Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 30 aprile 2010

302 - V DOMENICA DI PASQUA - ANNO C

Lettura: Atti degli Apostoli 4,32-37: la liturgia della parola di questa domenica concentra la nostra attenzione sull’amore come frutto della Pasqua. Il brano degli Atti ci ricorda che vera testimonianza della Pasqua è una comunità che nell’amore diviene un cuore solo e un’anima sola.

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Salmo 132: Dove la carità è vera, abita il Signore.

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Epistola: 1Corinzi 12,31-13,8a: Paolo ricorda ai Corinzi la qualità della vera carità. Non è il protagonismo molto attivo del nostro io, per quanto generoso. La carità è innanzitutto recettiva: tutto sopporta con pazienza. E’ accoglienza dell’amore di Dio che lo Spirito riversa nei nostri cuori.

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Vangelo: Giovanni 13,31b-35: Dopo aver ricordato il frutto e la qualità dell’amore, il vangelo cene mostra il fondamento: l’amore di Cristo. Amare come lui ci ha amati. Più che imitazione, il “come” dice possibilità: sul fondamento del suo amore, possiamo amarci gli uni gli altri.

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301 - IL COMANDAMENTO NUOVO

Nei vv. 31-33 Gesù parla della sua morte come già avvenuta e la descrive come una “glorificazione” che egli riceve da Dio e nella quale, in realtà, Dio stesso è “glorificato” e “glorificherà” ulteriormente il Figlio perché nell’ora della sua morte assocerà a lui tutti gli uomini. I vv. 34-35 riportano la “consegna” del Figlio “glorificato” ai suoi discepoli, che consiste nel mettere in pratica il comandamento nuovo: vale a dire la carità fraterna (v 34), quale segno distintivo dei “suoi”.

La celebrazione pasquale ripropone alla Chiesa l’ora della “glorificazione” di Gesù, rappresentata, in modo paradossale, nella sua morte. In essa, il “glorificato” rivela al mondo la “gloria” di Dio, il mistero stesso di Dio, che è amore. Nel Figlio innalzato sulla croce per attirare tutti a sé è, infatti, svelato il disegno d’amore del cuore di Dio: quello cioè di riunire tutti gli uomini, dispersi come un gregge sbandato, nel suo unico Figlio perché anch’essi partecipino alla sua condizione filiale, quella che è a lui propria. Nella Pasqua brilla perciò la grandezza dell’amore di Dio per l’intera umanità che lui vuole vedere tutta raccolta nel suo Figlio unico, il glorificato! Egli consegna tramite i discepoli del cenacolo alla futura comunità dei credenti, e dunque, alla Chiesa, la missione di far brillare fino alla consumazione dei secoli il frutto della sua glorificazione, ovvero della sua Pasqua: dare “gloria” a Dio realizzando, nella donazione di sé, l’opera di universale salvezza. La Chiesa, perciò, eredita dai “figlioli” di Gesù, ossia dai discepoli, il suo lascito testamentario che, se osservato, “glorifica” Dio, ovvero, realizza nel suo tempo l’opera da lui compiuta nel Figlio. Esso consiste nel comandamento che Gesù stesso definisce come “nuovo” e che si osserva quando i suoi discepoli si “amano” di quello stesso amore generato in essi dall’amore di Gesù. È in realtà, l’amore di Gesù, ossia la donazione di sé, della sua vita, che genera nel cuore dei credenti lo stesso amore reciproco. La carità fraterna, vissuta anzitutto all’interno della comunità dei credenti, è dunque, propriamente il peculiare modo di esistere della comunità stessa.

La Lettura riferisce l’effettiva traduzione in pratica, nella Chiesa delle origini, del precetto del Signore la cui osservanza trasformava la “moltitudine” di quanti pervenivano alla fede in “un cuore solo e un’anima sola”, cosa questa, che dava più forza alla testimonianza che gli Apostoli rendevano alla “risurrezione del Signore Gesù” (Atti degli Apostoli 4,32-33). La carità, però, è bene precisare, prima di essere un nostro impegno, è in realtà un dono ricevuto.

Nella celebrazione liturgica della Pasqua, viene infatti effuso in noi l’amore del Signore che, tutti ci riunisce “in un solo corpo” reso vivo, appunto, dal suo amore! La celebrazione eucaristica, pertanto, nella quale ci raggiunge il dono della carità del Signore, ci impegna di conseguenza a esprimerlo visibilmente nell’amore e nella reciproca carità con quella consapevolezza con cui l’apostolo Paolo l’additava quale “via più sublime” da desiderare e da perseguire prima di ogni altra (Epistola: 1Corinzi 12,31). Questo ci qualifica davanti a tutti gli uomini come “discepoli” del Signore “glorificato”, gente cioè che vive la comunione d’amore con lui, resa comprensibile e riconoscibile proprio nella carità vicendevole. Essa, in definitiva, contribuirà più di ogni altra cosa, ad attirare gli uomini al Signore Gesù, a credere in lui, nel suo Vangelo, fino a condividere con noi “il mistero della passione” che ci ha redenti e ad allietarsi «dell’eterno destino di gloria che ci è stato donato nel Signore risorto» (Prefazio) di vivere, già da ora, quella comunione d’amore con il Padre, propria del Figlio.

(A.Fusi)

martedì 27 aprile 2010

300 - IL SILENZIO E LA PREGHIERA

Riterrai difficile pregare, se non sai come fare. Ognuno di noi deve aiutare se stesso a pregare: in primo luogo, ricorrendo al silenzio; non possiamo infatti metterci in presenza di Dio se non pratichiamo il silenzio, sia interiore che esteriore. Fare silenzio dentro di sè non è facile, eppure è uno sforzo indispensabile; solo nel silenzio troveremo una nuova potenza e una vera unità. La potenza di Dio diverrà nostra per compiere ogni cosa come conviene; lo stesso sarà riguardo all'unità dei nostri pensieri con i suoi pensieri, all'unità delle nostre preghiere con le sue preghiere, all'unità delle nostre azioni con le sue azioni, della nostra vita con la sua vita. L'unità è il frutto della preghiera, dell'umiltà, dell'amore.

Nel silenzio del cuore, Dio parla; se starai davanti a Dio nel silenzio e nella preghiera, Dio ti parlerà. E saprai allora che non sei nulla. Soltanto quando riconoscerai il tuo non essere, la tua vacuità, Dio potrà riempirti con se stesso. Le anime dei grandi oranti sono delle anime di grande silenzio.

Il silenzio ci fa vedere ogni cosa diversamente. Abbiamo bisogno del silenzio per toccare le anime degli altri. L'essenziale non è quello che diciamo, bensì quello che Dio dice – quello che dice a noi, quello che dice attraverso di noi. In un tale silenzio, egli ci ascolterà; in un tale silenzio, parlerà alla nostra anima, e udremo la sua voce.

(Beata Teresa di Calcutta)

299 - CATECHISMO SULLA PREGHIERA

Fate bene attenzione, figlioli: il tesoro del cristiano non è sulla terra ma è nel cielo. Il nostro pensiero perciò deve rivolgersi dove è il nostro tesoro. Questo è il bel compito dell’uomo pregare ed amare. Se voi pregate ed amate, ecco, questa è la felicità dell’uomo sulla terra. La preghiera nient’altro è che l’unione con Dio. Quando qualcuno ha il cuore puro e unito a Dio, è preso da una certa soavità e dolcezza che inebria, è purificato da una luce che si diffonde attorno a lui misteriosamente. In questa unione intima, Dio e l’anima sono come due pezzi di cera fusi insieme, che nessuno potrà più separare.

Come è bella questa unione di Dio con la sua piccola creatura! È una felicità questa che non si può comprendere. Noi eravamo diventati indegni di pregare. Dio però, nella sua bontà, ci ha permesso di parlare con lui. La nostra preghiera è incenso a lui quanto mai gradito. Il vostro cuore è piccolo, ma la preghiera lo dilata e lo rende capace di amare Dio. La preghiera ci fa pregustare il cielo, come qualcosa che discende a noi dal paradiso. Non ci lascia mai senza dolcezza. Infatti è miele che stilla nell’anima e fa che tutto sia dolce.

Nella preghiera ben fatta i dolori si sciolgono come neve al sole. Anche questo ci dà la preghiera: che il tempo scorra con tanta velocità e tanta felicità dell’uomo, che non si avverte più la sua lunghezza.

San Giovanni Maria Vianney (patrono dei parroci), Catechismo sulla preghiera, 1899

298 - PREGHIERA PER I SACERDOTI

Dio onnipotente ed eterno,
per i meriti del Tuo Figlio e per il tuo amore verso di Lui,
abbi pietà dei sacerdoti della Santa Chiesa.
Nonostante questa dignità sublime sono deboli come gli altri.
Incendia per la Tua misericordia infinita, i loro cuori con il fuoco del Tuo Amore.
Soccorrili: non lasciare che i sacerdoti perdano la loro vocazione o la sminuiscano.
O Gesù, ti supplichiamo:
abbi pietà dei sacerdoti della Tua Chiesa.
Di quelli che ti servono fedelmente, che guidano il Tuo gregge e Ti glorificano.
Abbi pietà di quelli perseguitati, incarcerati, abbandonati, piegati dalle sofferenze.
Abbi pietà dei sacerdoti tiepidi e di quelli che vacillano nella fede.
Abbi pietà dei sacerdoti secolarizzati,
abbi pietà dei sacerdoti infermi e moribondi,
abbi pietà di quelli che stanno in purgatorio.
Signore Gesù ti supplichiamo: ascolta le nostre preghiere, abbi pietà dei sacerdoti: sono Tuoi!

Illuminali, fortificali e consolali.
O Gesù, ti affidiamo i sacerdoti di tutto il mondo, ma soprattutto quelli che ci hanno battezzato ed assolto,

quelli che per noi hanno offerto il Santo sacrificio e consacrato l'Ostia Santa per nutrire la nostra anima.
Ti affidiamo i sacerdoti che hanno dissipato i nostri dubbi, indirizzato i nostri passi,

guidato i nostri sforzi, consolato le nostre pene.
Per tutti loro, in segno di gratitudine, imploriamo il Tuo aiuto e la Tua misericordia.
Amen.

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(Monsignor Kiung, vescovo di Shangai, scrisse questa preghiera durante la sua prigionia. Fu condannato nel 1960 a 20 anni di carcere duro dal governo cinese a causa della sua fedeltà a Cristo)

297 - LA LECTIO DIVINA

La lettura personale e in comune della Scrittura come parola di Dio («lectio divina») è uno dei mezzi più efficaci per ogni fedele per disporsi a cogliere i frutti dell'ascolto della Parola nella liturgia e prolungarne gli effetti. Essa consiste nella lettura di una pagina biblica tesa a far sì che essa diventi preghiera e trasformi la vita. Si può attuare secondo due movimenti diversi.

Il primo, quello classico, parte dal testo per arrivare alla trasformazione del cuore e della vita secondo lo schema lettura-meditazione-orazione-contemplazione.

Il secondo parte dai fatti della vita per comprenderne il significato e il messaggio alla luce della parola di Dio. I suoi momenti possono essere espressi nelle due domande: come si rivela la presenza di Dio in questo fatto? quale invito il Signore mi rivolge attraverso di esso? tenuto conto che l'autenticità delle risposte sarà verificata richiamandosi a esempi o parole di Gesù nel Vangelo o ad altre situazioni o parole della Scrittura. Una variante di questo metodo è il trinomio vedere-giudicare-agire, dove il giudicare significa comprendere il fatto alla luce della parola di Dio, e l'agire va confrontato con gli imperativi del Vangelo.

Il primo metodo si adatta meglio per la lettura personale, il secondo per un incontro di gruppo (revisione di vita). Ma i due metodi si integrano a vicenda, e si correggono nelle loro possibili unilateralità. Un esercizio di essi assicurerà quella penetrazione della Parola nella vita che è lo scopo di questo programma pastorale.

(La Parola di Dio nella Liturgia, Carlo Maria Martini)

sabato 24 aprile 2010

296 - GIORNATA MONDIALE DELLE VOCAZIONI

"Sulla tua parola getterò le reti”...
Non è facile, Gesù, prendere il largo
Dopo che si è faticato invano
tutta una notte senza prendere nulla.
Non è facile fare quello che ci chiedi
quando l’esperienza ci dice
che tanto arrabattarsi è stato inutile.
Non è facile lasciarsi alle spalle
frustrazioni e insuccessi,
stanchezze e fallimenti,
fidandosi solo dite, della tua parola.
Eppure tu ci chiedi proprio questo:
rinunciare alle nostre logiche,
e un poco anche alle nostre competenze,
ai nostri progetti e alle previsioni,
e di calare di nuovo le reti.
E ci assicuri una sorpresa che ci spiazza:
il raccolto abbondante, imprevisto,
la quantità enorme di pesci
che ci lascia a bocca aperta.
Solo allora possiamo accogliere il tuo invito,

lo stesso rivolto a Pietro:
diventare pescatori di uomini
che agiscono non in nome
dei saperi accumulati,
dei calcoli e delle probabilità,
ma si lasciano condurre dall’amore.
In fondo è proprio il tuo amore,
smisurato e imprevedibile,
che è capace di servirsi di noi
per strapparci al ma
e portarci ad una nuova vita.
(Roberto Laurita)

venerdì 23 aprile 2010

295 - AMARE ED ESSERE AMATI

Amare ed essere amati è tutta la vita. Forse anche si ama quando si è amati. Il come si ama è decisivo per la riuscita dell'amore. Sogno e realtà poi divergono sempre.

Allora si tratta di capire cosa è amore. Poi domandarsi perché a volte fallisce: ne siamo davvero capaci? Dove e perché si inceppa? E' decisivo guardarci dentro e smetterla di essere autodidatti, o .. semplicemente istintivi.

Gesù, che è venuto "perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv 10,10), ha insegnato ai suoi la formula giusta, indicandone la radice e l'energia necessaria.

Ha detto che "Dio è amore" (1Gv 4,8.16), e ci ha dato di amare "come io ha amato voi".

1) HO AMATO VOI

Che cosa è l'amore? "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio" (1Gv 4,10). E' lì che conosciamo l'amore di Dio: "Come il Padre ha amato me, anch'io ho amato voi". Gesù incarna l'amore di Dio per noi. E come si configura? Semplicemente: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici". Già il Padre non ha trattenuto niente: "Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?" (Rm 8,32). Dio vive l'amore; Dio ama, nel suo Figlio. Che è uomo, e ama con cuore di uomo. Madre Teresa di Calcutta ha sentito dentro di sé la sete d'amore di Dio per ogni uomo, e ha posto nel suo cuore questa arsura espressa da Gesù: "Ho sete" (Gv 19,28), come motivo e forza della sua eccezionale capacità di amare i più poveri dei poveri.

Frutto e fine di questo amore: "Perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". Sentirsi amati - e da uno che "è più grande di tutti" (Gv 10,29) - è la più alta soddisfazione della vita. Amati perché partner di segreti personali: "Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi". Anzi, partecipi di una stessa grande missione: "Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto". E alla fine nella condivisione piena della stessa vita dell'Amante: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi. E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una cosa sola come noi siamo una sola cosa. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io" (Gv 17,22-24).

"Rimanete nel mio amore". Tocca a noi accogliere e corrispondere a questo amore. Dove corrispondere è nient'altro che prolungare a cascata verso gli altri - quale strumento congiunto - quell'amore che Cristo ha riversato in noi: "Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore. Questo è il mio comandamento: Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi". Il ritorno che Dio si aspetta è la partecipazione alla sua passione per l'uomo. "Gloria Dei vivens homo", diceva sant'Ireneo: la gloria di Dio, la sua massima gioia, è che l'uomo viva, o che l'uomo ne prolunghi l'amore verso tutti. La carità - che è il massimo dell'identità cristiana - è esattamente l'amore al prossimo per amore di Dio, amare con la capacità e la misura con cui Dio vuol amare ogni uomo tramite noi. Divenire il cuore di Dio presso ogni fratello.

2) AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI

Allora sta qui tutto l'impegno del cristiano: "Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri". E tutta la sua identità: "Da questo sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). La novità di questo comando antico è il "come io ho amato voi". Nella gratuità ("Mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi", Rm 5,8), nella totalità del dono di sé, nella fedeltà e nella misericordia.., tutte caratteristiche dell'amore di Cristo ben delineate nel vangelo. In più nella mitezza, nel rispetto dei ritmi di ognuno, nel perdono, senza discriminazioni, fino ad amare i nemici. Un modello.. ben oltre le nostre capacità umane.

Ed è qui il punto: "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5). Fare frutti di amore vero è solo energia divina che scorre in noi: "Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto" (Gv 15,5). "La nostra capacità viene da Dio" (2Cor 3,5). Dentro di me - dice Paolo - "vedo una legge, che combatte la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra" (Rm 7,23), tanto che devo costatare che "in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo" (Rm 7,18). Solo la grazia di Cristo può "liberarci da questo corpo di morte" (Rm 7,24). Né buona volontà né educazione ci rendono capaci del vero amore, senza la grazia di Cristo!

Paolo, rinnovato dall'amore di Cristo, testimonia la sua irrefrenabile passione nell'annuncio del vangelo, senza paura sia in carcere che di fronte alle minacce di morte: "Io sono pronto non soltanto ad essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù". E chiede per i suoi una carità capace di discernimento e di perseveranza nel compiere il bene: "Prego che la vostra carità cresca sempre più.. perché possiate distinguere ciò che è meglio, ricolmi del frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo" (Epist.). Discernimento e grazia di Cristo: la vita cristiana corre su un binario inscindibile di due elementi: la nostra buona volontà e l'aiuto divino, grazia e libertà. Una grazia che precede e che risana; e quindi una grazia che stimola e sostiene. Una libertà risanata e rafforzata è la radice di ogni carità, o di ogni autentico valore umano.

(don Romeo Maggioni)

294 - IV DOMENICA DI PASQUA – ANNO C

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”: è il segreto racchiuso nella liturgia di questa IV Domenica di Pasqua. Il Signore Gesù offre la sua vita per noi e cerca con ciascuno una relazione di intensissimo amore: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi, Rimanete nel mio amore”.

Nella gioia prolungata di questo tempo di grazia, esprimiamo il proposito di seguire il Signore con cuore indiviso e ci uniamo nella preghiera perché non manchino mai giovani capaci di rispondere con generosità e coraggio alla sua chiamata.

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Prima lettura: Atti 21,8b-14: La persecuzione non spaventa Paolo, né gli impedisce di annunciare con coraggio il Vangelo. E’ pronto a morire per il nome di Gesù, vale a dire non solo a motivo di lui, ma anche in comunione con lui, nella sua forza, condividendo il suo stesso sentire.

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Salmo 15: Nelle tue mani, Signore, è tutta la mia vita.

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Epistola: Filippesi 1,8-14: Paolo afferma, traducendo più letteralmente, che le sue catene “risplendono di Cristo”. Le catene, che dovevano impedire la testimonianza, diventano esse stesse annuncio. E’ il paradosso della croce: la potenza di Dio si manifesta nella debolezza degli uomini.

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Vangelo Giovanni 15,9-17: Il frutto della Pasqua è il comandamento nuovo. Donandoci la sua vita, Gesù ci dona il suo stesso amore, la possibilità di amarci come lui ci ha amati. La qualità autentica dell’amore sta nel dono di sé. In esso dobbiamo rimanere per essere amici di Dio.

mercoledì 21 aprile 2010

293 - GRAZIE, SIGNORE, PER QUESTA PAROLA

Ti ringraziamo Signore, perchè questa Parola, pronunciata duemila anni fa, è viva ed efficace in mezzo a noi.

Riconosciamo la nostra impotenza e incapacità a comprenderla e a lasciarla vivere in noi.

Essa è più potente e più forte delle nostre debolezze, più efficace delle nostre fragilità, più penetrante delle nostre resistenze.

Per questo ti chiediamo di essere illuminati dalla Parola, per prenderla sul serio ed aprire la nostra esperienza a ciò che ci manifesta, per darle fiducia nella nostra vita e permetterle di operare in noi secondo la ricchezza della sua potenza.

Madre di Gesù, che ti sei affidata senza riserva, chiedendo che avvenisse in te secondo la Parola che ti era detta, donaci lo spirito di disponibilità perché possiamo ritrovare la verità di noi stessi.

Donaci di aiutare ogni uomo a ritrovare la verità di Dio su di lui, fa’ che la ritrovi pienamente il mondo e la società in cui viviamo, e che vogliamo umilmente servire.

Te lo chiediamo, Padre, per Cristo Gesù, tua parola incarnata, per la sua morte e Risurrezione, e per lo spirito santo che continuamente rinnova in noi la forza di questa Parola, ora e per tutti i secoli.

Amen.

(Card. Carlo Maria Martini)

292 - QUALE FUNZIONE HA LA SACRA SCRITTURA NELLA VITA DELLA CHIESA?

La Sacra Scrittura dona sostegno e vigore alla vita della Chiesa. È, per i suoi figli, saldezza della fede, cibo e sorgente di vita spirituale. È l'anima della teologia e della predicazione pastorale. Dice il Salmista: essa è «lampada per i miei passi, luce sul mio cammino» (Sal 119,105). La Chiesa esorta perciò alla frequente lettura della Sacra Scrittura, perché «l'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (san Girolamo).

(Compendio del catechismo della chiesa cattolica, n. 24)

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Sacred Scripture gives support and vigor to the life of the Church. For the children of the Church, it is a confirmation of the faith, food for the soul and the fount of the spiritual life. Sacred Scripture is the soul of theology and of pastoral preaching. The Psalmist says that it is “a lamp to my feet and a light to my path” (Psalm 119:105). The Church, therefore, exhorts all to read Sacred Scripture frequently because “ignorance of the Scriptures is ignorance of Christ” (Saint Jerome) (Compendium of the Catechism of the Catholic Church, n.24)

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La Sagrada Escritura proporciona apoyo y vigor a la vida de la Iglesia. Para sus hijos, es firmeza de la fe, alimento y manantial de vida espiritual. Es el alma de la teología y de la predicación pastoral. Dice el Salmista: «lámpara es tu palabra para mis pasos, luz en mi sendero» (Sal 119, 105). Por esto la Iglesia exhorta a la lectura frecuente de la Sagrada Escritura, pues «desconocer la Escritura es desconocer a Cristo» (San Jerónimo). (Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.24)

domenica 18 aprile 2010

291 - GIORNATA DI PREGHIERA PER BENEDETTO XVI

Lunedì 19 aprile i Vescovi italiani invitano le comunità cristiane a una giornata di preghiera per Benedetto XVI in occasione del quinto anniversario della sua elezione al pontificato. Il cardinale Tettamanzi, pellegrino in Francia con i preti dei primi cinque anni di ordinazione, presiederà una solenne messa per il Papa nella Basilica del Santo Curato d’Ars.

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Lunedì 19 aprile ricorre il quinto anniversario dell’elezione di Benedetto XVI al pontificato. La Presidenza della Cei invita tutte le comunità ecclesiali a stringersi in quel giorno nella preghiera intorno a lui, centro di unità e segno visibile di comunione. In tale occasione, si individueranno a livello locale le forme più adatte (quali, per esempio, l’Eucaristia, la liturgia della Parola, veglie di preghiera, l’adorazione eucaristica e la recita del rosario) per rendere grazie a Dio per il magistero illuminato e la cristallina testimonianza del Papa. Nello stesso tempo, in quest’ora di prova, la Chiesa in Italia non viene meno al dovere della purificazione, pregando in particolare per le vittime di abusi sessuali e per quanti, in ogni parte del mondo, si sono macchiati di tali odiosi crimini. Confidando nella Sua parola, implora dal Signore energie nuove, perché ne rafforzi la passione educativa, sorretta dalla dedizione e dal generoso impegno di tanti sacerdoti che, insieme ai religiosi, alle religiose e ai laici, ogni giorno si spendono soprattutto nelle situazioni più difficili. (dal Comunicato della Conferenza Episcopale Italiana)

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Intenzione di preghiera per lunedì 19 aprile

Nelle parrocchie di rito ambrosiano (cfr Lettura At 8,5-8)

Preghiamo per il papa Benedetto XVI nel quinto anniversario della sua elezione: come l’apostolo Filippo abbia forza dallo Spirito nel “predicare il Cristo” e le parole e i segni che compie nel nome del Signore trovino ascolto e portino frutti di guarigione e gioia. Noi ti preghiamo.

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venerdì 16 aprile 2010

290 - “IO SONO LA LUCE DEL MONDO”

La prima parola che Dio, il Creatore, pronuncia è “Sia la luce. E la luce fu. E Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattino: primo giorno”. Il primo gesto creatore è stato quello che ha dissipato le tenebre, l’oscurità, il caos primordiale e ha portato la luce, principio dell’intera creazione. E l’ultima pagina della Scrittura sacra è di nuovo nel segno della luce: “La città non ha bisogno della luce del sole né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello. Possiamo allora dire che l’intera storia dell’umanità sta tra la luce del primo mattino del mondo e la luce dell’ultimo giorno, quando la luce che è Dio stesso illuminerà l’intera umanità. Possiamo dire che la storia umana è storia di luce. Non si dice forse, con espressione significativa, che nascere è venire alla luce, mentre il morire è entrare nell’oscurità? Per questo, secondo la Scrittura sacra l’intero cammino della vita è un andare rischiarati dalla lampada che è la parola del Signore: “Lampada ai miei passi la tua parola e luce al mio cammino”.

Non sorprende allora che Gesù si presenti a noi come luce. Quante volte questo simbolo ritorna nelle pagine evangeliche. In particolare il quarto evangelo, dal quale appunto è tratto il testo odierno, fin dalla prima pagina presenta Gesù come luce: “Veniva nel mondo la luce, quella che illumina ogni uomo. E poi ancora nel dialogo notturno con Nicodemo Gesù afferma: “La luce è venuta nel mondo ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce” (Gv 3,19). E ancora: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). “Finchè sono nel mondo sono la luce del mondo” (9,5). “Io come luce sono venuto nel mondo perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (12,46).

“Chi vede me vede il Padre”

Ma che cosa significa questo simbolo della luce? Notiamo anzitutto: Gesù non dice: tra le molte e belle luci che brillano nel mondo ci sono anch’io. No, con una affermazione perentoria e impegnativa afferma d’essere la luce del mondo. E rafforza questa pretesa esclusiva aggiungendo: “Chi segue me non cammina nelle tenebre”. Privi di questa luce che è Gesù siamo inesorabilmente nelle tenebre, ovvero siamo nella condizione di non poter vedere dove mettiamo i piedi, siamo disorientati. Anche questa parola è bella. Diciamo: sono disorientato, ovvero confuso, incerto, non so da che parte andare perché mi manca l’orientamento. Non so dove è l’oriente, là dove sorge il sole e viene la luce. In altre parole: se non ci apriamo a questa luce, a questo sole che sorge siamo inesorabilmente nelle tenebre, nell’oscurità e quindi disorientati. L’uomo contemporaneo, grazie alle stupende conquiste della sua intelligenza, del suo lavoro ha una conoscenza sempre più vasta e profonda delle cose. Ogni giorno nuovi orizzonti si aprono grazie alla ricerca scientifica, nuovi traguardi che permettono di vincere tante malattie, migliorare la qualità della vita. Tutto questo è bello eppure, l’evangelo ci avverte: se non accogliamo la luce che è Cristo, siamo nell’oscurità. Dobbiamo avere stima e apprezzamento sincero per ogni umana ricerca che contribuisce a orientare la nostra vita ma la luce decisiva è quella di Gesù stesso e della sua Parola. Sempre nella pagina evangelica odierna ci è detto perché Gesù può dire: io sono la luce del mondo. Pretesa inaudita se provenisse da un uomo, pretesa che nel corso della storia molti uomini hanno avanzato. Tutte le dittature, tutti i regimi assoluti si sono fondati e si fondano su tale pretese e infatti generano funeste forme di culto della personalità. La ‘pretesa’ di Gesù non è affatto una pretesa ma l’attestazione del suo legame con Dio, il Padre. “Non sono solo” dice Gesù, il Padre è con me. E ancora: “Chi vede me vede il Padre”. Nell’uomo Gesù, il figlio del falegname, lui che proviene da Nazareth, un villaggio da cui, si diceva, allora, non può venire niente di buono, proprio lui è “splendore della gloria del Padre”. Nella luce della pasqua facciamo nostra l’accorata invocazione che a Cristo rivolgeva Paolo VI: “Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio con noi, per imparare l’amore vero e per camminare nella tua luce. Tu ci sei necessario”.

(Don Giuseppe Grampa)

289 - III DOMENICA DI PASQUA anno C

In queste domeniche,che prolungano l’esultanza per il dono della redenzione, contempliamo il volto stesso del Signore risorto. “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita”: il Signore Gesù è la luce della nostra vita e della nostra fede. Con sguardo ammirato e riconoscente, siamo chiamati a vivere nella gioia pasquale e chiediamo che il dono ricevuto in questa celebrazione susciti e sostenga la nostra testimonianza e diventi in noi “sorgente e certezza della gioia senza fine”.

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Lettura: Atti 28,16-28: Con Paolo che giunge a Roma, il Vangelo arriva nel cuore dell’impero. Nella visione di Luca si compie la promessa della salvezza annunciata a tutte le genti. Paolo è in catene, eppure è la parola di Dio che parla in lui a giudicare e a discernere i cuori.

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Salmo 96: Donaci occhi, Signore, per vedere la tua gloria.

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Epistola ai Romani 1,1-16b: Scrivendo ai Romani, Paolo svela il suo desiderio di annunciare il vangelo anche a Roma. Il suo desiderio si compirà in modo paradossale, giacché Paolo vi giungerà prigioniero. Il vangelo, potenza di Dio per la salvezza, è più forte di ogni ostacolo umano.

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Vangelo Giovanni 8,12-19: Gesù è la luce del mondo, per tutti gli uomini. Non solo illumina, ma dona una vita più forte delle tenebre del peccato, della morte, dell’incredulità. Credere significa riconoscere la sua relazione unica con il Padre. Egli viene da Dio e a lui ritorna.

mercoledì 14 aprile 2010

288 MIO DIO

Mio Dio,

fa che io mai dimentichi di ringraziarti per la mia vita.

Perché la vita è tua, Tu sei il Padre e il Padre di tutta la vita,

e sei colui che mi ha voluto come figlio,

figlio nato per la Gioia.

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Dammi l’orgoglio di essere uomo,

l’uomo in piedi che tu desideri,

che da te accetta la meravigliosa vocazione

di farmi, di ergermi, di crescere

per incamminarmi ricco e libero

su questa strada davanti a me.

.

Concedimi di accogliere la vita con tutto il cuore,

a piene mani,

perché i miei genitori me l’hanno trasmessa con l’amore,

anche se un amore forse fragile,

e io ne sono responsabile

perché me l’hanno donata.

.

Aiutami a camminare senza voler sapere

quello che ad ogni svolta la strada mi riserva,

non con la testa tra le nuvole

ma i piedi sulla terra

e la mia mano nella tua.

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Allora, o Signore,

uscirò da casa fiducioso e allegro e me ne andrò senza timore

per la Strada sconosciuta,

perché la vita è davanti a me

ma Tu insieme a me cammini.

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(Michel Quoist)

domenica 11 aprile 2010

287 - LA DIVINA MISERICORDIA

"L'Anima che venererà questa immagine non perirà. Le prometto, ancora sulla Terra, la vittoria sui nemici, ma specialmente in punto di morte.

Io, il Signore, la proteggerò come Mia Gloria. I raggi del Mio Cuore significano Sangue ed Acqua, e riparano le Anime dall'ira del Padre Mio. Beato chi vive alla loro ombra, poiché non lo raggiungerà la mano della Giustizia Divina.

Proteggerò, come una madre protegge il suo bambino, le anime che diffonderanno il culto alla Mia Misericordia, per tutta la loro vita; nell'ora della loro morte, non sarò per loro Giudice ma Salvatore.". La preghiera di venerazione che Gesù ha dettato è la seguente:

O ACQUA E SANGUE CHE SCATURISCI DAL CUORE DI GESU' COME SORGENTE DI MISERICORDIA PER NOI IO CONFIDO IN TE.

"Io do all'umanità un vaso col quale potrà andare ad attingere le grazie alla sorgente della Misericordia: questo vaso è l'immagine con questa iscrizione: "Gesù, io confido in Te!".

Questa immagine deve continuamente ricordare alla povera umanità l'infinita Misericordia di Dio. Chiunque avrà esposta ed onorata, nella sua casa, la Mia Divina Effigie sarà preservato dal castigo.

Come gli antichi Ebrei che avevano segnato le loro case con la croce fatta col sangue dell'agnello pasquale furono risparmiati dall'Angelo Sterminatore, così sarà in quei tristi momenti per coloro che mi avranno onorato esponendo la mia immagine.


"Quanto più grande è la miseria degli uomini, tanto maggior diritto hanno alla Mia Misericordia, perché desidero salvarli tutti. Scrivi che prima di venire come Giudice, spalancherò tutta la grande porta della Mia Misericordia. Chi non vuol passare da questa porta, dovrà passare per quella della Mia Giustizia.
La sorgente della Mia Misericordia è stata aperta dal colpo di lancia sulla Croce, per tutte le Anime. Non ne ho esclusa nessuna. L'umanità non troverà né tranquillità né pace finché non si rivolgerà alla Mia Misericordia. Dì all'umanità sofferente che si rifugi nel Mio Cuore Misericordioso, ed Io la ricolmerò di pace."

"Desidero che la prima domenica dopo Pasqua sia la Festa della Mia Misericordia. Figlia Mia, parla a tutto il mondo della Mia incommensurabile Misericordia! L'Anima che in quel giorno si sarà confessata e comunicata, otterrà piena remissione di colpe e castighi. Desidero che questa Festa si celebri solennemente in tutta la Chiesa."

(Dal diario di Suor Faustina Kowalska)

286 - IMMAGINE DI GESÙ MISERICORDIOSO

Il disegno essenziale di questo quadro è stato mostrato a suor Faustina nella visione del 22 febbraio 1931 nella cella del convento di Płock. "La sera, stando nella mia cella - scrive suor Faustina - vidi il Signore Gesù vestito di una veste bianca: una mano alzata per benedire mentre l'altra toccava sul petto la veste, che ivi leggermente scostata lasciava uscire due grandi raggi, rosso l'uno e l'altro pallido (...) Dopo un istante, Gesù mi disse, Dipingi un'immagine secondo il modello che vedi, con sotto scritto: Gesù confido in Te" (Q. I, p. 26). Tre anni dopo a Vilnius Gesù ha spiegato il significato dei raggi: "I due raggi rappresentano il Sangue e l'Acqua" (Q. I, p. 132). Non si tratta qui di un qualche effetto artistico, ma di una simbologia del quadro estremamente profonda.

Agli elementi essenziali del quadro appartengono le parole poste in basso: "Gesù, confido in Te". Gesù parlava di ciò già durante la prima apparizione a Plock e poi a Vilnius: "Gesù mi ricordò (...) che queste tre parole dovevano essere messe in evidenza" (Q. I, p. 138). Non si tratta qui del numero delle parole, ma del loro senso integralmente legato al disegno e al contenuto del quadro.

Gesù ha definito un altro particolare di questo quadro, ha detto infatti: "Il Mio sguardo da questa immagine è tale e quale al Mio sguardo dalla croce" (Q. I, p. 140). La questione dello sguardo non è dunque senza importanza, se lo stesso Gesù mette l'accento su di essa, dando un significato a questo particolare. E qui incontriamo una doppia interpretazione di questo desiderio di Gesù: alcuni - e tra loro don Sopocko - leggono queste parole in modo realistico e dicono che lo sguardo deve essere diretto in basso come dall'alto della croce; altri credono, che si tratti dello sguardo che esprime la misericordia (tra loro padre J. Andrasz, il secondo direttore spirituale di suor Faustina). A seconda di questa interpretazione sono sorte - si può dire - due "scuole" di rappresentazione dell'immagine del Gesù Misericordioso: una ha il suo modello nel dipinto di E. Kazimirowski, mentre la seconda nel dipinto di A. Hyla, del santuario della Divina Misericordia a Cracovia.

Quale è il significato di questo quadro?

Il cosiddetto "luogo teologico" è stato indicato dallo stesso Gesù, legando la benedizione del quadro e la sua pubblica venerazione alla liturgia della prima domenica dopo Pasqua. La Chiesa legge in quel giorno il Vangelo sull'apparizione di Gesù risorto nel Cenacolo e sull'istituzione del sacramento della penitenza (Gv 20, 19-29).

A questa scena del Cenacolo si sovrappone l'avvenimento del Venerdì Santo: la crocifissione e la trafittura del Cuore di Gesù con la lancia. "Entrambi i raggi uscirono dall'intimo della Mia misericordia, quando sulla croce il Mio Cuore, già in agonia, venne squarciato con la lancia" (Q. I, p. 132). Di questo scrive san Giovanni nel 19° capitolo del Vangelo. Gesù ha spiegato poi che "il raggio pallido rappresenta l'Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il Sangue che è la vita delle anime" (Q. I, p. 132). San Tommaso, riferendosi ai Padri della Chiesa, unisce la simbologia dell'acqua e del Sangue con il sacramento del battesimo e con l'Eucarestia, cosa che può essere riferita anche agli altri sacramenti. "Alla luce del Vangelo di Giovanni - scrive don I. Rozycki - l'acqua e il sangue (...) stanno a significare le grazie dello Spirito Santo, che ci sono state donate per la morte di Cristo. I due raggi rappresentati sul dipinto di Gesù Misericordioso possiedono questo stesso profondo significato" (R., p. 20).

L'immagine del Gesù Misericordioso spesso viene identificata come quella della Divina Misericordia e giustamente poiché‚ nella passione, morte e risurrezione di Cristo la misericordia di Dio verso l'uomo si è rivelata con totale pienezza.

venerdì 9 aprile 2010

285 - APPARIZIONI DI GESU'

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio

L'incredulità di S. Tommaso

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Il brano evangelico, proclamato ogni anno nella seconda domenica di Pasqua, riporta il primo degli incontri del Signore con i discepoli "la sera di quel giorno" quello cioè della sua risurrezione (vv 19-23). Ad esso succede, con lo stesso ritmo temporale "otto giorni dopo", un nuovo incontro che vede la presenza di Tommaso, "uno dei Dodici" (vv 24-29). I vv 30-31, infine, rappresentano come l’epilogo dell’intero racconto evangelico secondo Giovanni, incentrato sull’esortazione a "credere".

Il brano così strutturato va letto e ascoltato con un’avvertenza e una precisa consapevolezza: tutto ciò che qui è narrato e ciò che Gesù dice e fa nei confronti dei suoi discepoli è carico di significato e di conseguenze per i discepoli di tutti i tempi che formeranno la sua Comunità nei luoghi e nei secoli a venire.

Le prime parole del Risorto sono dono e augurio di "pace" ai suoi asserragliati in casa "per timore dei Giudei" (v 19). Tale "dono" dovuto alla perenne presenza del Risorto, affranca la Chiesa, allora, come oggi, da ogni paura ed esitazione nel parlare di Lui a ogni uomo, in ogni situazione. Alle parole Gesù accompagna un gesto estremamente eloquente: quello di mostrare ai suoi "le mani e il fianco" (v 20) trafitti i primi dai chiodi e il secondo dalla lancia del soldato dichiarando così, nell’evidenza delle cose, che in Lui la morte è stata vinta!

A quella vista i cuori si riempiono di "gioia": il Maestro, quello stesso che hanno visto pendere dalla croce ora è lì, in piedi, in mezzo a loro. "Pace" e "gioia", perciò, sono le peculiari caratteristiche non di una comunità tra le tante, ma della Comunità del Risorto dai morti che da Lui riceve il "mandato" missionario (v 21) quello stesso ricevuto dal Padre. Al pari di Pietro e di Giovanni la Chiesa non dovrà e non potrà più tacere ciò che ha visto e ascoltato, vale a dire che «In nessun altro c’è salvezza» se non nel Signore Gesù e che non vi è «sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (Lettura: Atti degli Apostoli 4,12).

L’efficacia della missione è assicurata dal "soffio" del Risorto sui discepoli (v 22), ossia dal dono dello Spirito che, da allora accompagna la Chiesa, alla quale trasmette la totalità del suo potere misericordioso: quello relativo al perdono dei peccati (v 23) che libera dalla "morte eterna".

La seconda parte del brano (vv 24-29) riporta il successivo incontro del Risorto con i suoi, "otto giorni dopo", nel giorno di domenica, stavolta con la presenza di Tommaso, il quale non accetta la testimonianza degli altri che dicono: "Abbiamo visto il Signore" (v 25) ed esige, per credere, di "vedere" e di "toccare" il Corpo di Gesù che lui ha "visto" morto in croce e sepolto.

Tommaso in questo caso rappresenta tutti noi che, in ordine alla risurrezione, abbiamo a disposizione la testimonianza degli antichi discepoli di Gesù. Nel presentarsi tra i suoi come la sera di Pasqua, Gesù, invita Tommaso a "vedere" e a "toccare" ma soprattutto a reagire da "credente" ovvero a riconoscerlo a un livello non più semplicemente "terreno", quello della sua precedente esistenza, ma al livello della sua nuova condizione quella di "vivente glorificato"!

Il v 28 evidenzia come Tommaso perviene finalmente alla pienezza della fede in Gesù riconosciuto come Signore e Dio (v 28) nel quale, dirà l’apostolo Paolo, «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Epistola: Colossesi 2,9).

Le parole conclusive con le quali Gesù loda Tommaso sono in realtà dette con lo sguardo rivolto alle future generazioni di credenti e, dunque, a noi! Ci sono così due vie per giungere alla fede: quella di Tommaso e con lui dei Dodici e dei discepoli che hanno "visto" il Signore! È la via del "vedere" quella fatta percorrere ai Dodici proprio "per noi" che invece percorriamo la via della fede ovvero del "credere" poggiandoci sulla parola trasmessa da "chi ha visto!". Gesù proclama "beati" coloro che "non hanno visto e hanno creduto" (v 29).

La celebrazione eucaristica settimanale, nel giorno del Signore risorto, è l’ambiente indispensabile per camminare nell’esperienza del "credere", dell’amare e del gioire nel Signore che impariamo a riconoscere nella sua condizione di Kyrios, che apre il cuore alla grandezza del Vangelo che tutti ci riguarda: Il Risorto, il vivente è proprio lui, il Crocifisso. Con lui Dio ha dato "vita" anche a noi "che eravamo morti a causa delle colpe" (Colossesi 2,13) e, per lui, in quella "vita" ci custodisce e ci fa crescere.

(A.Fusi)


284 - II DOMENICA DI PASQUA

"Pace a voi!”: è l’augurio stesso del Signore che accompagna la gioia prolungata della Pasqua. La liturgia di questa domenica è invito a riconoscere nella risurrezione di Gesù il primato dell’amore di Dio: “Il Signore è buono, il suo amore è per sempre”. In Cristo, morto e risorto, trova compimento il disegno di salvezza del Padre ed è offerta “ai credenti la lieta speranza della vita senza fine”. Per questo, siamo chiamati a superare ogni esitazione e incertezza, per fare nostra la stessa professione di fede dell’apostolo Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”.

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Lettura: Atti degli Apostoli 4,8-24a: Dio ha rialzato dalla morte Gesù, che gli uomini hanno crocefisso. Nel suo Nome, il solo in cui c’è salvezza, Pietro ha rialzato dalla sua infermità il paralitico. Gli apostoli annunciano la Pasqua rendendo operante la sua salvezza tra gli uomini.

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Salmo 117: La pietra scartata dai costruttori è ora pietra angolare.

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Epistola: Colossesi 2,8-15: I battezzati nella notte pasquale, in questa domenica deponevano la veste bianca ricevuta nel battesimo. Da qui il nome Domenica in albis. Paolo ricorda il significato del battesimo, morti al peccato rinasciamo in Cristo ad una vita nuova.

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Vangelo: Giovanni 20,19-31: Prima i discepoli e poi Tommaso riconoscono il Risorto, che mostra loro il fianco trafitto. Non si crede ad un volto indeterminato di Dio, ma a quel volto che l’amore crocefisso di Gesù rivela. Lì è la sorgente dello Spirito, della pace, del perdono.

mercoledì 7 aprile 2010

283 - CORAGGIO GENTE!

Coraggio, gente!
La Pasqua ci dice che la nostra storia ha un senso,
e non è un mazzo di inutili sussulti.
Che quelli che stiamo percorrendo non sono sentieri ininterrotti.
Che la nostra esistenza personale non è sospesa nel vuoto
né consiste in uno spettacolo senza rete.
Precipitiamo in Dio.
In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo.

Coraggio, gente!
La Pasqua vi prosciughi i ristagni di disperazione
sedimentati nel cuore.
E, insieme al coraggio di esistere, vi ridia la voglia di camminare.

(Tonino Bello)

domenica 4 aprile 2010

282 - BUONA PASQUA!


Carissimi fratelli e sorelle,

Ci sono due modi di vivere l’evento Pasquale:

Un modo statico, emotivo, esultante per cui l’annuncio pasquale “CRISTO E’ RISORTO”, si converte immediatamente in un turbamento di gioia. Questa sarà la tonalità che domina nella veglia del sabato santo.

Un modo più pacato e più riflessivo. Ci si accosta alla Pasqua portando tutti il peso delle nostre domande e dei nostri dubbi: è credibile questo annuncio? Come è possibile a un adulto aderire a una verità tanto sconcertante?

Va detto che gli Apostoli non si preoccupavano di dimostrare la Resurrezione. La loro preoccupazione, di discepoli, era piuttosto quella di testimoniare ciò che hanno provato. In quel giorno hanno vissuto un’esperienza sconvolgente a cui non erano preparati.

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La Pasqua, allora, va vissuta con gioia non superficiale, come se ormai tutto fosse dato per scontato e non ci fosse più nulla da attendere dalle mani di Dio. In realtà la dobbiamo viverla come primizia della perfetta Redenzione che ancora dobbiamo sperare.

La pasqua viene a dirci:- Tu cerchi il Signore? Il Signore non è lontano. Non è nel tuo passato. Non è sepolto sotto una grossa pietra. Gesù Cristo, il Signore,è accanto a te,respira vicino a te, trepida per te.

E’ vicino e ti ama!-

La Risurrezione di Gesù ci rialza nella notte del nostro vivere, ci rimette in cammino e riaccende la nostra speranza.

Il mio augurio di cuore sia proprio questo: Che proviate la GIOIA vera che viene dall’incontro pasquale con il Risorto.

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Auguri di una serena Pasqua di pace.

Padre Luigi, parroco.

sabato 3 aprile 2010

281 - LA RISURREZIONE NELL'ARTE

Pinturicchio
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Duccio di Buoninsegna
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Rubens
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Van Dyk

280 - DOMENICA DI PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE

Momento centrale del brano evangelico che si riallaccia al precedente riguardante il "sepolcro vuoto" (Giovanni 20,1-10), è l’incontro del Risorto con Maria di Magdala alla quale consegna la solenne dichiarazione circa il suo "salire al Padre" (vv 14-17). Esso è preparato dall’incontro con "due angeli" (vv 11-13) e si conclude con la "missione" di Maria presso i discepoli (v 18). È evidente, nell’evangelista, l’intento di condurre il lettore a compiere il graduale itinerario che, sul modello dell’esperienza vissuta da Maria presso il "sepolcro", lo porti a quella pienezza di fede che si attinge dalla personale esperienza dell’evento pasquale.

I brani biblici di questa domenica di Pasqua si premurano, infatti, di trasmettere la "testimonianza" autentica della risurrezione del Signore dai morti non solo come "verità" ma come evento di salvezza che riguarda, a partire dai credenti l’intera umanità. Gli apostoli, "Cefa", i "cinquecento fratelli", Giacomo, Paolo, sono i testimoni "oculari" citati nella Lettura e nell’Epistola. Essi hanno "visto il Signore", quello stesso che hanno "visto" morto sulla croce e posto nel sepolcro. Essi, perciò, sono in grado di dire ciò che hanno "visto": attraverso il passaggio oscuro della morte, Gesù è pervenuto a una vita "nuova", non più assimilabile a quella precedente.

Maria di Magdala è testimone privilegiata e credibile di tutto ciò. In un primo momento è proprio la morte e la sepoltura del Maestro alla quale ha assistito, a gettarla nel dolore e nello sconforto più amaro. Le lacrime di Maria sono indubbiamente segno del suo amore per Gesù, ma di un amore che non è in grado di attendere altro. Neppure la vista di "due angeli in bianche vesti" (Giovanni 20,12), il colore che la Bibbia riserva agli esseri della sfera celeste, riesce a significare qualcosa per lei interessata soltanto a cercare "il corpo" di Gesù! Così è dell’incontro con Lui scambiato per "il custode del giardino". Maria ama certamente Gesù ma non è in grado di riconoscerlo nella sua nuova condizione, quella di "vivente" e questo finché Gesù non la costringe ad aprire gli occhi su di lui chiamandola per nome: "Maria!" (v 16).

Il gesto di Maria, quello cioè di "voltarsi" significa che ella finalmente smette di cercare il "corpo" morto di Gesù e diviene in tal modo capace di "vedere" il suo "Rabbunì", il Maestro tanto amato, che riserva proprio a lei una parola di rivelazione con l’incarico di trasmetterla ai suoi apostoli e discepoli che il Risorto designa, non a caso come "miei fratelli" (v 17).

La parola di rivelazione riguarda il "salire" di Gesù a Dio e al Padre suo che, da quel momento diviene anche il Dio e il Padre "vostro" ossia dei suoi discepoli che, dunque, sono per lui "fratelli". La "salita" al Padre dice che Gesù ha compiuto la sua "opera": "dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto al cielo"(Atti degli Apostoli 1,1-2) e così sintetizzata dall’Apostolo: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture» (1Corinzi 15,3-4).

La preghiera liturgica sviluppa il contenuto "salvifico" di tutto ciò che Gesù ha fatto affermando che «per liberare l’uomo si è offerto alla morte di croce» e noi, «tratti dall’abisso del peccato ci rallegriamo di entrare col Salvatore risorto nel regno dei cieli» (Prefazio).

L’esito finale di ciò che Gesù ha fatto per la nostra salvezza, è proprio nella sua "salita" al Padre con la quale inserisce i suoi discepoli, ovvero, i suoi "fratelli" in quella stessa comunione di vita e di amore che, quale Figlio unico, lo lega al Padre al punto che essi possano chiamare il Dio e il Padre di Gesù come il loro Dio e Padre (v 17).

Il tempo di Pasqua che questa domenica, festa che "dà origine a tutte le feste" (Prefazio) inaugura, e che si protende per cinquanta giorni fino alla Pentecoste ci è dato perché come Maria di Magdala apriamo il nostro cuore alla gioia del Risorto la cui salvezza ci raggiunge nei sacramenti pasquali nei quali agisce quel medesimo Spirito promesso e dato agli Apostoli (Atti degli Apostoli 1,4-5.8) perché rinasciamo come "fratelli" del Signore Gesù e, chiamando da ora Dio, al pari di lui come "Padre", coltiviamo nel cuore e nella vita la gioiosa consapevole speranza così espressa nell’antifona "Allo spezzare del pane": «Morivo con te sulla croce, oggi con te rivivo. Con te dividevo la tomba, oggi con te risorgo. Donami la gioia del regno, Cristo, mio salvatore. Alleluia, alleluia».

(A.Fusi)

279 - DOMENICA DI PASQUA

“Morivo con te sulla croce, oggi con te rivivo …Donami la gioia del regno, Cristo mio salvatore”: è la preghiera che illumina il giorno gioioso della risurrezione e alimenta la nostra speranza. “Cristo morì per i nostri peccati, … fu sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture”: la Pasqua di Gesù, con il suo mistero di morte e risurrezione, è il cuore della nostra fede e risplende al vertice dell’anno liturgico. “Questo è il giorno che ha fatto il Signore”: nel cammino verso la gioia del Regno chiediamo il dono di una “fede salda” e una “speranza incrollabile” per “giungere alla pienezza gloriosa della risurrezione”.

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Lettura: Atti 1,1-8a: Gli atti sono dedicati da Luca a Teofilo, l’amico di Dio. Donandoci il suo spirito, condividendo la nostra mensa e la nostra vita, il Risorto ci dona la vera amicizia con Dio. In questa comunione si attua il mistero del Regno.

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Salmo 117: Questo è il giorno che ha fatto il Signore, rallegriamoci ed in esso esultiamo!

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Epistola: 1Corinzi 15,3-10a: Paolo trasmette l’annuncio fondamentale, il kerigma pasquale che afferma non solo che Cristo è risorto, ma che si è manifestato, anche a un peccatore come lui. Poterlo incontrare è dono gratuito, a noi di non lasciare cadere a vuoto la sua grazia.

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Vangelo: Giovanni 20,11-18: Fare l’esperienza del Risorto significa, anche per noi, come per la Maddalena, incontrare qualcuno che ci conosce profondamente, ci chiama per nome perché ci ama, consola il nostro pianto. Solo lui appaga la nostra sete e sazia la nostra ricerca di verità.

278 - LA NOTTE CHE CI LIBERA DAL SONNO DELLA MORTE

Fratelli, vegliamo, perché fino a questa notte, Cristo è rimasto nella tomba. In questa notte, è sopravvenuta la risurrezione della sua carne. Sulla croce, essa è stata esposta agli scherni ; oggi, è adorata dai cieli e dalla terra. Questa notte fa parte fin d'ora della nostra domenica. Occorreva che Cristo risuscitasse di notte, perché la sua risurrezione ha illuminato le nostre tenebre... Come la nostra fede, rinsaldata dalla risurrezione di Cristo, caccia ogni sonno, così questa notte, illuminata dalle nostre veglie, si riempie di luce. Essa ci fa sperare, insieme con la Chiesa sparsa su tutta la terra, di non essere sorpresi nella notte (Mt 13, 33).
Su tanti popoli, radunati in nome di Cristo da questa festa ovunque solennissima, il sole è tramontato – eppure fa pur sempre giorno. Le luci del cielo hanno lasciato il posto alle luci della terra ... Colui che ci ha dato la gloria del suo nome (Sal 28, 2), ha anche illuminato questa notte. Colui al quale diciamo : « Rischiara le mie tenebre » (Sal 18, 29), diffonde la sua luce nei nostri cuori. Come i nostri occhi abbagliati contemplano queste fiaccole splendenti, così il nostro spirito illuminato ci fa vedere quanto sia luminosa questa notte – questa santa notte in cui il Signore ha inaugurato nella propria carne la vita che non conosce né sonno, né morte !

Sant'Agostino (354-430), Discorsi per la Notte Santa.

giovedì 1 aprile 2010

277 - LA CROCIFISSIONE NELL'ARTE

Duccio di Boninsegna - La Crocifissione
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Giotto
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Salvador Dalì - Cristo di San Giovanni della Croce

276 - IL MISTERO DELLA CROCE

La Passione di Cristo passa oggi per le case di tanti che soffrono: dei disoccupati, di coloro che pensano all’avvenire con crescente timore, dei sequestrati ancora attesi con ansia e afflizione, di coloro che furono vittime di una violenza assurda e spietata. Ma passa anche per le case degli anziani, spremuti delle loro energie e messi da parte, in solitudine – e quanti di essi si lamentano con sofferenza di questa solitudine! –; passa per le case di coloro che attendono giustizia senza riuscire ad ottenerla, di quanti hanno dovuto, per qualunque motivo, abbandonare una patria, senza riuscire a trovarne una nuova, o a sentirsi accolti, che forse non hanno neppure una casa, e stanno magari vicino a noi.

Il mistero della croce si rinnova in tutti coloro che si sentono esclusi e che la nostra società fa sentire come tali, come gli handicappati, o coloro a cui vengono indicate vie d’uscita che sono soluzione di morte: drogati, disadattati, carcerati, che anche nei luoghi che dovrebbero essere di espiazione ma anche di redenzione, rimangono vittime di un clima di violenza e di morte, che in passato hanno o possono aver contribuito a creare.

Passa infine, questa Passione e questa sofferenza, per il cuore di tutti coloro che pensano che il loro sacrificio e la loro fedeltà al dovere quotidiano sia inutile, incompresa, e di questo dovere cadono vittime.

Ci sembra impossibile alle volte, leggendo i giornali, pensare che uomini tanto piccoli possano fare nel mondo un male tanto grande, eppure se ascoltiamo la lettura della Passione non è un sentimento diverso quello che ci sentiamo nascere dentro.

La Passione del Signore ci insegna non solo ad accorgerci anche di chi soffre, non solo a soccorrerlo, ma anche ad uscire dalla logica della violenza che sembra perpetuarsi nel cuore dell’uomo e della storia dell’umanità.

Un gesto di perdono e di preghiera come quello di Cristo morente e che altri ai nostri giorni cercano di rendere vivo ed operante, è una buona novella che ci aiuta a credere che il mistero del Venerdì Santo conosce ancora e sempre l’alba del giorno di Pasqua e che il Cristo non vuole aver oggi altre mani che le nostre per avere cura dei nostri fratelli.

(Carlo Maria Martini, Omelia per il venerdì santo, 1981)