Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 30 settembre 2011

596 - QUINTA DOMENICA DOPO IL MARTIRIO

La liturgia di questa domenica (Dt 6,4-12; Gal 5,1-4; Mt 22, 34-40) ci presenta, attraverso le letture, l’originalità del messaggio cristiano.
Quest’anima dello stile cristiano di vita è ottenuta sommando due testi dell’Antico Testamento. Il primo è a dimensione verticale ed è desunto dal celebre passo del Deuteronomio dello Shemà (Dt6) che costituisce la prima lettura ed è ancora oggi la più cara preghiera della pietà ebraica. “Ascolta”! nel senso biblico di gioiosa e spontanea adesione, di ascolto entusiasta e filiale obbedienza alla proposta principale di Dio, cioè la fede e l’amore in Lui e nella sua realtà unica: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. È una professione di fede in un solo Dio: una fede che impegna tutta la realtà dell’uomo. Non solo “ascolta”, ma “ guardati dal dimenticare il Signore” che ti ha dato la vita. Noi uomini siamo facili a dimenticarci dei doni ricevuti da Dio e ad attribuirli ad altre cause, quasi  ad altri dei!
La seconda proposta, rivolta verso il prossimo, è tratta dal libro del Levitico (19,18): “Amerai il prossimo come te stesso”. L’amore per Dio e quello per il prossimo sono accordati in un’ardita connessione paritetica: “il secondo è simile”, cioè è importante come il primo; anche se non identico è necessario quanto il primo.
A prima vista nella risposta di Gesù può sembrare che egli si allinei alla discussione spesso maniacale del giudaismo ufficiale che cercava di classificare i 613 precetti estratti e catalogati della Bibbia, riducendoli solo a due. In realtà l’atteggiamento di Gesù è radicalmente diverso e scardina ogni forma di legalismo. Infatti non vuole presentare due precetti fondamentali, ma piuttosto offrire la prospettiva di fondo con cui vivere l’intera Legge e dare l’atmosfera in cui ogni gesto, ogni risposta religiosa e umana debba essere collocata. Non è una casistica che a va scalare, ma è l’impostazione di una intera vita di fede. Non vuole imporre un codice, adempiuto il quale, l’uomo possa stare tranquillo, sicuro della salvezza, ma offrire un’impostazione radicale sotto la quale vivere ogni gesto, ogni impegno religioso e umano.
Per Cristo dimensione verticale (Dio) e orizzontale (prossimo) sono inestricabili, si incrociano e costituiscono l’”essere” cristiano totale e genuino. In questo modo l’uomo ritrova un’unità e una completezza che coinvolge “cuore”, cioè coscienza, “anima” (essere vitale), pensiero ed azione, in altre parole il “te stesso” del comando parallelo sul prossimo. L’amore non è quindi una semplificazione delle prescrizioni e dei comandamenti, ma è l’architrave che ricapitola e sostiene tutto l’agire cristiano che così cessa di essere una serie di obblighi e doveri estrinseci e diventa invece espressione di una scelta interiore e globale.
Anche san Paolo nella lettera ai Galati (seconda lettura odierna) ribadisce lo stesso concetto, attestando che già nelle prime comunità era certo che tutta la Legge trovava la sua pienezza in un solo precetto: “amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non solo, Paolo ci dice anche in forza di che cosa dobbiamo agire così: “Cristo ci ha liberati per la libertà!”; liberi di essere suoi figli, liberi di essere pienamente noi stessi, di essere suoi discepoli coerenti, con un ulteriore impegno: “un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta”(5,9).
Di questo ha bisogno la nostra Chiesa oggi: laici impegnati che siano il  lievito delle loro comunità.
Rinnovare i consigli pastorali ed economici della parrocchia o della comunità pastorale vuol dire aggregare laici che amano la loro comunità cristiana e desiderano farla camminare sempre più sullo stile della comunione-collaborazione e corresponsabilità per una Chiesa più vera e autentica. Oggi più che mai servono uomini e donne che hanno il coraggio di trasmettere quello che hanno a loro volta ricevuto: di essere un popolo che “Ascolta!” e vive di conseguenza. Uomini e donne che hanno il dono del “Consiglio”, molto importante per fare scelte adeguate e all’altezza dei tempi; scelte che dicono il nostro amore per Cristo e la sua Chiesa. Sì, la sua Chiesa, non quella che desideriamo o immaginiamo noi. Laici che si sentano protagonisti nel prossimo decennio nell’ “Educare alla vita buona del Vangelo” che significa in primo luogo farci discepoli del Signore Gesù, il Maestro che non cessa di educare a una umanità nuova e piena. Egli parla sempre all’intelligenza e scalda il cuore di coloro che si aprono a lui e accolgono la compagnia dei fratelli per fare esperienza della bellezza del Vangelo. La Chiesa continua nel tempo la sua opera: la sua storia bimillenaria è un intreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione. Annunciare Cristo, vero Dio e vero uomo, significa portare a pienezza l’umanità e quindi seminare cultura e civiltà.
In conclusione potremmo dire che la Chiesa oggi ha bisogno di uomini e donne che testimonino e aiutino le loro  comunità a testimoniare che l’anima del cristianesimo non è nella legge  e neppure nel culto fine  a se stesso ma nell’amore.
Un amore che ha anzitutto una dimensione verticale: “Amerai il Signore tuo Dio”. Un amore che coinvolge cuore, mente, anima, forze, cioè la vita intera e non un segmento di essa. Un amore che si traduce anche in conoscenza adeguata della sua Parola e del Magistero della Chiesa che aiuta ad incarnare questa Parola nel vissuto del quotidiano di ogni uomo.
Un amore che ha una dimensione orizzontale: “Amerai il prossimo come te stesso”, cioè in modo completo, spontaneo ed istintivo come ameresti te stesso. Un amore concreto, capace di far trasparire la profondità, la larghezza e la lunghezza del cuore di Cristo, verso ogni uomo che bussa alla porta delle nostre comunità.
Un amore che ha anche una sua meta: deve irradiarsi nella vita della Chiesa e del mondo e soprattutto deve emanare dall’Eucaristia e ad essa convergere per essere un amore veramente missionario. Un amore che oltrepassa le mura delle nostre sacrestie e raggiunga il cuore di ogni uomo che ricerca Dio.

595 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA OTTOBRE 2011

Generale: Per i malati terminali, perché nelle loro sofferenze siano sostenuti dalla fede in Dio e dall'amore dei fratelli
Missionaria: Perché la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale accresca nel Popolo di Dio la passione per l'evangelizzazione e il sostegno all'attività missionaria con la preghiera e l'aiuto economico alle Chiese più povere.

venerdì 23 settembre 2011

594 - IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DEL PRECURSORE

Il brano oggi proclamato introduce, di fatto, quello che viene comunemente indicato come il discorso sul “pane della vita” (Gv. 6,35-59) avviato dal grande “segno” compiuto da Gesù nello sfamare oltre cinquemila persone con “cinque pani d’orzo e due piccoli pesci” (v. 9) che un ragazzo, tra la folla, recava con sé.
Si comprende, perciò, come la folla cercasse Gesù inseguendolo al di là del lago di Tiberiade alla volta di Cafarnao (v. 24) e, una volta trovatolo, intesse con lui un dialogo che, secondo lo stile narrativo dell’evangelista Giovanni, è tutto orientato alla domanda conclusiva del v. 34: «Signore, dacci sempre questo pane» che provoca la parola di rivelazione: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35).
In una prima risposta (vv. 26-27) Gesù invita i suoi interlocutori, che lo seguono al fine di ricevere ancora cibo gratuito e abbondante (v. 26), a darsi da fare (= operate): «non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna» (v. 27).
Parole misteriose che riguardano un “alimento” certamente non materiale e che può essere dato soltanto dal “Figlio dell'uomo”, vale a dire dal Messia consacrato a Dio dal suo “sigillo”, ossia dal suo Santo Spirito (v. 27).
Esse provocano negli interlocutori un’ulteriore domanda riguardante cosa devono compiere per «fare le opere di Dio» e così ricevere il «cibo che rimane per la vita eterna». La risposta di Gesù è lapidaria: «che crediate in colui che egli ha mandato» (v. 29). L’“opera” dunque da fare è accogliere e prestare fede all’inviato di Dio come suo unico rivelatore, ossia allo stesso Gesù.
E' quanto comprendono gli interlocutori che sono disposti a credere in lui a patto però che faccia un “segno” che lo accrediti appunto come tale (v. 30). Di qui la citazione scritturistica del “segno” dato da Mosè che nel deserto, fa piovere dal cielo la manna come “cibo”, compresa anche al tempo di Gesù come figura del dono della Legge che è data a Israele come vero nutrimento quotidiano.
Gesù, a questo punto, conduce ancora più in alto il dialogo con la solenne affermazione introdotta dal duplice “In verità in verità io vi dico”, rivelando quale autore del dono del “pane dal cielo”, non un uomo per quanto grande come Mosè, ma Dio stesso e indicando nel segno del “pane” la persona stessa del suo Inviato (v. 33), incaricato non solo di nutrire Israele ma di “dare la vita” al mondo intero (v. 33).
Di qui la richiesta dei Galilei: «Signore dacci sempre questo pane» (v. 34) alla quale Gesù risponde con la solenne parola di auto-rivelazione: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35). Gesù pertanto non è solo in grado di ottenere da Dio il pane di vita eterna ma lui, in persona, è quel “pane”!
È questa la “testimonianza” che accogliamo oggi dalla parola di Dio e che come comunità del Signore, ma anche come singoli credenti, dobbiamo saper trasmettere. Gesù, l’inviato dal Padre, il rivelatore del suo volto, è il pane di vita e di salvezza dato da Dio al mondo. Egli è la concreta risposta che, ieri come oggi, Dio dà all’umanità avvilita e umiliata dal potere del male e che a lui grida: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Lettura: Isaia 63,19b).
Gesù è disceso dal cielo, è venuto dal Padre per strapparci al potere del male che fa dell’intera umanità, secondo la parola profetica, «una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento» (Isaia 64,5).
Gesù “pane di vita” è ora offerto e donato al mondo nell’attuazione liturgica della sua croce, vale a dire del suo sacrificio pasquale. Con esso egli ha posto fine ai sacrifici materiali dell’antica alleanza entrando «una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri o di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Epistola: Ebrei 9,12).
Il segno perenne del suo sacrificio redentivo è il “pane eucaristico” che viene imbandito sull’altare perché chi crede ne mangi per avere fin da ora la “vita eterna” che è comunione con la vita divina. Si comprende, perciò, come sia decisivo per tutti i membri della Chiesa «restare in comunione con Cristo, nostro capo, nella fede e nelle opere» per poter «ritrovarci tutti partecipi della felicità eterna» (Orazione Dopo la Comunione) già sperimentata nel mistero eucaristico del “ pane di vita”.
Alberto Fusi

mercoledì 21 settembre 2011

593 - «CONTRO LA FAME CAMBIO LA VITA»

O Dio onnipotente ed eterno,
nostro creatore e sostegno,
che provvedi alle nostre necessità e prometti la vita in pienezza;
o Buon Pastore, che ci guidi ai buoni pascoli anche nel deserto;
Ti chiediamo di venire in nostro aiuto.
Perdonaci per il modo in cui abbiamo trattato
la buona terra che tu hai creato;
perdonaci per il modo in cui non abbiamo condiviso
le risorse che ci hai donato,
e così oggi alcuni hanno così tanto ed altri così poco;
perdonaci per tutte le volte in cui siamo stati indifferenti
alle necessità di coloro che sono
ai margini del nostro mondo.
Ti invochiamo per quanti non hanno cibo e acqua
per sé e per le proprie famiglie;
ti invochiamo per quanti cercano disperatamente
l’acqua e il foraggio per i loro animali;
ti invochiamo per coloro i cui campi sono inariditi
e i cui raccolti sono andati persi;
ti invochiamo per quanti piangono i propri cari.
Abbi pietà di noi, Signore,
abbi pietà di questa terra arida e polverosa;
dona la pioggia alle popolazioni che l’attendono,
abbi cura di chi è nel bisogno,
soprattutto nell’Africa Orientale che soffre per la carestia.
E muovi i cuori del Tuo popolo perché possiamo donare
noi stessi e almeno qualcosa delle ricchezze
che ci hai dato in modo che anche altri possano
mangiare, bere e dormire in pace questa notte
sapendo che il loro futuro è sicuro nelle Tue mani.
Te lo chiediamo per Gesù Cristo nostro Signore. Amen
(Robert Martin, Christian Aid)
.
La fame di chi non ha il cibo è anche un segno che ci invita a ripensare alla nostra vita e a ciò di cui abbiamo fame davvero. Ed è intorno a questa idea che ruota la campagna «Contro la fame cambIO la vita», promossa dal Centro missionario Pime di Milano in occasione dei suoi 50 anni.
A questo tema è dedicato anche il servizio speciale del numero di ottobre di Mondo e Missione. Per saperne di più: www.cambiolavita.it

domenica 18 settembre 2011

592 - STORIA DI UN UOMO


Giovedì 15 settembre presso il Centro San Fedele c’è stata la presentazione del libro “Storia di un uomo, ritratto di Carlo Maria Martini”, scritto dal vaticanista Aldo Maria Valli, per ricordare il nostro arcivescovo emerito, che ha segnato la storia di tanti di noi. 

In una sala affollatissima, il primo intervento della serata è stato di Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera, che ha curato la prefazione del libro, e ha sottolineato il valore del libro, che presenta in modo sobrio ed essenziale la figura dell’arcivescovo di Milano, la sua umanità, il suo impegno, i suoi sacrifici, le difficoltà che ha incontrato, arrivando come vescovo di Milano, in una città segnata dalla violenza, dal terrorismo, da una profonda crisi sociale e di valori. “Si era persa la speranza di una rinascita del paese, e Martini invece parlava di speranza, credeva nella speranza, cercava di mantenere un dialogo costante con i suoi fedeli e con la società. In quegli anni bui trasmise la speranza e il dovere di agire. Ci mancava la forza della parola e la consapevolezza che comportandoci da buoni cristiani avremmo superato quel periodo difficile”.
Con Martini abbiamo imparato ad avere un rapporto diverso con gli altri, anche con i diversi (esempio i lontani, i non credenti).
Martini ci ha insegnato ad avere coraggio, a non aver paura dell’opinione degli altri, perché la verità va cercata e coltivata come abitudine morale personale.
Un altro grande insegnamento che ci ha lasciato il nostro arcivescovo nei 22 anni di ministero tra noi è stato quello di mettere al centro e rispettare la persona, ci ha aiutato a non aver paura di confrontarci con gli altri. Nel dialogo con gli altri c’è uno dei messaggi più importanti che Martini ci consegna, insieme al messaggio che la solidarietà non è espressione di debolezza.

Successivamente ha preso la parola Padre Bartolomeo Sorge, che ha ricordato i momenti di vita comuni a Roma con Martini, quando era rettore dell’Istituto Biblico, vivendo le difficoltà del post concilio.
Secondo Sorge, Martini è un uomo che realizza un triplice livello di umanità:
- è un uomo della parola di Dio, non si può infatti capire la sua visione sociale senza la Bibbia. Spesso Martini afferma: “La Bibbia mi ha reso un uomo libero”. Martini è un uomo spirituale, che ha fatto esperienza profonda di Dio. La scuola della Parola, per la quale accorrevano in Duomo migliaia di giovani, è stata la trasmissione agli altri della ricchezza della Parola di Dio, quella parola che ci rende uomini di ampie vedute e allarga i nostri orizzonti.
- è un uomo della chiesa del Concilio, che non ha paura di denunciare i tentativi di frenare l’applicazione del Concilio. Per lui il Concilio ha significato “uscire finalmente da una atmosfera che sapeva un po’ di muffa, e si aprivano le finestre e le porte, e circolava l’aria pura, si guardava al dialogo con altre realtà”. Le crisi del post concilio non possono cancellare la grandezza del Concilio.
- è un uomo del nostro tempo, che ha fiducia nell’uomo contemporaneo. Per lui l’umanità si divide in “uomini pensanti” e “uomini non pensanti” (passando oltre la divisione “credenti” e “non credenti”), e ha saputo essere un punto di riferimento anche per i non credenti, traducendo la luce del Vangelo in termini comprensibili per tutti, basta che siano pensanti.
Martini, che ha sperimentato la forza rivoluzionaria della parola di Dio, ha saputo parlare a tutti, ci invia a lasciarci animare da una profonda speranza e una profonda passione per il regno.

Ha poi preso la parola l’autore del libro, il giornalista Aldo Maria Valli, che ha ricordato con emozione alcuni incontri, sia professionali che personali, con Martini, sottolineando la grande sensibilità del cardinale, la sua curiosità nei confronti degli altri, il suo sapersi porre in cammino con discrezione in mezzo agli altri, condividendone gioie e dolori.
Valli ha sottolineato come la fiducia è la parola chiave dell’insegnamento di Martini, fiducia in Dio e nelle sue creature, che l’arcivescovo non ha solo predicato, ma prima ancora praticato e vissuto.
Ci lascia tanti insegnamenti, in primo luogo quello di sognare in grande, il sogno di una chiesa collegiale che parla dei temi forti dell’umanità, e che si confronta con il mondo contemporaneo senza timore.
Carlo Maria Martini è un uomo che abbiamo sentito sempre vicino, che ci ha messo in guardia dall’ignavia di chi non prende posizione e che ci ha trasmesso la sua passione per l’uomo e per la giustizia.  
(Daniela)

STORIA DI UN UOMO, di Aldo Maria Valli, ed. ANCORA, 16 euro

591 - COLLETTA DELLA CHIESA ITALIANA PER IL CORNO D'AFRICA

La carestia nel Corno d’Africa rischia di diventare una catastrofe umanitaria dimenticata. La guerra in Libia, le rivolte a Damasco, la crisi economia e finanziaria in Europa e negli Stati Uniti hanno distratto l’attenzione della comunità internazionale e del nostro paese da un’emergenza che al momento coinvolge 12,4 milioni di persone.
Per questa ragione, dopo gli appelli del Pontefice e dei vescovi italiani, anche Caritas Ambrosiana, mentre aderisce alla colletta nazionale promossa dalla Conferenza episcopale italiana il 18 settembre, invita a non dimenticare i fratelli e le sorelle afflitti dalla carestia in quel vasto territorio che si estende dal Kenya al Sudan, dalla Somalia all’Uganda.
In questa regione, la scarsità e l’irregolarità delle piogge dell’autunno scorso - unite ad altri fattori quali la crescente desertificazione di alcune aree, i limitati investimenti nelle politiche agricole - hanno portato ad una allarmante scarsità di scorte alimentari, a una riduzione dei pascoli per gli animali, a una drammatica mancanza di acqua potabile. Alla denutrizione della popolazione si sono aggiunti il peggioramento delle condizioni igienico sanitarie e il rischio del diffondersi di epidemie tra le fasce più deboli e nelle aree più colpite. In particolare torna ad affacciarsi l’incubo del colera.
Sin dai primi giorni di luglio Caritas Ambrosiana, d’intesa con Caritas Italiana, Caritas Internationalis sta seguendo l’evoluzione della situazione e, attraverso fondi propri e le donazioni dei fedeli, sta facendo la sua piccola parte per finanziare un vasto piano di interventi realizzato dalle Caritas nazionali in Somalia, Gibuti, Kenia, Etiopia, Eritrea, i paesi più colpiti e dove già da anni erano in corso degli interventi. Interventi di entità diversa a seconda dei contesti nazionali in cui si opera e delle capacità organizzative dei partner locali, ma che consentono sempre di dare una riposta certa ai bisogni reali della popolazione.
In particolare, Caritas Somalia, nonostante sia una realtà piccola, è riuscita distribuire viveri (riso, farina, zucchero, datteri, olio) a soggetti particolarmente vulnerabili. In una zona a circa 200 chilometri a sud di Mogadiscio, assiste 515 famiglie sfollate (costo al mese dell’intervento 26.084 dollari); in altre aree del sud del Paese aiuta 2.730 bambini delle scuole elementari (costo al mese 13.300 dollari). È inoltre impegnata nella costruzione di un ambulatorio in una zona agricola, a 30 chilometri dalla capitale, dove vivono molte famiglie sfollate dalla guerra e dalla siccità (costo per la costruzione 56.571 dollari, per spese di gestione 12.000 all’anno). All’interno di Mogadiscio assiste oltre un migliaio di famiglie sfollate nei campi profughi (costo al mese 52.700 dollari).
Nel piccolo stato di Gibuti, la Caritas distribuisce viveri e acquista medicinali per gli abitanti della capitale e di altre quattro località (Ali Sabieh, Obock, Arta e Tadjourah. (costo totale per 6-9 mesi 50mila dollari).
In Kenya la Caritas ha implementato un piano complessivo di emergenza e riabilitazione in 14 diocesi, su 16, con un budget totale di 3.959.919 euro, della durata di 8 mesi destinato a 30.420 famiglie, attraverso un programma di assistenza alimentare e approvvigionamento idrico. In particolare distribuisce razioni alimentari a 9.220 famiglie nelle sette diocesi dove la crisi è più acuta (Marsabit, Lodwar, Garissa, Isiolo, Maralal, Ngong e Nakuru).
In Etiopia, la Caritas locale in collaborazione con le altre Caritas estere presenti nel Paese, sta lavorando in 5 diocesi (Adigrat, Harar, Hosonna, Meki, Soddo) nella zona Nord-Est e Centro-Sud con un piano d’intervento della durata di 8 mesi in favore di 65.120 beneficiari.
Per sostenere gli interventi in corso:
- donazione diretta presso l'Ufficio Raccolta Fondi in via S.Bernardino, 4 a Milano (orari: dal lunedì al giovedì dalle ore 9.30 alle ore 12.30 e dalle ore 14.30 alle ore 17.30 e il venerdì dalle ore 9.30 alle ore 12.30)
- conto corrente postale n. 13576228 intestato a Caritas Ambrosiana ONLUS
- conto corrente bancario presso l'ag. 1 di Milano del Credito Artigiano e intestato a Caritas Ambrosiana ONLUS IBAN IT16 P 03512 01602 000000000578
- Tramite carte di credito donazione telefonica: chiamando il numero 02.76.037.324 in orari di ufficio (vedi sopra)
Causale: Emergenza Corno d'Africa 2011
L'offerta è detraibile fiscalmente.
Caritas Ambrosiana

sabato 17 settembre 2011

590 - TERZA DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DEL PRECURSORE

Il brano di Luca 9,18-22 è immediatamente preceduto dal racconto dell’invio missionario dei Dodici e della moltiplicazione dei pani (Luca 9,1-17) ed è seguito dall’insegnamento su cosa significhi essere discepoli del Signore (Luca 9,23-27).
Tutta la sezione intende condurre a una più profonda conoscenza di Gesù a partire proprio dal nostro testo che riporta le parole con cui Pietro riconosce in Gesù il Messia (vv. 18-20) e quelle con cui Gesù annuncia, per la prima volta, la sua passione e morte (vv. 21-22).
Il riconoscimento di Pietro è però preceduto dall’importante precisazione che esso avviene mentre Gesù «si trovava in un luogo solitario a pregare» (v. 18). L’evangelista Luca ama collocare gli avvenimenti più significativi che vedono Gesù come protagonista nel contesto della preghiera, cosa questa, da annotare da parte di coloro che intendono farsi suoi discepoli.
In un primo momento Gesù chiede ai discepoli: «Le folle, chi dicono che io sia?» ottenendo, in pratica, la stessa risposta che veniva data al re Erode incerto su cosa pensare di Gesù (Luca 9,7). Nell’“opinione” corrente tra il popolo Gesù sarebbe Giovanni il Battista, o Elia, o «uno degli antichi profeti che è risorto» (v. 19)
Ora la domanda è direttamente rivolta ai discepoli che Gesù sta preparando a diventare i futuri capi della sua comunità: «Ma voi, chi dite che io sia?». La risposta è data da Pietro che dovrà assumere un ruolo speciale nel gruppo stesso dei discepoli e dei Dodici: «Il Cristo di Dio» (v. 20) ovvero riconosce in Gesù “l’unto di Dio” e, dunque, il Messia annunziato e promesso da Dio e la cui venuta era particolarmente tenuta desta in Israele al tempo di Gesù.
Luca omette l’ampia replica di Gesù riportata in Matteo 16,17-19 e subito passa a chiarire come dovrà essere riconosciuto Gesù nella sua identità messianica. Un Messia non certo trionfante ma “sofferente”. Di qui la prima predizione della sua passione (v. 22) nella quale Gesù si attribuisce il non immediatamente comprensibile titolo di “Figlio dell’uomo” di origine profetica (cfr. Ezechiele 2,1.3ss. e Daniele 7,13) che contraddistingue proprio il Messia sofferente ma anche il Giudice della fine dei tempi.
Con i due verbi che dicono “sofferenza” e “rifiuto” viene annunziato senza ambiguità di sorta cosa attende il Messia secondo i misteriosi disegni divini di salvezza indicati nel verbo “deve”! Sono anche individuati negli “anziani”, nei “capi dei sacerdoti” e negli “scribi” ovvero nei componenti il Sinedrio che aveva competenza in materia religiosa per tutti i Giudei, gli autori delle molte sofferenze e del doloroso “rifiuto” del Messia da parte del suo popolo. Il culmine delle sofferenze è raggiunto con la “morte” del Cristo destinato però alla risurrezione “il terzo giorno”.
Il peculiare contesto liturgico nel quale è proclamato porta a evidenziare, nel brano evangelico, il riconoscimento ovvero la “testimonianza” resa da Pietro a Gesù e che deve portarci a fare altrettanto riconoscendo e testimoniando nella nostra vita con la parola e il comportamento che Gesù è “il Cristo” di Dio.
Tutte le divine promesse riguardanti Israele e, in esso, tutti i popoli della terra, si sono avverate nella venuta nel mondo di Gesù, il Figlio, come Messia potente. è lui in verità la “radice di Iesse” che il Profeta dice sarà come «un vessillo per i popoli» e che «le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa» (Lettura: Isaia 11,10).
E' lui la “mano” con la quale Dio riscatterà il suo popolo. è lui, in persona, nell’ora della croce, il “vessillo” che Dio alzerà «tra le nazioni e raccoglierà gli espulsi d’Israele; radunerà i dispersi di Giuda dai quattro angoli della terra» (v. 12).
Non diversa è la testimonianza che Paolo offre di Cristo «venuto nel mondo per salvare i peccatori» dei quali egli si ritiene “il primo”. In lui, prima «un bestemmiatore, un persecutore, un violento» (Epistola: 1Timoteo 1,13), Gesù ha dimostrato «tutta quanta la sua magnanimità» facendo di Paolo un «esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna» (v. 16). La celebrazione eucaristica memoriale attuativo della morte e risurrezione del Signore è il luogo dove ci è dato di “riconoscere” Gesù, di professare la nostra fede in lui e di testimoniare che la salvezza e la riconciliazione sono stabilite proprio in colui che ha subito “molte sofferenze”.
Essa è pure il luogo dove impariamo cosa comporti in concreto la sequela del Signore come “discepoli”: accettare di seguirlo nella via della sofferenza, della morte e persino del “rifiuto”. In tal modo la comunità dei discepoli, la Chiesa, diviene quel “vessillo” attorno al quale tutti sono chiamati a radunarsi per ottenere vita e salvezza.
(A. Fusi)

martedì 13 settembre 2011

589 - PREGHIERA

.
Cristo, so di essere amato
per quello che è propriamente mio:
la mia povertà:
e sento il bisogno di amare
per quanto in proporzione
mi venne e mi viene ogni giorno perdonato. 
Credo nell’inestimabile dono della libertà,
che illumina ma non costringe.
so di portare dentro la presenza,
il fermento di una speranza
che va al di là della brevità della nostra giornata.
 Sento che la vita ha un ordine di sacrificio
a cui non si può rifiutare,
senza sentirsi colpevoli;
la vita è un dovere, la vita è un costo,
la vita è un impegno,
la vita bisogna guadagnarsela.
Primo Mazzolari

venerdì 9 settembre 2011

588 - LA SECONDA DOMENICA “DOPO IL MARTIRIO” DEL PRECURSORE

Il brano di Giovanni 5,19-24fa seguito al racconto della guarigione di un paralitico operata da Gesù presso la piscina Bethesda, “in giorno di sabato” (Giovanni 5,1-9) e la conseguente diatriba con i “giudei” a motivo proprio del sabato (5,10-18) legato, come si sa, al “riposo” secondo la prescrizione della Legge.
Sono qui riportati alcuni versetti del più ampio discorso di “rivelazione” sul Figlio (vv. 19-47) considerato come colui che “opera” poiché “il Padre mio opera sempre” (v. 17).
In un primo punto (vv. 19-20) a quanti gli contestano la guarigione del paralitico in giorno di sabato e soprattutto la pretesa di farsi uguale a Dio Gesù risponde (v. 19) con la solenne affermazione riguardante la sua condizione di Figlio, il quale in tutto ciò che dice e fa non lo dice e lo fa da sé stesso ma tenendo costantemente rivolto il suo sguardo al Padre e, dunque, al suo agire.
Viene inoltre detto che il motivo profondo di una tale sintonia tra l’agire del Padre e del Figlio risiede nel fatto indicibile dell’“amore” del Padre verso il Figlio: “Il Padre infatti ama il Figlio” (v. 20) e perciò a lui manifesta ogni cosa e tra queste la sua intenzione di operare non solo cose grandi come quella della guarigione del paralitico, bensì “opere ancora più grandi” come subito viene detto al v. 20.
In un secondo punto (vv. 20-23) vengono elencate le “opere ancora più grandi” che consistono essenzialmente nel potere di dare la vita ai morti (v. 21) e nel potere di ”giudicare” (v 22).
Queste stesse “opere più grandi” sono dunque partecipate anche al Figlio, il quale è in grado letteralmente di risuscitare i morti come in effetti avverrà nella risurrezione di Lazzaro, nella quale si fa evidente che in lui agisce il medesimo potere di Dio di dare la vita, di richiamare alla vita, come “segno” della possibilità per l’uomo di avere in sé la “vita”, quella “eterna” che è partecipazione alla comunione con la vita divina.
Una simile risurrezione e il dono della vita Gesù la dona anzitutto a livello fisico ma come annuncio di una risurrezione alla “vita eterna” una volta liberato l’uomo dai lacci funerei dell’incredulità e del peccato.
Se il dono della risurrezione e della vita è detenuto dal Padre e dal Figlio sembra di capire al v. 22 che l’“opera” del “giudizio” è stata invece messa totalmente nelle mani del Figlio. Si comprende così come “avere la vita” equivale ad accogliere con fede il Figlio, mentre chi non lo accoglie va incontro al “giudizio” di condanna e, dunque, di rovina perenne. è necessario perciò “onorare” il Figlio alla pari con il Padre (v. 23) anche perché è il Figlio il rivelatore del Padre e a lui va dunque prestata fede per poter risalire a Dio, il Padre.
Il brano si chiude al v. 24 sintetizzando la precedente rivelazione con la solenne esortazione di Gesù ad “ascoltare” la sua parola. Perciò possiede la vita eterna, non va incontro alla condanna e, di fatto, vive già ora la condizione definitiva contrassegnata dal passaggio “dalla morte alla vita” colui che ascoltando, ossia accogliendo la Parola del Signore Gesù, di fatto pone la sua fede in Dio, il Padre, che ha “inviato” il Figlio nel mondo proprio perché il mondo si salvi.
Proclamato in questa seconda domenica dopo il martirio del Precursore che ha indicato Gesù come il Messia, il Giudice, l’Agnello di Dio, il testo evangelico sottolinea il mistero di Cristo come Figlio Unigenito al quale il Padre ha confidato le opere sue più grandi: richiamare in vita i morti e operare il “giudizio”.
Alla luce di ciò leggiamo la pagina profetica di Isaia, nella quale Dio, rivolgendosi al suo popolo, proclama: «il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore» (Lettura: Isaia 60,19b). In effetti con la venuta nel mondo del Figlio Unigenito è entrata nel mondo la “luce” che ha rivelato il mistero e il volto invisibile del Padre proprio nel Figlio che è lo “splendore” del Padre.
L'apostolo Paolo vede concretamente avverata nella risurrezione del Signore considerato quale “primizia di coloro che risorgono dai morti” (Epistola: 1Corinzi 15,17-28) quanto era stato profeticamente annunziato: «Il tuo popolo sarà tutto di giusti, per sempre avranno in eredità la terra, germogli delle piantagioni del Signore, lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria» (Isaia 60, 21).
La celebrazione eucaristica, dal canto suo, è il momento in cui ci è dato di guardare il “volto” di Dio nel suo Figlio che ripresenta, nel mistero, lo splendore della sua croce, annunzio certo della nostra partecipazione anche alla sua risurrezione. In essa si realizza la beatitudine proclamata nel ritornello al Salmo 88: «Beato il popolo che cammina alla luce del tuo volto» e che esige di condurre nella vita di ogni giorno l’illuminazione ricevuta nel mistero.
A. Fusi

domenica 4 settembre 2011

587 - GRAZIE DIONIGI !


La parrocchia di San Gerolamo Emiliani si unisce al ringraziamento e alla preghiera per il cardinale Tettamanzi.
Per l’arcivescovo Dionigi, che per nove anni ha servito la Chiesa di Milano con generosa dedizione. Ricolmalo della tua grazia e accompagnalo con il tuo aiuto e con l’aperta riconoscenza di tutti i fedeli ambrosiani. Noi ti preghiamo.
Ascoltaci, Signore.

Giovedì 8 settembre, con la celebrazione della Messa nella Solennità della Natività della Beata Vergine Maria alle 20.30 in Duomo, la Chiesa ambrosiana saluterà ufficialmente il cardinale Dionigi Tettamanzi, che dopo nove anni di episcopato lascerà la guida della Diocesi al cardinale Angelo Scola, eletto nuovo Arcivescovo il 28 giugno scorso.
Tutti i fedeli – e non solo – della Diocesi di Milano sono invitati a partecipare a questo semplice, ma importante momento di saluto e ringraziamento. Non servono biglietti o prenotazioni, la partecipazione è libera fino a che la capienza del Duomo lo consentirà.
Per esprimere riconoscenza al cardinale Tettamanzi - oltre che con la preghiera -, il Consiglio episcopale milanese ha deciso di proporre una raccolta straordinaria a favore del Fondo Famiglia Lavoro, che terminerà la sua funzione il prossimo 31 dicembre, ma che ha ancora molte richieste da evadere per venire incontro a situazioni di grande bisogno. Attendono il contributo ancora molte famiglie: perciò servono nuove risorse. La donazione al Fondo quale gesto concreto di riconoscenza al cardinale Tettamanzi può essere effettuata:
- con versamento su conto corrente bancario Agenzia 1 di Milano del Credito Artigiano, Iban IT 03Z0351201602000000002405, intestato ad Arcidiocesi di Milano (causale: Grazie Dionigi);- con versamento su conto corrente postale numero 312272, intestato ad Arcidiocesi di Milano (causale: Grazie Dionigi).

venerdì 2 settembre 2011

586 - LA PRIMA DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DEL BATTISTA

Questa domenica imprime, come sappiamo, una prima svolta nel Tempo “dopo Pentecoste”, ponendo in luce nella vita e nel martirio del Precursore del Signore, il dono e la responsabilità di un’autentica testimonianza di fede che la Chiesa, colma della grazia della Pasqua ad opera dello Spirito Santo, è chiamata a dare a tutti tramite tutte le sue “membra”.
Le lezioni scritturistiche offerte dal Lezionario ambrosiano sono: Lettura: Isaia 65,13-19; Salmo 32; Epistola: Efesini 5,6-14; Vangelo: Luca 9,7-11.
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Il brano evangelico di Luca 9,7-11 si presenta diviso in due parti: vv. 7-9 e vv.10-11. I vv. 7-9 riferiscono gli interrogativi del “re” Erode Antipa a proposito del clamore suscitato tra le popolazioni della Galilea a lui soggetta dall’attività “missionaria” di Gesù narrata dall’Evangelista (cfr. Luca 8,26-56) e da quella dei Dodici da lui incaricati di «annunziare il regno di Dio e di guarire gli infermi» (Luca 9,2), cosa che essi compiono con successo andando «di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni» (v. 6) mostrando in tal modo la reale consistenza del Regno stesso.
Si comprende così la perplessità e l’interesse di Erode circa “tutti questi avvenimenti” (v. 7) legati all’attività dei Dodici e soprattutto di Gesù. Egli cerca di farsi un’idea su tale attività raccogliendo le opinioni correnti tra il popolo su Gesù che, tra l’altro, pensa possa essere Giovanni il Battista risorto dai morti, ucciso proprio da Erode al quale rimproverava la condotta perversa contraria alla Legge di Dio. Altri vedono avverata in Gesù la profezia del ritorno di Elia alla fine dei tempi ovvero lo vedono come “uno degli antichi profeti” tornato in vita.
Proprio Erode, che confessa apertamente di averlo fatto decapitare in carcere (Cfr. Marco 6,17-29 e Matteo 14,3-12), esclude categoricamente che Gesù sia in realtà Giovanni redivivo. Di qui la domanda assillante: ”chi è dunque costui” (v. 9) che lo spinge a cercare di conoscerlo e di incontrarlo, cosa questa che si verificherà nell’ora tragica della passione del Signore, allorché il governatore romano Ponzio Pilato, avendo appreso la provenienza di Gesù dalla Galilea, lo mandò proprio a Erode che di quella terra era il “re” (Luca 23,6-10).
Al v. 10 il racconto si riallaccia alla citata attività missionaria degli apostoli che, una volta conclusa, li vede intenti a riferire a Gesù «tutto quello che avevano fatto» compiendo fedelmente il mandato da lui ricevuto. Viene inoltre sottolineata la premurosa attenzione di Gesù nei confronti dei missionari invitati a stare un po’ in disparte insieme a lui.
Il brano si conclude al v. 11 con l’accorrere delle folle intono a Gesù provocando in lui un vivo sentimento di “accoglienza” e una grande disponibilità a prendersi cura di esse mediante l’annunzio del “regno di Dio” e la guarigione di «quanti avevano bisogno di cure».
Se, com’è necessario, si tiene legati il brano odierno ai versetti che lo precedono immediatamente: 1-6, va sottolineato l’intento dell’evangelista di far risalire a Gesù stesso l’individuazione e l’incarico missionario ai Dodici nel quale si può intravedere il loro futuro compito di guida della comunità dei credenti e di predicatori del Vangelo del Regno quando per Gesù verrà l’ora di tornare al Padre con la sua morte e risurrezione.
Lo stesso evangelista, inoltre, mette in luce come essi agiscono con l’autorità data da Gesù, l’autorità che Gesù possiede e dimostra di avere nella predicazione del Regno autorevolmente avvalorata dalle “guarigioni”.
Proclamato nel tempo liturgico delle “domeniche e settimane dopo il martirio di san Giovanni il Precursore”, prende particolare rilievo nel brano odierno il riferimento alla figura e all’opera del Battista che è l’ultimo dei grandi profeti dell’Antica Alleanza incaricato di annunziare e di dare testimonianza a colui che viene ad adempiere concretamente le promesse di Dio al suo popolo, ovvero a Gesù.
Promesse trasmesse per bocca degli antichi profeti come Isaia, che annunzia a nome di Dio: «Io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare» (Lettura: Isaia 65,17-18).
In effetti, con la sua venuta nel mondo il Signore Gesù ha inaugurato “i nuovi cieli e la nuova terra”, vale dire ha introdotto effettivamente il regno di Dio che lui stesso ha predicato e che i suoi apostoli hanno diffuso su tutta la terra. Il Precursore del Signore con la sua vita e la sua parola ha dato fedele testimonianza alla novità del Regno con l’offerta della sua stessa vita.
Sulla sua scia siamo tutti esortati ad annunziare e a testimoniare che in Gesù sono apparsi davvero “i nuovi cieli e la nuova terra” e che, in realtà lui, in persona, è il regno di Dio. La nostra testimonianza sarà autentica se, consapevoli d'essere diventati per la fede e per i sacramenti pasquali “luce nel Signore” (Epistola: Efesini 5,8), ci comporteremo effettivamente come “figli della luce” portando “il frutto della luce” che consiste “in ogni bontà, giustizia e verità” (vv. 8-9).
(A. Fusi)

giovedì 1 settembre 2011

585 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA SETTEMBRE 2011

Generale: Per tutti gli insegnanti, affinché sappiano trasmettere l'amore alla verità ed educare agli autentici valori morali e spirituali.

Missionaria: Perché le comunità cristiane sparse nel continente asiatico proclamino il Vangelo con fervore, testimoniandone la bellezza con la gioia della fede.

Il popolo asiatico è un popolo per sua natura religioso. Sul suolo del continente hanno messo radici, fin dai tempi più antichi, tradizioni millenarie che raccolgono aspetti della saggezza religiosa di tutti i tempi. Paradossalmente, proprio nel continente dove è iniziata la storia della salvezza, la figura di Cristo rimane del tutto sconosciuta in molti ambienti. Non possiamo poi dimenticare che nel continente asiatico vivono due terzi degli abitanti della terra. Solo Cina e India raccolgono quasi la metà della popolazione mondiale.
Sebbene la Chiesa guardi con grande rispetto alle altre tradizioni religiose del continente, la Sposa di Cristo ha ben chiaro che non può non offrire a tutti gli uomini il dono inestimabile di Cristo, che ha ricevuto come dono del Padre per la salvezza tutti. E' necessario che il nome di Cristo sia proclamato come l'unico nome che ci può salvare. Insieme al lieto annuncio del Vangelo, la testimonianza di vita dei cristiani è stata e sarà sempre la principale causa di conversione alla fede. Ci sono due aspetti particolari che il Santo Padre evidenzia nell'intenzione missionaria di questo mese: la gioia della fede e la bellezza. Entrambi si riferiscono a due aspirazioni profonde del cuore dell’uomo. Ogni uomo desidera essere felice, e in mezzo alle difficoltà della vita quotidiana e delle sofferenze che ognuno si trova a dover affrontare, l'amicizia con Cristo vissuta nella fede procura una gioia profonda che supera la gioia limitata di questa terra. In secondo luogo, la bellezza. E' diventata celebre la frase di Dostoevskij: “la bellezza salverà il mondo”. Nulla è più bello dell'amore, che si è manifestato a noi in Cristo crocifisso, e del quale danno una chiara testimonianza molti missionari che hanno dedicato la loro vita al servizio dei più poveri.
Soltanto pochi giorni fa, il Santo Padre Benedetto XVI ha detto ad una folla entusiasta di giovani, riuniti a Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù: “Se rimarrete nell’amore di Cristo, radicati nella fede, incontrerete, anche in mezzo a contrarietà e sofferenze, la fonte della gioia e della felicità. La fede non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li perfeziona. Cari giovani, non conformatevi a qualcosa che sia meno della Verità e dell’Amore, non conformatevi con qualcuno che sia meno di Cristo”. (Veglia di preghiera, 20/08/2011). Questo è l'annuncio gioioso della Chiesa, che si deve continuare ad offrire anche in Asia.
Nella stessa circostanza, il Papa ha sottolineato: “Precisamente oggi, in cui la cultura relativista dominante rinuncia alla ricerca della verità e disprezza la ricerca della verità, che è l’aspirazione più alta dello spirito umano, dobbiamo proporre con coraggio e umiltà il valore universale di Cristo, come salvatore di tutti gli uomini e fonte di speranza per la nostra vita”.
La gioia della fede e la testimonianza della bellezza attraverso la carità, continueranno a far nascere in molti cuori il desiderio di Dio, di una conoscenza della fede che rende felici, perché ci rende capaci di amare.