava lungo il mare di Galilea, il Signore Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. (Matteo 4,18-22)
«Mentre camminava». Viene in mente il canto “Vocazione”: «Era un giorno come tanti altri, e quel giorno lui passò». Mi ricorda l’importanza della quotidianità. Gesù ha chiamato quattro persone che stavano facendo il loro solito lavoro. Le cose di tutti i giorni sono il contesto nel quale Dio ci chiama. Non ci sono mai le “solite cose”, perché mentre fai le “solite cose”, quando meno te lo aspetti, ti chiama. Vuoi sapere cosa vuole Dio da te? Fa’ bene ogni giorno il tuo dovere.
Gesù chiama due coppie di fratelli. Chiama a due a due: e li manderà in missione «a due a due» (Luca 10,1). Gesù li chiama a seguirlo per mandarli ad annunciarlo. Li chiama a seguirlo, a stare con lui, a condividere la sua vita per mandarli agli altri. Non c’è vocazione senza missione. La chiamata di Gesù è sempre missionaria. Chi crede veramente in Gesù non ne fa un fatto privato, non lo tiene per sé, ma desidera parlare di lui. Dio non può rimanere nascosto nella coscienza, ma deve infiammare la coscienza di chi lo ama!
Gesù chiama due fratelli, perché, al fondamento della missione che affiderà loro, deve esserci la fraternità. A Gesù non basta chiamare (e mandare) dei compagni, dei colleghi, dei cooperatori. Gesù li vuole fratelli: chi collabora con lui deve essere e agire come fratello e sorella; deve sentirsi legato per il sangue all’altro discepolo (suo fratello), deve condividere con il cuore la vita dell’altra discepola (sua sorella). Per essere veri discepoli ed efficaci testimoni occorre mettere il cuore, costruire relazioni fraterne. Papa Francesco nell’Evangelii gaudium ci ammonisce: «Mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano un’implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?» (n. 100).
Gesù chiama dei fratelli che stavano lavorando insieme e lo fanno da sempre. Per questo Luca usa un’inclusione temporale: Pietro e Andrea sono all’inizio (gettavano le reti), Giacomo e Giovanni sono alla fine (le riparavano). Sono capaci di collaborare, di aiutarsi l’un l’altro. A Gesù non basta neppure essere fratelli di sangue o di cuore. A Gesù non bastano i buoni sentimenti. Desidera dei fratelli che collaborano fra loro: non si può gettare la rete in due punti diversi né riparare bene se non si presta attenzione. Occorre la concordia quotidiana nell’azione (gettare le reti) e nell’attenzione (riparare le reti).
In tutte e due le chiamate c’è «subito». Occorre seguire Gesù da fratelli e senza indugio! Si può lasciare tutto, si può partire subito, perché ci si è voluti bene, si è lavorato insieme. Si parte subito, perché non si è soli! Come siamo importanti l’uno per l’altro! Ognuno di noi è sostegno e forza dell’altro. Ognuno riceve forza e sostegno dall’altro, dal fratello, dalla sorella che Dio gli ha posto accanto. Da ognuno riceviamo e a ognuno doniamo ciò, o meglio chi abbiamo nel cuore: Dio per cui esistiamo.
Mons. Ennio Apeciti