Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

domenica 30 dicembre 2012

762 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - GENNAIO 2013

Cuore divino di Gesù, io ti offro per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al Sacrificio eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del divin Padre.
In particolare per le intenzioni del Papa e dei Vescovi di questo mese di Gennaio
Generale: “Perché in questo «anno della fede» i cristiani possano approfondire la conoscenza del mistero di Cristo e testimoniare con gioia il dono della fede in lui”.
Missionaria: “Perché le comunità cristiane del Medio Oriente, spesso discriminate, ricevano dallo Spirito Santo la forza della fedeltà e della perseveranza”.
Dei vescovi: “Perché coloro che soffrono maggiormente a causa della precarietà o della mancanza di lavoro siano oggetto dell'attenzione e dei provvedimenti delle autorità pubbliche”.

venerdì 28 dicembre 2012

761 - OGGI COMINCIA IL MISTERO DELLA PASSIONE

.
Sacro Monte di Varallo Sesia

“All'udire della nascita del Salvatore, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme” (Mt 2,3)... La mirra dei Magi prefigurava il mistero della passione: bambini appena nati sono uccisi senza pietà... Cosa significa questo infanticidio? Perché un crimine così orribile? “Un segno strano è apparso in cielo – dicono Erode e i suoi consiglieri - ; indica certamente per i magi la venuta di un altro re”. Capisci, Erode, cosa sono questi segni precursori ? ... Se Gesù è signore delle stelle, non è forse al riparo dai tuoi attacchi? Tu credi di avere il potere di far vivere o morire, ma non hai nulla da temere da un essere così mite. Dio lo sottopone al tuo potere; perché cospirare contro di lui?...
Ma abbandoniamo il lutto, “il dolore amaro di Rachele che piange i suoi figli”, perché oggi il Sole di giustizia (Ml 3,20) dissipa le tenebre del male e diffonde la sua luce su tutto il creato, lui che assume la nostra natura umana... In questa festa della natività “le porte della morte sono infrante, le barre di ferro sono spezzate” (Sal 107,16)... Poiché a causa di un uomo, Adamo, è venuta la morte; oggi a causa di un uomo viene la salvezza (Rom 5,18)... Dopo l'albero del peccato si leva l'albero della bontà, la croce... Oggi comincia il mistero della Passione.
San Gregorio Nisseno (circa 335-395), monaco e vescovo
Omelia sulla Natività di Cristo; PG 46,1128

domenica 23 dicembre 2012

760 - BUON NATALE 2012!

Duomo di Spoleto
.
Signore Gesù, amico e fratello,
accompagna i giorni dell’uomo
perché ogni epoca del mondo, 
ogni stagione della vita intraveda qualche segno 
del tuo Regno che invochiamo in umile preghiera, 
giustizia e pace s’abbraccino
a consolare coloro che sospirano il tuo giorno. 
Noi esultiamo nel giorno della tua nascita,
noi sospiriamo il tuo ritorno: 
Vieni, Signore Gesù!
(Carlo Maria Martini)

759 - STRANIERO E OSPITE A CASA SUA

In quest’anno della fede, avvicinandosi il Natale, ci lasciamo provocare dalla frase di sant’Ambrogio: “Se secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo” (Commento al Vangelo di Luca, capitolo II, versetto 26). Per il nostro santo patrono siamo dunque chiamati non solo ad accogliere la venuta del Signore ma anche a farlo nascere. Come? Attraverso la nostra fede.
Lui infatti nasce e viene e ci è accanto non in modo rumoroso, Lui non si impone, ma aspetta un luogo, un cuore dove nascere, come già duemila anni fa venne quasi straniero e ospite in casa sua.
Lui non cerca i palazzi dei re e le case dei ricchi per nascere, gli va bene un luogo umile, che si sa inadeguato, ed è contento di stare in compagnia della nostra povertà, delle nostre fragilità, del nostro peccato.
Lui chiama gli esclusi, quanti si sanno bisognosi di salvezza, per gioire della sua nascita: chi altri infatti gioirebbe dell’arrivo di un Salvatore?
Lui sceglie una piccola stella, confondibile tra migliaia, perché la speranza sia accesa e atteso il compimento delle promesse.
Così Egli opera attendendo la risposta della nostra fede, l’adesione della nostra vita. Lui viene e la nostra fede lo riconosce e gli fa posto come all’Altro il cui sguardo dà nuova profondità alla nostra vita: “Luce che illumina ogni uomo” (Vangelo di Giovanni, capitolo 1, versetto 9).
Lui viene e la nostra fede gli offre quello che siamo, la nostra povertà, il nostro quotidiano gioire, soffrire, sperare e domandare: “venne ad abitare in mezzo a noi” (Vangelo di Giovanni, capitolo 1, versetto 14).
Lui viene e la nostra fede gli domanda salvezza e si incammina verso di Lui con i passi della conversione: “da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Vangelo di Giovanni, capitolo 6, versetto 67).
Lui viene e la nostra fede coltiva la speranza e instancabilmente cerca i segni del compimento delle promesse e attende con lo sguardo rivolto al cielo: “ora che potrei attendere, Signore? È in te la mia speranza” (Salmo 39, versetto 8).
La fede infatti non è atteggiamento privato e chiuso nel cuore ma – come ci insegna il Papa – “è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui” (Lettera apostolica “Porta fidei”, numero 10, con la quale si indice l’anno della fede). Così – ci esorta ancora Ambrogio -, come Maria è beata perché ha creduto (cfr. Vangelo di Luca, capitolo 1, versetto 26) “beati anche voi che avete udito e avete creduto: infatti ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio e ne comprende le operazioni” capisce come Egli opera e ne segue i passi incontro ad ogni uomo portando un buon annuncio.
Monache Romite Ambrosiane, in
http://www.rmfonline.it/

758 - BUON NATALE DA CURITIBA

Carissimi,
siamo giunti al tempo degli auguri e ciò mi rende particolarmente felice.
Tra un avvenimento e l’altro, siamo arrivati anche quest’anno alla solennità del Santo Natale che con la sua grazia ci predispone ad entrare nel 2013 con il desiderio e la decisione di crescere ancora un poco lungo il cammino per noi preparato.
Per quanto mi riguarda anche il 2012 è un anno da annoverare tra quelli più significativi, senza far torto agli altri anni che comunque sono un dono del Signore.
Quest’anno è stato l’anno in cui Benedetto XVI ha proclamato “santo” il nostro amatissimo Fondatore Padre Giovanni Piamarta. Avere la conferma della Chiesa che il suo esempio è quello di un santo, ci sollecita ulteriormente a metterci sulle sue orme.
Quest’anno ho concluso, nel mese di Aprile, la mia prima esperienza missionaria in Mocodoene (Mozambico). Non mi stancherò mai di ringraziare il Signore del dono che mi ha concesso di una esperienza così bella e arricchente, anche se faticosa.
E’ stato anche l’anno in cui ho iniziato, in giugno, una nuova esperienza in Brasile come formatore e compagno di viaggio dei giovani brasiliani della nostra Congregazione che si preparano ai ministeri del Lettorato e dell’Accolitato, alla Professione religiosa perpetua e agli ordini sacri del Diaconato e del Sacerdozio.
A fianco di questa esperienza, in un paese che le statistiche politiche mondiali annoverano tra quelli in grande ascesa economica, il Signore mi sta facendo conoscere altri giovani e altre famiglie che con questa ascesa hanno poco o nulla a che fare. Sono felice di stare al loro fianco con la Chiesa e seguendo l’esempio di Padre Piamarta.
Ringrazio tutti dell’amicizia e auguro un felice e santo Natale e un 2013 di pace e salute. Padre Giacomo (Tiago) Marietti e comunità.
Curitiba, 23.12.2012.

venerdì 21 dicembre 2012

757 - DOMENICA DELL'INCARNAZIONE

Il brano di Luca (1,26-38a) va letto alla luce dei racconti vetero-testamentari di annunciazione, di concepimenti e di nascite del tutto singolari come, ad esempio, quella di Sansone (Giudici 13,1-7) e, in parallelo, con l’annuncio a Zaccaria, padre del Battista (Luca 1,5-25). Nei versetti iniziali (26-27) l’evangelista, mentre ambienta il suo racconto a livello temporale e spaziale, è particolarmente interessato a mettere in evidenza la condizione di Maria a cui è inviato Gabriele: «una vergine», quasi a voler preparare l’annunzio della sua singolare maternità fatta risalire direttamente all’intervento di Dio. I vv. 28-33 riportano il contenuto dell’annuncio. Maria viene salutata come «piena di grazia» (v. 28), a indicare il favore divino del tutto sorprendente e gratuito che guarda proprio a lei, una donna, una vergine non appartenente certo alle classi sociali più elevate. Il v. 29 registra il turbamento, anzi, il forte spavento avvertito inizialmente da Maria e che viene fugato dalle successive parole dell’angelo, finalmente rivelatrici dei disegni divini su di lei (vv. 30-33.35-37). Esse parlano della sua imminente maternità, quella di un figlio che dovrà essere chiamato Gesù (= Dio salva): nome indicativo della sua missione nel mondo quale «figlio dell’Altissimo» ed erede del trono di Davide secondo l’antica promessa: «Io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno... io renderò stabile il trono del suo regno per sempre» (2Samuele 7,12-13). Il v. 34 registra un secondo intervento di Maria riguardante la sua condizione di vergine, al quale fa seguito la nuova risposta dell’angelo (vv. 35-37), che rivela come l’annunciata maternità non sarà ascrivibile a un intervento umano, ma soltanto all’intervento divino mediante l’azione dello Spirito Santo. Le successive parole angeliche (v. 35b) segnano il culmine della rivelazione riguardante il figlio concepito dalla Vergine: non solo «figlio dell’Altissimo», non solo «figlio di Davide» e, dunque il re, il Messia, ma: «Sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» in senso proprio ed esclusivo. Gesù, dunque, è il Figlio di Dio ed è il figlio di Maria, la vergine. Ciò è possibile solo a Dio per il quale «nulla è impossibile» come, ad esempio, rendere madre Elisabetta, una parente di Maria che, nella sua vecchiaia, ha concepito anch’essa un figlio (v. 36). Il racconto si conclude al v. 38 con il “sì” di Maria che la pone nel numero dei “servi del Signore”, vale a dire di coloro che si consegnano con decisione fedele e irrevocabile alla volontà di Dio.
La tradizione liturgica della nostra Chiesa Ambrosiana dedica l’ultima domenica dell’Avvento alla celebrazione dell’Incarnazione del Signore nel seno della Vergine Maria.
Si vuole, in tal modo, condurre i fedeli a riconoscere, nel Bambino di Betlemme, il «Figlio dell’Altissimo», generato, come vero uomo, nel seno della Vergine, per opera dello Spirito Santo (cfr. Vangelo: Luca 1,31-35). La presente domenica, perciò, vuole aprire i nostri cuori alla grandezza e alla stupenda bellezza dei disegni di Dio che tutti ci riguardano e che comportano la venuta salvifica nel mondo del suo Figlio Unigenito che noi, con fede integra, confessiamo «vero Dio e vero Uomo».
Il canto Alla Comunione esprime liricamente il contenuto della nostra fede: «O scambio di doni mirabile! Il Creatore del genere umano, nascendo dalla Vergine intatta per opera di Spirito Santo, riceve una carne mortale e ci elargisce una vita divina».
In realtà i testi biblici e le preghiere del Messale non indugiano più di tanto nell’indagare il mistero insondabile, qual è l’Incarnazione del Verbo di Dio. Esso esige infatti di risalire e di penetrare nella vita trinitaria di Dio e reclama, in chi ascolta, la consegna libera e intelligente, sull’esempio della Vergine Santa, al volere divino al quale «nulla è impossibile» (cfr. vv. 37-38).
L’attenzione, pertanto, è rivolta maggiormente alla dimensione salvifica di tale mistero, considerato anzitutto come l’avverarsi delle promesse di Dio a Davide in ordine al ristabilimento del suo trono e del suo regno (vv. 32-33) e al riscatto del suo popolo così annunziato: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo salvatore» (Lettura: Isaia 62,11). Riscatto che trasforma un popolo umiliato e oppresso in «Popolo santo», un popolo di «Redenti del Signore» (v. 12).
Con ciò, a partire dal riscatto di Israele, si comprende come nell’Incarnazione del Figlio che assume in sé l’umanità intera, Dio in realtà dispone il riscatto e la redenzione dell’intera famiglia umana per farne il suo “Popolo santo”. È quanto viene profeticamente annunziato nella Lettura, dove si parla di un personaggio misterioso: «che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza» (Isaia 63,1) e nel quale riconosciamo il Signore Gesù che, con la sua Incarnazione, avvia quell’opera di salvezza e di liberazione dell’uomo che porterà a compimento nella sua Pasqua di morte e di risurrezione.
Dal mistero del Verbo Incarnato lo sguardo di fede e di stupore può ora rivolgersi al mistero della Vergine Madre che l’angelo saluta come «piena di grazia» e ricolma della presenza dello Spirito Santo (Luca 1,28.30.35) e così cantata All’Ingresso: «Elisabetta dice a Maria; “Perché a me sei venuta, Madre del mio Signore? Se l’avessi saputo, sarei uscita a te incontro. Tu porti in grembo il Re dell’universo, io solamente un profeta; tu colui che dà la legge, io colui che la osserva; tu la Parola che salva, io la voce che ne proclama l’avvento».
Il primo dei due Prefazi proposti per l’odierna solennità, cogliendo il senso pieno della pagina evangelica oggi proclamata, esprime così il mistero della Vergine-Madre Maria: «Accogliendo con fede illibata l’annunzio dell’angelo, concepì il tuo Verbo, rivestendolo di carne mortale; nell’esiguità del suo grembo racchiuse il Signore dei cieli e il Salvatore del mondo e per noi lo diede alla luce, serbando intatta l’integrità verginale».
Tutte le preghiere e i canti della Messa, in realtà, testimoniano la fede stupiuta e ammirata della Chiesa di fronte al mistero di questa «serva del Signore» (Luca 1,38) che la benevolenza e la potenza divina, non senza il suo sì, ha reso capace di ridonare «il Dio vivo onde il genere umano sorge libero dall’antica oppressione» (Prefazio II).
Possiamo a ragione affermare che da questa donna «comincia l’opera di salvezza» (Prefazio II) che il suo Figlio ha portato a termine nell’ora della Croce.
Tutto ciò fonda e stabilisce nella Chiesa, e in tutti noi, quella “gioia” del tutto diversa da quella effimera di questo mondo, perchè frutto della “ricchezza” ridonataci dal Figlio di Maria. A ragione, perciò, l’Apostolo ci esorta: «Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Epistola: Filippesi 4,4).
Una gioia e una letizia che, nel raduno eucaristico, ci viene data per Maria dalla cui «fecondità è germinato colui che ci sazia con angelico pane» (Prefazio II).
Alberto Fusi

lunedì 17 dicembre 2012

756 - L'ATTESA DEI POPOLI

Tu sei colui che i popoli attendono! (Gen 49,10 Vulg).
 E quelli che ti attendono non saranno delusi. I nostri padri ti hanno atteso, tutti i giusti fin dall'origine del mondo hanno sperato in te, e tu non li hai delusi (cfr Sal 22,5)....
Ma la Chiesa, che nei giusti di una volta ha atteso la prima venuta di Cristo, attende ora la seconda nei giusti della Nuova Alleanza. E come era certa che la prima venuta avrebbe pagato il prezzo della redenzione, così ha la certezza che la seconda le porterà la ricompensa. Sostenuta da questa attesa e da questa speranza che supera i valori terreni, la Chiesa aspira ai beni eterni con pari gioia e ardore.
Mentre alcuni si danno da fare a cercare la felicità quaggiù senza aspettare che si realizzi il disegno di Dio, precipitandosi a far proprio ciò che il mondo propone loro, chi ha la fortuna di porre la sua speranza nel Signore non si volge a cose vane e a ciò che inganna (Sal 40,5)... Sa che vale più essere umiliato con i miti che condividere il bottino di questo mondo con i superbi. Per consolarsi, si dice: “Mia parte è il Signore, per questo in lui voglio sperare. Buono è il Signore con chi spera in lui, con l'anima che lo cerca. È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore. Signore, è vero, la mia anima ha qualche mancanza nell'attesa della tua salvezza, ma sono colmo di speranza nella tua parola” (Lam 3,24-26; Sal 119,81 Vulg)... Sono certo “che arriverà infine e non ci deluderà”; ecco perché “anche se indugia, l'attenderò, perché certo verrà e non tarderà” (cfr Ab 2,3).
Beato Guerrico d'Igny (circa 1080-1157), abate cistercense

sabato 15 dicembre 2012

755 - VIENI PRESTO GESU'


Ti stiamo aspettando Gesù.
Fa' scendere la tua Parola su di noi.
Abbiamo tanto bisogno di te.

Tocca il nostro cuore, cambia il nostro stile di vita,
rendici più generosi, più autentici, più umani.

Ti stiamo aspettando Gesù.
Ti aspetta questa tua parrocchia.
Ti aspettano le nostre famiglie e i bambini, i nostri anziani e gli ammalati.

Vieni presto, Signore Gesù!
Non tardare!
Aiutaci a condividere tra noi il pane del rispetto e dell'amicizia.
Donaci di spezzare con chi è solo il pane di una stretta di una mano;
Donaci di donare il pane della fiducia con chi è nella disperazione.
Gesù, ti stiamo aspettando.
Non tardare. Amen.


don Angelo Saporiti

sabato 8 dicembre 2012

554 - IMMACOLATA CONCEZIONE

La Verna - Ceramica di Andrea della Robbia

Lettura del Vangelo secondo Luca 1, 26b-28

In quel tempo. L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».

venerdì 7 dicembre 2012

753 - S.AMBROGIO

MOSTRACI IL BENE, SIGNORE

Noi ti seguiamo, Signore Gesù,
ma tu chiamaci, perché ti possiamo seguire.
Nessuno potrà salire senza di te.
Tu sei la via, la verità, la vita,
la possibilità, la fede, il premio.
Aprici il cuore a quello che è veramente il bene,
il tuo bene divino,
«in cui noi siamo, viviamo e ci muoviamo».
Noi ci muoviamo, se camminiamo sulla via;
esistiamo, se rimaniamo nella verità;
viviamo, se siamo nella vita.
Mostraci il bene inalterabile, unico, immutabile,
nel quale possiamo essere eterni
e conoscere ogni bene:
in quel bene si trova la pace serena,
la luce immortale, la grazia perenne,
la santa eredità delle anime,
la tranquillità senza turbamento,
non destinata a perire ma sottratta alla morte:
là dove non vi sono lacrime
e non dimora il pianto,
dove i tuoi santi
sono liberati dagli errori e dalle inquietudini,
dal timore e dall’ansia, dalle cupidigie,
da tutte le sozzure e da ogni affanno corporale,
dove si estende la terra dei viventi.
(S. Ambrogio)

sabato 1 dicembre 2012

752 - III DOMENICA DI AVVENTO


Nel brano di Vangelo di Luca 7,18-28 distinguiamo nel testo due parti. La prima, vv. 18-23, riguarda le domande rivolte dal Battista a Gesù tramite due suoi discepoli. La seconda, vv. 24-28, riporta l’“elogio” del Battista da parte del Signore Gesù. In particolare il brano al v. 18 si rifà ai prodigi operati da Gesù («tutte queste cose») e registrati nei precedenti versetti: 1-17. I vv. 19-20 segnalano la domanda del Battista relativa all’identità messianica di Gesù. La risposta del Signore è anzitutto “operativa” (v. 21) e poi esplicativa (vv. 22-23) con il ricorso a riferimenti profetici che, nelle guarigioni dei ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi e perfino nella risurrezione dei morti, annunziano l’avverarsi del tempo messianico (cfr. Isaia 26,19; 35,5-6; 42,7; 61,1). Con le guarigioni, viene sottolineata come opera propriamente messianica l’evangelizzazione dei poveri (cfr. Luca 4,18-19). Nella seconda parte, che riporta il giudizio pubblico di Gesù sul Battista (vv. 24-25), spicca il suo riconoscimento come profeta, ma soprattutto come colui che prepara la strada al Messia (vv. 26-27; cfr. Esodo 23,20a; Malachia 3,1a). La conclusione (v. 28), mentre ribadisce la grandezza del Battista, vuole inculcare l’urgenza di divenire discepoli e di far parte del regno di Dio che Gesù viene ad inaugurare.
Questa terza domenica di Avvento, con un’appropriata serie di testi della Scrittura, fa crescere nella Chiesa la consapevolezza che, nella venuta tra noi di Gesù, il Figlio di Dio, le profezie sono adempiute. Esse, sinteticamente osservate, riguardano essenzialmente l’intervento salvifico di Dio a favore del suo popolo Israele e, a partire da esso, di tutte le genti e i popoli della terra.
La Lettura annunzia un’iniziativa divina davvero sorprendente. Dio, infatti, elegge quale strumento di salvezza del suo popolo, nell’umiliante situazione di deportazione e di schiavitù in Babilonia, Ciro, re dei persiani, un pagano! Sarà proprio lui ad annientare la tirannica potenza dei babilonesi e a mandare libero Israele restituendolo alla sua terra.
Nel suo intervento, motivato dal suo amore per Israele, Dio si manifesta come l’unico Signore capace di recare salvezza, di punire la malvagità e di far germogliare dalla terra la salvezza e la giustizia (cfr. Isaia 45,8).
Il brano evangelico testimonia che l’annunzio profetico del germoglio di salvezza e di giustizia si è adempiuto nella venuta in questo mondo del Cristo, ossia del Messia «secondo la carne» (Epistola: Romani 9,5) che è Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio!
Egli ha fornito a chi, ieri come oggi, si interroga su di lui e sulla consistenza della sua missione, le “prove” della sua investitura e della sua elezione a recare salvezza. Queste sono come riassunte nell’annunzio della “buona notizia” da lui insistentemente rivolto anzitutto ai poveri (Vangelo: Luca 7,22), ovvero ai miserabili, a quanti sono privati di ogni considerazione, agli oppressi e agli infermi senza alcuna speranza!
A essi, costretti a vivere giorni amarissimi e senza umane possibilità di riscatto, viene annunciata, per primi, la “bella notizia” dell’effettiva guarigione dai mali, dell’effettiva liberazione dall’umiliazione, dell’effettiva “giustizia”, che li riabilita nel contesto sociale.
In questi poveri sono anche racchiusi, con noi, gli uomini di questo nostro secolo che, in direzione sbagliata, mostrano di cercare giustizia e riscatto da una condizione di solitudine, di incertezza, di totale insoddisfazione, ripiegando in una inconcludente indifferenza e in una pratica incredulità. A tutti la Chiesa in preghiera fa udire la parola divina di speranza: «Dite agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco: si compie il giusto giudizio di Dio, il nostro Dio viene a salvarci» (Canto Dopo il Vangelo) a spezzare «le porte di bronzo» e a rompere «le spranghe di ferro» che imprigionano il cuore e la vita degli uomini (cfr. Isaia 45,2).
I discepoli del Signore, sapendo che le promesse e i tesori da lui riversati su Israele (cfr. v. 3) sono in verità destinati a tutti gli uomini, avvertono il compito di annunciare a tutti la bella notizia che è in Cristo Gesù. In lui, davvero, si trovano salvezza e giustizia e, quel che più conta, la possibilità di essere rigenerati come figli del Padre (cfr. Romani 9,4)!
Un simile annunzio, attende di essere messo alla portata di tutti e, di conseguenza, deve necessariamente tradursi, sull’esempio stesso del Signore Gesù, in gesti concreti e nella nostra vita vissuta, dalla quale deve chiaramente trasparire che Gesù è davvero tutto per noi e che lui solo riconosciamo e attendiamo come salvatore e non ne «aspettiamo un altro» (cfr. Luca 7,19)! È utile perciò domandarci se siamo gioiosamente e umilmente fermi nella nostra adesione al Signore, oppure siamo come «canne sbattute dal vento» (cfr. v. 24), se amiamo stare con gli umili, i poveri, i malati, oppure bramiamo di essere ammessi nelle aule del potere, del successo, dell’apparire (cfr. v. 25).
Il Signore Gesù ponga nel cuore della Chiesa e di ogni discepolo la determinazione dell’Apostolo Paolo che si dichiara disposto a essere separato da Cristo, la sua stessa Vita, pur di recare vantaggio ai suoi fratelli (Romani 9,3).
Il vantaggio consiste nel credere adempiuta in Gesù ogni profezia e promessa divina e, di conseguenza, risolta in lui ogni umana attesa di giustizia e di salvezza. Colui che possiede questa fede viene già da ora introdotto, magari come «il più piccolo», a far parte del regno di Dio (cfr. Luca 7,28), ed «entra con lui nel convito nuziale» (Prefazio) che la celebrazione eucaristica realmente anticipa e prefigura.
A. Fusi

giovedì 29 novembre 2012

751 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - DICEMBRE 2012

Generale: Perché in tutto il mondo i migranti siano accolti, specialmente dalle comunità cristiane, con generosità ed autentica carità.
Missionaria: Perché Cristo si riveli a tutta l'umanità con la luce che emana da Betlemme e che si riflette sul volto della sua Chiesa.

martedì 27 novembre 2012

750 - IL SIGNIFICATO DELL'AVVENTO

Nell'antichità precristiana il termine "avvento" (adventus) significava la venuta di un Imperatore e la preparazione del popolo alla sua accoglienza, come pure l'arrivo di una divinità pagana che veniva accolta e celebrata nel culto.
Il cristianesimo adottò il termine "avvento" per applicarlo alla venuta di Cristo, tuttavia non subito nel senso liturgico che precede il Natale: si intendeva affermare con questa parola che Cristo Signore è "Colui che viene", che entra nella nostra vita, si rende presente e attivo, partecipa delle nostre ansie e dei nostri problemi per cui l'uomo non è mai solo né abbandonato a se stesso. Cristo infatti "viene" in tutti i momenti per risollevarci nella paura e nell' angoscia, per rincuorarci nelle occasioni di sfiducia e di abbandono, per calmarci in quelle di autoesaltazione e per spronarci nelle circostanze di titubanza e di indecisione. Cristo viene sempre a trovarci, anche quando le avversità del momento ce lo mostrano assente e lontano.. Come il popolo d'Israele oppresso e vessato dai nemici gode della presenza comunque certa del Signore che lo sostiene, anche il cristiano è fortificato e reso saldo nella fiducia e nella certezza del Dio che lo accompagna. Ma "avvento" è un termine che segna il nostro rapporto con Cristo anche in quanto passato e in quanto futuro, oltre che come presente: Egli infatti è già venuto nella carne una volta per tutte nel famoso Evento di Betlemme, viene continuamente a visitarci nella vita di tutti i giorni con la sua presenza misteriosa ma certa e attiva e finalmente tornerà (verrà) alla fine dei tempi, quando il tempo presente si consumerà per il Giudizio finale. In tutte queste circostanze si realizza sempre una "venuta" da parte sua e un'"attesa" preparatoria da parte nostra, secondo le parole dell'apostolo Paolo: "Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo." (1 Ts 5, 23). Il senso di questa esortazione è chiaro e riguarda non solamente un solo periodo della nostra esistenza, ma l'intero percorso della nostra vita: mentre Dio "viene" con la sua potenza gratificante che eleva e santifica, da parte nostra occorre che a Lui ci predisponiamo rinnovando integralmente noi stessi nello spirito, nell'anima e nel corpo, il che significa concretamente non concedere indulgenze al peccato, alla lussuria, al vizio e ad ogni sorta di malizia e di cattiveria, ma piuttosto ricercare la comunione con Dio nella preghiera, nella meditazione e nella vita sacramentale, meglio ancora se incoraggiata dalla mortificazione corporale.
Questo è il significato che la Chiesa originariamente ha dato all'"avvento": esso è una prospettiva che riguarda non un solo periodo particolare dell'anno, ma l'intero percorso della nostra vita, poiché la nostra vocazione all'incontro con Colui che è, che era e che viene è una costante del nostro essere cristiani.
A partire dal IV secolo siffatto senso della parola "avvento" è stato applicato al periodo delle settimane che precedono il Natale, perché anche nello specifico delle celebrazioni liturgiche possiamo realizzare il predetto incontro con il Veniente e perché la data del 25 Dicembre non sia una sola ricorrenza imposta dal calendario, ma ad essa ci si predisponga nella predilezione dello spirito.
La trasposizione dell'avvento nel calendario liturgico che precede il Natale non pregiudica tuttavia il fatto che esso resti un imperativo vitale del cristiano. Anzi, è proprio la celebrazione di questo Tempo a rammentarci che l'incontro con Colui che viene è un fattore determinante del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro; quindi le quattro settimane che ci si aprono dinanzi sono speculari di quanto dovrebbe avvenire nella nostra intera esistenza. L'avvento liturgico ci rammenta che in tutta la vita occorre essere "irreprensibili per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo", riconoscendo il Veniente in colui che è Presente e che riscontriamo nella fede.
Ciò impone la fuga dalle vanità della carne e dalle attrattive di questo secolo, l'orientamento costante della volontà verso Dio e la lotta continua contro le immancabili tentazioni del Maligno, quest'ultima comunque sostenuta dalla grazia santificante del Signore. E soprattutto comporta la fuga dalla presunzione, dalla protervia e dall'egoismo perché in noi trionfi l'umiltà che è sinonimo di buona predisposizione al bene e alla giustizia. L'umiltà produce infatti che noi ci abbassiamo perché Dio venga esaltato e riconosciuto come indispensabile riferimento della nostra vita e di conseguenza è matrice della nostra fede; la fede produce la speranza e immancabilmente si traduce nella carità effettiva e operosa verso il prossimo. In termini concreti, l'"avvento" comporta amore esclusivo verso Dio e verso il prossimo, l'esercizio della carità che si evince innanzitutto nei rapporti fra di noi, nella stima e nell'accettazione reciproca in modo che accettiamo le immancabili defezioni gli uni degli altri, ci comprendiamo nelle limitazioni e ci valorizziamo nei pregi e nelle prerogative in negativo. L'ideale di carità insegnato da Cristo è l'amore verso i nemici e la preghiera per quanti ci perseguitano usandoci malanimo e perversione; comporta che si vinca il male non col l'astio e con la vendetta, ma semplicemente rispondendo al male con il bene (Rm 12, 21).
Per quanto possa sembrare inverosimile, è esattamente quanto il Signore vuole espressamente da noi: che non ci accontentiamo della mediocrità pagana ed egoistica per cui l'amore è circoscritto ai soli amici o congiunti mentre è autorizzato l'odio verso gli avversari, ma che ci disponiamo all'eroismo dell'amore verso quanti ci odiano e che rispondiamo alle persecuzioni con atti di amore e di accettazione. Chi si allontana dall'ottica dell'amore verso i nemici si allontana di fatto dalla mentalità cristiana.
padre Gian Franco Scarpitta

venerdì 23 novembre 2012

749 - II DOMENICA DI AVVENTO

In questa domenica leggiamo l’avvio del Vangelo secondo Marco (1,1-8) che fa come da preparazione all’ingresso nel mondo di Gesù. Egli, da subito, è identificato in pienezza quale Cristo (= Messia) e soprattutto quale Figlio di Dio (v. 1). È lui, in realtà, il Vangelo (= la buona notizia) che dovrà essere annunziata a tutti gli uomini. Con una citazione composta da testi del profeta Malachia 3,1 e di Isaia 40,3, viene introdotta la figura e la missione di Giovanni, che è essenzialmente quella dell’araldo, del messaggero che annunzia e prepara, in questo caso la venuta di Gesù (vv. 2-3). Il v. 4 situa nel deserto l’attività di Giovanni, che consiste nel proclamare un battesimo di conversione e al quale accorreva «tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme», come viene detto con evidente espressione iperbolica (v. 5). Il v. 6 con la menzione del vestito e della dieta intende designare il Battista come profeta, mentre i vv. 7-8 contengono il nucleo essenziale della sua predicazione, che riguarda l’imminente venuta di uno che è più forte di lui e che, al contrario di lui, immergerà gli uomini nello Spirito Santo e non semplicemente nell’acqua.
Il raduno eucaristico domenicale, mentre ci immerge a livello sacramentale nel mistero pasquale del Signore, operatore dell’universale salvezza, ci offre la straordinaria opportunità di cogliere la grandezza di tale mistero che si dispiega a partire dalla sua Incarnazione e dalla sua Natività che l’Avvento ci dispone a celebrare e che la preghiera liturgica così ci presenta: «È grazia della tua pietà che ci salva: dalla carne di Adamo il peccato ci aveva dato la morte, dalla carne di Cristo il tuo amore infinito ci ha riplasmato alla vita» (Prefazio).
È quanto ricaviamo dall’ascolto odierno della Parola che, in sostanza, ci rivela che in Cristo Gesù, che viene nel mondo, tutti sono chiamati alla salvezza ovvero, come avverte il titolo assegnato dal Lezionario a questa domenica, tutti sono chiamati a diventare “I figli del Regno”.
Tale prospettiva, a ben guardare, è stata avanzata dal profeta, che annunzia qualcosa di veramente inconcepibile per la mente umana. Popoli da sempre ferocemente nemici, quali gli Egiziani e gli Assiri, a loro volta spietati nemici di Israele, cominceranno a conoscersi, a dialogare, a unirsi in un unico popolo nel rendere culto all’unico vero Dio, il Dio di Israele che farà dei tre popoli «una benedizione in mezzo alla terra» (Lettura: Isaia 19,24). Il Salmo 86(87) allarga ulteriormente la visione profetica affermando: «Iscriverò Raab e Babilonia fra quelli che mi riconoscono; ecco Filistea, Tiro ed Etiopia: là costui è nato». Tutti questi popoli diventeranno cioè un “segnale” collocato da Dio nel cuore della storia umana e che avrà il suo svelamento in Cristo Gesù, il Figlio venuto nel mondo.
L’Apostolo, a tale riguardo, sottolinea come Dio ha attuato «il progetto eterno» annunciato dai Profeti proprio «in Cristo Gesù nostro Signore nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui» (Epistola: Efesini 3, 11-12).
Un accesso, dunque, proposto a tutte le genti senza distinzioni mediante la predicazione del Vangelo. È la missione propria e distintiva dell’Apostolo che lui, una volta ostile ai pagani, chiama una «grazia» (v. 8). Quella cioè di «annunciare alle genti (= tutti i popoli pagani) le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio» (v. 8-9), reso visibile nella Chiesa formata da Ebrei e pagani.
Nel prepararci al Natale apriamo il cuore alla grandezza della nostra fede nel Signore Gesù venuto nel mondo «per ricreare l’uomo perché la morte non deformasse in lui» l’immagine divina (Prefazio) e per unire tutte le genti in un solo popolo, in un solo Corpo, in un solo Regno.
Sull’esempio dell’Apostolo, avvertiamo come grazia la missione di annunciare, a tutti coloro con i quali condividiamo il cammino terreno, il mirabile disegno della sapienza divina: fare di tutti gli uomini i suoi figli, nel suo Figlio Gesù, cittadini, già da ora, del suo Regno.
Un simile annuncio si compie certamente nella predicazione evangelica che, sull’esempio di quella del Precursore del Signore, chiede di preparare i cuori all’incontro con lui mediante la conversione e l’adesione di fede alla sua Parola (cfr. Vangelo: Marco 1,3).
Ma la predicazione è avvalorata dalla vita, dalle scelte concrete cioè che caratterizzano l’esistenza dei credenti. Tali scelte, esigono, come ci insegna il Precursore, una vita sobria, un atteggiamento di profonda verità su noi stessi, consapevoli di non essere degni di chinarci «a slegare i lacci» dei sandali del Signore (v. 7), di non essere cioè padroni, ma “servi” del Vangelo, araldi di colui che viene per immergere in un battesimo capace di rigenerare a vita nuova, perché dato «in Spirito Santo» (v.8), quanti lo accolgono come Messia e Figlio di Dio (cfr. v.1), nel quale «saranno benedette tutte le genti della terra» (Canto All’Ingresso).
A. Fusi

sabato 17 novembre 2012

748 - I DOMENICA DI AVVENTO 2012

Con la prima Domenica di Avvento prende avvio il nuovo Anno Liturgico 2012-2013. Nella tradizione liturgica ambrosiana, l’Avvento, destinato essenzialmente a preparare il Natale, conta sei settimane iniziando, nella domenica immediatamente seguente l’11 novembre, festa di san Martino di Tours, e si conclude prima della celebrazione vespertina del 24 dicembre.
Il passo evangelico di Lc. 5,21-28 riporta, quasi integralmente, il discorso escatologico, riguardante cioè gli ultimi tempi, le realtà ultime. L’avvio è dato dalle parole di Gesù sulla prossima distruzione di Gerusalemme e soprattutto del Tempio (vv. 5-11). Con esse il Signore mette in guardia i suoi dai falsi messia (v. 8) e li esorta ad affrontare gli eventi catastrofici che contraddistingueranno quei giorni (vv. 9-11). Nei vv. 12-19 sono raccolti alcuni detti del Signore riguardanti le persecuzioni a cui andranno incontro, prima dei fatti annunciati, i suoi discepoli, compreso il tradimento da parte delle persone ad essi maggiormente legate, con l’esortazione finale a perseverare nella fedele sequela del loro Maestro. Segue ai vv. 20-24 una descrizione dettagliata degli eventi tragici che accompagneranno l’occupazione e la distruzione di Gerusalemme avvenuta, come è noto, nel 70 d.C. L’ultima parte del brano, vv. 25-28, è incentrata sul vero e proprio evento escatologico che è la venuta del Figlio dell’uomo (cfr. Daniele 7,13). Un evento che va ben oltre il destino di Gerusalemme e della Palestina e che coinvolge il cosmo e l’intera umanità. I credenti, in tutto ciò, sono invitati ad avere coraggio e a sperare nella prossima liberazione recata dal Signore che viene.
Le sei settimane di Avvento che ci dispongono ogni anno alla consapevole e degna celebrazione del Natale del Signore sono inaugurate con il richiamo alla dimensione escatologica nella quale si distende la nostra esistenza terrena.
Dal momento della prima venuta del Signore, consumata nel mistero salvifico della sua Pasqua, hanno preso il via, infatti, gli ultimi tempi, quelli cioè rivolti oramai alla sua seconda e definitiva venuta. Essa riguarda la storia, l’umanità e il cosmo intero, destinati a “passare”, e riguarda ogni uomo che sa che la sua vita su questa terra va verso la sua fine. Tutto ciò ha un indubbio carattere minaccioso ma, nello stesso tempo, sprona i discepoli del Signore ad aver coraggio, ad avere speranza, a risollevarsi e ad alzare il capo per accogliere il Liberatore (cfr. Vangelo: Luca, 21-28).
La venuta del Signore, che l’evangelista descrive con il linguaggio dell’apocalittica: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (v. 27), sta infatti a dire che egli porrà fine in modo definitivo allo strapotere del male e del peccato che si accanisce contro l’intera umanità e specialmente contro quanti, non volendosi omologare al potere idolatrico che domina sul mondo, si affidano a lui e al suo Vangelo.
Già i profeti avevano annunciato con accenti drammatici la decisione di Dio di intervenire contro la malvagità che è nel mondo e l’iniquità degli empi emblematicamente raffigurate in Babilonia (cfr. Lettura: Isaia, 13,11). La misura delle ingiustizie, delle violenze, delle sopraffazioni è oramai colma e Dio sta per far sorgere il “suo giorno”, che arriva «implacabile, con sdegno, ira e furore… per sterminare i peccatori» (v. 9). Lui solo, infatti, è in grado di far «cessare la superbia dei protervi» e di umiliare «l’orgoglio dei tiranni» (v. 11).
Il testo evangelico, da parte sua, annunzia (Luca 21,20) e quindi descrive, con particolari assai crudi, la distruzione di Gerusalemme (vv. 21-24) e, soprattutto del suo Tempio del quale «non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (v. 6).
Questo evento, il più catastrofico per Israele, al punto da porre fine e per sempre all’offerta dei sacrifici, compresa l’immolazione dell’agnello pasquale, parla a noi con estrema chiarezza: niente e nessuno che è immerso nel tempo e nello spazio di questo mondo può sfuggire alla fine! Non vi sono eccezioni. Per niente e per nessuno! Di conseguenza, saremo saggi se non ci appoggeremo sulle cose di questo mondo che svanisce, ma se porremo la nostra speranza in colui che è disceso dal Cielo per la nostra salvezza e per farci cittadini del suo Regno che non passa!
La storia in cui siamo immersi, a ben guardare, ci dà segni premonitori della sua inconsistenza, esibendo in ogni tempo il suo doloroso travaglio fatto di guerre e di rivoluzioni (cfr. v. 10), di cataclismi naturali e, per i discepoli del Signore, di persecuzioni anche violente (v. 12), di tradimenti, addirittura da parte delle persone ad essi più care (v.16) e, questo, a motivo della loro fede in lui (v.17). Nel fluire del tempo, così come la Scrittura ha insegnato, mentre viviamo nella consapevolezza della fine e del suo inesorabile travaglio, veniamo esortati anzitutto a perseverare nella nostra fede, a non lasciarci sedurre da improvvisati messia (v.8), a non terrorizzarci davanti ai rivolgimenti della storia e della nostra stessa vita: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (v. 18).
In concreto, le Scritture ci esortano a impostare questi nostri giorni sulla base delle indicazioni apostoliche che ci insegnano anzitutto a rifuggire da «ogni specie di impurità o di cupidigia», ma anche da ogni «volgarità, insulsaggini, trivialità» (Epistola: Efesini 5,3-4) e a «camminare nella carità», che è quella con la quale Cristo ci ha amato dando sé stesso perché noi, che eravamo «tenebra», a causa dell’incredulità e del peccato, diventassimo «luce nel Signore» (v. 8).
È quanto vogliamo chiedere alla bontà misericordiosa del nostro Dio che è il suo Figlio Gesù, insieme alla forza di perseverare tra le prove e le tribolazioni del mondo, imparando a intravedere proprio in esse il prodromo che annuncia la sua venuta «con grande potenza e gloria» per la nostra liberazione e il nostro definitivo riscatto. A tale proposito così preghiamo nel cuore della celebrazione eucaristica: «Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell’attesa» (Prefazio). Un’attesa comunitariamente vissuta proprio nella celebrazione eucaristica nella quale la venuta sacramentale del Signore pone nel cuore dei fedeli il desiderio sempre più vivo di lui che è venuto, che viene incessantemente e che verrà! Desiderio liricamente cantato nell’antifona Alla Comunione: «Gioite, o cieli; esulta, o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo, con la sua mano radunerà gli agnelli e ha pietà degli infelici».
A. Fusi

sabato 10 novembre 2012

747 - NOSTRO SIGNORE GESU' CRISTO RE DELL'UNIVERSO

Lettura Isaia 49,1-7: Ascoltiamo il secondo dei quattro canti del servo sofferente. Il linguaggio è paradossale: proprio di chi è stato disprezzato e rifiutato, Dio lo renderà luce delle nazioni. QUesto è il modo di agire di Dio, che prefigura colui che regnerà dalla croce.
 
Salmo 21(22) Dal legno della croce regna il Signore
 
Epistola Filippesi 2,5-11: Il Figlio, che si è fatto obbediente fino alla Croce (la morte dello schiavo) riceve il nome di "Signore" e la sottomissione di tutto il creato. La regalità diGesù è radicalmente diversa sa quella del mondo: si attua non nel dominio ma nel dono di sè.
 
Vangelo Luca 23,36-43:  Al buon ladrone che gli chiede di ricordarsi di lui nel futuro del regno, Gesù risponde al presente: "Oggi sarai con me nel paradiso". L'oggi della croce è l'oggi di una salvezza che persino nella morte e nel peccato ci dona la comunione con Dio.

sabato 3 novembre 2012

746 - II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE

Lettura del libro di Isaia 56,3-7
Nei capitoli conclusivi di Isaia la Bibbia si apre a una visione universale. Non solo gli stranierim ma anche gli eunuchi (nonostante l'impedimento del Deuteronomio) dovranno sapersi accolti nell'alleanza di Dio. Il tempio sarà casa di preghiera per tutti i popoli.
 
Salmo 34(24)
Il Signore si rivela a chi lo teme
 
Epistola Efesini 2,11-22
Nel tempio diverse separazioni dividevano lo spazio sacro. I non circoncisi non potevano essere ammessi nel cortile dei circoncisi. Ora Cristo, con la sua Pasqua, ha eliminato ogni divisione e distanza. In lui si realizza la profezia di Isaia.
 
Vangelo Luca 14,1a.15-24
Dio vuole che la sala del banchetto si riempia di invitati. Il rifiuto dei primi non lo blocca nella rassegnazione, ma estende il suo invito. Oltre al suo desiderio, è da ammirare l'impegno dei suoi servi, chiamati a collaborare al suo disegno universale.

giovedì 1 novembre 2012

745 - FESTA DI TUTTI I SANTI

Assisi - Chiostro della chiesa di San Damiano
.
La parola “beati” costituisce un’antropologia, una descrizione di che cosa è davvero l’uomo felice, vero, autentico. Le beatitudini sono la proclamazione del modo di essere uomini evangelici, discepoli autentici di Gesù, uomini e donne fortunati e felici. Esse rivelano un misterioso capovolgimento antropologico che consiste nel passare dall’avere all’essere, dall’essere al dare, dall’avere per sé all’essere per gli altri. Cogliendo la dinamica di questo guado, che è importantissimo per l’uomo, possiamo raggiungere il segreto di Dio, e insieme il vero segreto dell’uomo: donarsi».
(Carlo Maria Martini, Beati voi! La promessa della felicità, ed. In Dialogo)

744 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - NOVEMBRE 2012


Cuore divino di Gesù, io ti offro per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al Sacrificio eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del divin Padre.

In particolare per le intenzioni del Papa e dei Vescovi di questo mese di Novembre

Generale: Perché i Vescovi, i sacerdoti e tutti i ministri del Vangelo diano coraggiosa testimonianza di fedeltà al Signore crocifisso e risorto.
Missionaria: Perché la Chiesa pellegrina sulla terra risplenda come luce delle nazioni.
Vescovi: Il mondo ascolti il messaggio del Vangelo, che supera l'orizzonte terreno e conduce alla vita eterna”

sabato 27 ottobre 2012

743 - I DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE

Il brano di Marco 16,14b-20 riporta l’apparizione del Signore Risorto agli Undici, i quali vengono dapprima rimproverati per non aver prestato fede a Maria di Magdala e agli altri due discepoli che annunciarono loro la sua risurrezione (vv. 9-13). Segue il mandato di portare il Vangelo ovunque e a tutti gli uomini e l’ordine di battezzare quanti avranno creduto (vv. 15-16). I vv. 17-18 riportano le nuove facoltà in possesso dei credenti in vista della loro missione. Dopo aver fugacemente accennato all’ascensione del Signore (v. 19), si dà conto, al v. 20, dell’esecuzione immediata del mandato missionario che i discepoli svolgono “insieme” al Signore, che dava efficacia all’annunzio della Parola.
L’ultimo scorcio del Tempo dopo Pentecoste ci fa sostare ogni anno sul “grande mistero” che è la Chiesa, la quale riconosce la sua origine nel mistero pasquale del Signore Crocifisso e Risorto ed è perennemente animata dal soffio del suo Santo Spirito. 
Lo Spirito, infatti, rende viva la Parola del Risorto che, inviando i suoi apostoli, in realtà manda incessantemente i discepoli di ogni tempo, a portare su tutta la terra la bella e buona notizia che lui ha vinto le tenebre del male e della morte e che, in lui, è possibile non solo vincere la morte, ma accedere definitivamente alla vita beata, ovvero alla salvezza.
È oggi più che mai necessario che tutti i fedeli si riconoscano negli Undici e, dunque, avvertano come rivolta a sé stessi la parola del Signore: «Andate in tutto il mondo...» (Vangelo: Marco 16, 15). Sono infatti questi i giorni nei quali ogni discepolo del Signore sente fortemente urgere nel cuore l’imperativo del mandato missionario verso ogni uomo oggetto di quella volontà di Dio che vuole tutti salvi e capaci di giungere alla «conoscenza della verità» (Epistola: 1Timoteo 2,4), che consiste nella rivelazione folgorante e insuperabile della sua incredibile carità fissata nella Croce del suo Figlio. In essa, rappresentata efficacemente dal fonte battesimale, vengono letteralmente immersi quanti aprono il cuore alla predicazione del Vangelo (Marco 16,16).
Tutto ciò deve scuotere le nostre comunità e, in esse, ogni fedele perché il Signore non debba rimproverarci «per la nostra incredulità e durezza di cuore» (Marco 16,14) e per l’opacità della nostra vita che manifesta la debolezza della nostra fede. Non a caso l’iniziativa dell’Anno della fede, voluta dal Papa, ci esorta con forza a riscoprire, assimilare e confessare con gioia la nostra fede per poterla mostrare nella vita e nella condotta e così più efficacemente annunziarla a quanti incontriamo sul nostro cammino ovvero a quanti il Signore ci manda ad affiancare nel loro cammino.
Siamo noi, oggi, i continuatori del servizio “diaconale” di Filippo, che ci pone al fianco di tanta gente in attesa di una parola che apra il loro cuore alle meraviglie dell’universale carità di Dio che è incredibilmente posta in Colui che «come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa» (Lettura: Atti degli Apostoli 8,32), il Signore Crocifisso.
Questo è il Vangelo che siamo mandati ad annunciare perché chi ascolta e crede sia rigenerato dalla divina Carità per diventare “discendenza” dell’Agnello immolato e risorto, formando in tal modo il suo popolo, la sua Chiesa.
Il nostro raduno eucaristico, specialmente nel giorno di domenica, annunzia e anticipa l’ingresso di tutte le genti mediante la fede e il battesimo in quell’unica Chiesa che «il Signore Gesù trasse da tutte le genti» ed «efficacemente avvera» nel «sacramento del Corpo di Cristo» la sua unione d’amore così profonda al punto da essere paragonata a una sposa che si unisce al suo sposo (Prefazio).
Avvertiamo, così, la grande responsabilità che grava su tutti noi che ci sediamo al banchetto dell’Agnello per essere uniti a lui, e di conseguenza, tra di noi, in un vincolo indissolubile di carità!
Esso, se vissuto con fedeltà, rappresenta l’annuncio più efficace e comprensibile dell’Evangelo. Ci venga per questo in aiuto la grazia misericordiosa del nostro Dio che così invochiamo: «O Dio fonte del vero amore e della pace, donaci di conservare sempre più radicato nel cuore e nella vita l’impegno di unione e di carità» (Orazione Sui Doni).
A. Fusi

domenica 21 ottobre 2012

742 - SAN GIOVANNI BATTISTA PIAMARTA


Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!
Oggi la Chiesa ascolta ancora una volta queste parole di Gesù, pronunciate durante il cammino verso Gerusalemme, dove si doveva compiere il suo mistero di passione, morte e risurrezione. Sono parole che contengono il senso della missione di Cristo sulla terra, segnata dalla sua immolazione, dalla sua donazione totale. In questa terza domenica di ottobre, nella quale si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, la Chiesa le ascolta con particolare intensità e ravviva la consapevolezza di essere tutta intera in perenne stato di servizio all’uomo e al Vangelo, come Colui che ha offerto se stesso fino al sacrificio della vita.
Rivolgo il mio saluto cordiale a tutti voi, che riempite Piazza San Pietro, in particolare le Delegazioni ufficiali e i pellegrini venuti per festeggiare i sette nuovi Santi. Saluto con affetto i Cardinali e i Vescovi che in questi giorni stanno partecipando all’Assemblea sinodale sulla Nuova Evangelizzazione. E’ felice la coincidenza tra questa Assise e la Giornata Missionaria; e la Parola di Dio che abbiamo ascoltato risulta illuminante per entrambe. Essa mostra lo stile dell’evangelizzatore, chiamato a testimoniare ed annunciare il messaggio cristiano conformandosi a Gesù Cristo, seguendo la sua stessa vita. Questo vale sia per la missione ad gentes, sia per la nuova evangelizzazione nelle regioni di antica cristianità.
Il Figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (cfr Mc 10, 45).
Queste parole hanno costituito il programma di vita dei sette Beati che oggi la Chiesa iscrive solennemente nella gloriosa schiera dei Santi. Con eroico coraggio essi hanno speso la loro esistenza nella totale consacrazione a Dio e nel generoso servizio ai fratelli. Sono figli e figlie della Chiesa, che hanno scelto la vita del servizio seguendo il Signore. La santità nella Chiesa ha sempre la sua sorgente nel mistero della Redenzione, che viene prefigurato dal profeta Isaia nella prima Lettura: il Servo del Signore è il Giusto che «giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità» (Is 53,11), questo Servo è Gesù Cristo, crocifisso, risorto e vivo nella gloria. L’odierna canonizzazione costituisce un’eloquente conferma di tale misteriosa realtà salvifica. La tenace professione di fede di questi sette generosi discepoli di Cristo, la loro conformazione al Figlio dell’Uomo risplende oggi in tutta la Chiesa.
Giovanni Battista Piamarta, sacerdote della diocesi di Brescia, fu un grande apostolo della carità e della gioventù. Avvertiva l’esigenza di una presenza culturale e sociale del cattolicesimo nel mondo moderno, pertanto si dedicò all’elevazione cristiana, morale e professionale delle nuove generazioni con la sua illuminata carica di umanità e di bontà. Animato da fiducia incrollabile nella Divina Provvidenza e da profondo spirito di sacrificio, affrontò difficoltà e fatiche per dare vita a diverse opere apostoliche, tra le quali: l’Istituto degli Artigianelli, l’Editrice Queriniana, la Congregazione maschile della Santa Famiglia di Nazareth e la Congregazione delle Umili Serve del Signore. Il segreto della sua intensa ed operosa vita sta nelle lunghe ore che egli dedicava alla preghiera. Quando era oberato di lavoro, aumentava il tempo per l’incontro, cuore a cuore, con il Signore. Preferiva le soste davanti al santissimo Sacramento, meditando la passione, morte e risurrezione di Cristo, per attingere forza spirituale e ripartire alla conquista del cuore della gente, specie dei giovani, per ricondurli alle sorgenti della vita con sempre nuove iniziative pastorali.

Cari fratelli e sorelle! Questi nuovi Santi, diversi per origine, lingua, nazione e condizione sociale, sono uniti con l’intero Popolo di Dio nel mistero di salvezza di Cristo, il Redentore. Insieme a loro, anche noi qui riuniti con i Padri sinodali venuti da ogni parte del mondo, con le parole del Salmo proclamiamo al Signore che «egli è nostro aiuto e nostro scudo», e lo invochiamo: «Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo» (Sal 32,20-22). Possa la testimonianza dei nuovi Santi, della loro vita generosamente offerta per amore di Cristo, parlare oggi a tutta la Chiesa, e la loro intercessione possa rafforzarla e sostenerla nella sua missione di annunciare il Vangelo al mondo intero.
Omelia di papa Benedetto XVI, 21 ottobre 2012
.
L'intera cerimonia al link:

sabato 20 ottobre 2012

741 - DOMENICA 21 OTTOBRE PADRE PIAMARTA SANTO!


Significato del Logo della canonizzazione di Padre Giovanni Piamarta.
Le due P, iniziali di Padre Piamarta, si trasformano nell’abbraccio del Padre (prima P) ad un giovane (seconda P). Un abbraccio paterno e materno, che non guarda ai meriti di nessuno, ma che fa nascere pane e lavoro (il caschetto/pagotta ai piedi delle due PP) forza di vita e canto di gioia.
Tutto questo all’ombra della croce che è stata luce per Padre Piamarta e dalla quale ha preso forza per scrivere tutta la sua vita (firma)
I colori poi del cerchio e della croce sono cinque e rappresentano le cinque nazioni dove i figli di padre Piamarta continuano la sua missione e la sua dedizione (Italia, Brasile, Cile, Angola e Mozambico). Un cerchio però aperto al desiderio di vivere come Piamarta sulla via della PIETAS e del LABOR.

giovedì 18 ottobre 2012

740 - BEATIFICAZIONE DI PADRE PIAMARTA - 12 OTTOBRE 1997

.
In  preparazione della ormai prossima canonizzazione di padre Giovanni Piamarta, ricordiamo il momento della sua beatificazione con alcuni cenni biografici per conoscere la sua figura e la sua missione.

mercoledì 17 ottobre 2012

739 - TRA POCHI GIORNI LA CANONIZZAZIONE DI PADRE PIAMARTA


Le facce di una medaglia, che celebra la grandezza dell'umile apostolo della gioventù, dichiarato "Beato" da papa Giovanni Paolo II, e che raccontano l'itinerario della sua santità: dall'accoglienza dei "piccoli" alla gloria di chi contempla la Verità.
.
Autore dell'opera: Maffeo Ferrari

738 - DAL DIARIO DI PADRE PIAMARTA

“Dopo quasi un’ora di ostinata lotta con la penna” riesco a scrivere alcune righe, “mentre mi si stava per poco recitando il “De profundis”.
L’11 gennaio ho subito un insulto apoplettico, che mi tolse la parola per un paio di giorni. Dovevo essere davvero conciato male se il Cittadino di Brescia si sentiva in obbligo di tranquillizzare i lettori, affermando che “il Direttore dell’Istituto Artigianelli è assai migliorato, restandogli ora un poco di inceppamento della parola” e se i miei collaboratori si sentivano in dovere di ringraziare le molte “benevole persone”che si sono interessate della mia salute. In attesa di “ricuperare la completa guarigione” e di “ottenere la grazia plenaria della perfetta libertà di parola, parlata e scritta”, non posso non ringraziare il Signore per gli anni di servizio della mia parola alla Sua Parola.
Non sono mai stato un predicatore di cartello, ma ho avuto la sensazione di essere ascoltato volentieri dal popolo e di essere di utilità per miei ragazzi e giovani. Questi, quando ritornano, mi ricordano non poche parole che sono rimaste impresse, parole che sovente avevo la sensazione di spargere al vento per l’apparente scarsa attenzione prestata. E’ una conferma che a noi tocca seminare, anche se i frutti non sono immediati, ma verranno col tempo.
I giovani ascoltano più di quanto non sembri: solo che non vogliono dare la soddisfazione di farlo vedere, quasi per affermare la loro autonomia. Noi educatori non siamo come i lavoratori dell’industria che operano per vedere subito i frutti. Siamo piuttosto come i contadini che seminano con fiducia sapendo che il frutto verrà a “suo tempo”. E’ una convinzione da radicare anche nei giovani, i quali pure devono lavorare sui tempi lunghi della preparazione al loro futuro: Lavorare e faticare oggi per avere frutti in un domani non immediatamente a portata di mano. Il volere tutto e subito, forzando i tempi, produce frustrazione, scoraggiamento e tentazioni di abbandonare l’impresa.
Le parole che sfuggono
Ora che faccio fatica a parlare mi vengono in mente le parole che mi sono sfuggite e non dovevo pronunciare, quando parlavo speditamente. Il mio carattere impulsivo è sempre stato un problema per me, perché non è mai stato facile dominarmi.
Fin da giovane avevo preso ad esempio San Francesco di Sales che era considerato il santo della mitezza, ma che aveva dovuto lottare per più di venti anni per dominare la sua indole irascibile. Beato lui che ha impiegato solo venti anni! Quante volte ho dovuto fuggire in chiesa per evitare una scenata e per calmarmi!
E quante volte ho chiesto scusa per aver trasceso o esagerato nel rimprovero. Mi sono ripromesso di seguire le sagge indicazioni dei Padri del deserto: “Sotto l’effetto della collera, non fare nulla. Taci, perché tacendo vinci più facilmente”. E ancora: ”Occorre, fin dove è possibile, impedire all’ira di penetrare fino al cuore; se essa c’è già, fare in modo che non si manifesti sul volto; e se si mostra, controllare la lingua per cercare di preservarla; se è già sulle labbra, impedirle di passare agli atti. E sempre vigilare a eliminarla il più presto possibile dal proprio cuore”.
Il focoso apostolo San Paolo aveva gli stessi miei problemi…forse la famosa spina piantata nella carne…o schiaffo di Satana…era proprio quel suo carattere impetuoso… ..
Spero di riprendere la parola per poter parlare con più filtri, ma…non certamente con meno franchezza, sincerità e coraggio!
Brescia 2 marzo 1910
Dal “Diario” di Padre Piamarta

venerdì 12 ottobre 2012

737 - VII DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Il brano evangelico di Matteo (13, 24-43) proclamato riporta tre delle “parabole del regno” che occupano l’intero tredicesimo capitolo. Si tratta della parabola della zizzania (vv. 24-30) che Gesù stesso spiega ai suoi discepoli una volta congedata la folla ed entrato «in casa», allusione, questa, alla Chiesa, la Comunità del Signore (vv. 36-43), della parabola del grano di senape (vv. 31-32) e di quella del lievito (v. 33). L’evangelista non manca di spiegare perché Gesù si serva del linguaggio parabolico per parlare alle folle del regno di Dio mediante il ricorso alla citazione del Salmo 78,2 (vv. 34-35).
L’immagine del Regno, di cui parlano le tre parabole del testo evangelico odierno, appartiene di per sé alla dimensione terrena, ma riceve un significato nuovo in quanto Gesù la assume per indicare la piena e definitiva sovranità di Dio sul mondo e sulla storia.
Di conseguenza, occorre andare oltre la categoria mondana e ben nota del regno e, a questo, provvede Gesù stesso ricorrendo al linguaggio parabolico. Egli infatti paragona il regno dei cieli «a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo» (Vangelo: Matteo 13,24). In quel seminatore riconosciamo Gesù stesso (v. 37) che nella sua esistenza terrena ha seminato il buon seme della sua Parola e della sua stessa vita come autentici “germogli” del regno destinato a manifestarsi in pienezza alla fine del mondo ossia nell’ora della sua parusia ovvero del suo secondo e definitivo ritorno per il giudizio (cfr. v. 30).
Gesù, dunque, nel mistero della sua incarnazione, morte, risurrezione e ritorno glorioso alla fine dei tempi “è” il regno dei cieli piantato come buon seme nel campo che è il mondo e, in esso, l’intera umanità. Esso, però, e quanti accogliendo il seme della sua Parola sono diventati a loro volta buon seme, deve fare i conti con un altro seme, quello della zizzania, un’erbaccia nella quale Gesù vede raffigurati i figli del Maligno intenti a impedire e a soffocare la crescita del seme buono dei credenti (v. 38). Nella zizzania sono raffigurati coloro che si lasciano sedurre dalla predicazione mondana che si oppone risolutamente a quella evangelica e vivono nell’incredulità e nella ricerca egoistica di sé che genera nell’uomo ogni sorta di male e di peccato.
Il messaggio altamente positivo che questa domenica fa risuonare al nostro cuore è che la semina del buon seme è fruttificata nella vita di tanti uomini e donne che, lungo i secoli, hanno accolto il Vangelo predicato da un’infinita serie di collaboratori di Dio e, a ragione, perciò, sono anche chiamati “campo di Dio” ed “edificio di Dio” (Epistola: 1 Corinzi 3,9).
Il campo e l’edificio di Dio, lo sappiamo, è la Chiesa, la comunità piantata e irrigata dai suoi collaboratori quali, in primo luogo, gli Apostoli e, dopo di essi, i Vescovi loro successori, e tutti i Missionari del Vangelo. Ma è Dio stesso a edificarla sul fondamento che è Gesù Cristo (v. 11) e a farla crescere e prosperare. Essa sa di essere, per grazia, un riflesso del regno dei cieli, ma è ben consapevole di dover vivere e di svilupparsi in questo mondo accanto e insieme alla zizzania. La Chiesa, inoltre, sa di portare in sé la presenza autentica del regno ma nella consistenza di un granello di senape che «è il più piccolo di tutti i semi» (Matteo 13,32) o di una piccola porzione di lievito mescolato «in tre misure di farina» (v. 33).
Questa lezione che viene direttamente dalla bocca del Signore Gesù insegna alla sua comunità a ritenersi in effetti un germoglio del Regno, ma umile e piccolo e, perciò, tanto autentico quanto sa svilupparsi con pazienza accanto alla zizzania senza la tentazione di sostituirsi a Dio nel giudizio su di essa (cfr. vv. 28-30)!
In tal modo la comunità del Signore fa intravedere all’umanità e alla storia la novità profeticamente annunciata: «Ecco, io faccio una cosa nuova» (Lettura: Isaia 43,19) e già riscontrabile proprio in essa, irrigata e dissetata dal fiume della Parola divina capace di far fiorire il deserto che è questo mondo arido, violento, pericoloso e addirittura di trasformare la zizzania in buon grano da riporre nei granai del cielo e, dunque, di fare dell’intera umanità il “suo” popolo, quello “eletto”, perché canti le sue lodi (cfr. vv. 20-21).
A. Fusi

martedì 9 ottobre 2012

736 - L'ANNO DELLA FEDE



Con la Lettera apostolica Porta Fidei dell’11 ottobre 2011, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo.
Quest’anno sarà un’occasione propizia perché tutti i fedeli comprendano più profondamente che il fondamento della fede cristiana è «l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Fondata sull’incontro con Gesù Cristo risorto, la fede potrà essere riscoperta nella sua integrità e in tutto il suo splendore. «Anche ai nostri giorni la fede è un dono da riscoprire, da coltivare e da testimoniare», perché il Signore «conceda a ciascuno di noi di vivere la bellezza e la gioia dell’essere cristiani».
L’inizio dell’Anno della fede coincide con il ricordo riconoscente di due grandi eventi che hanno segnato il volto della Chiesa ai nostri giorni: il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, voluto dal beato Giovanni XXIII (11 ottobre 1962), e il ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, offerto alla Chiesa dal beato Giovanni Paolo II.
Il Concilio, secondo il Papa Giovanni XXIII, ha voluto «trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», impegnandosi affinché «questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo». Al riguardo, resta di importanza decisiva l’inizio della Costituzione dogmatica Lumen Gentium: «Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16, 15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa». A partire dalla luce di Cristo che purifica, illumina e santifica nella celebrazione della sacra liturgia (cfr Costituzione Sacrosantum Concilium) e con la sua parola divina (cfr Costituzione dogmatica Dei Verbum), il Concilio ha voluto approfondire l’intima natura della Chiesa (cfr Costituzione dogmatica Lumen Gentium) e il suo rapporto con il mondo contemporaneo (cfr Costituzione pastorale Gaudium et Spes). Attorno alle sue quattro Costituzioni, veri pilastri del Concilio, si raggruppano le Dichiarazioni e i Decreti, che affrontano alcune delle maggiori sfide del tempo.
Dopo il Concilio, la Chiesa si è impegnata nella recezione e nell’applicazione del suo ricco insegnamento, in continuità con tutta la Tradizione, sotto la guida sicura del Magistero. Per favorire la corretta recezione del Concilio, i Sommi Pontefici hanno più volte convocato il Sinodo dei Vescovi, istituito dal Servo di Dio Paolo VI nel 1965, proponendo alla Chiesa degli orientamenti chiari attraverso le diverse Esortazioni apostoliche post-sinodali. La prossima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, nel mese di ottobre 2012, avrà come tema: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.
Sin dall’inizio del suo Pontificato, Papa Benedetto XVI si è impegnato decisamente per una corretta comprensione del Concilio, respingendo come erronea la cosiddetta «ermeneutica della discontinuità e della rottura» e promuovendo quella che lui stesso ha denominato «l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino».
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, ponendosi in questa linea, da una parte è un «autentico frutto del Concilio Vaticano II», e dall’altra intende favorirne la recezione. Il Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985, convocato in occasione del ventesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II e per effettuare un bilancio della sua recezione, ha suggerito di preparare questo Catechismo per offrire al Popolo di Dio un compendio di tutta la dottrina cattolica e un testo di sicuro riferimento per i catechismi locali. Il Papa Giovanni Paolo II ha accolto tale proposta quale desiderio «pienamente rispondente a un vero bisogno della Chiesa universale e delle Chiese particolari». Redatto in collaborazione con l’intero Episcopato della Chiesa Cattolica, questo Catechismo «esprime veramente quella che si può chiamare la “sinfonia” della fede».
Il Catechismo comprende «cose nuove e cose antiche (cfr Mt 13, 52), poiché la fede è sempre la stessa e insieme è sorgente di luci sempre nuove. Per rispondere a questa duplice esigenza, il Catechismo della Chiesa Cattolica da una parte riprende l’”antico” ordine, quello tradizionale, già seguito dal Catechismo di san Pio V, articolando il contenuto in quattro parti: il Credo; la sacra Liturgia, con i sacramenti in primo piano; l’agire cristiano, esposto a partire dai comandamenti; ed infine la preghiera cristiana. Ma, nel medesimo tempo, il contenuto è spesso espresso in un modo “nuovo”, per rispondere agli interrogativi della nostra epoca». Questo Catechismo è «uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale» e «una norma sicura per l’insegnamento della fede». In esso i contenuti della fede trovano «la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede».
L’Anno della fede vuol contribuire ad una rinnovata conversione al Signore Gesù e alla riscoperta della fede, affinché tutti i membri della Chiesa siano testimoni credibili e gioiosi del Signore risorto nel mondo di oggi, capaci di indicare alle tante persone in ricerca la “porta della fede”. Questa “porta” spalanca lo sguardo dell’uomo su Gesù Cristo, presente in mezzo a noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Egli ci mostra come «l’arte del vivere» si impara «in un intenso rapporto con lui». «Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede».
Per incarico di Papa Benedetto XVI, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha redatto, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede e con il contributo del Comitato per la preparazione dell’Anno della fede[16], la presente Nota con alcune indicazioni per vivere questo tempo di grazia, senza precludere altre proposte che lo Spirito Santo vorrà suscitare tra i Pastori e i fedeli nelle varie parti del mondo.
(Indicazioni pastorali per l’anno della fede) 

 

735 - 11 OTTOBRE: INIZIA L'ANNO DELLA FEDE

Su un campo quadrato, bordato, è simbolicamente rappresentata una barca, immagine della Chiesa, in navigazione su dei flutti graficamente appena accennati, e il cui albero maestro è una croce che issa delle vele che con dei segni dinamici realizzano il trigramma di Cristo; inoltre lo sfondo delle vele è un sole che associato al trigramma rimanda anche all'eucaristia.

domenica 7 ottobre 2012

734 - OTTOBRE MESE DEL ROSARIO

Il rosario è una preghiera che richiede una certa calma, una certa distensione, l'acquisizione di ritmi che ci permettano di entrare in uno stato vero di preghiera, e non soltanto di recita verbale... bisogna soprattutto badare non tanto alla qualità delle cose, quanto ad un vero ritmo, che allora davvero nutre il nostro spirito, ci entra dentro.
(Carlo Maria Martini, Le virtù del cristiano)

sabato 6 ottobre 2012

733 - VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Il brano evangelico di Matteo 20,1-16, introdotto dalla formula: «Il regno dei cieli è simile a» (v. 1a), riporta una delle parabole più avvincenti relative al Regno! Il racconto, nella sua prima parte (vv. 1b-7), è chiaramente imperniato sulle prime quattro uscite del padrone della vigna per assumere operai con i quali concorda un congruo compenso per il lavoro svolto (vv. 1b-5) e su una quinta e ultima uscita intorno alle cinque del pomeriggio, dunque a giornata lavorativa quasi conclusa, senza però concordare il compenso (vv. 6-7). La seconda parte (vv. 8-15) è introdotta dalla connotazione temporale: «venuta la sera» e dall’ordine impartito dal padrone al suo amministratore di effettuare il pagamento degli operai «cominciando però dagli ultimi» (vv. 8-9). Il v. 12 registra la protesta degli operai della prima ora nel constatare di essere pagati come quelli che «hanno lavorato un’ora sola». I vv. 13-15 riportano la risposta del padrone che rende ragione del suo operato apparentemente ingiusto e nel quale, in verità, si cela l’agire di Dio sorprendentemente buono e generoso con tutti specialmente se considerati ultimi e peccatori . Viene in tal modo superato il concetto di giustizia concepito come precisa corrispondenza tra diritti e doveri. Non è così presso Dio! Il brano si conclude al v. 16 con la nota riguardante la classificazione di primi e ultimi agli occhi di Dio. 
In questa domenica le divine Scritture tracciano un profilo del discepolo del Signore chiamato da tutti i popoli e da tutte le culture, come afferma il testo profetico, e a «tutte le ore», come intendiamo dalla parabola evangelica.
Con ciò è evidente la gratuità totale della nostra chiamata, dalla miseranda nostra condizione di “pagani” a seguire il Signore come insegna l’Epistola paolina! Ed è proprio la gratuità inspiegabile della grazia divina all’origine dell’appello rivolto ai «superstiti delle nazioni» a volgersi a Dio per ottenere salvezza (Lettura: Isaia 45,20).
Una gratuità che è rivelata in pienezza e definitivamente dal Signore Gesù che manifesta un Dio non legato a schemi mondani del merito e della ricompensa, ma assolutamente disposto a fare grazia, a offrire la sua salvezza a tutti con particolare preferenza per quanti, dal citato schema mondano, sono considerati immeritevoli e, dunque, esclusi.
Gesù chiede a tutti noi di accogliere Dio così com’è: buono! (v. 15) rifuggendo da ogni tentativo di avere qualcosa da rivendicare davanti a lui e dal covare risentimento nell’animo per il suo agire umanamente incomprensibile. 
È una lezione imparata personalmente dall’Apostolo e che egli non cessa di impartire nelle sue Lettere, quella che vede i «senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio» (Epistola: Efesini 2,12), vale a dire la moltitudine dei popoli pagani ritenuti «lontani» e ora «diventati vicini grazie al sangue di Cristo» (v. 13) e dunque pienamente partecipi della salvezza operata nella sua Pasqua (v. 6).
È la lezione che nessuno di noi può e deve dimenticare. Al contrario, in questi nostri giorni attraversati da tanta incertezza e inquietudine, occorre annunciare con gioia la grandezza del nostro Dio che fa di tutto per mostrare, fino alla fine dei secoli, la «straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù» (v. 7).
Via da noi, pertanto, quella mentalità tanto cara al nostro modo di vedere le cose e che vorrebbe persino “regolare” l’agire di Dio costringendolo nei nostri schemi. Deve essere a tutti chiaro che nessun uomo può reclamare qualcosa o pensare di avere qualche credito da vantare davanti a lui. Il fatto di essere stati chiamati alla fede , a far parte della Chiesa e, perciò, a divenire “candidati” del Regno, non è frutto dei nostri meriti ma dono esclusivo di Dio. Un dono che egli vuole partecipare al maggior numero di uomini perché frutto nientemeno che del sangue del suo Figlio, nel quale brilla la sua bontà che lo porta a essere generoso con tutti e specialmente con quanti secondo i criteri umani di giudizio non sono meritevoli di ciò.
Tocca alla Chiesa perseverare nell’incessante gioiosa proclamazione della bontà di Dio che apre a tutti le porte del suo Regno. Si realizzerà così il desiderio profondo del cuore paterno di Dio svelato dalla parola profetica: «Volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti i confini della terra» (Isaia 45,22). Per questo, prima di accostarci alla mensa eucaristica che annunzia quella del Regno, abbiamo così pregato: «Annunzierò, o Dio, le tue gesta mirabili, gioisco in te ed esulto, canto inni al tuo nome, o Altissimo» (Canto Allo Spezzare del Pane).
A. Fusi

mercoledì 3 ottobre 2012

732 - SAN FRANCESCO

.
O santissimo Padre nostro,
creatore, redentore,
consolatore e salvatore nostro…
Venga il tuo regno,
affinché tu regni in mezzo a noi
per mezzo della grazia
e ci faccia giungere
nel tuo regno,
dove la visione di te
è senza veli,
l’amore di te è perfetto,
la comunione con te è beata,
il godimento di te
senza fine.
San Francesco

731 - LA BASILICA DI SAN FRANCESCO AD ASSISI


La Basilica di San Francesco costituisce uno dei più splendidi ed originali complessi che l’arte italiana abbia saputo realizzare, arricchito dagli affreschi di tutte le maggiori scuole pittoriche del ‘200 e del ‘300. La costruzione fu ideata da frate Elia, per dare degna sepoltura e glorificazione a San Francesco. I lavori presero avvio il 17 luglio 1228, l’indomani della canonizzazione del Poverello di Assisi. Si tratta di una duplice basilica sovrapposta ad una cripta. Quella inferiore venne terminata nel 1230. La Basilica superiore esalta la gloria di Francesco. Fu completata intorno al 1253 ed è fra le più importanti creazioni gotiche italiane. Di Cimabue sono i vari cicli del transetto, nella navata spicca il grande ciclo di 28 affreschi giotteschi raffiguranti episodi di vita del Poverello.
Il corpo di San Francesco venne trasportato in questo luogo il 25 maggio 1230, ma vi restò nascosto per sei secoli. Il 12 dicembre 1818 fu ritrovato e per custodirlo degnamente venne costruita la cripta.