Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

mercoledì 27 febbraio 2013

781 - UDIENZA GENERALE DI PAPA BENEDETTO XVI

Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa mia ultima Udienza generale.
Grazie di cuore! Sono veramente commosso! E vedo la Chiesa viva! E penso che dobbiamo anche dire un grazie al Creatore per il tempo bello che ci dona adesso ancora nell’inverno.
Come l’apostolo Paolo nel testo biblico che abbiamo ascoltato, anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio, che guida e fa crescere la Chiesa, che semina la sua Parola e così alimenta la fede nel suo Popolo. In questo momento il mio animo si allarga ed abbraccia tutta la Chiesa sparsa nel mondo; e rendo grazie a Dio per le «notizie» che in questi anni del ministero petrino ho potuto ricevere circa la fede nel Signore Gesù Cristo, e della carità che circola realmente nel Corpo della Chiesa e lo fa vivere nell’amore, e della speranza che ci apre e ci orienta verso la vita in pienezza, verso la patria del Cielo.
Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio, dove raccolgo ogni incontro, ogni viaggio, ogni visita pastorale. Tutto e tutti raccolgo nella preghiera per affidarli al Signore: perché abbiamo piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, e perché possiamo comportarci in maniera degna di Lui, del suo amore, portando frutto in ogni opera buona (cfr Col 1,9-10).
In questo momento, c’è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia.
Quando,
il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto la ferma certezza che mi ha sempre accompagnato: questa certezza della vita della Chiesa dalla Parola di Dio. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, perché mi chiedi questo e che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai, anche con tutte le mie debolezze. E otto anni dopo posso dire che il Signore mi ha guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore.
Siamo nell’
Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…». Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo!
Ma non è solamente Dio che voglio ringraziare in questo momento. Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è la sua prima responsabilità. Io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine. Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile. Un pensiero speciale alla Chiesa di Roma, la mia Diocesi! Non posso dimenticare i Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, le persone consacrate e l’intero Popolo di Dio: nelle visite pastorali, negli incontri, nelle udienze, nei viaggi, ho sempre percepito grande attenzione e profondo affetto; ma anch’io ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni, con quella carità pastorale che è il cuore di ogni Pastore, soprattutto del Vescovo di Roma, del Successore dell’Apostolo Pietro. Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella preghiera, con il cuore di padre.
Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. E vorrei esprimere la mia gratitudine al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, che rende presente la grande famiglia delle Nazioni. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio.
A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo, che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi!
In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi.
Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della vostra comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui.
Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio.
Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che vorrei vivere sempre. Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i Cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito.
Invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria Madre di Dio e della Chiesa perché accompagni ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale; a Lei ci affidiamo, con profonda fiducia.
Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie! 
Papa Benedetto XVI,
Roma 27 febbraio 2013

780 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - MARZO 2013

Generale: Perché cresca il rispetto per la natura, nella consapevolezza che l’intera creazione è opera di Dio affidata alla responsabilità umana.
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Missionaria: Perché i vescovi, i presbiteri e i diaconi siano instancabili annunciatori del Vangelo sino ai confini della terra.

sabato 23 febbraio 2013

779 - LA SAMARITANA NELL'ARTE

Cristo e la Samaritana, di Annibale Carracci, 1593,
Pinacoteca di Brera

778 - DOMENICA DELLA SAMARITANA

Il testo evangelico di Gv. 4,5-42 è diviso in due grandi sezioni. La prima, vv. 5-26, riporta il dialogo di Gesù con una donna samaritana mentre la seconda, vv. 27-42, è incentrata sulla rivelazione dell’“opera” per la quale il Padre ha inviato Gesù nel mondo. In particolare i vv. 5-7 ambientano la scena in Samaria e precisamente accanto al pozzo che Giacobbe, il grande patriarca, aveva fatto scavare presso la cittadina di Sicar. L’evangelista sottolinea che Gesù vi arrivò «affaticato per il viaggio» e nell’ora più calda del «mezzogiorno» (v. 6). Di qui la sua richiesta alla donna samaritana che entra in scena al v. 7. I vv. 8-15 riportano, con la risposta della donna alla richiesta di Gesù, le importanti parole del Signore sul dono dell’acqua viva capace di togliere la sete e diventare, in chi la beve, «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». La prima sezione si chiude ai vv. 16-26 con una svolta nel dialogo tra Gesù e la donna alla quale viene rivelata la sua vita disordinata e traviata rispetto alla Legge di Dio (v. 18) inducendola, così, a muovere i suoi primi passi nella fede in Gesù riconosciuto dapprima come un profeta (v. 19). A lui, uomo ispirato da Dio, pone la questione riguardante il luogo dove è possibile incontrare Dio: per i Samaritani era il monte Garazim mentre per i Giudei era il Tempio di Gerusalemme (vv. 20-21). A questa domanda Gesù risponde con parole di rivelazione di grande e permanente attualità e valore (vv. 23-24), con le quali elimina le diatribe legate al luogo in cui si deve rendere culto a Dio. Con il suo ingresso nel mondo, è «venuta l’ora» in cui il culto divino viene sganciato da luoghi e da templi materiali e viene invece compiuto «in spirito e verità» (vv. 23-24) da quanti, rinati dallo Spirito, si lasciano guidare nell’accogliere con fede la pienezza della divina Rivelazione portata da Gesù che, in tal modo, colma l’attesa del Messia (cfr. vv. 25-26). Con la solenne dichiarazione messianica di Gesù: «Sono io, che parlo con te» si chiude il dialogo con la samaritana.
Prende così avvio la seconda sezione (vv. 27-42) inaugurata dall’accorrere a Gesù degli abitanti di Sicar e dell’importante dialogo di Gesù con i suoi discepoli e riguardante il “cibo” con il quale egli si nutre: il compimento della volontà del Padre che lo ha inviato nel mondo per salvare il mondo (vv. 31-34). È questa l’“opera” che il Padre ha affidato a Gesù e alla quale egli ora associa i suoi discepoli con l’invito: «alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» e con l’esplicito mandato missionario espresso con il verbo mietere. Essi, infatti, dovranno raccogliere l’umanità nella comunione con Dio, qui indicata con l’espressione “vita eterna” (vv. 35-38).
La conclusione (vv. 39-42) fa capire che i Samaritani che credono nel Signore «per la parola della donna» e ancora di più «per la sua parola», professando la fede in Gesù quale «salvatore del mondo», sono, in verità, primizie dell’“opera” salvifica commessa da Dio al suo Figlio e da questi ai suoi discepoli e, dunque, ai discepoli di tutti i tempi.
Questa seconda domenica di Quaresima, contrassegnata dal Vangelo della samaritana, fa intendere a quanti si preparano a ricevere il sacramenti pasquali nella prossime solennità e a tutti i fedeli, che è indispensabile ottenere dal Signore l’apertura della mente per arrivare ad aver fede, così come ha fatto con essa al pozzo di Giacobbe. È infatti necessario che l’animo umano si apra alla fede per avvertire con forza la sete di Dio che viene, fin da ora, appagata nella partecipazione ai divini misteri. Ciò è detto efficacemente nella parte centrale del primo dei due Prefazi presenti nel Messale Ambrosiano: «Cristo Signore nostro, a rivelarci il mistero della sua condiscendenza verso di noi, stanco e assetato, volle sedere a un pozzo e, chiedendo da bere a una donna samaritana, le apriva la mente alla fede; desiderando con ardente amore portarla a salvezza, le accendeva nel cuore la sete di Dio». 
L’apertura della mente della Samaritana è significata nel dialogo con il Signore che, partendo da premesse molto concrete, qual è la richiesta di acqua nel meriggio infuocato del medioriente: «Dammi da bere», passa a interrogativi che costringono ad andare oltre il puro dato materiale: non più l’acqua semplicemente, ma l’«acqua viva» (Vangelo: Giovanni 4,6-7)!
Con questa espressione si evoca, nell’Antico Testamento, il dono inestimabile della Legge divina che il popolo d’Israele è invitato a porre «nel cuore e nell’anima» (cfr. Lettura: Deuteronomio 11,18ss.) e la cui osservanza attirerà la benedizione di Dio, così come la non osservanza la maledizione (cfr. vv. 26-28). Nel Nuovo Testamento indica la rivelazione di Dio e del suo mistero recata in pienezza dal suo Verbo fatto uomo. Può anche indicare lo Spirito Santo che è donato agli uomini proprio da Gesù, il Figlio di Dio. L’«acqua viva», capace di estinguere la sete in eterno, ovvero i più profondi e autentici bisogni dell’uomo, è la Parola vivente di Dio, vale a dire il suo Figlio venuto nel mondo e che ora possiamo attingere dal “pozzo” delle divine Scritture affidate, dal Signore, alla sua Chiesa. Pertanto, la Parola che il popolo nato dalla Pasqua del Signore è invitato a «porre nel cuore e nell’anima», a tenere costantemente davanti agli occhi, a «insegnare» e a praticare dando a tutti riconoscibile testimonianza, è il Signore Gesù e il suo Vangelo.
Davvero il popolo dei battezzati può dire in tutta verità: «Signore, tu solo hai parole di vita eterna» (Salmo 18). Per l’Apostolo, la Parola da osservare e praticare è quella della carità, intesa come una disponibilità a portare «i pesi gli uni degli altri», a «operare il bene verso tutti» e a «seminare nello Spirito» (cfr. Epistola: Galati 6,8) compiendo, cioè, le opere dello Spirito: la carità, la pace e il perdono, nelle quali consiste il «culto in spirito e verità» a Dio gradito (cfr. Giovanni 4,23-24).
Si comprende, perciò, come la prima delle opere dell’osservanza quaresimale sia autorevolmente indicata nel testo sacro: «Ascolta, Israele» (Deuteronomio 6,4). Si tratta cioè, di imparare a sostare frequentemente e a lungo, sia in privato come nell’assemblea liturgica, al pozzo dell’«acqua viva» qual è la Parola del Vangelo, supplicando il Signore di aprire la nostra mente e di accendere in noi, come già nella Samaritana, la sete di Dio, che moderi le tante e spesso fuorvianti brame che ci spingono a cercare l’acqua viva presso pozzi avvelenati. Così infatti abbiamo chiesto nel Prefazio secondo: «Con la tua grazia ci liberi da ogni affetto disordinato e ci insegni a operare tra le cose che passano, come chi è radicato in te, bene eterno».
È la sete che il Signore Gesù, attraverso la sua Chiesa, vuole tenere viva negli uomini del nostro tempo sempre alla ricerca di pozzi a cui attingere l’acqua della felicità. Spetta a noi, suoi discepoli, che nell’ascolto della Parola beviamo ogni giorno l’«acqua viva» e ci nutriamo del suo dono d’amore che è l’Eucaristia, tener vivo nel cuore di chi ci sta accanto il desiderio di Dio e accompagnarlo fino al pozzo che è Cristo Signore. Lui solo, infatti, è capace di soddisfare il più profondo dei bisogni del cuore umano: avere parte alla vita, quella eterna, quella di Dio.
Dal fianco di Gesù Crocifisso, infatti, aperto dalla lancia del soldato, è uscito, nel segno del «sangue e acqua» il fiume inarrestabile dell’«acqua viva» che opera, in quanti credono, la rigenerazione alla grazia di figli di Dio, incorporati nella Chiesa abitata dallo Spirito Santo e nella partecipazione al suo Corpo e al suo Sangue nel banchetto eucaristico, sperimentano la bellezza e la sovrabbondanza del dono divino che in essi diventa «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Giovanni 4,14), Per questo così preghiamo: «Dal tuo cuore, Signore Gesù, fiumi d’acqua viva scorreranno. Ascolta pietoso il grido di questo popolo e aprici il tesoro della tua grazia che santifica il cuore dei credenti» (Canto Alla Comunione).
A. Fusi

mercoledì 20 febbraio 2013

777 - LA PAROLA DEL PARROCO

Carissimi parrocchiani.
Iniziamo il tempo di Quaresima, tempo forte dell’anno, anzi il tempo più forte dell’anno, dato che la Pasqua, cui questo tempo prepara e dispone, è il culmine delle celebrazioni liturgiche annuali.
Che cosa dovrebbe essere per noi, dunque la Quaresima? Cerchiamo di dirlo rapidamente:
1) Quaresima: Deserto dell’anima. Se oggi c’è bisogno di qualcosa, è innanzitutto il silenzio, il deserto dello spirito. Noi siamo sommersi dal rumore; immersi nelle attività, siamo come sopraffatti da molteplici occupazioni. È opportuno, è necessario che ogni tanto si faccia questo deserto nell’anima, perché vi affiorino i pensieri alti, impegnativi, soprannaturali. Seppure immersi nella nostra vita di tutti i giorni, la Quaresima ci obbliga a creare deserto nell’anima, come ha fatto Gesù.
2) Quaresima: Tempo di conversione. È la grande parola che la Chiesa ci ripete all’inizio dei questi quaranta giorni di grazia. Abbiamo bisogno di continue revisioni, di continue messe in crisi della nostra vita, di ciò che facciamo, di ciò che pensiamo. Ripensiamo al nostro essere battezzati, a quello che dovremmo essere e purtroppo non siamo. Se questo silenzio è profondo, favorito dal deserto, non potremo non constatare di avere urgente bisogno di cambiare qualcosa della nostra vita. Perciò la Quaresima ritorna con il suo severo imperativo: Convertitevi!!
3) Quaresima: Tempo di ascesi. Si potevano adoperare altri termini invece di ascesi: Digiuno, penitenza, pentimento, mortificazione. Diciamo ascesi non per assecondare una moda attuale, ma per comprendere meglio e di più. Con “ascesi” indichiamo impegno, interiore prima ed esteriore poi, volto a modificare in senso positivo il nostro spirito, la nostra condotta, le nostre idee.
Ascesi! Ossia fatica, conquista graduale ma continua di se stessi, senza dare ascolto a voci di troppo facili messianismi. Ma patria di anime forti e di spiriti grandi. Premessa di autentiche e durature realizzazioni.
4) Quaresima : Tempo di Ascolto. Dobbiamo essere riempiti di Dio. Per questo facciamo il vuoto nel nostro spirito. Ciò avviene aprendosi alla sua Parola. Se ci si pone ad ascoltare la Parola di Dio, non si può non sentirne l’effetto stimolante nel mettersi alla sequela di Gesù. Ed è nella meditazione prolungata della Parola che orientiamo il nostro vivere verso la salvezza che solo Dio ci può dare.
5) Quaresima: Tempo di Preghiera. L’Ascolto non è fine a se stesso, è per suscitare in noi la preghiera. Essa diventa la nostra generosa risposta alle provocazioni di Dio. È il contatto vivificante con lui. È il dialogo. Trovare qualche momento in più da dedicare a questa suprema attività dello spirito! Quale fortuna!…
6) Quaresima: Cammino verso la Pasqua. È questo l’aspetto battesimale della nostra Quaresima. La Quaresima ripercorre misticamente il cammino del popolo di Dio verso la salvezza, il cammino verso Cristo che salva con il suo mistero pasquale e anche il cammino mistico dell’anima che va verso la salvezza. La Quaresima, dunque, è cammino verso la Pasqua. È cammino verso la Gioia.
E allora, se la vita si è fatta pesante e faticosa, riprendiamo il cammino dietro al Signore per giungere alla gioia della Risurrezione. 
Buona Quaresima
(P. Luigi)

sabato 16 febbraio 2013

776 - TENTAZIONE DI CRISTO

Juan de Flandes (Gand 1460 ca – Palencia 1519),
Tentazione di Cristo, 14961499,
Washington, National Gallery of Art.
Juan de Flandes dipinge il Tentatore al centro della scena, vestito come un frate; con una mano stringe un grosso sasso, mentre con l’altra stringe la corona del rosario che pende dalla cintura. Il volto è umano e si comprende che è il diavolo solo dalle corna che ha sulla testa e dai piedi da mostro. Gesù è seduto fuori da una caverna. È vestito di una lunga tunica rossa. Ha la mano destra alzata in segno di rifiuto deciso e lo sguardo intenso e autorevole. Il pittore ferma l’immagine alla prima tentazione e ci vuole comunicare che il Cristo è stato tentato nella sua umanità: infatti la veste è completamente blu, segno della natura umana, mentre è totalmente assente il rosso, colore che simboleggia la natura divina. Inoltre, vuole richiamarci alla mente il commento che molti Padri della Chiesa hanno fatto al racconto evangelico: nel Cristo siamo tentati noi e traiamo beneficio dalla sua vittoria. Vestendo il Maligno da religioso, vuole sottolineare come la sua proposta possa essere accattivante e fa passare il male come se fosse il bene.

775 - PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA

La Chiesa è una comunità che cammina tra gli uomini senza fuggire le difficoltà che gli uomini incontrano (prima tentazione del Vangelo) portando aiuto (seconda tentazione) e educando ad un giusto rapporto con Dio (terza tentazione).
Nella prima tentazione, il diavolo chiede a Gesù di sfuggire alle difficoltà che tutti gli uomini incontrano, usando il suo potere divino per un suo personale tornaconto. Lo invita a “prendere una scorciatoia”: dimenticarsi di essere uomo e agire “da Dio”, ma fuori del pensiero di Dio che è l’incarnazione. Gesù risponde che il centro della vita degli uomini è Dio e vivere per Lui è l’unica cosa che offre senso e significato a tutto.
Tutta la vita di Gesù è stata una risposta a questa tentazione: ha condiviso tutto con gli uomini, anche la morte, e non ha mai usato del suo potere divino se non per gli altri, anche sulla croce. Nella seconda tentazione viene proposto a Gesù di scegliere fra il dominare gli altri e il servirli, fra la competizione e l’essere solidali, fra il sopraffare o il servire. Ognuno di noi ha un potere nella vita di tutti i giorni: sul lavoro, in famiglia, nella stessa comunità cristiana. La tentazione è di usarlo per metterci in mostra, per farci apparire importanti e, magari, farci avanzare. In quest’ottica, gli altri sono dei gradini per una nostra scalata. Il potere diventa il nostro orizzonte e diventa il nostro dio. Gesù risponde che si deve adorare solo Dio, servendo i fratelli, caricandoci delle loro difficoltà e aiutandoli. La terza tentazione cerca di minare alla base il rapporto con Dio, servendosi perfino della sua stessa parola. Il Diavolo insinua che Dio non sarebbe fedele alle sue promesse. Quante volte, oppressi dalle difficoltà ci chiediamo dove è Dio; oppure, davanti a delle ingiustizie, a dei cataclismi, al dolore innocente, rinfacciamo a Dio che se ci fosse e fosse buono non permetterebbe tutto questo. La risposta è proprio nella vita di Gesù, perché Dio non lo ha sottratto a nulla di tutto ciò che è umano, tranne il peccato. E proprio come ha fatto con il suo Figlio, non permetterà che ci sorprenda nessuna tentazione superiore alle nostre forze, perché «Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere». (1Cor 10,13). 
E Gesù, «proprio per essere stato messo alla prova ed aver sofferto personalmente, (…) è in grado di venire in aiuto di quelli che subiscono la prova» (Eb 2,18). Dio in Gesù ci illumina per farci riconoscere il Tentatore… che si presenta a noi ben vestito, in giacca e cravatta, profumato e con un aspetto rassicurante e accattivante, facendoci passare il male come bene («Che male c’è? Fanno così tutti!»), proprio come si è presentato a Gesù.

774 - QUARESIMA 2013

All’inizio di questa Quaresima Gesù ci invita a rivedere la nostra vita e ci dice: “Fratello, sorella, lascia che la mia parola penetri nel profondo del tuo cuore”. E ci domanda: "Su quali criteri si regge la tua vita di ogni giorno? Dov’è Dio nella tua vita?”
Le tentazioni di Gesù nel deserto simboleggiano il difficile cammino che egli percorse per comprendere la propria missione, ciò che gli chiedeva Dio, suo Padre. Alla fine Gesù decise un altro cammino: “Obbedirò a mio Padre, sarò testimone del suo amore per tutta l’umanità, fino alla morte”. E così fu.
 

giovedì 14 febbraio 2013

773 - LA "ULTIMA ENCICLICA" DI BENEDETTO XVI

Il breve messaggio con cui papa Benedetto XVI ha sorpreso il mondo e cambiato la storia della Chiesa, annunciando la sua decisione di «rinunciare al ministero petrino», si caratterizza - oltre che per lo stile sobrio tipico del pontefice - per una densità di contenuti e di sfumature su cui certamente occorrerà riflettere a lungo. D'altro canto, se è vero che il pontefice meditava da mesi questa decisione, è presumibile che anche questo testo sia stato pensato con la massima attenzione. A caldo, a noi piace vedere questo messaggio come la sua ultima enciclica, ovvero - letteralmente - come una «lettera circolare» inviata a tutti.
Tre passaggi ci sembrano particolarmente significativi. 
Il Papa confida di avere «ripetutamente esaminato la [sua] coscienza davanti a Dio» e di essere «pervenuto a una certezza». Già in queste prime ore, si moltiplicano commenti e confronti, talvolta polemici, sulla diversa scelta compiuta da Wojtyla e da Ratzinger di fronte al venire meno della salute fisica. Quasi che, di fronte al bivio davanti al quale entrambi si sono trovati, esista un'unica scelta giusta. Papa Benedetto rimette al centro il primato della coscienza. Ci dice che non è anzitutto l'obbedienza a fattori esterni, non è la consuetudine, non sono - in ultima analisi - le tradizioni, a dover guidare un pontefice, così come qualunque altro cristiano, ma la voce della propria coscienza, rettamente orientata da un'intensa e profonda «frequentazione» di Dio nella preghiera. Non solo, il Papa testimonia che dall'ascolto di questa voce nasce una «certezza». Si tratta di un messaggio di speranza che dovrebbe scuotere il mondo: non è infatti proprio lo smarrimento di ogni certezza, il grigiore indistinto in cui tutto si confonde, il vero dramma della società contemporanea?
Il secondo passaggio chiave ci pare il riferimento al «mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti». È, insieme, una lezione e un richiamo. Una lezione, definitiva, che lascerà senza argomenti chi accusa la Chiesa e i suoi pastori di essere sempre e comunque fuori dal tempo, immobili, sordi alle richieste di cambiamento che arrivano dal contesto. Ma è anche un richiamo a quella parte di Chiesa, che pure esiste, la quale vede il cambiamento con timore e sospetto (basti pensare, per citare un esempio recente, alle critiche nemmeno troppo velate con cui alcuni ambienti ecclesiali hanno accolto la decisione del Papa di «sbarcare» nel mondo dei social network). In questo senso, possiamo forse spingerci a dire che la clamorosa decisione di Benedetto XVI si iscrive pienamente nell'eredità conciliare, se è vero che al cuore del Concilio Vaticano II vi fu il tema della «riconciliazione» e di un rinnovato dialogo tra Chiesa e mondo.
Infine, la richiesta finale del Papa: «Chiedo perdono per tutti i miei difetti». Anche queste parole spazzano via fiumi di inchiostro sulla presunta freddezza e austerità del papa tedesco. Ma soprattutto illuminano il senso autentico che dovrebbe animare ogni esercizio dell'autorità, non solo religiosa. Pensiamo ai discorsi di addio dei «grandi della Terra», solitamente focalizzati sulla rivendicazione dei successi ottenuti ed eventualmente sulla auto-giustificazione dei propri fallimenti. Qui, nel momento in cui sa di scrivere un messaggio che farà il giro del mondo, l'uomo che pure ebbe qualche dubbio sulla richiesta di perdono per gli errori della Chiesa voluta da Giovanni Paolo II nel Giubileo, non esita a riconoscere i propri, di difetti, non pensa a «tutelare» il proprio lavoro, non ne approfitta per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Ci saluta nell'essenzialità estrema, in una nudità interiore che colpisce e commuove.
Stefano Femminis, Direttore di Popoli

domenica 10 febbraio 2013

772 - PREGHIERA A NOSTRA SIGNORA DI LOURDES


Maria, tu sei apparsa a Bernardetta nella fenditura di questa roccia.
Nel freddo e nel buio dell’inverno,
hai fatto sentire il calore di una presenza,
la luce e la bellezza.
Nelle ferite e nell’oscurità delle nostre vite,
nelle divisioni del mondo dove il male è potente,
porta speranza
e ridona fiducia!
Tu che sei l’Immacolata Concezione,
vieni in aiuto a noi peccatori.
Donaci l’umiltà della conversione,
il coraggio della penitenza.
Insegnaci a pregare per tutti gli uomini.
Guidaci alle sorgenti della vera Vita.
Fa’ di noi dei pellegrini in cammino dentro la tua Chiesa.
Sazia in noi la fame dell’Eucaristia,
il pane del cammino, il pane della Vita.
In te, o Maria, lo Spirito Santo ha fatto grandi cose:
nella sua potenza, ti ha portato presso il Padre,
nella gloria del tuo Figlio, vivente in eterno.
Guarda con amore di madre
le miserie del nostro corpo e del nostro cuore.
Splendi come stella luminosa per tutti
nel momento della morte.
Con Bernardetta, noi ti preghiamo, o Maria,
con la semplicità dei bambini.
Metti nel nostro animo lo spirito delle Beatitudini.
Allora potremo, fin da quaggiù, conoscere la gioia del Regno
e cantare con te:
Magnificat!
Gloria a te, o Vergine Maria,
beata serva del Signore,
Madre di Dio,
Tempio dello Spirito Santo!
Amen!

sabato 9 febbraio 2013

771 - DOMENICA DEL PERDONO

È la domenica detta “del perdono” che, nell’imminenza della Quaresima, incoraggia i fedeli a intraprendere il cammino di conversione e di penitenza, proprio di quel tempo liturgico, nella consapevolezza che Dio è sempre pronto e generoso nel concedere il suo perdono.
IL Vangelo di Luca 19,1-10 di oggi è ambientato nella città di Gerico che Gesù stava attraversando. In una prima parte (vv. 2-4) viene presentato Zaccheo quale capo dei pubblicani e per di più ricco, dunque, un pubblico peccatore, desideroso tuttavia «di vedere chi era Gesù» al punto da salire su un sicomoro a motivo della sua bassa statura. La scena riceve una svolta ai vv. 5-6 allorché Gesù «alzò lo sguardo» su Zaccheo dichiarando l’intenzione di recarsi a casa sua suscitando, con ciò, la gioiosa reazione di questi. Il v. 7 registra, con il verbo mormorare, la reazione negativa e ostile della gente sul comportamento di Gesù che non esita a stare in compagnia di un peccatore e, pertanto, di un escluso, di un impuro. Le parole di Zaccheo (v. 8) dicono però che in lui è intervenuto un cambiamento profondo immediatamente riscontrabile nei suoi gesti di riparazione e di carità. I due versetti conclusivi, 9-10, infine, ci consegnano una prima dichiarazione del Signore riguardante la salvezza alla quale, con Zaccheo, sono chiamati i «figli di Abramo» (v. 9). Ad essa fa seguito quella di rivelazione sulla sua missione nel mondo: «cercare e salvare ciò che era perduto» (v. 10).
L’ultima domenica “dopo l’Epifania” intende disporre il cuore dei fedeli alla celebrazione della Quaresima, che ha lo scopo di ripristinare la grazia della prima partecipazione, nell’acqua del Battesimo, all’evento pasquale della nostra salvezza che viene solennemente ripresentato, ogni anno, nella celebrazione del Triduo Pasquale di Gesù Cristo crocifisso-morto-sepolto-risorto.
La nostra vita, infatti, pur segnata in radice dalla rigenerazione battesimale alla grazia della figliolanza divina, conosce e sperimenta la perdurante debolezza della nostra natura umana che ci inclina a cedere alla “legge del peccato” che ci abita ancora. Di qui la necessità e l’urgenza di superare una simile triste situazione, di certo impossibile alle sole nostre forze, ma grazie alla misericordia di Dio che ci raggiunge, in Cristo, con la grazia del perdono e del rinnovamento della vita.
La disponibilità di Dio all’indulgenza e al perdono è già mirabilmente proclamata nella prima rivelazione a Israele che la celebra nelle sue Scritture. In esse, e specialmente nei libri sapienziali, è testimoniata una volta per tutte la consapevolezza che Dio comprende e compatisce le miserie e il peccato dell’uomo la cui «sorte è penosa» (Lettura: Siracide 18,12) effondendo «su di loro la sua misericordia» (v. 11), intervenendo anche con il rimprovero, la correzione, l’ammaestramento e guidando come un buon pastore l’umanità come suo gregge (cfr. v. 13).
Una consapevolezza esaltata dalla preghiera d’Israele: «Misericordioso e pietoso è il Signore… Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe» (Salmo 102 (103) vv. 8.10).
Questa iniziale autentica rivelazione di Dio e del suo mistero trova il suo momento più alto e conclusivo nella persona di Gesù di Nazaret, il suo Figlio venuto in questo mondo. Nella sua parola e nei suoi gesti verso gli esclusi, i reprobi, i peccatori ritenuti oramai perduti, brilla la grandezza del perdono di Dio, capace di ricreare un’esistenza votata alla rovina eterna. Il brano evangelico, a tale riguardo, è una concreta manifestazione di tutto ciò. Il gesto di Gesù che “alza il suo sguardo” su Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco (Vangelo: Luca 19,2), e gli dichiara la sua volontà di entrare in comunione con lui andando a casa sua, è un gesto divino, capace cioè, di modificare in radice la vita di quell’uomo che, chiuso in sé stesso e prigioniero del denaro, il più terribile dei tiranni, si apre ora al dono di una nuova esistenza contrassegnata dalla carità verso i poveri, per lui, prima, inesistenti!
Prigioniero del male Zaccheo è, ora, in grado di mettere in moto, «pieno di gioia» (v. 6), un cambiamento radicale della sua vita dopo aver sperimentato il perdono e la misericordia divina in Cristo il quale può solennemente dichiarare: «Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (v. 10).
Gesù, però, è venuto a cercare non solo «i figli di Abramo», ma ogni uomo e, nell’ora della Croce, ha donato effettivamente a tutti la salvezza e la grazia di vivere in comunione con Dio stesso. Zaccheo, pertanto, rappresenta tutti e ci rassicura: Gesù è sulle tracce di ciascuno di noi! Egli vuole «alzare il suo sguardo» pieno di amore su quanti, al pari di Zaccheo, hanno bisogno di essere chiamati fuori dal potere del male per una nuova vita. Da Gesù la Chiesa ha imparato l’attitudine al perdono e a «far prevalere in tutto la carità» (cfr. Epistola: 2Corinzi 2,8) come possibilità di ridare vita a chi è perduto. Ne fanno fede le istruzioni date dall’Apostolo alla comunità di Corinto a proposito del trattamento da riservare a chi era caduto in un crimine così grave al punto da “rattristare” non solo Paolo ma l’intera comunità (v. 5). L’Apostolo prescrive che nei suoi confronti occorre «usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte» (v. 7).
Attenendosi a ciò, la Chiesa continuerà a portare il perdono divino fino alla fine dei tempi a chi è perduto e a restituirlo all’amore di Dio e dei fratelli in una vita fruttuosa e gioiosa.
A. Fusi

venerdì 1 febbraio 2013

770 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - FEBBRAIO 2013

Generale: Perché le famiglie migranti, in particolare le madri, siano sostenute ed accompagnate nelle loro difficoltà.

Missionaria: Perché le popolazioni che sperimentano guerre e conflitti possano essere protagoniste della costruzione di un avvenire di pace.

Dei Vescovi: “Perché le persone consacrate diano testimonianza che seguire Gesù Cristo con cuore libero e ardente nel servizio dei fratelli conduce alla vera gioia”.