Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

giovedì 28 luglio 2016

1195 - ULTIMA LETTERA DI PADRE JACQUES HAMEL

Lettera inviata ai suoi fedeli da padre Jacques Hamel prima delle vacanze estive:

La primavera è stata piuttosto freddina. Se il nostro umore è stato un po' depresso, pazienza: l'estate arriverà. E così pure le vacanze. Le vacanze sono un periodo nel quale prendere le distanze dalle nostre occupazioni quotidiane.
Ma non sono una semplice parentesi: sono un periodo di riposo, ma anche di ricarica, di incontri, di condivisione, di convivialità.
Un tempo di ricarica: alcuni si prenderanno qualche giorno per un ritiro spirituale o un pellegrinaggio.
Altri rileggeranno il Vangelo, soli o in compagnia, la vera parola del nostro quotidiano.
Altri ancora potranno ricaricarsi con il grande libro della Creazione, ammirando paesaggi talmente diversi e magnifici da innalzarci e parlarci di Dio.
Che noi possiamo in quei momenti ascoltare l'invito di Dio a prenderci cura di questo pianeta e a farne, dove lo abitiamo, un mondo più ospitale, più umano, più fraterno.
Un tempo di incontri, con conoscenti e con amici: un momento per cogliere l'occasione di vivere qualcosa insieme.
Un momento per prestare attenzione al nostro prossimo, quale esso sia. Un tempo di condivisione: un momento per condividere la nostra amicizia, la nostra gioia.
Per condividere il nostro sostegno ai più piccoli, mostrando loro quanto contino per noi.
Un tempo di preghiera, anche: cerchiamo di presentare attenzione a ciò che accadrà nel nostro mondo in quel periodo.
Preghiamo per coloro che hanno maggiormente bisogno delle nostre preghiere, per la pace, per una vita migliore insieme. Sarà ancora l'anno della Misericordia.
Facciamo sì che il nostro cuore presti attenzione alle cose belle, al singolo individuo e a tutti coloro che rischiano di sentirsi un po' più soli.
Che le vacanze ci permettano di fare il pieno di gioia, di amicizia e di ricarica.
E allora, meglio equipaggiati, potremo riprendere insieme il cammino.
Buone vacanze a tutti!
 

1194 - LA PARABOLA DI LAZZARO

Nella lettura del Vangelo di Luca 16,19-31 di domenica 31 luglio continua la meditazione su povertà e ricchezza, con una parabola evangelica molto nota e ricca di spunti. Vi è una sorta di contrappasso: Lazzaro ha sofferto in terra e gode in paradiso; l’uomo ricco, che ha goduto in terra, ora soffre all’inferno.
Dobbiamo però tentare una lettura più profonda di questa ricca parabola.
1. Il ricco senza nome. La parabola chiama il povero per nome, mentre il ricco rimane anonimo: un particolare non trascurabile. Il povero Lazzaro, in realtà, è “ricco” della sua povertà e, presentandosi “vuoto” davanti al giudizio di Dio, può essere riempito della misericordia del Padre. Il ricco, invece, ha reso opaca la sua figura. Le ricchezze arricchiscono solo quando sono usate per gli altri; quando sono accumulate per se stesse, sbiadiscono il volto del ricco, che alla morte si presenta davanti a Dio carico non di piaghe da guarire (come il povero), ma di superbia che pretende un premio. Di fronte a un cuore che si è affidato solo alle ricchezze, la misericordia di Dio si ferma perché non sa dove posarsi. Il Vangelo continua così a metterci in guardia dalle ricchezze; esse sono ingannevoli non perché malvage in sé, ma perché possono dare l’illusione di pretendere la ricompensa anche di fronte a Dio.
2. «Ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio Padre». Questo particolare ci dice una cosa molto importante: anche nel profondo dell’inferno il ricco non capisce dove ha sbagliato e si preoccupa dei propri familiari e non dei figli o della moglie di Lazzaro. Questo aspetto rende bene l’accecamento che possono provocare le ricchezze. I cristiani saranno interrogati sulla carità verso i fratelli; e questo non solo alla fine della vita, ma ogni giorno. Lo scandalo più grande è la mancanza di amore e di uguaglianza tra coloro che, in forza del Battesimo, sono costituiti in una profonda fraternità. Sant’Ambrogio diceva: «Il superfluo dei ricchi è il necessario dei poveri». La dottrina sociale della Chiesa insegna che chi possiede le ricchezze è solo l’amministratore di beni che hanno in sé come necessaria una destinazione sociale. Amministrare il denaro per “quelli della propria casa” senza preoccuparsi della giustizia e della carità verso i più poveri è contro il Vangelo.
3. «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». In termini evangelici potremmo dire: «I cristiani hanno le beatitudini del Vangelo: ascoltino quelle!». È necessario dare un contenuto moderno e praticabile alla beatitudine della povertà, di fronte a un mondo che ruota attorno alla ricchezza. La virtù della povertà combatte la miseria e l’ingiustizia, che sono offese gravi alla dignità dell’immagine divina scritta sul volto di ogni uomo. Il cristiano sa che la virtù della povertà sgorga dalla fiducia in Dio: il povero è colui che considera Dio il suo vero tesoro e fa delle ricchezze uno strumento della carità. Il cristiano povero non disprezza nulla di ciò che Dio ha creato, ma sa che i beni sono di tutti e che tutti debbono poterne godere in pace. La povertà salva la carità, rinfresca la speranza e rende concreta la fede.
Commento di don Luigi Galli

domenica 10 luglio 2016

1193 - LE VIE PER ENTRARE NELLA VITA ETERNA

Volete che parli delle vie della riconciliazione con Dio? Sono molte e svariate, però tutte conducono al cielo. La prima è quella della condanna dei propri peccati. Confessa per primo il tuo peccato e sarai giustificato (Is 43,26). Perciò anche il profeta diceva: « Ho detto: Confesserò al Signore le mie colpe, e tu hai rimesso la malizia del mio peccato » (Sal 32,5). Condanna dunque anche tu le tue colpe. Questo è sufficiente al Signore per la tua liberazione. E poi se condanni le tue colpe sarai più cauto nel ricadervi…
Questa è dunque una via di remissione, e ottima; ma ve n’è un’altra per nulla inferiore: non ricordare le colpe dei nemici, dominare l’ira, perdonare i fratelli che ci hanno offeso. Anche così avremo il perdono delle offese da noi fatte al Signore. E questo è un secondo modo di espiare i peccati. « Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi » (Mt 6,14).
Vuoi imparare ancora una terza via di purificazione? È quella della preghiera fervorosa e ben fatta che proviene dall’intimo del cuore… Se poi ne vuoi conoscere anche una quarta, dirò che è l’elemosina. Questa ha un valore molto grande. Aggiungiamo poi che, se uno si comporta con temperanza e umiltà, distruggerà alla radice i suoi peccati con non minore efficacia dei mezzi ricordati sopra. Ne è testimone il pubblicano che non era in grado di ricordare opere buone, ma al loro posto offrì l’umile riconoscimento delle sue colpe e così si liberò dal grave fardello che aveva sulla coscienza (Lc 18,9).
Abbiamo indicato cinque vie di riconciliazione con Dio… Non star dunque senza far nulla, anzi ogni giorno cerca di avanzare per tutte queste vie, perché sono facili, e non puoi addurre la tua povertà per esimertene.
San Giovanni Crisostomo (ca 345-407), Omelia sulle vie della riconciliazione 2, 6

1192 - CHI E' IL MIO PROSSIMO?

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi la liturgia (del rito romano)ci propone la parabola detta del “buon samaritano”, tratta dal Vangelo di Luca (10,25-37). Essa, nel suo racconto semplice e stimolante, indica uno stile di vita, il cui baricentro non siamo noi stessi, ma gli altri, con le loro difficoltà, che incontriamo sul nostro cammino e che ci interpellano. Gli altri ci interpellano. E quando gli altri non ci interpellano, qualcosa lì non funziona; qualcosa in quel cuore non è cristiano. Gesù usa questa parabola nel dialogo con un dottore della legge, a proposito del duplice comandamento che permette di entrare nella vita eterna: amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stessi (vv. 25-28). “Sì – replica quel dottore della legge – ma, dimmi, chi è il mio prossimo?” (v. 29). Anche noi possiamo porci questa domanda: chi è il mio prossimo? Chi devo amare come me stesso? I miei parenti? I miei amici? I miei connazionali? Quelli della mia stessa religione?... Chi è il mio prossimo?
Gesù risponde con questa parabola. Un uomo, lungo la strada da Gerusalemme a Gerico, è stato assalito dai briganti, malmenato e abbandonato. Per quella strada passano prima un sacerdote e poi un levita, i quali, pur vedendo l’uomo ferito, non si fermano e tirano dritto (vv. 31-32). Passa poi un samaritano, cioè un abitante della Samaria, e come tale disprezzato dai giudei perché non osservante della vera religione; e invece lui, proprio lui, quando vide quel povero sventurato, «ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite […], lo portò in un albergo e si prese cura di lui» (vv. 33-34); e il giorno dopo lo affidò alle cure dell’albergatore, pagò per lui e disse che avrebbe pagato anche tutto il resto (cfr v. 35).
A questo punto Gesù si rivolge al dottore della legge e gli chiede: «Chi di questi tre – il sacerdote, il levita, il samaritano – ti sembra sia stato il prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». E quello naturalmente - perché era intelligente - risponde: «Chi ha avuto compassione di lui» (vv. 36-37). In questo modo Gesù ha ribaltato completamente la prospettiva iniziale del dottore della legge – e anche la nostra! –: non devo catalogare gli altri per decidere chi è il mio prossimo e chi non lo è. Dipende da me essere o non essere prossimo - la decisione è mia -, dipende da me essere o non essere prossimo della persona che incontro e che ha bisogno di aiuto, anche se estranea o magari ostile. E Gesù conclude: «Va’ e anche tu fa’ così» (v. 37). Bella lezione! E lo ripete a ciascuno di noi: «Va’ e anche tu fa’ così», fatti prossimo del fratello e della sorella che vedi in difficoltà. “Va’ e anche tu fa’ così”. Fare opere buone, non solo dire parole che vanno al vento. Mi viene in mente quella canzone: “Parole, parole, parole”. No. Fare, fare. E mediante le opere buone che compiamo con amore e con gioia verso il prossimo, la nostra fede germoglia e porta frutto. Domandiamoci – ognuno di noi risponda nel proprio cuore – domandiamoci: la nostra fede è feconda? La nostra fede produce opere buone? Oppure è piuttosto sterile, e quindi più morta che viva? Mi faccio prossimo o semplicemente passo accanto? Sono di quelli che selezionano la gente secondo il proprio piacere? Queste domande è bene farcele e farcele spesso, perché alla fine saremo giudicati sulle opere di misericordia. Il Signore potrà dirci: Ma tu, ti ricordi quella volta sulla strada da Gerusalemme a Gerico? Quell’uomo mezzo morto ero io. Ti ricordi? Quel bambino affamato ero io. Ti ricordi? Quel migrante che tanti vogliono cacciare via ero io. Quei nonni soli, abbandonati nelle case di riposo, ero io. Quell’ammalato solo in ospedale, che nessuno va a trovare, ero io.
Ci aiuti la Vergine Maria a camminare sulla via dell’amore, amore generoso verso gli altri, la via del buon samaritano. Ci aiuti a vivere il comandamento principale che Cristo ci ha lasciato. E’ questa la strada per entrare nella vita eterna.
Angelus di papa Francesco, 10 luglio 2016

venerdì 1 luglio 2016

1191 - SOLIDARIETA' NELLE CITTA'


1190 - LA SORGENTE DELLA SALVEZZA

Ciò che vi dirò è necessario al vostro bene.
Vi parlerò, infatti, dell’inesauribile sorgen-te divina.
Però, per quanto sembri paradossale, vi dirò, non estinguete mai la vostra sete.
Così potrete continuare a bere alla sorgente della vita senza smettere mai di desiderarla.
È la stessa sorgente, la fontana dell’acqua viva che vi chiama a sé e vi dice: “Chi ha sete venga a me e beva”. È dunque il Signore. Il nostro Dio Gesù Cristo questa sorgente di vita che c’invita a sé perché noi beviamo.
Beve di lui chi lo ama. Beve di lui chi si disseta alla parola di Dio. Chi lo ama ardentemente e con vivo desiderio.
Beve di lui chi arde d’amore per la sapienza. Con tutta la forza del nostro amore, beviamo di lui che è la nostra sorgente; attingiamo da lui con tutta l’intensità del nostro cuore e gustiamo la dolcezza del suo amore.
(San Colombano abate, Istruzioni)

1189 - LE DONNE NELLA SOCIETA'


1188 - LA CHIESA

La chiesa deve collaborare ai doveri profani della vita sociale, non dominando, ma aiutando e servendo. Deve dire agli uomini di tutte le professioni che cosa è una vita con Cristo, che cosa significa «esserci-per-gli-altri». In modo particolare la nostra chiesa dovrà opporsi ai vizi della hybris, dell’adorazione della forza, dell’invidia e dell’illusionismo in quanto radici di tutti i mali. Dovrà parlare di misura, autenticità, fiducia, fedeltà, costanza, pazienza, disciplina, umiltà, sobrietà, modestia. Non dovrà sottovalutare l’importanza e il significato del «modello» umano (che ha origine nell’umanità di Gesù ed è così importante in Paolo!): non per il tramite dei concetti, ma nel «modello» la sua parola troverà risonanza e forza”.
(Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, pp. 463-64