Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 28 agosto 2010

383 - DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI

«Nella tua legge, Signore, è tutta la mia gioia»: è la preghiera al centro di questa Domenica che precede la festa del Martirio del Precursore del Signore (martedì i ° settembre).
La liturgia è invito a dare testimonianza della propria fede anche di fronte alla minaccia della persecuzione e della morte: «Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria». Una testimonianza che nasce da un’autentica semplicità di cuore e da una convinta scelta di conversione: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli». Una testimonianza che sa farsi carico di un impegno concreto e un’attenzione sincera nei confronti di quanti sono più giovani e fragili nella fede: «Abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio».

giovedì 26 agosto 2010

382 - LE TUE VIE SIGNORE

Salmo 24
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A te, Signore, elevo l'anima mia, Dio mio, in te confido: non sia confuso! Non trionfino su di me i miei nemici!Chiunque spera in te non resti deluso, sia confuso chi tradisce per un nulla.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri.
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Guidami nella tua verità e istruiscimi,perché sei tu il Dio della mia salvezza, in te ho sempre sperato. Ricordati, Signore, del tuo amore,della tua fedeltà che è da sempre.
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Non ricordare i peccati della mia giovinezza: ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore. Buono e retto è il Signore, la via giusta addita ai peccatori; guida gli umili secondo giustizia, insegna ai poveri le sue vie.

giovedì 19 agosto 2010

381 - GESU' E I MERCANTI DEL TEMPIO

Giotto, Gesù scaccia i mercanti dal tempio
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Sullo sfondo di un edificio sacro, sul quale campeggiano due leoni e due cavalli, Giotto colloca la figura del Cristo, mentre impugna alcune cordicelle, con le quali scaccia i venditori dal tempio.Cinque apostoli, due sommi sacerdoti ebraici (Annà e Caifa), più due rivenditori completano la scena, nella quale si staglia un tavolo rovesciato.Appaiono anche due bimbi, come felice tocco di curiosità infantile.Il primo, spaventato, si rifugia tra le braccia di un apostolo; il secondo (aggiunto a tempera, sullo sfondo della figura dell’apostolo Pietro: interessante riverbero di ripensamenti pittorici di Giotto) reca ancora in mano una colomba uscita forse da una delle gabbie rovesciate.

380 - MERCANTI O ADORATORI?

Gesù scaccia i mercanti dal tempio perché ne avevano fatto un vero e proprio luogo di loschi traffici e di speculazione economica. Ed allora ci siamo mai chiesti se andiamo in chiesa per pregare o per mercanteggiare con Dio. Ci siamo mai domandati se siamo più mercanti che adoratori e cercatori di Dio. Abbiamo mai pensato che quando parliamo con Dio nella nostra povera preghiera non facciamo altro che barattare la nostra merce in cambio di un suo favore. Non possiamo usare con Dio il vecchio principio degli antichi "do ut des".

Dio è Amore ed amore gratuito, ma che esige un altrettanto amore gratuito da parte dell'uomo capace di spalancare il suo cuore alle meraviglie di un Dio ricco di misericordia e pronto ad aspettare che ritorni il figlio perduto.

Ma torniamo al cuore della scena di oggi: "non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato". Il detto di Gesù riguarda un certo tipo di religiosità.

Non si va in chiesa per sentirsi a posto con la coscienza a buon mercato. Occorre che ci si converta di vero cuore.

Con Dio non si mercanteggia, come si fa al mercato. Non si acquista Dio a buon mercato. Non si sistemano le cose storte con qualche salmo o preghiera. Le cose storte si sistemano... raddrizzandole. Non si può andare in pellegrinaggio al Tempio e poi continuare a rubare, sfruttare, calunniare il prossimo, fare cortile, giudicare senza conoscere bene le persone: «poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato» (Matteo 12,37).

Non si può essere sinceri con Dio quando si inganna la persona con la quale stringiamo la mano in segno di pace e comunione. Dio non accetta le genuflessioni di chi calpesta e disprezza la giustizia.

Ciò che Gesù condanna è la frequentazione del Tempio come rifugio (ecco la caverna, il covo, che mette al riparo i delinquenti). Oserei dire siamo dei latitanti spirituali. Ciò che si condanna è la pietà religiosa come alibi. Un culto del genere è un culto menzognero e la sicurezza che una ne ricava è una falsa sicurezza.

Purificazione del Tempio, in questo senso, significa smascherare l'ipocrisia delle persone religiose e praticanti che credono di sistemare le proprie faccende poco pulite col Signore dietro pagamento di qualche pratica, un certificato di buona coscienza. Allora che cosa dobbiamo fare? Occorre modificare la condotta e non moltiplicare le invocazioni e le preghiere.

L'alternativa al Tempio "luogo di mercato" è il Tempio "aperto", non certo a persone apparentemente perfette, ma a persone che vogliono vivere nella fedeltà, nella chiarezza e nella sincerità, e che cercano in Dio non un "complice" disposto a chiudere un occhio su certe faccende, ma un Dio che guida su una strada di rettitudine, onesta e trasparente.

(don Mario Campisi)

379 - XIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Lettura: Neemia 1,1-4;2,1-8: Dopo aver meditato, domenica scorsa, sulla distruzione di Gerusalemme, oggi contempliamo il progetto salvifico di Dio. Il re Artaserse concede a Neemia di ricostruire la città. Una ricostruzione che però non è che prefigurazione di quanto opererà Gesù.

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Salmo 83: Ascolta, Signore, il grido della mia preghiera.

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Epistola Romani 15,25-33: Agli occhi di Paolo, Gerusalemme è luogo simbolico. La colletta per i poveri di Gerusalemme è perciò segno forte di comunione tra le sue comunità, provenienti in gran parte dal mondo pagano, e la chiesa madre di Gerusalemme, nonché con la fede di Israele.

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Vangelo Matteo 21,10-16: Gesù entra a Gerusalemme. L’agitazione che lo accoglie è segno del turbamento che egli provoca, restituendo al tempio la sua verità: non è luogo di mercato, ma luogo in cui Dio manifesta la sua salvezza e gli uomini vi rispondono con la preghiera e la lode.

martedì 17 agosto 2010

378 - MARIA IMMAGINE DI FEDE E DI TENEREZZA

Una madre che allatta al seno la propria creatura è l’immagine stessa della tenerezza. In ogni epoca, in ogni civiltà, ad ogni latitudine. A maggior ragione nel mondo cristiano, che basa il suo credo su una verità straordinaria e sconvolgente, quella di un Dio che si è fatto uomo per amore.

La preghiere delle madri

Se ci si pensa un attimo, ciascuno di noi, probabilmente, ricorderà una qualche raffigurazione di Maria col Bambin Gesù sulle ginocchia che si nutre al suo petto, scorta magari in una chiesa di campagna o in una cappella alpestre. «Madonne del latte», così le chiamano. Immagini di struggente, popolana bellezza, capaci di tradurre in un linguaggio immediato e universale l’impenetrabilità del dogma. Testimonianze figurate di un miracolo quotidiano e condiviso, quello della nascita e della crescita, emozionante e stupendo, eppur non esente da rischi e pericoli. Quanti sguardi di madri, riconoscenti o supplichevoli, si saranno levati nei secoli verso queste Madonne dipinte? Quante mani tremanti avranno sollevato al loro cospetto pargoli in fasce, implorando la divina protezione?

Il tema è quanto mai affascinante, sia che lo si consideri sotto la prospettiva religiosa e devozionale, o quella artistica e iconografica, o ancora quella tradizionale e popolare. Come ci si può ben rendere conto “scandagliando”, borgo dopo borgo, frazione dopo frazione, territori come quelli della Brianza, del lecchese e del Triangolo lariano, sulle tracce, appunto, del culto alla Virgo lactans. Proprio in queste zone, infatti, si possono individuare oltre cinquanta raffigurazioni relative alla Madonna del latte, databili tra il XII e il XIX secolo, ma concentrate per lo più fra il Quattro e il Cinquecento, senza dubbio il periodo di maggior diffusione di questa singolare iconografia mariana, favorita certamente da una forte ripresa della devozione alla Vergine ad opera soprattutto degli ordini mendicanti come i francescani e i domenicani.

Il dato brianzolo e lecchese è in qualche modo impressionante, ma in realtà quella della Madonna del latte è un’immagine che conosce una fortuna grandissima in gran parte della cristianità d’Occidente, dal meridione d’Italia alla Toscana, dalle regioni francesi alle Fiandre. Anche nella vicina terra bergamasca, ad esempio, la concentrazione di Vergini allattanti è davvero notevole e un loro darebbe risultati, crediamo, sicuramente interessanti.
Colpisce, in particolare, la “trasversalità” di questo modello iconografico, rappresentato sia a livello popolare, sia a livello colto. Se infatti la maggior parte di queste Madonne che offrono il seno al Bambin Gesù appaiono realizzate da anonimi artigiani del pennello, dotati spesso più di buona volontà che di autentico talento artistico, non mancano i dipinti firmati da grandi maestri come Ambrogio Lorenzetti e Leonardo da Vinci, Raffaello e Lotto, Tiziano e Van Eyck… Segno di una devozione che si sviluppava inarrestabile e partecipata nelle piccole comunità, ma che trovava riscontro anche nelle corti e tra gli esponenti dell’alta società europea, confermata dal sentimento popolare quanto dai teologi più affermati.

Immagini, tuttavia, che oggi non sempre sono facilmente individuabili. E non soltanto per gli inevitabili guasti del tempo o per l’incuria dell’uomo. Molte di queste Madonne del latte, infatti, sono state “ritoccate” dall’epoca della Controriforma in poi, quando cioè non parve più conveniente che Maria mostrasse il seno, fosse anche per allattare il piccolo Gesù. Piuttosto che sull’umanità della Vergine, a un certo punto, infatti, si preferì porre l’accento sulla sua divina regalità. E quelle antiche Madonne furono intese spesso come inopportune e imbarazzanti. Da incoronare, magari, con nuovi diademi preziosi, ma anche da “nascondere” sotto prudenti strati di colore...

A chi volesse saperne di più sull’affascinante tema delle segnaliamo il bel libro di Natale Perego, recentemente pubblicato da Cattaneo Editore con il titolo: Una Madonna da nascondere (228 pagine, illustrato a colori, 20 euro). Si tratta di un’approfondita ricerca sul piano artistico, etnografico e religioso, che l’autore, docente di lettere nei licei e studioso di storia locale, ha condotto in Brianza, nel lecchese e nel Triangolo lariano censendo una cinquantina di raffigurazioni ancora esistenti in chiese e cappelle, che testimoniano l’importanza e la diffusione di questa particolare devozione mariana.

(www.incrocinews.it)

377 - IN QUAL MODO LA FEDE DELLA CHIESA È UNA SOLA?

La Chiesa, benché formata da persone diverse per lingua, cultura e riti, professa con voce unanime l'unica fede ricevuta da un solo Signore e trasmessa dall'unica Tradizione Apostolica. Professa un solo Dio - Padre, Figlio e Spirito Santo - e addita una sola via di salvezza. Pertanto noi crediamo, con un cuor solo e un'anima sola, quanto è contenuto nella Parola di Dio, tramandata o scritta, ed è proposto dalla Chiesa come divinamente rivelato.

(Compendio del catechismo della chiesa cattolica, n. 32)

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In what way is the faith of the Church one faith alone?

The Church, although made up of persons who have diverse languages, cultures, and rites, nonetheless professes with a united voice the one faith that was received from the one Lord and that was passed on by the one Apostolic Tradition. She confesses one God alone, Father, Son, and Holy Spirit, and points to one way of salvation. Therefore we believe with one heart and one soul all that is contained in the Word of God, handed down or written, and which is proposed by the Church as divinely revealed.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, n.32)

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¿En qué sentido la fe de la Iglesia es una sola?

La Iglesia, aunque formada por personas diversas por razón de lengua, cultura y ritos, profesa con voz unánime la única fe, recibida de un solo Señor y transmitida por la única Tradición Apostólica. Profesa un solo Dios –Padre, Hijo y Espíritu Santo– e indica un solo camino de salvación. Por tanto, creemos, con un solo corazón y una sola alma, todo aquello que se contiene en la Palabra de Dios escrita o transmitida y es propuesto por la Iglesia para ser creído como divinamente revelado.

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.32)

376 - PERCHÉ LE FORMULE DELLA FEDE SONO IMPORTANTI?

Le formule della fede sono importanti perché permettono di esprimere, assimilare, celebrare e condividere insieme con altri le verità della fede, utilizzando un linguaggio comune.

(Compendio del catechismo della chiesa cattolica, n. 31)

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Why are the formulas of faith important?

The formulas of faith are important because they permit one to express, assimilate, celebrate, and share together with others the truths of the faith through a common language.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, n.31)

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¿Por qué son importantes las fórmulas de la fe?

Las fórmulas de la fe son importantes porque nos permiten expresar, asimilar, celebrar y compartir con los demás las verdades de la fe, utilizando un lenguaje común.

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.31)

venerdì 13 agosto 2010

375 - ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Andrea del Sarto, Assunzione della Vergine (1529)

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In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore». (Luca 1,39-56)

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«Tutte le generazioni mi chiameranno beata». Il canto della Vergine di Nazaret sciolse il grido di gioia, inno di ringraziamento per il dono fatto all’umanità, in lei, del Figlio divino. Esultava la Vergine per la carne nella sua carne concepita senza intervento d’uomo, per quella speranza che sentiva realizzarsi dentro di lei. Certezza di un mondo trasformato dalla Parola, suo Figlio, che avrebbe per amore disperso i superbi, rovesciato i potenti, rimandato a mani vuote i ricchi, ricolmato di beni gli affamati, dando dignità agli umili.

Tutto il Vangelo è scritto nel poema della Vergine: sintesi di un percorso, il Magnificat racconta quanto grande sia l’Onnipotente che ha inviato ai perduti d’Israele, ai poveri di ogni tempo, quanto aveva promesso. Grazie al Figlio benedetto, che ora esultava nel grembo di Maria, la salvezza avrebbe visitato la terra. Vinte le tenebre, ora nasceva la speranza: ogni uomo in virtù della Parola avrebbe potuto superare per sempre la barriera della morte.

Nella Vergine ebbe inizio il futuro e nel suo grembo fu inaugurato il tempo definitivo: la carne del Figlio, nella sua carne, sarebbe stata partorita per il riscatto di tutti e tutti nel Figlio di Maria avrebbero potuto vedere il cielo aperto sulle attese dell’uomo: «Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti» (1Cor 15,21).

L’ottimismo della fede nasce dalla certezza che le nostre esperienze non sono ridotte dal tempo in scatole chiuse, ma trasfigurate in vasi comunicanti dove la storia di oggi si ritrova con la storia di chi ci ha preceduto e di chi verrà dopo di noi. Il canto della Vergine, il Magnificat, è la voce dell’umanità che, finalmente libera dal compromesso di un tempo mortificato, sprigiona l’entusiasmo per la buona notizia che annuncia la sconfitta di un tempo malato.

Calpestata la morte dal Figlio di Maria, il tempo ha trovato il giusto compimento: «L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte » (1Cor 15,26).

Ma c’è di più, la promessa di futuro per il credente nel Vangelo non è semplice promessa di futura esistenza. La vita oltre non è un esserci senza consistenza. Lo scandalo della croce si coniugherà con l’assurdo della risurrezione della carne, con la straordinaria notizia: saremo un corpo ritrovato, salvato, redento, resuscitato, il nostro definitivo corpo.

Cristo, risorto nella sua carne, è la primizia. Il privilegio di seguirlo per prima è della Madre, assunta in cielo nel suo vero corpo. Avere fede in Gesù è credere in cieli nuovi e terre nuove, è dare speranza a carne redenta, rinnovata, risorta, la nostra, per sempre. Oggi è il giorno di Maria, un giorno che ci riguarda.

Don Gennaro Matino


374 - XII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

La storia della salvezza registra eventi tragici per il popolo di Israele come conseguenza del suo allontanamento da Dio e della sua ostinata resistenza ai richiami dei profeti. Siamo così messi in guardia dal fare altrettanto chiudendoci a Gesù e al suo Vangelo.

Le lezioni bibliche offerte dal Lezionario sono: Lettura: 2 Re 25,1-17; Salmo 77; Epistola: Romani 2,1-10; Vangelo: Matteo 23,37-24,2.

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Il brano evangelico si presenta diviso in due parti: la prima, comprendente i vv 37-39, rappresenta la parte finale del discorso polemico contro “scribi e farisei”, ma anche contro Israele e la stessa Gerusalemme, pronunciato da Gesù nel Tempio. La seconda 24,1-2 riporta l’avvio del discorso fatto da Gesù ai suoi discepoli, “fuori” dal Tempio e riguardante gli eventi finali che preparano la “parusia”, la venuta cioè del Signore, alla fine dei tempi, per il giudizio. In particolare, nei vv 37-39, Gesù dopo l’invettiva contro scribi e farisei e, in generale, contro il popolo d’Israele, “uccisori di profeti”, si rivolge direttamente alla città di Gerusalemme. A essa ricorda il suo passato fatto di disobbedienze a Dio e del rifiuto di ascoltare e di accogliere i profeti di continuo mandati da lui come segno della sua premura “paterna”.

La Lettura ci presenta il resoconto della distruzione della città a opera di Nabucodonosor, re di Persia (597 a.C.), come conseguenza del degrado religioso e morale della città, a causa del suo traviamento idolatrico.

Gesù, in linea con il comportamento di Dio stesso, usa l’immagine biblica della chioccia (cfr. Isaia 31,5; Sl 36,8) per dichiarare il suo grande amore per il suo popolo e la città sede del Tempio. Un amore che intende proteggerla e preservarla dagli eventi luttuosi attraverso i suoi richiami, le sue parole. Ma invano. Gesù subisce, come tutti i precedenti inviati di Dio, il rifiuto e come essi, la morte violenta.

Si aggancia, così, con il v 38, l’annunzio come conseguenza del rifiuto del “giudizio” sulla città che “vi sarà lasciata deserta”, predicendo con ciò il definitivo ritiro e abbandono da parte di Dio della sua “casa”, ovvero del Tempio e del suo popolo, lasciando perciò campo libero ai tragici eventi come l’effettiva e definitiva distruzione di Gerusalemme e del Tempio, nel 70 d.C. a opera delle legioni romane.

Al v 39 Gesù parla della sua dipartita, ovvero della sua morte come di una sua momentanea assenza fino alla sua “parusia”, nella quale verrà da tutti riconosciuto come il Messia, il Figlio dell’uomo mandato “nel nome del Signore” (cfr. Salmo 118,6).

I vv 1-2 del cap. 24, come abbiamo già detto, ci trasportano fuori dal Tempio e riportano parole di Gesù dirette ai suoi discepoli e quindi di grande importanza per la sua comunità che viene così informata sugli eventi finali riguardanti la già citata distruzione di Gerusalemme e del Tempio e sulla necessità di farsi trovare preparati.

Nello spiegarsi graduale della salvezza che l’attuale tempo liturgico ci fa ripercorrere alla luce della Pasqua del Signore, ci viene oggi offerta dalla Parola una chiave interpretativa delle vicende della storia nella quale, come un tempo Israele, oggi è immersa la comunità del Signore, ossia la Chiesa. Questa, alla luce delle vicende di Israele, è messa in guardia dal cadere nella stessa triste condizione di chiusura, di indifferenza alla parola di Dio, di rifiuto pratico del suo ultimo e definitivo inviato, ossia il suo Figlio Gesù.

Tale rifiuto espone oggi, come allora, la comunità a eventi davanti ai quali è come disarmata e indifesa, come lo fu Gerusalemme davanti a Nabucodonosor prima e poi all’imperatore romano Vespasiano. La Chiesa, dunque, e tutti noi in essa, siamo esortati ad ascoltare i richiami pieni di amore che il Signore Gesù ci rivolge, come fa la chioccia verso i suoi pulcini indifesi.

Sotto le sue ali, al suo riparo, la Chiesa andrà incontro agli eventi della storia, certa di non essere quella casa “lasciata deserta” dall’abbandono del suo Signore. Istituita da lui saprà valutare, come si conviene, le realtà di questo mondo destinate a “passare” così come le belle pietre del Tempio di Gerusalemme.

In una parola, la Chiesa, certa che il suo Signore, non l’abbandonerà mai, sarà stimolata ad accoglierlo e ad ascoltarlo come l’unico supremo inviato di Dio e a ubbidire a ogni sua parola convertendosi dal “cuore duro e ostinato” (cfr. Romani 2,5). In tal modo non sarà scossa e turbata dagli accadimenti spesso tragici della Storia e, avvertendo la protezione amorosa del Signore, si manterrà fedele alla sua parola attendendo così, con serenità, la sua “parusia”, il suo “giudizio”.

Don Alberto Fusi

giovedì 12 agosto 2010

373 - LA MISERICORDIA DEL SIGNORE

O mio Dio, Santissima Trinità, voglio adorare la tua misericordia con ogni respiro del mio essere, ogni battito del mio cuore, ogni mio palpito. Voglio essere interamente trasformata nella tua misericordia e diventare così un vivo riflesso di te, Signore. Il più grande attributo divino, la tua misericordia insondabile, si riversi attraverso la mia anima e il mio cuore sul mio prossimo.

Aiutami, Signore, affinché i miei occhi siano misericordiosi, ch’io non sospetti mai né giudichi secondo le apparenze, ma sappia discernere la bellezza nell’anima del mio prossimo e gli venga in aiuto. Aiutami, Signore, affinché il mio orecchio sia misericordioso, affinché io mi chini sui bisogni del mio prossimo e non rimanga indifferente né ai suoi dolori né ai suoi gemiti. Aiutami, Signore, affinché la mia lingua sia misericordiosa, affinché io non sparli mai del mio prossimo, ma abbia per ognuno una parola di consolazione e di perdono. Aiutami, Signore, affinché le mie mani siano misericordiose e piene di buone opere, affinché io sappia fare del bene al mio preossimo e mi assuma i carichi più pesanti e sgradevoli. Aiutami, Signore, affinché i miei piedi siano misericordiosi, affinché io mi affretti a soccorrere il mio prossimo, dominando la mia stanchezza e pigrizia. Il mio vero riposo sta nel rendere servizio al mio prossimo.

Aiutami, Signore, affinché il mio cuore sia misericordioso, affinché io partecipi a tutte le sofferenze del mio prossimo. Non rifiuterò il mio cuore a nessuno ; frequenterò sinceramente persino coloro che, lo so bene, abuseranno della mia bontà ; e io, mi rinchiuderò nel cuore misericordioso di Gesù. Tacerò le mie sofferenze. La tua misericordia riposi in me, Signore.

Santa Faustina Kowalska (1905-1938), religiosa, Giornale, 163 (1937)

lunedì 9 agosto 2010

372 - TU HAI CHIAMATO

Tu hai chiamato, hai gridato,
e hai superato la mia sordità.
Tu hai sfolgorato,
e hai aperto i miei occhi.
Tu hai sparso i profumi,
li ho respirati
son corso dietro a te!

Io ti ho gustato,
e ho fame e sete di te.
Tu mi hai toccato,
e io brucio dal desiderio
della tua pace.
Quando sarò più vicino a te,
la mia sofferenza sarà finita.

O Signore, abbi pietà di me,
non nascondo le mie ferite;
tu sei il medico e io l'infermo.
Tu sei misericordioso,
e io tanto povero.

Donami ciò che tu comandi,
e poi comanda ciò che tu vuoi.

(Sant'Agostino)

sabato 7 agosto 2010

371 - IL RICCO EPULONE E IL POVERO LAZZARO

Lazzaro ed il ricco Epulone, illustrazione dall’Evangeliario di Echternach, libro miniato dell'VIII secolo, proveniente dalla biblioteca dell'abbazia lussemburghese di Echternach e ora conservato alla Bibòliotheque National de France.

Pannello superiore: Lazzaro alla porta dell'uomo ricco.

Pannello centrale: L'anima di Lazzaro è trasportata in Paradiso da due angeli; Lazzaro nel petto di Abramo.

Pannello inferiore: L'anima del ricco è trasportata da due diavoli all'inferno; il ricco è torturato nell'inferno

….

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.

E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Luca 16,19-31

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Per riflettere:

- Che uso facciamo dei nostri beni materiali? La nostra ricchezza, piccola o grande che sia, è solo al servizio del nostro benessere e delle nostre necessità?

- Siamo attenti ai moderni Lazzaro che siedono alla porta delle nostre case e attendono le briciole per sfamarsi? E ai Lazzaro che vivono lontano, nel terzo mondo così spesso impoverito dalla nostra civiltà dei consumi?

- sappiamo impegnarci concretamente in favore dei poveri, o preferiamo fare come il ricco Epulone, che non si accorge del povero?

- chi sono per me i poveri?

- sappiamo leggere e comprendere i testi delle Scritture che ci indicano la via per giungere alla vita eterna, per ottenere la consolazione e la pace?

venerdì 6 agosto 2010

370 - XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano, che la liturgia ambrosiana della XI domenica dopo Pentecoste propone per domenica 8 agosto, noto come la parabola “del ricco epulone” e del povero Lazzaro, mostra le conseguenze tragiche prodotte dall’uso perverso delle ricchezze da cui il Signore aveva già messo in guardia con la precedente parabola dell’amministratore infedele (16,1-8) e con il suo insegnamento al riguardo (16,9-13) che addita, nell’elemosina, l’uso buono delle stesse ricchezze.

La parabola si presenta divisa in due parti. Nella prima, vv 19-25, viene illustrato il totale ribaltamento di situazione che avviene per il ricco e per il povero, nell’ora della morte. Un cambiamento reso drammatico dalla visione del ricco non più vestito di “porpora e di lino finissimo”, ma nell’inferno tra “i tormenti”. Egli, abituato ai sontuosi banchetti quotidiani, ora chiede solo una goccia d’acqua fresca. Il povero, al contrario, ora è “nel seno di Abramo” ovvero partecipa della beatitudine e della felicità eterna. Un simile cambiamento, avverte il v 26, è irreversibile e non è pensabile passare dai “tormenti” al “seno di Abramo” per via del “grande abisso” che divide per sempre le due situazioni.

Nella seconda parte della parabola (vv 27-30) l’attenzione è rivolta ai cinque fratelli del “ricco” i quali, evidentemente, vivendo come lui, sono inesorabilmente destinati alla sua orribile fine. Essi, però, essendo ancora in vita, possono evitare tale fine, decidendo di obbedire a “Mosè e i Profeti” (v 29. v 31).

Nel progressivo dispiegarsi della storia della salvezza che il tempo liturgico “dopo Pentecoste” ci fa rivivere nelle sue grandi tappe considerate nella loro tensione alla Pasqua, un posto di rilievo è occupato dai Profeti rappresentati emblematicamente da Elia. Egli riassume la rivelazione vetero-testamentaria che va sotto il nome, appunto, di “Profeti” e che, insieme a Mosè, che riassume in sé il Pentateuco (la Legge), indica, di fatto, tutta la Scrittura così come viene fatto capire nel testo evangelico oggi proclamato.

I profeti sono mandati da Dio con il compito essenziale di mantenere il popolo a lui appartenente nella fedeltà all’alleanza, additando le mancanze che ledono tale alleanza e che spiegano anche le “prove” che, per questo, si abbattono sul popolo stesso. I profeti, perciò, predicano la necessità di conversione dall’idolatria e dalla condotta malvagia volgendosi con fiducia a Dio e camminando nelle sue vie.

La Lettura ci offre la testimonianza di Elia che non teme di affrontare il perfido re Acab denunciando apertamente il suo crimine – l’uccisione proditoria di Nabot e l’usurpazione della sua vigna – e la conseguente punizione che lo attende (1Re 21,8-19).

Tutta la Scrittura (= Mosè e i Profeti), perciò, è da Dio donata perché sia “ascoltata” e “obbedita”. Essa, in realtà, annuncia e prepara l’invio nel mondo non più di intermediari per quanto grandi come Mosè e i Profeti, ma della stessa “Parola” ossia di Gesù di Nazaret. Egli insegna agli uomini la via per sfuggire al triste destino del “ricco” ossia alla rovina eterna e arrivare così nel “seno di Abramo” ossia alla felicità eterna.

Nel Signore Gesù, nella sua Parola noi abbiamo la possibilità di ascoltare “tutta la Legge e tutti i Profeti” che lui riassume nel comandamento dell’amore di Dio e del prossimo teso a ribaltare totalmente quella mentalità e quello stile di vita emblematicamente espresso nella figura del “ricco epulone”.

Egli divenuto oramai impermeabile ai divini richiami, si ostina a perseguire un’esistenza illusoriamente ritenuta sicura perché al riparo delle “ricchezze” di questo mondo: il denaro, il potere, il piacere. Una tale esistenza è inesorabilmente avviata al “grande abisso” dal quale neanche un “miracolo”, quello invocato dal “ricco” per i suoi fratelli, potrebbe liberare.

Immensamente grati al Padre per il dono del suo Figlio, sua Parola vivente, cogliamo anche noi l’invito delle Scritture a verificare il nostro autentico atteggiamento di fronte a Gesù e al suo Vangelo. “Oggi” è ancora possibile, qualora registrassimo in noi indifferenza e chiusura alla Parola, fermarci dal cadere nel “grande abisso” e operare quella “conversione” del cuore che l’apostolo Paolo traduce in concreto programma di vita (Epistola: Romani 12,9-18) e che il Canto al Vangelo così sintetizza: «Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono e producono frutto con perseveranza».

(A. Fusi)

giovedì 5 agosto 2010

369 - SIGNORE, INSEGNACI A PREGARE!

Trasfigurazione - Santa Caterina del Sinai
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Ci riferiamo ora in particolare alle prime parole del racconto lucano: «Prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto» (Lc 9, 28b-29a). Questi versetti ci sollecitano a riflettere sul tema della preghiera, così nodale negli esercizi, e sulla preghiera di Gesù, nel desiderio di imparare da lui.

La preghiera era il respiro della sua vita, e perciò pregava sempre. Ha pregato tante volte sulle montagne della Galilea, passava le notti in preghiera: ha pregato in solitudine nella notte prima di chiamare gli apostoli (Lc 6, 12-16); ha pregato nella notte dopo la moltiplicazione dei pani (Mt 14, 23). E alla preghiera sul Tabor chiama come testimoni i tre discepoli più fidati, che saranno poi testimoni nel Getsemani.

Possiamo contemplarlo in preghiera mentre gli apostoli ne ammirano la devozione, la riverenza, l'adorazione. la concentrazione, la calma, il silenzio. D'un tratto ecco la luce che lo illumina completamente, con una luminosità senza paragoni. Forse gli apostoli gli ripetono la domanda che altre volte gli hanno posto e che facciamo nostra: «Signore, insegnaci a pregare! Noi vorremmo poter pregare come te». Di fatto Gesù rivela il mistero della preghiera pregando, e noi abbiamo molto bisogno di imparare a pregare, a entrare in quel mistero.

C'è un aspetto della preghiera che mi colpisce molto. Mi colpisce che sia l'espressione della prima alterità, del primo incontro con un «tu». Il pensiero moderno e contemporaneo ha superato il primato del soggetto individuale da cui tutto dipende, e ha riconosciuto che l'uomo è soggetto perché è interpellato ed è soggetto morale perché é di fronte al volto di un Altro. È un'acquisizione della teologia e della filosofia contemporanee - da Martin Buber, a Levinas, a Mancini e a molti altri -, ed è ormai accettata, in quanto fonda veramente una morale: l'essere di fronte all'altro, l'essere per l'altro. Siamo esseri morali e umani in relazione, e la prima relazione è quella con Dio, che è la più profonda, la più alta, la più coraggiosa, la più ardita perché non lo vediamo.

La preghiera, quindi, è l'espressione spontanea della nostra alterità di fronte a Dio e dell’alterità di Dio di fronte a noi. È a un «tu». Alcuni anni fa ho promosso a Milano una «Cattedra dei non credenti» sul tema: La preghiera di chi non crede, nella convinzione che la preghiera è ben più profonda dell'intelligenza teoretica della fede. Anche chi brancola nel buio, sente il bisogno di rivolgersi a un «tu». Nella preghiera ci definiamo come creature, partner di Dio, figli o chiamati a essere figli, persone fornite di dignità inalienabile.

Pur se la preghiera può assumere forme molto semplici, talora banali, ripetitive, pesanti, tuttavia nel suo mistero è l'essere dell'uomo davanti all'Essere, é davvero qualcosa di formidabile.

Carlo Maria Martini, La trasformazione di Cristo e del cristiano alla luce del Tabor, 2004.

368 - LA TRASFIGURAZIONE SECONDO LUCA

«Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlarne con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui. Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube usci una voce, che diceva: "Questi é il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo". Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto» (Lc 9, 28-36).

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Consideriamo anzitutto l'episodio nel suo insieme: collocazione nel contesto dei vangeli, brani evangelici a cui rimanda, importanza della pericope nella tradizione della Chiesa.

La pericope della Trasfigurazione è al centro del Vangelo in tutti i sinottici. Segue immediatamente la confessione di Pietro, il primo annuncio della passione, le condizioni per seguire Gesù. Costituisce dunque un'unità con il racconto del riconoscimento da parte di Pietro di Gesù come il Cristo, è la risposta divina alla confessione dell'apostolo; è un punto cardine della narrazione evangelica. Da quel momento gli eventi precipitano verso la passione. Sembra addirittura che nella Chiesa antica si fosse pensato che l'evento del Tabor precedesse di quaranta giorni la passione. Non a caso la festa liturgica della Trasfigurazione si celebra il 6 agosto fin dal secolo VII del calendario bizantino e questa data è stata sempre mantenuta da tutta la Chiesa. Anzi, è una delle poche feste che cadono nelle stesso giorno sia per l'Oriente che per l'Occidente. Notate che ci sono quaranta giorni dal 6 agosto al 14 settembre, data della Esaltazione della Croce, quasi a significare che la Trasfigurazione prepara la proclamazione di Gesù crocifisso.

La Trasfigurazione sul monte ci parla di un mistero così sublime che si ha quasi paura ad avvicinarlo. Sarebbe necessario forse avere il cuore e la voce della Chiesa d'Oriente, che ha parlato a lungo di tale mistero, come ho sopra accennato.

Cito almeno un'omelia armena del V secolo, di un certo Eliseo, nelle cui parole si avverte tutto il commosso entusiasmo per lo stesso luogo fisico dove si situa l'evento: «[ ... ] vi parlerò dell'aspetto delizioso di quel monte. Ci siamo andati personalmente e l’abbiamo visto con i nostri occhi e non da soli e separatamente, ma con numerosi compagni. Parecchi di loro volevano trattenersi sul monte, non per la forza di un desiderio carnale, bensì per tenero amore di Cristo. Là infatti abita una moltitudine di fratelli ammirevoli, guidati più dallo spirito che dal corpo [i monaci che abitavano sul Tabor già nel IV-V secolo; sul monte si vedono i resti dei loro monasteri]. Se qualcuno considera quel luogo dal punto di vista della ricerca di godimenti corporali, esso già gli appare più grazioso di tante visioni di montagne. Innanzitutto perché è situato in una grande pianura della terra di Galilea, senz'altra montagna in prossimità. È circondato da sorgenti naturali di acqua, vi crescono frutti saporiti di varie specie [...]. L’ascesa per il sentiero che ha preso il Signore è molto diretta. Chi desidera fare l'ascesa per pregare salirà facilmente. Quando uno sale alla sommità reale del monte, gli appare chiaramente la piana intera nelle sue diverse parti. Tutta la varietà della regione presenta giustapposti villaggio a villaggio, podere a podere [oggi i kibbutzim ebraici hanno ricostituito lo stesso scenario, davvero bello a vedersi dalla cima] con diverse città in mezzo ad essi. La cima del monte poi è incavata, concava e c'è su di essa qualche raro albero, ma la terra è molto fertile.»

Così gli antichi amavano il luogo dove si è svolto l'episodio che vogliamo meditare.

Un episodio molto amato anche da Paolo VI, di cui desidero leggere due testi particolarmente significativi in proposito. Il primo è tratto dall'omelia che aveva preparato per l'Angelus del 6 agosto 1978, giorno in cui morì: «Quella luce che inonda il Cristo trasfigurato è e sarà anche la nostra parte di eredità e di splendore. Siamo chiamati a condividere tanta gloria, perché siamo "partecipi della natura divina" (2 Pt 1, 4)». Il secondo è tratto dal Pensiero alla morte: «Ecco mi piacerebbe, terminando, d'essere nella luce [pensa al Tabor]. In questo ultimo sguardo mi accorgo che questa scena affascinante e misteriosa [del mondo] è un riverbero, è un riflesso della prima e unica Luce... un invito alla visione dell'invisibile Sole. quem nemo vidit umquam: unigenitus Filius, qui est in sinu Patris, Ipse enarravit (Gv 1, 18). Così sia, così sia».

Comprendiamo di essere di fronte a una pericope che ci supera da ogni parte e ci mettiamo, umilmente, al servizio della Parola, lasciando che penetri nei nostri cuori.

Carlo Maria Martini, La trasformazione di Cristo e del cristiano alla luce del Tabor, 2004.

367 - LA TRASFIGURAZIONE DI BEATO ANGELICO

Beato Angelico, La trasfigurazione
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La Trasfigurazione è uno degli affreschi di Beato Angelico che decorano il convento di San Marco a Firenze. Misura 189x159 cm e si tratta di una delle opere sicuramente autografe del maestro, risalente al 1438-1440.

L'Angelico si dedicò alla decorazione di San Marco su incarico di Cosimo de’ Medici, tra il 1438 e il 1445, anno della sua partenza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, quando completò alcuni affreschi e si dedicò alla statura di codici miniati per il convento stesso.

La Trasfigurazione si trova nella cella 6 del corridoio Est, lato esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa parte di quel ristretto numero di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel disegno che nell'esecuzione. Nel caso della Trasfigurazione furono impiegate otto "giornate" di affresco, di cui una intera per il volto di Cristo, che fu trattato dall'Angelico con pennellate brevi e decise, con molte sfumature per rendere forte il modellato.

La scena viene spesso indicata come la più felice del ciclo, splendida sotto il profilo compositivo, coloristico e della luce. La simmetria è alla base dell'equilibrio della composizione. La figura di Cristo si erge maestosa al centro della scena sopra un'altura e spalancando le braccia, un gesto che preannuncia la Crocefissione, si staglia, bianco su bianco, entro una raggiera luminosa, che abbaglia gli astanti. Cristo ricorda un Pantocrator, adatto a rendere la potenza del momento in cui Dio proclamò ai discepoli "Questo è il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto". La composizione è divisa secondo la sezione aurea, con Cristo che divide l'affresco in due metà e con l'arco che misura un terzo rispetto all'altezza totale dell'opera.

In basso si trovano tre apostoli, Pietro, Giacomo il Maggiore (di spalle) e Giovanni: il primo fa un gesto per coprirsi gli occhi, Giacomo è in una posa carica di stupore (si notino le mani e i piedi contratti con studiato realismo), Giovanni invece, a destra, si inginocchia e alza le mani con profonda reverenza.

Sotto le braccia di Cristo si trovano le teste di Mosè e di Elia, testimoni mistici dell'avverarsi delle loro profezie, dove l'Angelico dispiegò tutta la sua potenza nel modellare. Ai lati si trovano infine la Madonna e san Domenico: quest'ultimo fa da testimone alla scena e la attualizza inquadrandola nella gamma dei principi dell'Ordine. San Domenico sembra ricevere luce dall'esterno, alle sue spalle.


lunedì 2 agosto 2010

366 - PERCHÉ LA FEDE È UN ATTO PERSONALE E INSIEME ECCLESIALE?

La fede è un atto personale, in quanto libera risposta dell'uomo a Dio che si rivela. Ma è nello stesso tempo un atto ecclesiale, che si esprime nella confessione: «Noi crediamo». È infatti la Chiesa che crede: essa in tal modo, con la grazia dello Spirito Santo, precede, genera e nutre la fede del singolo cristiano. Per questo la Chiesa è Madre e Maestra.

«Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre» (san Cipriano).

(Compendio del catechismo della chiesa cattolica, n. 29)

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30. Why is faith a personal act, and at the same time ecclesial?

Faith is a personal act insofar as it is the free response of the human person to God who reveals himself. But at the same time it is an ecclesial act which expresses itself in the proclamation, “We believe”. It is in fact the Church that believes: and thus by the grace of the Holy Spirit precedes, engenders and nourishes the faith of each Christian For this reason the Church is Mother and Teacher.

“No one can have God as Father who does not have the Church as Mother.” (Saint Cyprian)

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, n.30)

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30. ¿Por qué la fe es un acto personal y al mismo tiempo eclesial?

La fe es un acto personal en cuanto es respuesta libre del hombre a Dios que se revela. Pero, al mismo tiempo, es un acto eclesial, que se manifiesta en la expresión «creemos», porque, efectivamente, es la Iglesia quien cree, de tal modo que Ella, con la gracia del Espíritu Santo, precede, engendra y alimenta la fe de cada uno: por esto la Iglesia es Madre y Maestra.

«Nadie puede tener a Dios por Padre si no tiene a la Iglesia por Madre» (San Cipriano)

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.30)

365 - PERCHÉ NON CI SONO CONTRADDIZIONI TRA FEDE E SCIENZA?

Anche se la fede supera la ragione, non vi potrà mai essere contraddizione tra fede e scienza, perché entrambe hanno origine da Dio. È lo stesso Dio che dona all'uomo sia il lume della ragione sia la fede.

«Credi per comprendere: comprendi per credere» (sant'Agostino).

(Compendio del catechismo della chiesa cattolica, n. 29)

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Why is there no contradiction between faith and science?

Though faith is above reason, there can never be a contradiction between faith and science because both originate in God. It is God himself who gives to us the light both of reason and of faith.

“I believe, in order to understand; and I understand, the better to believe.” (Saint Augustine)

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, n.29)

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¿Por qué afirmamos que no hay contradicción entre la fe y la ciencia?

Aunque la fe supera a la razón, no puede nunca haber contradicción entre la fe y la ciencia, ya que ambas tienen su origen en Dios. Es Dios mismo quien da al hombre tanto la luz de la razón como la fe.

«Cree para comprender y comprende para creer» (San Agustín)

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.29)

domenica 1 agosto 2010

364 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - AGOSTO

Generale: perchè i disoccupati e i senza tetto e quanti vivono in gravi condizioni di situazioni di necessità trovino comprensione ed accoglienza e siano aiutati in modo concreto a superare le loro difficoltà.
Missionaria: perchè la chiesa sia la "casa" di tutti, pronta ad aprire le sue porte a quanti sono costretti dalle discriminazioni razziali e religiose, dalla fame e dalle guerre ad emigrare in altri Paesi.