Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

domenica 31 ottobre 2010

423 - ICONA DI TUTTI I SANTI

Icona greca del 1700 circa
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Il Cristo è al centro della scena nei cieli, come seduto in trono, lo circondano le schiere degli angeli e dei santi.

In basso in un giardino, quello del Paradiso terrestre, due figure caratteristiche.

Un uomo seminudo con una croce, è il buon ladrone.

Un altro uomo è seduto su uno scranno circondato da molti personaggi, uno dei quali tiene in grembo. La scritta ci da il nome dell'uomo anziano: Abramo. In realtà si tratta della rappresentazione simbolica del "seno di Abramo" che accoglie i Giusti dell'Antico Testamento.

422 - RICORDANDO I SANTI

"Dato che celebriamo con una festa solenne il ricordo di tutti i Santi, credo utile parlarvi della loro felicità comune nella quale gioiscono di un beato riposo e della futura consumazione che attendono. Certo, bisogna imitare la condotta di quelli che con religioso culto onoriamo; correre con tutto lo slancio del nostro ardore verso la felicità di quelli che proclamiamo beati, bisogna implorare il soccorso di quelli dei quali sentiamo volentieri l'elogio.

A che serve ai Santi la nostra lode? A che serve il nostro tributo di glorificazione? A che serve questa stessa solennità? Quale utile portano gli onori terrestri a coloro che il Padre celeste stesso, adempiendo la promessa del Figlio, onora? Che cosa fruttano loro i nostri omaggi? Essi non hanno alcun desiderio di tutto questo. I santi non hanno bisogno delle nostre cose e la nostra divozione non reca loro alcun vantaggio: ciò è cosa assolutamente vera.

Non si tratta di loro vantaggio, ma nostro, se noi veneriamo la loro memoria. Volete sapere come abbiamo vantaggio? Per conto mio, confesso che, ricordando loro, mi sento infiammato di un desiderio ardente, di un triplice desiderio.

Si dice comunemente: occhio non vede, cuore non duole. La mia memoria è il mio occhio spirituale e pensare ai Santi è un po' vederli, e, ciò facendo, abbiamo già 'una parte di noi stessi nella terra dei viventi' (Sal 141,6), una parte considerevole, se la nostra affezione accompagna, come deve accompagnarlo, il nostro ricordo. È in questo modo, io dico, che 'la nostra vita è nei cieli' (Fil 3,20). Tuttavia la nostra vita non è in cielo, come vi è la loro, perché essi vi sono in persona e noi solo con il desiderio; essi vi sono con la loro presenza e noi solo con il nostro pensiero".

San Bernardo di Chiaravalle

421 - FESTA DEI SANTI

Troviamo prima in Oriente tracce di una festa in onore dei Martiri e san Giovanni Crisostomo pronunciò una omelia in loro onore nel IV secolo, mentre nel secolo precedente san Gregorio Nisseno aveva celebrato delle solennità presso le loro tombe. Nel 411 il Calendario siriaco ci parla di una Commemorazione dei Confessori nel sesto giorno della settimana pasquale e nel 539 a Odessa, il 13 maggio, si fa la "memoria dei martiri di tutta la terra"

In Occidente i Sacramentari del V e del VI secolo contengono varie messe in onore dei santi Martiri da celebrarsi senza giorno fisso. Il 13 maggio del 610, Papa Bonifacio IV dedicò il tempio pagano del Pantheon, vi fece trasportare delle reliquie e lo chiamò S. Maria ad Martyres. L'anniversario di tale dedicazione continuò ad essere festa con lo scopo di onorare in genere tutti i martiri, Gregorio III, a sua volta, nel secolo seguente, consacrò un oratorio "al Salvatore, alla sua Santa Madre, a tutti gli Apostoli, martiri, confessori e a tutti i giusti dormienti del mondo intero".

Nell'anno 835, Gregorio IV, desiderando che la festa romana del 13 maggio fosse estesa a tutta la Chiesa, provocò un editto dell'imperatore Luigi il Buono, col quale essa veniva fissata il 1° novembre. La festa ebbe presto la sua vigilia e nel secolo XV Sisto IV la decorò di Ottava obbligatoria per tutta la Chiesa. Ora, sia la vigilia sia l'Ottava sono soppresse.

(www.santiebeati.it)

venerdì 29 ottobre 2010

420 - II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE

La liturgia di questa seconda domenica dopo la Dedicazione rivela la dimensione universale della salvezza. L’immagine del banchetto per la festa di nozze, che ritorna nelle parole di Gesù, è annuncio del dono di grazia del Signore: tocca a ciascuno di noi accogliere e rispondere con impegno al suo invito, indossando – attraverso la coerenza delle opere e la fedeltà alla parola di Dio – l’”abito nuziale”. Ci sia di esempio, in questo cammino, la fede di Abramo, che di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento.

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Lettura: Isaia 25,6-10: Il Dio in cui abbiamo sperato rivela il suo volto come quello di un Dio che vuole la salvezza di tutti. L’attesa di essere salvati si dilata fino a sperare che presto tutti i popoli convergeranno verso il banchetto di gioia che Dio prepara per noi.

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Salmo 35: Quanto è prezioso il tuo amore o Dio!

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Epistola: Romani 4,18-25: Ogni scelta di Dio, anche quella di Abramo, è in vista di altri. Abramo desiderava avere un figlio e crede nella promessa di Dio. Credendo, però, scopre che la promessa è più grande della sua attesa: diventerà padre non di un figlio ma di molti popoli.

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Vangelo: Matteo 22,1-14: Il banchetto annunciato da Isaia si compie in Gesù, venuto a celebrare le nozze tra Dio e il suo popolo. Il dono è gratuito e tutti sono invitati alla festa: sta a noi accogliere l’invito e corrispondervi con la nostra condotta di vita (l’abito nuziale).

giovedì 28 ottobre 2010

419 - IL BANCHETTO NUZIALE DEL FIGLIO DEL RE

Il brano evangelico (Mt. 22,1-14) riporta l’ultima delle tre parabole sul rifiuto del regno dei Cieli (21,28-46; 22,1-14) pronunciate da Gesù in polemica con i capi del popolo. La parabola, caratterizzata da subito come parabola del Regno (v 2), si sviluppa in tre momenti narrativi: il primo (vv 2-6) riguarda l’invito del re alla festa nuziale «per suo figlio» e il rifiuto da parte degli invitati potremmo dire “ufficiali”.


Il secondo momento (vv 7-10) registra la reazione violenta del re e l’estensione dell’invito a gente di per sé estranea la quale accetta volentieri. Il terzo momento (vv 11-13) riporta la scena drammatica dell’ingresso del re nella sala di nozze e l’espulsione di un commensale privo dell’«abito nuziale».


Il v 14, infine, è rappresentato da una massima che aiuta a capire il senso della parabola. Questa nell’immagine del banchetto di nozze del figlio del re allude a Gesù quale Messia inviato da Dio anzitutto al suo popolo Israele per impiantare il regno dei Cieli.


Negli invitati che rifiutano l’invito loro rivolto dai “servi” del re nei quali possiamo ravvedere i Profeti, sono indicati i capi del popolo anzitutto e, più in generale, l’intero popolo d’Israele che è l’invitato potremmo dire di “diritto” al Regno. La reazione sdegnata e violenta del re rappresenta il “giudizio” pronunziato da Dio sul suo popolo incredulo.


Al “giudizio” segue la decisione del re di mandare i suoi servi, vale a dire i missionari del Vangelo, a invitare al banchetto nuziale del Figlio: «andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» (v 9). In essi sono raffigurati i popoli pagani ai quali viene finalmente predicato il Vangelo ed estesa la chiamata al Regno.


Questa decisione del re segna una svolta nel racconto della parabola ma, più ancora, ha dato come il via libera decisivo, nella storia della Chiesa delle origini, alla predicazione del Vangelo del Regno a tutti gli uomini indistintamente: ebrei e, ora, i pagani.


Uno dei “servi” più zelanti nell’andare «ai crocicchi delle strade» è stato senza dubbio l’apostolo Paolo il quale, nella chiamata delle “genti”, vede avverata la promessa di Dio ad Abramo, quella di fare di lui il «padre di molti popoli» forti nella fede al pari di lui (Epistola: Romani 4,17).


Già il profeta Isaia aveva annunziato la volontà di Dio di fare partecipi tutti i popoli della “salvezza” raffigurata nell’immagine del «banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Lettura: Isaia 25,6) e concretamente descritta come rimozione del «velo» e della «coltre» funerea «distesa su tutte le nazioni», ossia l’ignoranza della fede, e specialmente come eliminazione della «morte per sempre» asciugando così le «lacrime su ogni volto».


Questo progetto divino, come sappiamo e crediamo, si è avverato nel banchetto delle nozze dell’Agnello di cui parla il libro dell’Apocalisse, ovvero nell’immolazione sacrificale del Signore Gesù sulla croce.


La Chiesa, perciò, lungo i secoli dovrà incessantemente predicare il Vangelo e invitare tutti gli uomini a partecipare al “banchetto nuziale del Signore”, ossia a sperimentare fin da ora la gioia della salvezza. Con una speciale consapevolezza e avvertenza: al “banchetto” si accede con «l’abito nuziale» che è certamente la fede nel Signore Gesù ma specialmente la carità.


Occorre farsi trovare da Dio degni di entrare nella definitiva salvezza e questa “dignità” è rappresentata dall’obbedienza all’unico precetto a noi dato dal suo Figlio: quello della carità. L’amore infatti e, perciò, la felicità e la gioia sono le caratteristiche del regno dei Cieli che la Chiesa è mandata ad annunciare e ad anticipare in tutta verità.


(A.Fusi)

martedì 26 ottobre 2010

418 - LA PREGHIERA

Noi dobbiamo enfatizzare la necessità della Preghiera, perché la Preghiera mette in moto e purifica le energie misteriose che influenzano la Storia. La Storia non consiste solo di economia, politica e fattori sociali; c'è un altro elemento: la Preghiera. Come può un politico serio, un uomo serio, ignorare tale fattore significativo? Come può ignorare la energia dello Spirito che guida la Storia verso un mondo di unità, pace, giustizia e grazia?

(Giorgio La Pira)

venerdì 22 ottobre 2010

417 - RITORNO IN MOZAMBICO

Ecco il saluto alla comunità parrocchiale di San Gerolamo Emiliani di Milano di padre Giacomo Marietti, che si prepara a ritornare a Mocodoene in Mozambico.

“Dopo una pausa forzata in Italia per riparare i danni causati dalla nota vicenda della sparatoria durante la tentata rapina del 24 maggio 2010, sono pronto per ritornare in Mozambico e riprendere il mio lavoro missionario. Di questo dono ringrazio innanzitutto il Signore che ho sentito fortemente e chiaramente vicino nel susseguirsi dei fatti accaduti e poi sono grato a tutti

coloro che mi sono stati vicini con la preghiera, con l’incoraggiamento, con la cura e con l’assistenza medica. Ringrazio anche i miei superiori che mi hanno rinnovato la fiducia per il servizio in una missione che mi riempie il cuore di gioia.

La partenza è stata fissata per il 28 di ottobre 2010. Saremo in tre a partire: il nuovo volontario Simone Mura, il mio confratello Fr. Aurelio Tassone e io. Arriveremo nella Missione alla fine delle lezioni scolastiche e formative, giusto per assistere agli esami e per chiudere e fare il bilancio di tutte le varie attività. È stato un anno tutto particolare per i fatti che sono accaduti, ma la presenza in Missione e il grande impegno del padre brasiliano João Ribeiro, del chierico angolano Joaquim Dos Santos, delle suore e del laico Riccardo hanno dato continuità alla realizzazione delle varie attività. La presenza di Riccardo, che da tre anni presta il suo servizio volontario, è stata particolarmente provvidenziale e significativa. A lui va la mia profonda riconoscenza e il mio plauso.

I mesi di novembre e di dicembre sono anche i mesi in cui ci dedicheremo alla programmazione delle attività, sia di quelle già consolidate che delle nuove. Le attività della missione già consolidate riguardano la evangelizzazione e l’attività pastorale nelle 39 comunità della vasta parrocchia, l’attività educativa nella scuola superiore e nella scuola agraria, il convitto maschile e femminile, la casa di riposo per le persone anziane allontanate dalla famiglia, la scuola infantile e l’ordinaria attività agricola.

Ma il nuovo anno ci riserva molte novità che esigono un rafforzato impegno. È ormai in fase di completamento il nuovo Centro giovanile che ci offrirà la possibilità di avviare un intenso programma di attività formative e ricreative per i bambini, i ragazzi e i giovani. È prevista l’apertura ai giovani della esistente sala di informatica per la ricerca in internet. Con l’aiuto di alcuni volontari del Gruppo Zuzuma (la parola zuzuma nella lingua locale mozambicana significa “corri-affrettati”) realizzeremo un corso di formazione per muratori e costruiremo una nuova Casa di riposo sostituendo le vecchie capanne. Un gruppo di giovani del luogo stanno già fabbricando i mattoni. Porteremo a termine anche il progetto che prevede l’introduzione delle vacche da latte con annesso caseificio, l’allevamento di polli e di galline ovaiole e il rafforzamento del sistema di irrigazione. Un falegname della nostra parrocchia di Pontinia (LT) con alcuni suoi collaboratori verrà a Mocodoene per mettere in completo funzionamento le macchine della falegnameria e per formare il nostro personale.

Altri progetti sono in previsione, ma dobbiamo ancora aspettare le autorizzazioni e i finanziamenti necessari. I vari progetti sono realizzati con la collaborazione di Scaip onlus, con il finanziamento di alcuni enti e con l’aiuto di tanti benefattori che ringraziamo e per i quali continuamente preghiamo. Coloro che vogliono inviare offerte a sostegno delle varie iniziative possono rivolgersi a Scaip onlus (tel. 030 2306873). Abbiamo inoltre predisposto con “Operazione Lieta” la possibilità di adozione a distanza finalizzata al sostegno dei bambini, ragazzi e giovani ospiti delle nostre strutture. Coloro che vogliono sottoscrivere un’adozione possono rivolgersi a Operazione Lieta (tel. 030 2306463).

Partiamo con l’entusiasmo di sempre, confidando nell’aiuto del Signore e del nostro Fondatore Beato Padre Giovanni Piamarta”. Padre Giacomo Marietti

(da Voce della Comunità, anno XI, numero 8 del 24 ottobre 2010)

416 - I DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE

L’annuale solenne memoria della Dedicazione del Duomo, dando l’avvio ad alcune settimane e domeniche a essa collegate, offre ogni anno a noi fedeli della Chiesa ambrosiana, la grazia di guardare al “grande mistero” che è la Chiesa di cui tutti siamo membra: da dove essa trae origine, qual è la sua natura e la sua missione.

Il testo evangelico (Mt. 28,16-20) riporta le ultime parole del Signore risorto agli Undici prima del suo ritorno al Padre. Esse mantengono un valore perenne all’interno della Chiesa.

Il v 16 è destinato ad ambientare l’incontro del Risorto anzitutto a livello geografico: la “Galilea”, regione aperta ai popoli pagani; quindi a livello locale: un “monte” come luogo tipico della rivelazione; e, infine, i protagonisti: gli Undici, dei quali il v 17 registra l’atteggiamento pieno di fede in alcuni («si prostrarono») e, in altri, una certa esitazione a credere («Essi, però, dubitarono»)

Al centro della scena, comunque, c’è Gesù che si rivolge per l’ultima volta ai suoi dichiarando anzitutto di possedere, in seguito alla sua croce e risurrezione, il potere universale proprio di Dio (v 18). In base a tale potere egli conferisce un incarico espresso ai vv 19-20a con quattro verbi: “andate”, “fate discepoli”, “battezzate”, “insegnate”.

L’attività principale è senza dubbio quella di “fare discepoli”, per questo occorre “andare”; mentre il Battesimo nel nome della Trinità e l’“insegnamento” sottolineano il compimento del diventare “discepoli”. Al fine di garantire tale missione e il suo buon esito, Gesù assicura la sua permanente presenza tra i suoi, fino alla consumazione dei tempi (v 20b).

Proclamato nel peculiare momento liturgico qual è quello delle “Settimane dopo la Dedicazione” del Duomo, il brano evangelico rappresenta un forte richiamo al compito essenziale della Chiesa e di ogni singolo fedele: “la missione”. Questi deve realizzare il mandato del Signore risorto: «fate discepoli tutti i popoli» (v 19) incorporandoli nella Chiesa dov’è possibile ottenere la “salvezza” da lui procurata nella sua Pasqua.

La Lettura evidenzia come la comunità delle origini ha, da subito, tradotto il comando del Signore, deputando alla “missione” Barnaba e Saulo, ricolmati dalla potenza del suo Spirito, mediante l’imposizione delle mani (cfr. Atti degli Apostoli 13,3). Missione che essi concepiscono come “universale”, riguardante cioè sia i Giudei (v 5) sia quelli che l’apostolo Paolo ama chiamare “le genti” (Epistola: Romani 15,16-18) ovvero i popoli pagani presso i quali non era conosciuto «il nome di Cristo» (v 20).

Lo stesso «sacro ministero di annunciare il Vangelo di Dio» che ha come “sequestrato” l’intera esistenza dell’Apostolo deve oggi trovare in tutti noi una più piena e convinta disponibilità. Siamo tutti persuasi che l’umanità, oggi come ieri, come domani e «fino alla fine del mondo», ha bisogno del Vangelo di Gesù, ha bisogno di ascoltare le sue parole che invitano a mettersi alla sua scuola, a diventare cioè suoi discepoli.

Si imparano così le grandi cose preparate da Dio per noi e i cuori si aprono alla fede e soprattutto alla carità, nella quale è sintetizzato l’“insegnamento” del Signore che la Chiesa deve conservare e trasmettere intatto.

L’immersione battesimale «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» vincola per sempre il discepolo all’amore bruciante di Dio e lo inserisce nel corpo vivo del Signore che è la Chiesa, per diventare così: «un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo» (Romani 15,16).
Viene, a questo punto, spontaneo interrogarci sulla nostra disponibilità al “mandato” missionario del Signore, da vivere già all’interno delle nostre stesse comunità ecclesiali, nelle quali è necessario pervenire a una piena professione di fede e a un’osservanza puntuale di tutto ciò che il Signore ci ha comandato (cfr. Matteo 28,20).

Saranno proprio la riconosciuta fede battesimale e la condotta ispirata al comando del Signore a rendere fruttuoso l’impegno missionario verso “le genti” che oggi abitano i nostri paesi e le nostre città. Ciò che più conta, però, è avvertire la presenza viva del Signore nella sua Chiesa. Presenza che va percepita sommamente nella celebrazione eucaristica.

È ciò che domanda l’orazione Dopo la Comunione: «O Dio forte ed eterno, che ci hai radunato oggi nel nome di Gesù a celebrare le lodi della tua azione di salvezza, fa’ che possiamo sperimentare nella gioia dell’amore fraterno, secondo la sua promessa, la permanente presenza tra noi del nostro Signore e Maestro».

(A.Fusi)

giovedì 21 ottobre 2010

415 - QUESTO E' IL MIO CORPO DATO PER VOI

Grazie Signore,
perchè sei rimasto fra noi
come pane spezzato
per sfamare tutti.
Perchè nel tuo corpo frantumato,
ci insegni come trovare la gioia.
Perchè nel Tuo pane
c'è la via per comprendere
a cosa siamo chiamati.
Perchè nel Tuo corpo
ci chiedi di diventare
eucarestia per gli altri.
Perchè nella nostra debolezza
vuoi mostrare la tua potenza.
Ecco ciò che siamo.
Trasforma il nostro corpo
nel Tuo corpo.
Trasforma il nostro pane
nel Tuo pane.
Ed allora
molti saranno sfamati
per la vita eterna.
Amen
(preghiera per la Giornata Missionaria Mondiale 2010)

mercoledì 20 ottobre 2010

414 - MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MONDIALE MISSIONARIA MONDIALE 2010

Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 84a Giornata Missionaria Mondiale, che quest’anno si celebra domenica 24 ottobre sul tema: "La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione":

Cari fratelli e sorelle,

Il mese di ottobre, con la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, offre alle Comunità diocesane e parrocchiali, agli Istituti di Vita Consacrata, ai Movimenti Ecclesiali, all’intero Popolo di Dio, l’occasione per rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo e dare alle attività pastorali un più ampio respiro missionario. Tale annuale appuntamento ci invita a vivere intensamente i percorsi liturgici e catechetici, caritativi e culturali, mediante i quali Gesù Cristo ci convoca alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia, per gustare il dono della sua Presenza, formarci alla sua scuola e vivere sempre più consapevolmente uniti a Lui, Maestro e Signore. Egli stesso ci dice: "Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui" (Gv 14,21). Solo a partire da questo incontro con l’Amore di Dio, che cambia l’esistenza, possiamo vivere in comunione con Lui e tra noi, e offrire ai fratelli una testimonianza credibile, rendendo ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Una fede adulta, capace di affidarsi totalmente a Dio con atteggiamento filiale, nutrita dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio e dallo studio delle verità della fede, è condizione per poter promuovere un umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù.

A ottobre, inoltre, in molti Paesi riprendono le varie attività ecclesiali dopo la pausa estiva, e la Chiesa ci invita ad imparare da Maria, mediante la preghiera del Santo Rosario, a contemplare il progetto d’amore del Padre sull’umanità, per amarla come Lui la ama. Non è forse questo anche il senso della missione?

Il Padre, infatti, ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio, l’Amato, e a riconoscerci tutti fratelli in Lui, Dono di Salvezza per l’umanità divisa dalla discordia e dal peccato, e Rivelatore del vero volto di quel Dio che "ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16).

"Vogliamo vedere Gesù" (Gv 12,21), è la richiesta che, nel Vangelo di Giovanni, alcuni Greci, giunti a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, presentano all’apostolo Filippo. Essa risuona anche nel nostro cuore in questo mese di ottobre, che ci ricorda come l’impegno e il compito dell’annuncio evangelico spetti all’intera Chiesa, "missionaria per sua natura" (Ad gentes, 2), e ci invita a farci promotori della novità di vita, fatta di relazioni autentiche, in comunità fondate sul Vangelo. In una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli.

Come i pellegrini greci di duemila anni fa, anche gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di "parlare" di Gesù, ma di "far vedere" Gesù, far risplendere il Volto del Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del nuovo millennio e specialmente davanti ai giovani di ogni continente, destinatari privilegiati e soggetti dell’annuncio evangelico. Essi devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché Lui è la Verità, perché hanno trovato in Lui il senso, la verità per la loro vita.

Queste considerazioni rimandano al mandato missionario che hanno ricevuto tutti i battezzati e l’intera Chiesa, ma che non può realizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e pastorale. Infatti, la consapevolezza della chiamata ad annunciare il Vangelo stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le Comunità diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per promuovere l’annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine. Questa consapevolezza si alimenta attraverso l’opera di Sacerdoti Fidei Donum, di Consacrati, di Catechisti, di Laici missionari, in una ricerca costante di promuovere la comunione ecclesiale, in modo che anche il fenomeno dell’"interculturalità" possa integrarsi in un modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di libertà e di progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace (cfr Ad gentes, 8). La Chiesa, infatti, "è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano" (Lumen gentium, 1).

La comunione ecclesiale nasce dall’incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che, nell’annuncio della Chiesa, raggiunge gli uomini e crea comunione con Lui stesso e quindi con il Padre e lo Spirito Santo (cfr 1Gv 1,3). Il Cristo stabilisce la nuova relazione tra l’uomo e Dio. "Egli ci rivela «che Dio è carità» (1 Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore. Coloro, pertanto, che credono alla carità divina, sono da Lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani" (Gaudium et spes, 38).

La Chiesa diventa "comunione" a partire dall’Eucaristia, in cui Cristo, presente nel pane e nel vino, con il suo sacrificio di amore edifica la Chiesa come suo corpo, unendoci al Dio uno e trino e fra di noi (cfr 1Cor 10,16ss). Nell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis ho scritto: "Non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel Sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l’amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui" (n. 84). Per tale ragione l’Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa, ma anche della sua missione: "Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria" (Ibid.), capace di portare tutti alla comunione con Dio, annunciando con convinzione: "quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1Gv 1,3).

Carissimi, in questa Giornata Missionaria Mondiale in cui lo sguardo del cuore si dilata sugli immensi spazi della missione, sentiamoci tutti protagonisti dell’impegno della Chiesa di annunciare il Vangelo. La spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità per le nostre Chiese (cfr Lett. enc. Redemptoris missio, 2) e la loro cooperazione è testimonianza singolare di unità, di fraternità e di solidarietà, che rende credibili annunciatori dell’Amore che salva!

Rinnovo, pertanto, a tutti l’invito alla preghiera e, nonostante le difficoltà economiche, all’impegno dell’aiuto fraterno e concreto a sostegno delle giovani Chiese. Tale gesto di amore e di condivisione, che il servizio prezioso delle Pontificie Opere Missionarie, cui va la mia gratitudine, provvederà a distribuire, sosterrà la formazione di sacerdoti, seminaristi e catechisti nelle più lontane terre di missione e incoraggerà le giovani comunità ecclesiali.

A conclusione dell’annuale messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, desidero esprimere, con particolare affetto, la mia riconoscenza ai missionari e alle missionarie, che testimoniano nei luoghi più lontani e difficili, spesso anche con la vita, l’avvento del Regno di Dio. A loro, che rappresentano le avanguardie dell’annuncio del Vangelo, va l’amicizia, la vicinanza e il sostegno di ogni credente. "Dio, (che) ama chi dona con gioia" (2Cor 9,7) li ricolmi di fervore spirituale e di profonda letizia.

Come il "sì" di Maria, ogni generosa risposta della Comunità ecclesiale all’invito divino all’amore dei fratelli susciterà una nuova maternità apostolica ed ecclesiale (cfr Gal 4,4.19.26), che lasciandosi sorprendere dal mistero di Dio amore, il quale "quando venne la pienezza del tempo… mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal 4,4), donerà fiducia e audacia a nuovi apostoli. Tale risposta renderà tutti i credenti capaci di essere "lieti nella speranza" (Rm 12,12) nel realizzare il progetto di Dio, che vuole "la costituzione di tutto il genere umano nell’unico popolo di Dio, la sua riunione nell’unico corpo di Cristo, la sua edificazione nell’unico tempio dello Spirito Santo" (Ad gentes, 7).

Dal Vaticano, 6 Febbraio 2010

Benedictus pp. XVI

domenica 17 ottobre 2010

413 - IN DIO RIPOSA L'ANIMA MIA

venerdì 15 ottobre 2010

412 - LA CASA COSTRUITA SULLA ROCCIA

Il brano evangelico odierno conclude il cosiddetto “discorso in pianura” di Luca 6,20-49 da leggere in parallelo con il “discorso sul monte” di Matteo 5-7. Esso è rivolto da Gesù ai discepoli e a tutti coloro che intendono seguirlo al fine di indicare le essenziali esigenze che qualificano la sequela.

Esigenze che hanno al loro vertice il precetto dell’amore del nemico (6,27-35) e dell’amore fraterno (vv 36-42). Questo è il Vangelo che i suoi devono predicare sempre e ovunque. I versetti odierni sono come l’avvertimento finale di Gesù a mettere in pratica i suoi insegnamenti.

Egli lo fa paragonando gli uomini ad alberi (vv 43-44a). Guardando i loro frutti si capisce se essi sono buoni o cattivi. Esattamente come gli alberi anche gli uomini producono frutti secondo la natura del loro cuore. Se ha un cuore “buono” dice e fa cose buone (v 45). E il cuore buono si ottiene ascoltando e mettendo in pratica la Parola di Gesù (v 45). Chi fa così pone sé stesso sul fondamento solido che è Cristo e non va incontro a rovina (vv 47-48).

Proclamato nell’odierna circostanza il brano evangelico ci aiuta a comprendere come nel segno esterno del Duomo si rende visibile il mistero della Chiesa come casa di Dio posta tra gli uomini. Chi guarda il Duomo e ne ammira la maestà e la bellezza perdurante nei secoli comprende che essa è dovuta al fatto che le sue fondamenta sono state scavate molto in profondità.

Una simile osservazione rende al vivo la parola di Gesù sulla casa costruita su fondamenta molto profonde fino a incontrare la “roccia”. La “roccia” è lo stesso Signore Gesù e la sua Parola, sicché il fondamento su cui poggia la comunità ecclesiale è incrollabile. Esso, infatti, non è gettato superficialmente sulla “sabbia” che siamo tutto noi con la nostra nativa fragilità e inconsistenza, ma sulla “roccia” che è il Signore Gesù ovvero, come leggiamo nella Lettura alternativa, sulla «pietra viva… scelta e preziosa davanti a Dio» (1Pietro 2,4).

Su tale «pietra d’angolo» la Chiesa, perciò, e tutti noi che la componiamo come “pietre vive” (v 5), deve tenersi poggiata in modo da resistere “alla piena del fiume” (cfr. Luca 5,48) che periodicamente la investe nel passare del tempo, vale a dire le difficoltà interne che l’attraversano e le persecuzioni esterne che la minacciano.

Celebrare ogni anno la dedicazione della nostra chiesa cattedrale e della nostra chiesa madre, significa anzitutto lodare, benedire e “rendere grazie” al Padre per il mistero della Chiesa, “sua dimora”, “sposa e regina”, “madre di tutti i viventi”, “vita feconda”, “città posta sulla cima dei monti” (cfr. Prefazio).

Significa, inoltre, assumere sempre più viva coscienza che, avendo creduto e obbedito alla Parola del Signore, su di lui “pietra viva” siamo edificati e uniti al punto da poterci chiamare, in tutta verità,: «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato» (1Pietro 2,9).

Tale consapevolezza sprona la Chiesa e noi, suoi fedeli, ad “ascoltare” e a “obbedire” alla Parola del Signore traducendola in pratica di vita, evitando così il suo rimprovero: «Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?» (Luca 6,46).

Ora la Parola che occorre ascoltare e mettere in pratica è tutta riassunta nel precetto della carità nei confronti di tutti: “amici” e “nemici”. È questa “obbedienza”, infatti, a tenere la Chiesa fondata sulla “roccia” e a donarle l’inesauribile capacità di «trarre fuori il bene» «dal buon tesoro del suo cuore» (v 43) abitato dall’amore del Signore.

Dal cuore della Chiesa traboccano quei frutti buoni quali l’annunzio del Vangelo destinato a tutti indistintamente: «un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1Pietro 2,10).

Un Vangelo che la Chiesa quale «vite feconda che in tutta la terra prolunga i suoi tralci» (Prefazio) reca in dono a ogni uomo chiamato a stringersi a Cristo poggiandosi sulla “roccia” del suo amore, vale a dire la sua croce. Così come il nostro Duomo spalanca accogliente le sue porte, la Chiesa «tiene le sue porte sempre aperte, di giorno e di notte» (cfr. Lettura: Isaia 60,11) perché tutti possano entrare attratti dalla “luce eterna” e “dal divino splendore” (v 19) ed essere rivestiti di misericordia e di salvezza perenne.

(A. Fusi)

411 - LA DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO

Si tratta di una ricorrenza di grande importanza per tutti i fedeli della diocesi di Milano che guardano al Duomo come loro cattedrale, ma anche per quei fedeli che, pur appartenendo ad altre diocesi, seguono il rito ambrosiano e, perciò, riconoscono il Duomo di Milano come loro Chiesa madre. In questa domenica, perciò, mentre si fa “memoria” della dedicazione o consacrazione del Duomo, si celebra, in realtà, il mistero della Chiesa che in esso si raduna.

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Lettura: Isaia 60,11-21: Gerusalemme sarà sempre aperta all’accoglienza di tutte le genti. Isaia la annuncia a una città distrutta dall’invasore babilonese. Tale è la logica di Dio: sceglie la pietra scartata per farne segno della sua presenza nella storia, più forte del male.

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Salmo 117: Rendete grazie al Signore, il suo amore è per sempre.

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Epistola: Ebrei 13,15-17.20-21: La cattedrale è il luogo del sacrificio che celebriamo radunati attorno al Vescovo. L’eucarestia deve poi dilatarsi in un culto esistenziale, attraverso la preghiera, la professione di fede, la vita di carità nella comunione dei beni, l’obbedienza.

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Vangelo: Luca 6,43-48: La bontà dei frutti dipende dalla bontà dell’albero, dunque dalla qualità di terreno in cui l’albero affonda le sue radici. Entrambe le immagini di Gesù – l’albero e la casa – ci ricordano la necessità di fondare la nostra vita nella volontà del Signore.

domenica 10 ottobre 2010

410 - ABOLIZIONE, ATTESA UTOPIA?

Giornata contro la pena di morte. Gli spiriti più illuminati stentano a comprendere che la civiltà del XXI secolo accetti e tolleri ancora la pena di morte. Il biblico “Nessuno tocchi Caino” è ancora valido: rivendica a Dio il diritto di giudicare.

Il problema è tanto grave che non se ne parla volentieri.

Terroristi fanatici, omicidi per effetto di droghe, minorenni forzosamente chiamati alle armi e passati per le armi al primo sbaglio: quanta responsabilità e quale giusta pena?

Il recente libro/denuncia dell’avvocato di Houston, David Dow, The Autobiography of an Execution, fa discutere l’America e il mondo, perché difende i condannati a morte, tutti. “Molti mi chiedono perché difendo persone che hanno commesso crimini mostruosi”. I motivi si fondano sul fatto che ognuno è una persona, e cioè un individuo che cambia con gli anni, che può pentirsi e chiedere perdono.

La responsabilità di una coscienza non è conoscibile dall’uomo, ma solo da Dio e Lui perdona sempre, non condanna mai: Cristo è venuto a salvare i delinquenti peggiori.

Gli esempi sono nelle pagine di cronaca nera.

Un anno fa è stato giustiziato uno che Dow difendeva. Henry – tanto per dargli un nome – era cresciuto in una famiglia disastrosa. La madre entrava e usciva da ospedali psichiatrici, il fratello si era suicidato quando lui aveva dieci anni. Sconvolto, è entrato in una gang e, a 19 anni, insieme ad altri ha commesso una rapina che è finita con l’omicidio involontario di una donna.

A 30 anni, però, non era più la stessa persona, aveva capito il male fatto e se ne era pentito. Lo avevano capito le guardie carcerarie del braccio della morte, le quali – caso rarissimo, se non unico nella storia dei condannati a morte, firmarono dichiarazioni perché non fosse giustiziato. Ma anche condannati che non si pentono vanno salvati perché nessuno può prevedere il futuro di una persona.

Testimonianze, diari, film informano sulla situazione dei condannati a morte negli ultimi istanti prima dell’esecuzione della sentenza o nei lunghi anni di attesa segregati nel “braccio della morte”, e parlano di una crudeltà superiore alla scarica della sedia elettrica. Personalmente, dopo essermi documentato, non discuto più sulla pena di morte, sui motivi a favore o contro. Neppure mi va di discettare su eventuali rimedi di riduzione o sospensione o attesa, come in diversi paesi del mondo dicono le statistiche. Sono convinto che anche verso chi ha sbagliato, non si deve usare il castigo o la vendetta, ma dargli la possibilità di salvarsi.

(di Severino Cagnin, in Bollettino Salesiano, ottobre 2010)

venerdì 8 ottobre 2010

409 - CHI ACCOGLIE VOI ACCOGLIE ME

Il brano evangelico segna la conclusione del “discorso della missione” (Matteo 10,5-42), incentrata sull’accoglienza degli inviati per la predicazione del Vangelo. In particolare il v 40 riporta un “detto” di Gesù rivolto proprio agli apostoli, suoi inviati, nei quali si fa presente lui stesso e, tramite lui, colui che lo ha “mandato”, Dio!

Il v 41 contiene il “detto” di Gesù rivolto a quanti accolgono i suoi messaggeri promettendo loro la stessa “ricompensa” data a essi. Il v 42, infine, riferisce la promessa della “ricompensa” a quanti accoglieranno “questi piccoli” ossia poveri, perseguitati, emarginati, proprio perché suoi “discepoli”.

I testi biblici di questa domenica convergono nell’evidenziare come è Dio stesso e, di conseguenza, il Signore Gesù a farsi presente nel suo popolo e ora, nella Chiesa, attraverso il servizio “missionario” compiuto da qualificati suoi “invitati”.

I medesimi testi sono inoltre concordi nel sottolineare l’esigenza di “accogliere” tali “inviati”. Essi, in realtà, come i profeti, preparano la venuta di Gesù Cristo, il Figlio “mandato” dal Padre o, come nel caso degli apostoli, sono mandati da Gesù a predicare il suo Vangelo di salvezza a partire dalla comunità stessa del Signore, dalla Chiesa.

Alla Chiesa Gesù insegna ad “accogliere” i suoi messaggeri, ovvero quanti prolungano la sua presenza, con un’accoglienza che non si limiti alla pura ospitalità, per quanto premurosa, ma con un’accoglienza che dica accettazione del messaggio che essi trasmettono.

La Sacra Scrittura ha in grande onore e pone in grande rilievo l’“ospitalità” accordata specialmente ai servi di Dio. La Lettura, in proposito, propone l’esempio della «vedova di Sarepta di Sidone» che non esita ad accogliere il profeta Elia e a mettere a sua disposizione tutto quanto le era rimasto per sopravvivere con suo figlio (1Re 17,12). Anche l’Epistola sottolinea, con riferimento all’accoglienza riservata da Abramo ai tre misteriosi personaggi presso le querce di Mamre (Genesi 18,1-4), come alcuni praticando l’ospitalità «senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Ebrei 13,2), ovvero, messaggeri celesti. Nei messaggeri e inviati a portare la Parola i credenti sono perciò esortati da Gesù ad “accogliere” lui stesso e colui che lo ha inviato Dio il Padre.

Tale ospitalità verso i suoi messaggeri è a Dio molto gradita. Egli non lascerà senza “ricompensa” anche i più semplici e umili gesti di accoglienza come offrire «anche solo un bicchiere d’acqua fresca» soprattutto ai “piccoli” ossia a quei membri della comunità che trasmettono la sua Parola e rendono al vivo la persona del Signore Gesù non tanto con la predicazione ma con la loro stessa vita contrassegnata da povertà materiale e da marginalità.

La vedova di Sarepta come “ricompensa” dell’ospitalità data a Elia ottenne che la «farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì» (1Re 17,16). Di lei e di suo figlio si prese cioè cura Dio stesso come fece con il profeta Elia per il quale dispose che “i corvi” gli portassero mattina e sera “pane e carne” (1Re 17,6).

Chi accoglie il messaggero del Vangelo sia esso un “profeta”, un “giusto”, ovvero “uno di questi piccoli” che la lettera agli Ebrei individua nei “carcerati” e nei “maltrattati” (Ebrei 13,3), in quanto “discepoli” e, perciò, immagine di Gesù maltrattato e rifiutato come inviato del Padre, riceverà la “ricompensa”.

Questa consiste nella premurosa vicinanza di Dio da lui stesso assicurata: «Non ti lascerò e non ti abbandonerò» (v 5) e così espressa nel Salmo 4: «Il Signore fa prodigi per il suo fedele; il Signore mi ascolta quando lo invoco», ma specialmente nella partecipazione alla salvezza e alla vita divina che è la ricompensa spettante ai “profeti”, ai “giusti” e a “questi piccoli”.

(A. Fusi)

martedì 5 ottobre 2010

408 - STORIA DELLA FESTA DEL ROSARIO

Il 7 ottobre ricorre la festa della Madonna del Rosario, una festività istituita da San Pio V in ricordo della vittoria riportata dalla flotta della Lega Santa il 7 ottobre 1571 a Lepanto sui Turchi.

La storia narra che San Pio V ebbe la visione della vittoria, si inginocchiò per ringraziare il cielo e ordinò per il 7 ottobre di ogni anno una festa in onore della Vergine delle Vittorie (inizialmente detta di S. Maria della Vittoria), titolo cambiato poi da Gregorio XIII in quello di Madonna del Rosario. La celebrazione venne estesa nel 1716 alla Chiesa universale, e fissata definitivamente al 7 ottobre da S. Pio X nel 1913.

Per approfondire origine e storia di questa festività, abbiamo intervistato Massimo Viglione, docente di Storia Moderna all'Università Europea di Roma.

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D. E' vero che San Pio V attribuì la vittoria di Lepanto ad un miracolo per l'intercessione di Maria?

Viglione: Sì. Come egli stesso ebbe a dichiarare, il 7 ottobre 1571, mentre a Roma era in riunione con vari Cardinali, ebbe a mezzogiorno la personale visione della Madonna del Rosario in cielo che gli mostrava il trionfo della flotta cristiana e comunicò l'accaduto "in diretta" ai presenti. Si scoprì poi che quella era l'ora esatta della disfatta definitiva della flotta turca.

Per dare un’idea di quanto fosse nota questa storia a Bosco Marengo (Alessandria), luogo di nascita di Antonio Michele Ghislieri, poi Pontefice Pio V, c’è un bellissimo affresco del 1597 di Grazio Cossali in cui appare la Madonna del Rosario con i Santi Domenico, Caterina, Papa Pio V e don Giovanni d’Austria, comandante della flotta cristiana a Lepanto.

D. Il 7 ottobre del 1571 a Lepanto la flotta cristiana sconfisse quella turca. Cosa avvenne esattamente e in che contesto storico va collocata quella battaglia?

Viglione: Un errore che solitamente si commette in ambito storico e anche scolastico è quello di non analizzare il conflitto fra Cristianità e Islam. Alcuni pensano che fosse terminato nel 1291 con la caduta di San Giovani d'Acri e la fine delle crociate "classiche".

In realtà, le crociate continuarono anche nei secoli successivi, a causa di continui assalti che l’Islam muoveva contro la Cristianità. Anzi, si può dire che nei secoli successivi il pericolo divenne ancora più vivo, la minaccia divenne più estesa in quanto non erano più i "saraceni" o i "mori" ad assalire terre e popolazioni europee, bensì i turchi, i cui eserciti operavano via terra risalendo i Balcani (nel 1529 assediarono Vienna, come poi accadrà ancora nel 1683) e via mare.

In questa tragica storia, un momento di scontro cruciale è segnato appunto dalla battaglia di Lepanto. Da poco i turchi avevano tentato di occupare Malta, ma il tentativo fu respinto. Era l'ultima sconfitta di Solimano il Magnifico, il quale, per altro, stava anche tentando di marciare nuovamente su Vienna.

Il nuovo sultano decise però di portare l'attacco via mare, preparando la più grande flotta islamica di tutti i tempi. Il pericolo era evidente, e tutta la Cristianità se ne rese conto e, seppur con grandissime difficoltà dovute alle inimicizie e alle invidie fra i vari Stati e principi, rispose all'appello accorato di san Pio V per una difesa generale contro l'attacco turco.

Il comando supremo della flotta fu affidato dal re di Spagna Filippo II, in accordo con gli altri principi e il Papa, a don Giovanni d'Austria, figlio illegittimo di Carlo V. La battaglia, avvenuta a largo della Grecia il 7 ottobre del 1571, segnò la vittoria dell’Europa cristiana contro la minaccia turca.

D. Come fece l'allora Pontefice Pio V, poi divenuto santo, a unire i cristiani d'Europa?

Viglione: Fu la più grande delle difficoltà, non minore di quella militare. Fu un vero miracolo, e, anche durante il periodo in cui la flotta era a Messina in attesa di prendere il largo, continuamente il pericolo di litigi e defezioni fu presente.

La vera molla della riuscita dell'impresa fu la consapevolezza generale della gravità del pericolo comune, senza la quale probabilmente tutto sarebbe andato a monte fin dall'inizio.

(www.zenit.org)

domenica 3 ottobre 2010

407 - L’AZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA

In certi ambienti contemporanei, si pretende di presentare l'azione missionaria della Chiesa come un'attività non necessaria, come qualcosa che verrebbe a coartare la libertà di coscienza di altri uomini. Se ognuno può salvarsi essendo fedele alla sua coscienza, alla religione dell'ambiente dove è nato, per quale motivo annunciare il Vangelo

Il Santo Padre ci ricorda che il compito di annunciare Cristo è un servizio necessario ed irrinunciabile che la Chiesa è chiamata a svolgere come servizio all'umanità. Gesù Cristo è la pienezza della rivelazione di Dio, la via, la verità e la vita, e tutti gli uomini hanno diritto di ascoltare questo annuncio. Attraverso l'attività missionaria, la Chiesa propone la luce di Dio che ha ricevuto, senza imporla a nessuno. Proporre non è imporre. Il mandato del Signore rimane valido per sempre: "Andate nel mondo intero e proclamate il Vangelo".

È parte essenziale della natura della Chiesa la sua dimensione missionaria. La Chiesa smetterebbe di essere quello che Cristo volle che fosse, se smettesse di annunciare la salvezza di Dio agli uomini.

Allo stesso tempo questo annuncio è un'esigenza profonda di conversione per la stessa Chiesa. Benedetto XVI afferma che il mandato missionario “non può realizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e pastorale" (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2010).

Annunciare il Vangelo diventa anche una grande responsabilità, perché i cristiani non possono portare tale annuncio come "padroni", come "proprietari" della verità che annunciano, bensì come servitori della stessa, alla quale consegnano la loro vita, dato che scoprono in essa l'amore di Dio. “Come i pellegrini greci di duemila anni fa, anche gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di ‘parlare’ di Gesù, ma di ‘far vedere’ Gesù, far risplendere il Volto del Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del nuovo millennio e specialmente davanti ai giovani di ogni continente, destinatari privilegiati e soggetti dell’annuncio evangelico. Essi devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché Lui è la Verità, perché hanno trovato in Lui il senso, la verità per la loro vita”. (Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2010).

Non possiamo essere annunciatori senza essere prima credenti che vivono con coerenza il messaggio che annunciano. Il Cristianesimo non è un'ideologia, bensì un incontro vitale con Cristo, il Figlio del Dio vivo. "Solo a partire da questo incontro con l'Amore di Dio, che cambia l'esistenza, possiamo vivere in comunione con Lui e tra noi, ed offrire ai fratelli una testimonianza credibile, rendendo ragione della speranza che è in noi (cf. 1 P 3,15". (Ibid.)

Maria, la Madre di Dio e Regina degli Apostoli, sostenga con il suo affetto materno l'impulso missionario dei discepoli di Cristo, affinché tutti gli uomini possano conoscere l'amore di Dio manifestato in Cristo Gesù. (Agenzia Fides 29/9/2010)

venerdì 1 ottobre 2010

406 - LA QUINTA DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DEL PRECURSORE

Lettura: Isaia 56,1-7: Il testo di Isaia apre la tradizione giudaica a un universalismo sorprendente. Il Tempio di Gerusalemme era caratterizzato da progressive separazioni, che impedivano l’accesso ai non circoncisi. Dio proclama che sarà casa di preghiera per tutti i popoli.

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Salmo 118: Signore, conservo nel cuore le tue parole.

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Epistola: Romani 15,2-7: Paolo ricorda quale sia il radicamento del nostro amore: avere gli stessi sentimenti del Signore Gesù. Una frase lapidaria rivela il sentire di Cristo: il non cercare di piacere a se stesso, vero fondamento di una vita che si apre al dono di sé nell’amore.

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Vangelo: Luca 6,27-38: nel cosiddetto discorso della pianura, Gesù mostra il traguardo a cui deve tendere il nostro amore (la perfezione del Padre) e anche la sua radice: ascoltare la sua parola che ci dona una possibilità che non viene da noi.

405 - AMORE SENZA MISURA

Il brano evangelico fa parte del discorso di Gesù alle folle e ai suoi discepoli (6,20-49) che riflette quello di Matteo 5-7 detto il “discorso del monte”. Qui sono raccolti alcuni “detti” di Gesù riguardanti temi importanti per la formazione e la vita della sua comunità ovvero della Chiesa.

I vv 27-35, in particolare, riportano la parte centrale del discorso relativo “all’amore per il nemico”, un amore senza misura e senza calcolo che rivela, in chi così lo vive, la sua realtà di “figlio dell’Altissimo”. I vv 36-38 sembrano invece riguardare l‘amore per i fratelli, ossia all’interno della Chiesa. Anche qui un tale amore trova la sua ispirazione in Dio che è misericordioso e pronto al perdono.

In questa quinta domenica dopo il martirio del Precursore viene messa in luce l’attività “legislativa” del Signore che, in tal modo, intende formare la comunità dei suoi discepoli, nella quale, lungo i secoli, si raduneranno gli “ascoltatori” della sua Parola disponibili ad accoglierla ossia a osservarla (v 27).

Questa, nei disegni di Dio progressivamente svelati tramite i Profeti, è destinata a formarsi da tutti i popoli della terra e da gente ritenuta esclusa come l’“eunuco” e lo “straniero” (Lettura: Isaia 56,3), che il Signore vuole invece condurre «sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera» (v 7).

Al cuore delle disposizioni del Signore c’è la carità, ovvero l’amore del tutto gratuito verso ogni uomo, verso il “nemico”, come verso i “fratelli” nella fede. L’intento di Gesù è quello di dotare la sua Chiesa di una proposta del tutto originale, unica tra tutte le proposte di vita offerte agli uomini in questo mondo. Queste, si sa, sono fondate sulla ricerca e sull’affermazione del proprio “io” da esercitare come potere su tutto e su tutti.

Al contrario, la comunità del Signore deve saper presentare un’alternativa a tali proposte e mostrare com’è possibile vivere non “per sé stessi”, ma “per” gli altri, nella capacità cioè di “accogliersi gli uni gli altri” (Epistola: Romani 15,7). Un’accoglienza che non è limitata a chi è simpatico, a chi ci è amico o comunque non nemico. Anzi, è proprio l’accoglienza piena e incondizionata verso “chi ci odia, chi ci maledice, chi ci maltratta” (cfr. Luca 6,27-28), senza aspettare da essi il contraccambio, a vanificare il comportamento ostile e oltraggioso dei “nemici”.

Questa è la “testimonianza” a cui Gesù chiama e destina la sua Chiesa. In tal modo essa renderà immediatamente comprensibile a tutti Dio, così come il suo Figlio Gesù lo ha rivelato con la sua parola e i suoi stessi gesti. Egli ha per primo letteralmente “amato” i suoi nemici; ha fatto del bene a quanti lo odiavano, ha pregato e ha benedetto quanti lo hanno messo a morte! È proprio lui, Gesù, a dare con l’offerta di sé la dimostrazione che già in questo mondo è possibile la presenza del “mondo” o del Regno di Dio.

Di conseguenza ogni volta che, come suoi discepoli ascoltiamo e mettiamo in pratica queste sue parole, avremo fatto brillare nel mondo l’agire stesso di Dio del quale, a buon ragione, potremo chiamarci “figli”. Dio infatti si comporta così: “è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” e mostra la sua onnipotenza nella misericordia e nel perdono.

È ciò che la preghiera liturgica di continuo proclama rivolgendosi così al Padre: «Tu… tanta pietà ai provato per noi da mandare il tuo Unigenito come redentore» e: «nel tuo Figlio fatto uomo ci hai amato tutti con un amore nuovo e più alto» (Prefazio).

Un simile messaggio evangelico è ciò che il mondo attende dalla Chiesa del Signore e da ognuno di noi. Il mondo ha già visto e sentito tutto, ma rimane sempre sbalordito e sorpreso quando chi muore perdona chi lo uccide, quando il maltrattato prega per il suo carnefice, quando il calunniato benedice il suo accusatore. Sono cose queste che può fare solo Dio. Sono cose che ha fatto Gesù. Sono cose che la “grazia” dona di fare ai “figli dell’Altissimo”.

(A. Fusi)

404 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - OTTOBRE

Generale: Perché le Università Cattoliche diventino sempre più luoghi dove, grazie alla luce del Vangelo, sia possibile sperimentare l'armonica unità esistente tra fede e ragione.

Missionaria: Perché la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale sia occasione per comprendere che il compito di annunciare Cristo è un servizio necessario e irrinunciabile che la Chiesa è chiamata a svolgere a favore dell'umanità.