Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 31 gennaio 2015

1038 - IV DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

La scena di Luca 8,22-25 è drammatica. Leggendola non è difficile per ciascuno di noi ricordare giorni e situazioni in cui ci sembrava che Gesù “dormisse” mentre una tempesta si abbatteva sulla nostra vita. Un gesto usuale per dei pescatori si trasforma in tragedia: e Gesù dov’è? Da questo sgomento nasce la preghiera. è da notare la diversità delle preghiere nei Vangeli sinottici; Matteo fa dire ai discepoli: «Signore, salvaci!»; in Marco c’ è quasi un rimprovero: «Maestro, non t’importa che moriamo?»; Luca riferisce lo spavento: «Maestro, maestro, siamo perduti!».
Ognuno di noi ricorda che queste preghiere diverse sono affiorate molte volte sulle nostre labbra. Nella bufera, ognuno ha il suo modo di rivolgersi a Dio: ciò è giusto perché non esiste una preghiera che vada bene in ogni situazione. Ci viene anche insegnato che il momento della prova è un momento privilegiato per la preghiera; può essere una preghiera difficile, ma sempre capace di introdurre, con pazienza, alla comprensione vera e profonda dei momenti duri. Val la pena di sottolineare un altro aspetto: Gesù prima compie il gesto di sedare le acque e poi apostrofa i discepoli che rimangono pieni di paura, di stupore e di domande.
Questo particolare non è secondario. Stiamo vivendo il tempo dell’Epifania, cioè della manifestazione di Gesù come Figlio di Dio e Salvatore; anche per noi la manifestazione di Gesù, così come per i discepoli sul lago, dovrebbe creare scompiglio, stupore e anche paura. Prendere sul serio Gesù crea situazioni diverse e nuove in ciascuno, ma tutte hanno la medesima caratteristica: la fede non è solo certezza ma anche apprensione e domande.
Il rapporto con Gesù cambia radicalmente la vita di fede, che non si riduce a un assenso astratto a “verità eterne” ma diventa un processo di amore e di conoscenza che muta e cresce per tutto il “tempo della fede”, cioè per la prima parte della nostra vita; sappiamo, infatti, che nella seconda parte della vita, quella presso Dio, la fede non ha più ragion d’essere.
La fede accompagna la vita terrena e così ne condivide i passaggi difficili, le gioie improvvise, l’oscurità che genera paura e la luce che dona certezza e gioia. Questo aspetto della fede spesso è taciuto o guardato con sospetto; in realtà la fede, più che un percorso lineare, è un cammino che conosce tortuosità e momenti diversi. Una fede sempre uguale a se stessa, difesa coi denti e rappresentata solo da formule e comandi non è la fede dei discepoli di Gesù. Gli amici di Gesù hanno una fede che può anche dire, senza venir meno: «Ma Gesù dove sei? Dov’è tutto l’amore che provi per me?».
Questo tempo liturgico ci insegna che la fede è un cammino: da una certezza capace di suscitare domande si compie il passo per trovare altre certezze. Così imparo a diventare credente: passo dopo passo. Quel poco che ho visto e udito è più che sufficiente per mettere i piedi, ogni giorno, dove li ha messi Gesù.
Commento di don Luigi
Galli

 

1037 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - FEBBRAIO 2015

Generale: Perché i carcerati, in particolare i giovani, abbiano la possibilità di ricostruire una vita dignitosa

Missionaria: Perché i coniugi, che sono separati, trovino accoglienza, e sostegno, nella Comunità Cristiana

Dei vescovi: Perché gli operatori del sistema sanitario uniscano la competenza professionale, al rispetto di ogni persona".

venerdì 30 gennaio 2015

1036 - PENSIERI DI DON BOSCO

Se vuoi farti buono, pratica queste tre cose e tutto andrà bene: allegria, studio, preghiera. E' questo il grande programma per vivere felice, e fare molto bene all'anima tua e agli altri.
Il migliore consiglio è di fare bene quanto possiamo e poi non aspettarci la ricompensa dal mondo ma da Dio solo.
Tutti hanno bisogno della Comunione: i buoni per mantenersi buoni e i cattivi per farsi buoni.
I due sostegni più forti per sostenervi e camminare per la strada del Celo sono i Sacramenti della Confessione e Comunione. Perciò guardate come gran nemico dell'anima vostra chiunque cerca di allontanarvi da questi due Sacramenti.
Tutti dobbiamo portare la croce come Gesù, e la nostra croce sono le sofferenze che tutti incontriamo nella vita.
Ricordatevi, che ogni cristiano è tenuto di mostrarsi propositivo verso il prossimo, e che nessuna predica è più vera del buon esempio.
Quando si tratta di qualche cosa che riguarda la grande causa del bene, don Bosco vuol essere sempre all'avanguardia del progresso.
Tutto passa: ciò che non è eterno è niente!
Tenete a memoria, che la solita parola che usa il demonio quando vuole spingerci al male è: Oh! è niente!

Tenete a memoria, che la solita parola equivoca considerata innocua può portare ad un comportamento scorretto.
Non mandate a domani il bene che potete fare oggi, perché forse domani non avrete più tempo
È una vera festa per don Bosco il poter prendere cura delle anime dei suoi giovani. Aspetto tutti i miei giovani in Paradiso
L'essere buono non consiste nel non commettere mancanza alcuna, ma nello avere volontà di emendarsi

Il migliore consiglio si è di fare bene quanto possiamo e poi non aspettarci la mercede dal mondo ma da Dio solo.

1035 - BICENTENARIO DI DON BOSCO

Bicentenario di San Giovanni Bosco
http://www.bicentenario.donboscoitalia.it/
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Giovanni Bosco nasce il 16 Agosto 1815 in una famiglia contadina poverissima a Becchi Castelnuovo d'Asti (oggi rinominata Castelnuovo don Bosco). Rimasto orfano di padre a soli due anni, matura la vocazione sacerdotale fin da subito. Nel 1841, giovane prete, arriva a Torino e comincia ad esplorare la città per farsi un'idea delle condizioni morali dei giovani. Ne rimane sconvolto: ragazzi che vagabondano per le strade, disoccupati, sbandati e depressi pronti a qualsiasi cosa. È profondamente impressionato dal constatare come tanti di questi giovani prendano da subito la via delle patrie galere e capisce che non può rimanere indifferente a tutto ciò, decidendo quindi di agire per cercare di sanare, come può, la difficile situazione. Per questo, aiuta i ragazzi a cercare lavoro, si prodiga per ottenere condizioni migliori a chi è già occupato e fa scuola ai più volonterosi. Nasce così nella periferia torinese il primo oratorio. Nell'aprile 1846, don Bosco apre a Valdocco nella "casa Pinardi" un oratorio intorno al quale nascerà col tempo il grandioso complesso della casa-madre dei Salesiani. Il problema di accogliere non per alcune ore ma a tempo pieno ragazzi senza casa diventa per lui fondamentale, anche se gli subentrano difficoltà di natura finanziaria: diventa promotore in prima persona della sua iniziativa e si mette alla ricerca di fondi. La sua prima benefattrice è la madre Margherita, che vende tutto quello che possiede per sfamare i ragazzi. Tra i giovani che hanno don Bosco per padre e maestro, qualcuno gli chiede di "diventare come lui" e così nasce, con la cooperazione di don Rua e di don Cagliero, la "Società di San Francesco di Sales" che darà vita all'omonima congregazione dei Salesiani, che inizia a dare ai giovani non solo pane e una casa, ma procura loro istruzione professionale e religiosa, possibilità di inserirsi nella vita sociale e buoni contratti di lavoro. Don Bosco diventa col tempo una figura di rilievo nazionale. Uomo di straordinaria intelligenza, tanto da essere spesso consultato da Papa Pio IX, è dotato di uno straordinario carisma, anche se rimane sempre altrettanto straordinariamente una persona umile e semplice. Nel 1872, instancabile, fonda la Congregazione femminile delle figlie di Maria Ausiliatrice, detta delle Suore Salesiane. Gli anni successivi vedono don Bosco protagonista di straordiarie e intensissime attività, in svariate direzioni. Accenniamo solo all'inizio dell'attivita missionaria, con l'invio della prima spedizione in Argentina nel 1875. Si spegne a Torino il 31 Gennaio 1888, circondato dal cordoglio di tutti quelli che lo hanno conosciuto e lasciando dietro di sé una scia luminosa di opere concrete. Don Bosco viene dichiarato venerabile nel 1907, Beato nel 1929 e Santo nel giorno di Pasqua, 1 aprile 1934. Il 31 gennaio 1958 Pio XII, su proposta del Ministro del Lavoro, lo dichiara "patrono degli apprendisti italiani”.

giovedì 22 gennaio 2015

1034 - FESTA DELLA FAMIGLIA

Questo brano di Luca 2,41-52 è molto complesso, al di là del racconto che conosciamo molto bene. In realtà anche noi dovremmo sentirci come Maria e Giuseppe che non compresero quello che Gesù fa e dice. La frase di Luca (2,50) qui riportata è identica a quella riferita ai discepoli dopo il terzo annuncio della passione (Luca 18,34: «Ma essi non compresero nulla di tutto questo»).
Altra nota preliminare: chi conosce Gerusalemme sa bene che per esplorarla da capo a fondo non occorrono tre giorni. Allora perché si parla di tre giorni? è una prefigurazione della Pasqua di Gesù; lui ha parlato di ciò di cui si deve occupare – la Pasqua – e i genitori non capiscono. Questo episodio di Gesù a Gerusalemme non è una simpatica e curiosa birichinata di Gesù adolescente: è piuttosto un fascio di luce sul mistero più grande del Vangelo: la vita nascosta di Gesù a Nazaret.
Ma oggi il Rito ambrosiano celebra la Festa della famiglia: tema grande e forte che si è fatto, da qualche decennio in qua, anche difficile e complesso. Ci può dire qualcosa questo brano di Vangelo, che congiunge Betlemme con Nazaret e Nazaret con Gerusalemme, cioè il Natale con la Pasqua?
Ci sono almeno tre spunti, che possono diventare oggetto di indagine, meditazione e preghiera.
Il primo: la ricerca. è necessario “ritrovare la famiglia”; non tanto nel senso di recuperare una “tradizione” impossibile da riprodurre, quanto piuttosto prendere la “tradizione” per farne il punto di partenza per una nuova figura di famiglia che riesca a vivere il Vangelo in una contemporaneità così diversa dal passato. I cristiani, in particolare, debbono prendere sul serio la famiglia riscoprendo il significato e il valore del sacramento del Matrimonio. Non si deve partire da una difesa della famiglia in astratto, ma dal desiderio di far capire che è bello e sensato “sposarsi nel Signore”.
Secondo: ritrovare il figlio. Uno dei rischi più grandi che stiamo vivendo è la scomparsa del “senso del figlio”; uno slogan potrebbe sintetizzare la concezione, diffusa anche tra i credenti, per cui il figlio è un “diritto” e non un “dono”; è un errore gravissimo: nessuno può vantare un qualsiasi diritto su un’altra persona; avere un figlio non è un diritto da far valere ad ogni costo. Il figlio è un dono, cioè una persona che si manifesta come libertà a cui tu puoi dare cura e amore senza nulla chiedere in cambio. Questo – penso – è uno dei punti chiave da cui dipenderà la nostra civiltà (o inciviltà) di domani.
Terzo: custodire e far crescere con gratitudine la grazia e la luce che emanano dal Matrimonio; non si può parlare di famiglia se non c’è stima per tale sacramento. Oggi, purtroppo, esso è tra le realtà più bistrattate (almeno nei mass-media) perché non c’è fiducia nell’amore. Si diffonde l’idea che l’amore non può durare a lungo; esso parte forte e pieno di speranza e poi, inesorabilmente, scivola in basso fino a scomparire.
La Festa della famiglia può essere l’occasione per “parlar bene” del Matrimonio… cosa rara anche dal pulpito...
Commento di don Luigi Galli

venerdì 16 gennaio 2015

1033 - PREGHIERA DOPO I FATTI DI PARIGI E LE VIOLENZE NEL MONDO

I fatti tragici che hanno insanguinato Parigi;
la crudeltà che sconvolge la Nigeria;
i cento bambini trucidati in Pakistan;
i drammatici scontri in Ucraina;
la violenza nella Terra dove è vissuto Gesù;
il dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista in Siria ed in Iraq;
i non pochi conflitti di carattere civile che in Africa interessano Libia, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Sudan, Corno d’Africa, Repubblica Democratica del Congo;
in generale tutti gli atti di persecuzione che continuano a seminare morte tra i cristiani e tra le persone buone che amano la pace e aspirano alla giustizia e alla serenità, tutto ciò non può lasciarci solo emozioni strazianti, fiumi di parole e confusioni di proclami.
Noi sentiamo un intenso bisogno di preghiera e di pensiero; noi non possiamo lasciare spazio a desideri di vendetta, né possiamo illuderci di metterci al sicuro cercando rifugio nell’indifferenza, né vivere ossessionati dalla paura.
Noi professiamo la nostra fede cercando di imparare anche in questo momento a pregare.
Pregare significa lasciarsi condurre dallo Spirito a interrogare Dio e a invocare che Dio si manifesti Padre, che venga il suo regno, che visiti con la sua grazia questa povera umanità per donare consolazione e speranza.
La Messa si prolunghi in un momento di preghiera silenziosa. Che sia un tempo per pregare per i morti, per chiedere che il giudizio di Dio si compia secondo le opere e il cuore di ciascuno, per invocare consolazione per i vivi, conversione per i persecutori, i fanatici, i fondamentalisti, per domandare sapienza, coraggio, per i governanti, per chiedere che gli uomini di cultura e gli operatori della comunicazione mettano le loro risorse al servizio della riconciliazione tra i popoli, alla ricerca di un pensiero libero e rispettoso.
Che sia un pensiero affettuoso per Papa Francesco, missionario di pace e apostolo del vangelo in terra d’Asia.
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Preghiamo.
Signore, che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?
L’hai fatto poco meno di un dio chiamato a condividere la tua vita e il tuo amore,
eppure si corrompe fino a desiderare la morte, fino a vivere d’odio.
Guarisci i cuori che si consegnano a sentimenti violenti e cattivi,
le menti che si dedicano al male,
le forze impegnate a far soffrire
i progetti che opprimono i popoli,
che trasformano anche i bambini in strumenti di morte,
che sfigurano la bellezza, che umiliano le persone.
Guarisci! Converti! Liberaci dal male!
Donaci il tuo Spirito, Padre nostro che sei nei cieli,
donaci il tuo Spirito perché abbondino i suoi frutti,
amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé.
Donaci il tuo Spirito, Padre nostro,
perché impariamo ad essere tuoi figli,
ad essere forti nel bene,
sapienti nelle scelte,
fiduciosi sempre nella tua presenza,
coraggiosi nel costruire la città dell’amore.

(Consiglio Episcopale Milanese)

1032 - DOMANDE A PAPA FRANCESCO

In questo viaggio vediamo la bellezza e la vulnerabilità della natura nell’isola di Sri Lanka, e nelle Filippine colpite dal disatro naturale del tifone Yolanda. Da un anno studia l’enciclica sull’ambiente. Tre domande. Il cambiamento climatico è dovuto più all’opera dell’uomo, per mancata cura, o alla forza della natura? La sua enciclica quando uscirà? Intende invitare le altre religioni ad affrontare insieme questo tema della tutela dell’ambiente?
«Non so se del tutto, ma in grande parte è l'uomo che dà schiaffi alla natura ad avere una responsabilità nei cambi climatici. Ci siamo un po' impadroniti della natura, della madre terra. Un vecchio contadino mi ha detto: Dio perdona sempre, gli uomini qualche volta, la natura mai. L'abbiamo sfruttata troppo. Ricordo che ad Aparacida quando sentivo i vescovi del Brasile parlare di deforestazione dell'Amazzonia, non capivo molto. Poi cinque anni fa con una commissione per i diritti umani, ho fatto un ricorso per fermare nel nord dell'Argentina una deforestazione terribile. Poi c'è la monocultura: i contadini sanno che dopo tre anni coltivando il grano, devi cambiare coltivazione per un anno per rigenerare la terra. Oggi si fa la monocultura della soia fino a che la terra si esaurisce. L'uomo è andato troppo oltre. Grazie a Dio oggi ci sono tanti che parlano di questo, e io vorrei ricordare il mio amato fratello Bartolomeo che ha scritto tanto su questo tema e io l'ho letto molto per preparare l'enciclica. Il teologo Romano Guardini parlava di una seconda “incultura”, che accade quando tu ti impadronisci del creato, e così la cultura diventa incultura.
La prima bozza della nuova enciclica l'ha preparata il cardinale Turkson con la sua equìpe. Poi ci ho lavorato io e ora ho preparato la terza bozza e questa l'ho inviata alla Congregazione per la dottrina della fede, alla Segreteria di Stato e al teologo della Casa pontificia, perché studiassero che io non dicessi stupidaggini. Adesso mi prenderò tutta una settimana di marzo per finirla. Quindi andrà in traduzione. Penso che se il lavoro va bene, a giugno-luglio potrà uscire. L'importante è che ci sia un po' di tempo tra l'uscita e il prossimo incontro sul clima di Parigi. L'ultima conferenza del Perù mi ha deluso, speriamo che a Parigi siano un po' più coraggiosi. Credo che il dialogo con le religioni sia importante anche su questo punto e che ci sia un accordo su un sentire comune. Ho parlato con alcuni esponenti delle altre religioni sul tema e almeno due teologi l'hanno fatto: non sarà comunque una dichiarazione in comune, gli incontri con le religioni arriveranno dopo».

Quale messaggio manda ai filippini che non potranno partecipare direttamente al suo incontro?
«Rischio di semplificare troppo, ma il centro, il nocciolo del messaggio saranno i poveri. I poveri che vogliono andare avanti, i poveri che hanno sofferto il tifone Yolanda e che ancora soffrono le sue conseguenze, i poveri che hanno la fede, la speranza. Il popolo di Dio, i poveri, i poveri sfruttati da quelli che determinano tante ingiustizie sociali, spirituali, esistenziali. L'altro giorno a casa nostra, a Santa Marta, gli etiopi hanno festeggiato e hanno invitato una cinquantina di dipendenti. Io sono stato con loro e guardando i filippini che hanno lasciato la loro patria, papà, mamma e figli per venire qui a lavorare... I poveri. Questo sarà il nocciolo».
Ha chiesto verità e riconciliazione per lo Sri Lanka dopo il conflitto. Appoggerà la commissione per la verità in Sri Lanka e in altri paesi dilaniati dai conflitti interni?«Non conosco bene come siano le commissioni per la verità in Sri Lanka. Ho conosciuto come era quella dell'Argentina, e l'ho appoggiata perché era su una buona strada. Concretamente non posso dire di più. Ma posso dire che appoggio tutti gli sforzi equilibrati per aiutare a mettersi d'accordo. Ho sentito dire una cosa dal presidente dello Sri Lanka: non vorrei che il mio fosse interpretato come commento politico. Mi ha detto che vuole andare avanti nel lavoro per la pace, la riconciliazione, poi ha continuato con un'altra parola. Ha detto: si deve creare l'armonia nel popolo, che è più della pace e della riconciliazione, l'armonia è anche musicale... Poi ha aggiunto che questa armonia ci darà la felicità e la gioia. Io sono rimasto stupito e ho detto: mi piace sentire questo, ma non è facile! E lui: eh sì, dovremo arrivare al cuore del popolo. Questo mi fa pensare per rispondere: soltanto arrivando al cuore del popolo che sa cosa siano le ingiustizie, le sofferenze inflitte dalle dittature. Soltanto arrivando lì possiamo trovare strade giuste senza compromessi. Le commissioni di indagine sulla verità sono uno degli elementi che possono aiutare, ma ci sono altri elementi per arrivare alla pace, alla riconciliazione, all'armonia, al cuore del popolo. Ho preso a prestito le parole del presidente dello Sri Lanka».
Qual è il significato di questa canonizzazione di Giuseppe Vaz, che ha celebrato in Sri Lanka?«Queste canonizzazioni sono state fatte con la metodologia che si chiama equipollente: quando da tanto tempo un uomo o una donna sono beati e si ha la venerazione del popolo di Dio e di fatto vengono venerati come santi, non si fa il processo sul miracolo. L'ho fatto per Angela da Foligno, e poi ho scelto di canonizzare persone che sono state grandi evangelizzatori e grandi evangelizzatrici. Il primo è stato Pietro Favre, evangelizzatore dell'Europa, che è morto per strada, evangelizzando. Poi ci sono stati gli evangelizzatori del Canada, fondatori della Chiesa in quel paese. Poi il santo brasiliano fondatore di San Paolo e ora José Vaz, evangelizzatore dell'antica Ceylon. A settembre negli Stati Uniti farò la canonizzazione di Junipero Serra. Sono figure che hanno fatto una forte evangelizzazione e sono in sintonia con la spiritualità dell'Evangelii gaudium».

1031 - DOMANDE A PAPA FRANCESCO

In Sri Lanka ha ricordato che la libertà religiosa è un diritto umano fondamentale, nel rispetto delle diverse religioni. Ma fino a che punto si può arrivare con la libertà di espressione, che è anche un diritto umano fondamentale? «Grazie della domanda, intelligente! Credo che tutti e due siano diritti umani fondamentali, la libertà religiosa e la libertà di espressione. Parliamo chiaro, andiamo a Parigi! Non si può nascondere una verità: ognuno ha il diritto di praticare la propria religione senza offendere, liberamente e così vogliamo fare tutti. Secondo: non si può offendere o fare la guerra, uccidere in nome della propria religione, in nome di Dio. A noi ciò che succede adesso ci stupisce, ma pensiamo alla nostra storia, quante guerre di religione abbiamo avuto! Pensiamo alla notte di San Bartolomeo! Come si capisce, anche noi siamo stati peccatori su questo, ma non si può uccidere in nome di Dio, questa è una aberrazione. Si deve fare con libertà senza offendere.
Sulla libertà di espressione: ognuno ha non solo la libertà e il diritto ma anche l'obbligo di dire ciò che pensa per aiutare il bene comune. Se un deputato non dice quella che pensa sia la vera strada da percorrere, non collabora al bene comune. Avere dunque questa libertà, ma senza offendere, perché è vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasbarri, che è un amico, dice una parolaccia contro mia mamma, gli spetta un pugno. Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri. Papa Benedetto in un discorso aveva parlato di questa mentalità post-positivista, della metafisica post-positivista, che portava a credere che le religioni o le espressioni religiose sono un sorta di sottoculture, tollerate, ma sono poca cosa, non fanno parte della cultura illuminista. E questa è un'eredità dell'illuminismo. Tanta gente che sparla, prende in giro, si prende gioco della religione degli altri. Questi provocano e può accadere quello che accadrebbe al dottor Gasbarri se dicesse qualcosa contro mia mamma. C'è un limite, ogni religione ha dignità, ogni religione che rispetti la vita umana, la persona umana, io non posso prenderla in giro. Ho preso questo esempio del limite per dire che nella libertà di espressione ci sono limiti, come (nell'esempio) della mia mamma».Nel mondo c’è molta preoccupazione per la sua incolumità. Secondo alcuni servizi segreti il Vaticano sarebbe nel mirino dei terroristi islamici. C’è timore anche per i suoi viaggi all’estero. Sappiamo che non vuole rinunciare al contatto diretto con la gente ma ora cambierà i suoi comportamenti? È preoccupato per la sicurezza dei fedeli che partecipano alle sue celebrazioni? Cosa fare per rispondere alle minacce? E, più in generale, come rispondere alle minacce terroristiche?«Sempre il miglior modo per rispondere è la mitezza, essere mite, umile, come il pane, senza fare aggressioni. A me preoccupano i fedeli, davvero, e su questo ho parlato con la sicurezza vaticana: qui sul volo c'è il dottor Giani, incaricato di questo, lui è aggiornato. Questo a me preoccupa abbastanza. Ma lei sa che io ho un difetto, una bella dose di incoscienza. Alcune volte mi sono chiesto: ma se accadesse a me? Ho soltanto chiesto al Signore la grazia che non mi faccia male perché non sono coraggioso davanti al dolore, sono molto timoroso».

Abbiamo assistito in queste ultime settimane ad attentati suicidi che hanno utilizzato dei bambini. Cosa pensa di questo modo di fare la guerra?«Forse è una mancanza di rispetto, ma mi viene da dire che dietro ogni attentato suicida c'è un elemento di squilibrio umano, non so se mentale, ma umano. Qualcosa che non va nella persona, quella persona ha uno squilibrio nella sua vita. Dà la vita ma non la dà bene. C’è tanta gente che lavora, come per esempio i missionari: danno la vita, ma per costruire. Il kamikaze invece dà la vita per distruggere. C'è qualcosa che non va. Io ho seguito la tesi di licenza di un pilota dell'Alitalia che l'ha fatta sui kamikaze giapponesi. Correggevo la parte metodologica, ma non si capisce fino in fondo il fenomeno, che non è soltanto dell'Oriente, ed è collegata ai sistemi totalitari, dittatoriali, che uccidono la vita o la possibilità di futuro. Ma, ripeto, non è un fenomeno solo orientale. Per quanto riguarda l'uso dei bambini per gli attentati: sono usati dappertutto per tante cose, sfruttati nel lavoro, come schiavi, sfruttati sessualmente. Alcuni anni fa con alcuni membri del senato in Argentina abbiamo voluto fare una campagna negli alberghi più importanti per dire che lì non si sfruttano i bambini per i turisti, ma non ci siamo riusciti... A volte quando ero in Germania, mi sono caduti sotto gli occhi articoli che parlavano delle zone del turismo erotico nel Sud Est asiatico e anche lì si trattava di bambini. I bambini sono sfruttati anche per questo, per gli attentati kamikaze. Di più non oso dire».Ha idea di come coinvolgere gli altri leader religiosi per combattere l’estremismo? C’è chi propone, per esempio, un altro incontro ad Assisi, come fece Giovanni Paolo II.«C'è stata la proposta di fare un nuovo incontro ad Assisi con le religioni contro la violenza, so che alcuni stanno lavorando su questo. Ho parlato con il cardinale Tauran e so che questo suscita inquietudine nelle altre religioni».La sua visita al tempio buddista a Colombo è stata una grande sorpresa. Fino al XX secolo i cristiani dicevano che il buddismo era una truffa e che era la religione del diavolo. Quale sarà il futuro dei rapporti con questa religione?«Il monaco che guida questo tempio è riuscito a farsi invitare dal governo all'aeroporto, è anche molto amico del cardinale Ranjith e quando mi ha salutato mi ha chiesto di visitare il tempio. Ho parlato col cardinale, non c'era tempo. Quando sono arrivato ho dovuto sospendere l'incontro con i vescovi, perché non stavo bene, ero stanco, dopo i 29 chilometri ero uno straccio. Ieri, dopo essere tornato da Madhu, c'era la possibilità. Ho telefonato e sono andato. Là ci sono le reliquie di due discepoli di Budda, erano in Inghilterra e i monaci sono riusciti a farsele ridare. Lui è venuto all'aeroporto, io sono andato a trovarlo a casa sua. Poi, ieri io ho visto una cosa che mai avrei pensato a Madhu: non c'erano solo cattolici, c'erano buddisti, islamici, induisti e tutti vanno lì a pregare e dicono che ricevono grazie. C'è nel popolo, che mai sbaglia, qualcosa che li unisce e se loro sono così tanto naturalmente uniti da andare insieme a pregare in un tempio che è cristiano ma non solo cristiano... Come potevo io non andare al tempio buddista? Quello che è successo a Madhu è molto importante, c'è il senso di interreligiosità che si vive nello Sri Lanka. Ci sono dei gruppetti fondamentalisti, ma non sono col popolo, sono elìtes teologiche... Una volta si diceva che i buddisti andavano all'inferno? Ma anche i protestanti, quando io ero bambino, andavano all'inferno, così ci insegnavano. E ricordo la prima esperienza che ho avuto di ecumenismo: avevo 4 o 5 anni e andavo per strada con mia nonna, che mi teneva per mano, e sull'altro marciapiede arrivavano due donne dell'Esercito della salvezza, con quel cappello che oggi non portano più e con quel fiocco. Io chiesi: dimmi nonna, quelle sono suore? E lei mi ha risposto: no, sono protestanti, ma sono buone! È stata la prima volta che io ho sentito parlare bene di persone appartenenti alle altre confessioni. La Chiesa è cresciuta tanto nel rispetto delle altre religioni, il Concilio Vaticano II ha parlato del rispetto per i loro valori. Ci sono stati tempi oscuri nella storia della Chiesa, dobbiamo dirlo senza vergogna, perché anche noi siamo in un cammino, questa interreligiosità è una grazia».
- continua -

venerdì 9 gennaio 2015

1030 - IL BATTESIMO DI CRISTO NELL'ARTE


Leonardo e Verrocchio, Battesimo di Cristo
Il Cinquecento era ancora lontano un quarto di secolo quando, attorno al 1475, Leonardo dava corpo all'idea di ciò che per noi corrisponde al nucleo più profondo dello stile classico del maturo rinascimento. [...] La sua dimostrazione sta dentro un dipinto eseguito in gran parte dal Verrocchio, Battesimo di Cristo [...] In quest'ambientazione la sua idea costituisce un'innovazione radicale paragonabile soltanto a quella operata da Masaccio cinquant'anni prima. L'angelo di Leonardo riconcilia quello che i suoi contemporanei e i suoi predecessori del primo Rinascimento avevano normalmente trattato come temi opposti nelle loro rappresentazioni della figura umana: descrizione fisica da un lato, ed espressione di uno stato d'animo o della mente dall'altro [...]. L'immagine che ne risulta è visibilmente diversa dalle normali aspettative, ad esse esteticamente e moralmente molto superiore. E ancora, sorpassando la realtà, essa ci chiede di essere sentita come plausibile, come non era mai avvenuto prima nell'arte figurativa. Una conoscenza meravigliosamente sottile degli aspetti della natura è stata innestata all'armonia della forma, e un senso di vera vitalità ispira l'armonia della mente. Questi aspetti si fondono così l'uno con l'altro: l'armonia stessa diviene non una condizione ma una potenza organicamente viva. Spirito e materia, egualmente affermati nell'immagine, concordano entro quest'armonia vitale, interagiscono e divengono sintetiche: questo fu il primo evento nella storia del classicismo nel mondo cristiano che somiglia molto, nella sua essenza, al classicismo dell'antica età dell'oro. (Sydney J. Freedberg, 1971 [1975])

1029 - IL BATTESIMO DI GESU'

Tutti i Vangeli parlano del battesimo di Gesù e da esso fanno iniziare la sua vita pubblica. Questo significa che il battesimo riveste un’importanza straordinaria nella vita di Gesù. Perché?
Lo spiega bene il Vangelo di questa domenica. Marco ci offre un racconto semplice e sobrio: Gesù appare all'improvviso per essere battezzato da Giovanni Battista; sappiamo che questo è un battesimo di penitenza, ben diverso da quello cristiano, che avviene per opera dello Spirito Santo. Questo battesimo di Giovanni cosa significa per Gesù e per noi?
Gesù è battezzato da Giovanni. C’è la rivelazione della duplice dimensione del Mistero di Gesù: uomo di umilissime origini che arriva da un paesino sconosciuto della Galilea e si mette in fila con i peccatori per essere purificato. In questo modo la sua Incarnazione è totale. Nello stesso tempo è proclamato, dalla voce del Padre confermata dalla presenza dello Spirito Santo, Figlio di Dio. è la presentazione ufficiale del Messia-Salvatore.
Val la pena di notare che di questa epifania di Gesù c’è un prima e un dopo: prima c’è il “mistero del silenzio” di una interminabile vita nascosta; dopo il “mistero di una croce-risurrezione” che svela la definitiva Gloria di Dio. Tra i due “misteri” c’è l’azione dello Spirito Santo che rivela in Gesù l’azione straordinaria del Padre: ecco lo schema del Vangelo.
E per me? Il cristiano non assiste ai “misteri di Gesù”, ma in essi è totalmente coinvolto al punto che la sua vita è cambiata alla radice: il cristiano segue Gesù e ne condivide il destino. Allora è giusto chiedersi: «Quando avviene la mia epifania-presentazione pubblica?». Il percorso è identico a quello di Gesù.
C’è il “battesimo del silenzio”, quando, all’inizio della vita, è stato deposto nel mio cuore un seme che farà sbocciare, in Gesù, la mia libertà. Il mio Battesimo è stato l’inizio della vita secondo lo Spirito; evento originario e prezioso che resta nascosto ma ha la forza del seme che può, in ogni momento della vita, rispondere alla Grazia e portare frutti di vita eterna.
Il mio Battesimo “adulto” è la croce di Gesù. Con la Confermazione dello Spirito Santo (la Cresima), il cristiano diventa “martire”, cioè “testimone”, della croce. La croce di Gesù non è il segno del dolore o del sacrificio, ma è la forza della comunione con lui e con tutti gli uomini. Il Battesimo cresce quando porta frutti di comunione con Dio e dona la gioia di stare per sempre con Gesù. La vita battesimale adulta deve essere costantemente nutrita e il suo nutrimento è l’Eucaristia. Per questo i cristiani, almeno nel giorno del riposo divino, celebrano l’Eucaristia: senza di essa la comunione con Gesù si inaridisce fino a morire.
L’epifania del nostro Battesimo è la carità. La nostra “epifania” davanti al mondo ha il distintivo della carità. Ogni ”cosa cristiana”, se non rivela amore e non parla d’amore, non serve a niente. L’amore di cui parliamo non è un fatto sentimentale o pietistico, ma è la virtù teologale, dono battesimale dello Spirito.
don Luigi Galli

martedì 6 gennaio 2015

1028 - IL DOVERE DI TROVARE LA FIDUCIA PERDUTA

Molti leggono la crisi attuale come crisi di fiducia in campo finanziario, economico e politico ma, più in profondità, a livello culturale ed etico. È la diagnosi che emerge anche dall’indagine “Gli italiani e lo stato” condotta da Demos per Repubblica e commentata da Diamanti su queste pagine. Ritengo perciò che, all’apertura di un nuovo anno, valga la pena riflettere ancora sulla fiducia: sentimento, atteggiamento ed esperienza che appare decisiva nell’esistenza di ogni persona così come nella vita sociale della polis.
Non possiamo vivere senza porre la fiducia in qualcuno né senza ricevere fiducia da qualcuno, dagli altri. Ognuno di noi è nato perché sentiva questa spinta ad avere fiducia nella vita, in chi lo portava in grembo, in chi lo poteva accogliere. E ciascuno è venuto al mondo proprio grazie alla fiducia originaria posta nei genitori o in chi ci ha accompagnato nella nascita. Parimenti le nostre storie d’amore sono possibili solo quando uno sa mettere la fiducia in un altro, in un’altra e da questi riceverla. La fiducia è la realtà che rende possibile il vivere e il vivere in relazione: nell’amicizia, nell’amore, nel rapporto maestro-discepolo, nella relazione medico-paziente... Se una persona non riesce a fidarsi di nessuno, è condannata all’isolamento, imprigionata in una situazione mortifera.
È proprio la fiducia che può creare il legame sociale e generare la comunità: a livello politico la mancanza di fiducia genera una stanchezza nella democrazia e quindi ne mina la credibilità, aprendo lo spazio alla barbarie. Se la fiducia oggi difetta lo si deve in particolare a un triplice disincanto, sul piano economico, politico e identitario. Il senso del vivere insieme è compromesso dalla logica del mercato che privilegia l’interesse particolare e nega l’istanza di solidarietà; la vita politica offre il triste spettacolo di uno scollamento rispetto ai cittadini e di una autoreferenzialità elettiva che genera diffidenza e inaffidabilità; l’identità collettiva è smarrita e regredisce in un appiattimento su comunanze di tipo tribale.
Dobbiamo allora porci una domanda: come mai siamo precipitati in questa situazione in cui si afferma che è meglio diffidare, diffidare sempre, diffidare di chiunque? Quali sono i fattori che hanno minato la fiducia che si era creata sulle macerie della seconda guerra mondiale? Quella fiducia sociale che ci aveva dato la possibilità di una convivenza capace di assumere un progetto comune e di condividere una speranza?
Tra i fattori decisivi va annoverata l’illegalità crescente che si è espansa come un’epidemia, dalla quale nessun potere e gruppo sociale è restato immune. L’illegalità macroscopica, quasi sempre impunita, ha autorizzato un’illegalità quotidiana e minuta, che sembra rispondere al “così fan tutti”. Questa illegalità ha minato il senso di sicurezza e il bisogno di protezione dei cittadini, immettendo in loro una sfiducia e tentandoli, seducendoli fino a condurli a non darsi pena della collettività, a scambiare l’etica con il “fare i moralisti”, a lasciar correre... Insieme ai fattori ricordati di autoreferenzialità e di mancanza di senso del bene comune e del servizio alla polis, l’illegalità ha reso inaffidabili molti soggetti politici e le stesse istituzioni di rappresentanza democratica. I cittadini si sentono sempre più lontani dalla politica e finiscono per non partecipare più all’edificazione della polis che sembra invece sequestrata dai partiti, da forze o gruppi di potere sovente nascosti e dunque viene valutata come non possibile, ormai preda dei corrotti.
Qualcuno sostiene che viviamo già nell’epoca della post-democrazia e, a causa di questa debolezza della politica, si affermano il populismo, il sorgere del “salvatore” di turno, la smobilitazione dei corpi sociali, il conformismo e la degradazione dell’etica incapace di competere con illusioni che catturano le masse. La consapevolezza di essere cittadini di una polis comune ha ceduto il passo alla rassegnazione di essere consumatori in un mercato dopato, in cui la libera concorrenza è divenuta corsa alla sopraffazione, al dominio del più forte o del più furbo. E in questo precipitare della qualità della convivenza politica, vanno in frantumi e sono calpestate la solidarietà, l’attenzione ai deboli e alle vittime della storia.
Così i cittadini-consumatori continuano a credere ad annunci e promesse dei soggetti politici, nonostante non se ne vedano le condizioni e tanto meno i segnali di attuazione. Paure e illusioni sono fabbricate un giorno, esasperate quello successivo e dimenticate o mutate il giorno dopo ancora. Le persone sono sempre meno capaci di critica, il dibattito ragionato viene considerato una perdita di tempo e sostituito da urla tra sordi, l’incalzare di sondaggi di ogni tipo e qualità ha rimpiazzato il faticoso delinearsi di una “opinione pubblica”: così si passa d’inganno in inganno, perdendo sempre più il contatto con la realtà. Fino a quando? Sì perché, come ci insegna la storia, a un certo momento sopraggiunge un punto di rottura in cui all’incapacità di indignarsi e di impegnarsi segue la reazione irrazionale di chi si nutre di violenza.
Allora, che fare? Si tratta ora più che mai di rischiare la fiducia a partire dalle nostre relazioni personali, di ribadire la necessità della fiducia come fondamento della vita sociale. “Camminando si apre cammino”, così avendo fiducia si fa crescere la fiducia. I dati dell’inchiesta commentata da Diamanti dovrebbero suonare per tutti come un allarme: l’assuefazione alla sfiducia nelle istituzioni, negli altri, nel futuro non fa che asfaltare la strada alla barbarie e alla violenza. Sta a noi aprire un percorso diverso, resistendo, mettendo fiducia in noi stessi, esercitandoci con convinzione ad avere fiducia negli altri e a non tradire la loro, a partire da chi ci sta accanto. Il primo passo per amare gli altri come se stessi consiste proprio nell’avere fiducia negli altri almeno come in se stessi. La fiducia va cercata alla sorgente: nelle modalità dei nostri rapporti con noi stessi, con gli altri, con il futuro, con la storia, con il fatto stesso di vivere. Sì, la fiducia nella vita è ancora possibile, è un dovere e una promessa di cui siamo debitori verso gli altri e verso noi stessi.
di Enzo Bianchi, La Repubblica, 2 gennaio 2015

1027 - IN CAMMINO VERSO CRISTO

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Buona festa!

Nella notte di Natale abbiamo meditato l’accorrere alla grotta di Betlemme di alcuni pastori appartenenti al popolo d’Israele; oggi, solennità dell’Epifania, facciamo memoria dell’arrivo dei Magi, che giunsero dall’Oriente per adorare il neonato Re dei Giudei e Salvatore universale e offrirgli doni simbolici. Con il loro gesto di adorazione, i Magi testimoniano che Gesù è venuto sulla terra per salvare non un solo popolo, ma tutte le genti. Pertanto, nella festa odierna il nostro sguardo si allarga all’orizzonte del mondo intero per celebrare la “manifestazione” del Signore a tutti i popoli, cioè la manifestazione dell’amore e della salvezza universale di Dio. Egli non riserva il suo amore ad alcuni privilegiati, ma lo offre a tutti. Come di tutti è il Creatore e il Padre, così di tutti vuole essere il Salvatore. Per questo, siamo chiamati a nutrire sempre grande fiducia e speranza nei confronti di ogni persona e della sua salvezza: anche coloro che ci sembrano lontani dal Signore sono seguiti – o meglio “inseguiti” – dal suo amore appassionato, dal suo amore fedele e anche umile. Perché l’amore di Dio è umile, tanto umile!

Il racconto evangelico dei Magi descrive il loro viaggio dall’Oriente come un viaggio dell’anima, come un cammino verso l’incontro con Cristo. Essi sono attenti ai segni che ne indicano la presenza; sono instancabili nell’affrontare le difficoltà della ricerca; sono coraggiosi nel trarre le conseguenze di vita derivanti dall’incontro con il Signore. La vita è questa: la vita cristiana è camminare, ma essendo attenti, instancabili e coraggiosi. Così cammina un cristiano. Camminare attento, instancabile e coraggioso. L’esperienza dei Magi evoca il cammino di ogni uomo verso Cristo. Come per i Magi, anche per noi cercare Dio vuol dire camminare - e come dicevo: attento, instancabile e coraggioso - fissando il cielo e scorgendo nel segno visibile della stella il Dio invisibile che parla al nostro cuore. La stella che è in grado di guidare ogni uomo a Gesù è la Parola di Dio, Parola che è nella Bibbia, nei Vangeli. La Parola di Dio è luce che orienta il nostro cammino, nutre la nostra fede e la rigenera. È la Parola di Dio che rinnova continuamente i nostri cuori, le nostre comunità. Pertanto non dimentichiamo di leggerla e meditarla ogni giorno, affinché diventi per ciascuno come una fiamma che portiamo dentro di noi per rischiarare i nostri passi, e anche quelli di chi cammina accanto a noi, che forse stenta a trovare la strada verso Cristo. Sempre con la Parola di Dio! La Parola di Dio a portata di mano: un piccolo Vangelo in tasca, nella borsa, sempre, per leggerlo. Non dimenticatevi di questo: sempre con me la Parola di Dio!

In questo giorno dell’Epifania, il nostro pensiero va anche ai fratelli e alle sorelle dell’Oriente cristiano, cattolici e ortodossi, molti dei quali celebrano domaniil Natale del Signore. Ad essi giunga il nostro affettuoso augurio.

Mi piace poi ricordare che oggi si celebra la Giornata Mondiale dell’Infanzia Missionaria. È la festa dei bambini che vivono con gioia il dono della fede e pregano perché la luce di Gesù arrivi a tutti i fanciulli del mondo. Incoraggio gli educatori a coltivare nei piccoli lo spirito missionario. Che non siano bambini e ragazzi chiusi, ma aperti; che vedano un grande orizzonte, che il loro cuore vada avanti verso l’orizzonte, affinché nascano tra loro testimoni della tenerezza di Dio e annunciatori del Vangelo.

Ci rivolgiamo ora alla Vergine Maria e invochiamo la sua protezione sulla Chiesa universale, affinché diffonda nel mondo intero il Vangelo di Cristo, la luce delle genti, luce di tutti i popoli. E che Lei ci faccia essere sempre più in cammino; ci faccia camminare e nel cammino essere attenti, instancabili e coraggiosi.
papa Francesco

lunedì 5 gennaio 2015

1026 - I DONI DEI MAGI

..qual è il significato dei doni? Non esiste un popolo privilegiato, non esistono persone che hanno un rapporto privilegiato con Dio.
Dio il suo amore lo offre a tutti quanti. Il popolo d’Israele pensava di essere il popolo regale, il regno di Israele, ebbene, offrendo l’ORO, simbolo della regalità.
Questo significa che il regno di Dio è esteso anche ai pagani. Il regno di Dio non ha dei confini, ma è un’offerta d’amore che aiuta l’uomo a cambiare la vita e permette a Dio di governare gli uomini non emanando leggi, ma comunicando loro la sua stessa capacità d’amore, il suo Spirito.
Quindi il regno di Dio è esteso a tutto l’universo. Non c’è più il regno d’Israele, ma il regno di Dio.
L’INCENSO era un privilegio dell’offerta dei sacerdoti nel tempio. Soltanto i sacerdoti potevano offrire l’incenso.
Ebbene, Israele si riteneva il popolo sacerdotale. Popolo sacerdotale significa che ha un contatto immediato con Dio.
Ebbene anche questo privilegio di essere il popolo sacerdotale del Signore non è più riservato a Israele, ma è esteso a tutta l’umanità: tutti possono rivolgersi al Signore senza
passare attraverso alcune mediazioni.
E infine la MIRRA, nel Cantico dei Cantici è il profumo della sposa. Uno dei privilegi di Israele era quello di ritenersi il popolo “sposa di Dio”. Quindi Dio era lo sposo e Israele la sposa. Questo significava una grande intimità, anche perché poi lo sposo era colui che proteggeva, assisteva, rassicurava la sposa.
Ecco, anche il privilegio di essere il popolo-sposa di Dio non è più di Israele, ma è per tutta l’umanità.
Allora il significato di questa festa dell’Epifania: la manifestazione dell’amore universale di Dio.
Non c’è nessuno al mondo che possa sentirsi escluso dall’amore del Signore. Questa è la buona notizia che l’evangelista qui anticipa.
di Alberto Maggi

1025 - EPIFANIA

Epifania è nome greco che deriva dal verbo «epiphàinō» e significa «io manifesto/appaio/rivelo». Con questa festa si conclude il tempo liturgico del Natale iniziato con la Veglia del 24 dicembre. Dal II al III secolo dell’èra cristiana le due feste, Natale ed Epifania, erano unite: il 6 gennaio, infatti, si celebrava in tutto l’Oriente una festa generica detta Epifania (manifestazione) che inglobava la memoria del Natale, della visita dei Magi e la rivelazione del Figlio di Dio nel Battesimo al Giordano.
La Chiesa latina con papa Liberio nel 354 separa le due festività fissando definitivamente il Natale al 25 dicembre e l’Epifania al 6 gennaio, mentre la Chiesa orientale e quella armena, ancora oggi, mantengono accorpate le due feste come al principio e fissate al 6 gennaio1. C’è un legame profondo tra Natale e l’Epifania simile a quello che intercorre tra Pasqua e Pentecoste. A Natale pren-diamo atto dell’incarnazione del Lògos/Verbo/Parola/Figlio di cui veniamo a conoscere il volto, il nome e la missione. All’Epifania, volto, nome e missione acquistano una dimensione universale. A Natale c’è l’Uomo-Dio, considerato singolarmente nella sua natura. All’Epifania quest’Uomo-Dio è contemplato nella sua missione verso il mondo al quale dichiara l’amicizia di Dio2.
A Natale c’è ancora il rischio del particolarismo e dell’identità giudaica di Cristo che pure resta il sigillo del Lògos per sempre, ma può identificarsi in modo esclusivo in una cultura e in un movimento di civiltà. All’Epifania questo rischio è scongiurato: il Bimbo nato giudeo, da giudei, osservante della Toràh, valica i confi-ni del «particolare» d’Israele e accoglie i Magi che vengono dall’Oriente e che non appartengono alla tradizione ebraica. Come Pasqua è la presa di coscienza della liberazione di Dio e la Pentecoste è la stessa liberazione affi-data come missione per tutti i popoli della terra, così a Natale prendiamo atto che Gesù è nato ebreo per sempre e all’Epifania che questa nascita è un progetto di alleanza per tutti i popoli, per tutte le culture e nazioni.
L’Epifania è il superamento definitivo dell’identità cristiana con la civiltà occidentale e seppellisce per sempre i tentativi maldestri dei laici devoti o dei religiosi atei che rinchiudono il cristianesimo nella prigione di una cultura o segmento di civiltà, negando così la sua essenza universale e «cattolica».
Assistiamo all’incauto affanno di uomini ecclesiastici che dovrebbero respirare a pieni polmoni l’aria del-la cattolicità e invece sono rannicchiati nel chiuso orticello della loro piccola esperienza, timorosi di perdere l’identità della cultura occidentale in cui sono nati e cresciuti, dimenticandosi che essi provengono dall’oriente da dove Gesù l’ebreo per sempre li ha chiamati ad una avventura straordinaria, il Regno di Dio, ed essi si sono im-pantananti con le chiesuole clericali senza anima e vita. Essi non sono mai sfiorati dal dubbio che il Cristianesimo a cui sono così legati da difenderne «i valori» è di cultura semitica prima e greca dopo, per diventare poi latina e quindi anche occidentale.
Nel giorno dell’Epifania, i Magi sono il volto di tutti i Pagani e di tutte le Genti che entrano nell’elezione d’Israele, con gli stessi diritti e doveri di Israele. Oggi tutti diventiamo eredi delle promesse, tutti diventiamo Israele.
Paolo Farinella, prete – 06/01/2015 – Genova