Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 24 aprile 2015

1072 - CONCERTO PER IL 50° DELLA PARROCCHIA


venerdì 17 aprile 2015

1071 - III DOMENICA DI PASQUA

Il Vangelo di Giovanni (14,1-11) è chiaro e straordinario nelle sue promesse: «Il Padre mio, che me le ha date (le pecore), è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Seguiamo lo straordinario “percorso delle pecore”. Gesù dice che le pecore (cioè ciascuno di noi) sono sue, perché le ha comperate pagandole con il suo sangue. La Pasqua di Gesù ha segnato in modo radicale e irreversibile il nostro destino: siamo di Gesù. Egli, tuttavia, ci vuole liberi per poterlo amare. Ma la libertà non può cambiare quello che siamo diventati: gli apparteniamo a prescindere da ciò che facciamo. Mi servo di un esempio per essere chiaro: un figlio resta sempre figlio anche se scappa da casa o anche quando non riconosce i genitori; così io sono di Gesù solo per grazia (cioè per sua decisione irrevocabile) e non per quello che faccio; anche se dovessi ribellarmi con il peccato io sono sempre di Gesù: egli non mi lascerà mai perché gli appartengo. Se Gesù si dimenticasse di me, non sarebbe più Gesù ed io non sarei più io. Questo è il motivo per cui la fede non è uno “scherzo”, ma dice cos’è diventata la mia vita da quando Gesù mi ha comperato. Belle e straordinarie parole: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano».
Una domanda affiora: Gesù ci ha comperati con il suo sangue, ma da chi ci ha acquistati? Ecco la risposta: «Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola». Gesù ci ha “comperati” dal Padre. L’umanità di Gesù, dalla quale ognuno di noi ha preso la propria, era nelle mani del Padre creatore fin dall’inizio; così Gesù per “acquistarmi col sangue” ha dovuto chiedere al Padre la mia umanità. Dio, all’inizio, ha creato l’umanità per farne dono al Verbo che, incarnato, è divenuto Gesù, uomo-Dio; per questo la sua passione, morte e risurrezione è “il prezzo giusto” per la nostra salvezza: nessun essere umano andrà perduto perché né Satana, né la morte (di cui è Signore) possono fermare il disegno misericordioso del Padre.
Ma c’è un terzo passaggio: Gesù restituisce al Padre quello che il Padre gli ha “venduto”. Se non suonasse superficiale potremmo dire che questo è il gioco divertente che il Padre e il Figlio fanno dall’eternità. «Il Padre mio è più grande di tutti e nessuno può strapparle ( le pecore, cioè ciascuno di noi) dalla mano del Padre». è il vortice della vita soprannaturale: siamo nelle mani di Gesù e, un attimo dopo, siamo nelle mani del Padre e questo… all’infinito. Solo la preghiera può farci entrare in questo “gioco”; Dio prega il Figlio perché gli consegni “i figli”, ed è il Figlio che invoca il Padre perché gli restituisca i “suoi”.
Può essere che questo linguaggio inusuale appaia poco chiaro; in realtà manca ancora il terzo protagonista del “gioco” e cioè lo Spirito Santo. Lo stiamo aspettando: quando arriverà, tutto sarà più chiaro perché ci spiegherà che questo “gioco” si chiama Amore e Grazia.
Don Luigi Galli

domenica 5 aprile 2015

1070 - MARIA MADDALENA - 2

Cristo risorto con Maria Maddalena, Caltagirone
Maria Maddalena è giunta al sepolcro di buon mattino, ha visto con sorpresa la tomba vuota e resta presso il sepolcro a piangere perché il suo amico e Maestro è morto; si accontenterebbe di sapere dove l'hanno messo. Ella rappresenta l'umanità sempre alla ricerca di un salvatore, ma con una speranza inibita e ristretta, che non osa. La sua ricerca di Gesù è ancora molto umana: cerca Gesù tra i morti, dove non c'è. Sovente noi cerchiamo Dio dove non c'è, attraverso modelli di efficacia umana, di successo, di potere, di soddisfazioni facili.
La ricerca di Maria Maddalena è anche l'immagine di una società afflitta e smarrita, che desidererebbe almeno riflettere un poco, per comprendere le ragioni dei suoi mali, per vedere quali sono gli errori che ha commesso.
Gesù non è irritato dalla ricerca sbagliata e imperfetta della donna perché sa che in lei c'è molto amore e un profondo anelito. E, a un tratto, Maria Maddalena vede con i suoi occhi colui che non credeva più di vedere, ascolta una voce intensa che non avrebbe mai più pensato di udire, si sente chiamare per nome: «Maria! ».
È significativo che Gesù si riveli a lei non annunciandole l'evento che lo riguarda: "sono risorto, sono vivo", ma pronunciando il nome: "Maria!". Si tratta di una rivelazione personale, esistenziale, che infonde non solo la certezza che Cristo è vivo, bensì la coscienza di essere da lui conosciuta veramente, nella sua pienezza e dignità. Quello di Gesù è un appello discreto di libertà, espresso con il nome che indica meglio l'interiorità.
Così Gesù vuole incontrare ogni uomo: avvicinandosi, correggendo le ricerche incerte, confuse, maldestre, rivelando il suo amore e chiamando per nome. Ciascuno di noi può fare l'esperienza del Risorto, scoprirne i segni pur se sente nel cuore poca speranza e se sul suo volto scendono lacrime.
È nell'interiorità che possiamo scoprire l'amore di Dio; è dentro di noi che possiamo sentirci chiamati e restituiti alla nostra identità profonda, alla nostra vocazione di figli di Dio.
Carlo Maria Martini, Ritrovare se stessi.

1069 - MARIA MADDALENA - 1

L'evangelista Giovanni ci trasmette che la prima creatura a scoprire i segni del Risorto è stata una donna piena di sensibilità, di affetto, di tenerezza. Una donna colma di quell'anelito, di quel desiderio di andare al di là della morte e della finitudine umana, che sperimenta ogni persona quando, per esempio, nelle sue giornate prende delle decisioni coraggiose e oneste, senza che da esse gli venga alcun vantaggio per la vita presente, traendone anzi perdita e talora danno. E in occasione di simili atti che comprendiamo di dover compiere in maniera assoluta, senza ritorni umani e senza costrizioni esterne, che affermiamo, almeno implicitamente, l'esistenza di qualcosa al di là, che magari non riconosciamo ancora in parole o in concetti religiosi e tuttavia guida ogni azione onesta e disinteressata facendoci intuire come i conti che quaggiù non tornano, alla fine torneranno.
Questa forza interiore e questa speranza sono un grido verso il Risorto, sono la ricerca coltivata da Maria presso la tomba: la sua ricerca confusa e incerta è preziosa, è esperienza ineliminabile di una persona umana giunta a un minimo di autenticità e di onestà con se stessa e con la vita.
La forza interiore e la speranza sono l'antidoto di cui abbiamo bisogno contro il decadimento sociale, morale, civile e politico, un decadimento che tende a mandare in frantumi l'unità culturale e civile di un popolo, che tende a far perdere il senso delle ragioni per stare insieme e lavorare per lo stesso scopo, nella stessa direzione.
Per uscire dal cerchio infernale del degrado sociale e politico occorre che il cuore appesantito, come quello di Maria Maddalena che piange, sia mosso da una grande e concreta speranza, non legata a circostanze contingenti, a rimedi di corto livello sui quali siamo fin troppo portati allo scetticismo.
Gesù che appare alla donna ci invita a cambiare modo di pensare e di vedere, ad accettare che l'amore di Dio dissolve la paura, che la grazia rimette il peccato, che l'iniziativa di Dio viene prima di ogni sforzo umano e ci rianima, ci rigenera interiormente.
Carlo Maria Martini, Ritrovare se stessi

1068 - L'EVENTO DELLA RISURREZIONE DI CRISTO

Allo straziante grido di derelizione risuonato sulla bocca di Gesù in croce - «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» -, grido che riassume tutte le situazioni di afflizione dell'umanità, risponde nella notte del sabato santo e nel giorno di Pasqua, un gioioso grido di fede e di speranza: Cristo è risorto!
Di fede perché annuncia ciò che per sempre è accaduto in Cristo; di speranza perché annuncia ciò che attende tutti gli uomini e le donne della terra quando lo vedranno risorto nella pienezza della sua sfolgorante gloria.
La risurrezione di Gesù, infatti, non è come quella di Lazzaro (raccontata nel vangelo di Giovanni al capitolo 11) che era tornato per poco in mezzo ai suoi; è una nuova azione di Dio, che non riusciremo mai a immaginare con la nostra mente, con la nostra fantasia, come non possiamo immaginare la stupenda realtà che Dio farà di noi alla nostra morte e al momento della nostra risurrezione. Un'azione di Dio su Gesù e su di noi, tale che la morte non avrà più alcun potere.
La certezza di quel grido di gioia proclama che ogni abisso di male del mondo è stato inghiottito da un abisso di bene, che ogni morte ha già il suo contrappeso di vita, che ogni crisi ha già il suo superamento e ogni tristezza ha già la sua gioia.
La nostra esistenza umana è incline a rimpicciolire le speranze, a ridurle di giorno in giorno di fronte alle delusioni, e la nostra tristezza ci porta sovente a rifiutare parole di conforto, perché non abbiamo un'idea esatta della liberazione portata da Gesù risorto.
Il Risorto ha davvero inaugurato un mondo nuovo, che entra in mezzo a noi in quanto la Pasqua è una ri-creazione, una nuova creazione dell'umanità.
La risurrezione di Gesù è un fatto storico, di significato cosmico, è l'inizio della trasformazione globale del mondo; è un evento di significato epocale perché trasforma il senso della storia e ne indica la vera direzione. Un evento unico e insieme un evento che rivela un' attesa costante e universale, scritta nel cuore di ogni uomo e di ogni donna.
È vero che nel nuovo orizzonte derivato dalla risurrezione di Cristo è ancora presente la sofferenza, l'ostilità, la fatica, la violenza, le guerre, per cui ci si domanda: Ma dov'è il cambiamento che avrebbe operato il Risorto? La risposta è semplice: la Pasqua di Gesù non ci trasferisce automaticamente nel regno dei sogni; ci raggiunge nel cuore per farci percorrere con gioia e speranza quel cammino di purificazione e di autenticità, di verifica del nostro comportamento, che ha come traguardo la certezza di una vita che non muore più. La Pasqua non ci restituisce a un mondo irreale, bensì a un' esistenza autentica, un' esistenza di fede, di speranza, di amore: una fede che è fonte di gioia e di pace interiore, una speranza che è più forte delle delusioni, un amore che è più forte di ogni egoismo. Il Risorto è con noi e insieme a lui siamo in grado di vincere il male con il bene, di trarre dal male il bene più grande. Questa è la forza e la novità della Pasqua.
Carlo Maria Martini, Ritrovare se stessi.

1067 - BUONA PASQUA!

Oggi abbiamo bisogno che la forza di Dio ci commuova, che ci sia un gran terremoto, che un Angelo faccia rotolare la pietra del nostro cuore, quella pietra che impedisce il cammino.
Oggi abbiamo bisogno che la nostra anima sia scossa, che ci dicano che l'idolatria del quietismo intellettuale e possessivo non dà vita.
Oggi abbiamo bisogno, dopo essere stati scossi da tante frustrazioni, di tornare ad incontrarLo e che Egli ci dica: "non temete! mettetevi di nuovo in cammino, tornate alla Galilea del primo amore". Oggi abbiamo bisogno di incontrarci con Lui; dobbiamo trovarlo e dobbiamo lasciarci trovare.

Fratelli, la "Buona Pasqua" che vi auguro è che oggi un Angelo faccia rotolare la pietra e noi ci lasciamo incontrare da Lui.
(Jorge Mario Bergoglio, 22/03/2008)

Buona Pasqua!

mercoledì 1 aprile 2015

1066 - MESSAGGIO DI GESU' CROCEFISSO

Cristo crocifisso - Cattedrale della Madre di Dio,  Castanhal Brasile
Il messaggio di Gesù crocifisso è molto chiaro. Dio, che avrebbe potuto annientare il male annientando tutti i malvagi, preferisce entrare in esso con la carne del suo Figlio, in Gesù, proclamando il perdono e il ritorno e subendo su di sé le conseguenze del male per redimerlo nella propria carne crocifissa. E la legge della croce, il principio secondo cui il male non viene eliminato, ma trasformato in bene sull' esempio e per la forza della morte di Cristo. In questo modo la croce diviene la suprema legge dell'amore e chi vuol far parte del cammino di rigenerazione inaugurato da Gesù deve entrare nel male del mondo per trame il bene della fede, della speranza, della carità, dell' amore per i nemici. La legge della croce è formidabile, ha un' efficacia sovrana nel regno dello spirito ed è applicabile a tutte le vicende umane; è il mistero del regno di Dio, è il mistero del Vangelo. Non è una legge accettabile dalla semplice intelligenza umana naturale, non la si può dimostrare prescindendo da Cristo. L'intelligenza umana naturale la rifiuta, non riesce a coglierla fino a quando non si è decisa per la fede.
Tuttavia il Signore crocifisso è centro di attrazione per ogni uomo e donna che viene in questo mondo, centro di attrazione per la storia, centro di attrazione per tutte le religioni del mondo. Ogni religione trOva in questa croce il suo punto di arrivo, il suo termine, la fine di un suo eventuale mandato prowisorio; perché tutto culmina nella regalità universale ed eterna di Cristo Gesù, nell'alleanza di Dio con l'umanità, per sempre.
Nel cuore del crocifisso, tutto ciò che è "no" può diventare "sì" e dal tradimento può nascere l'amicizia, dal rinnegamento il perdono, dall' odio l'amore, dalla menzogna la verità. Questa è la forza di Gesù nella e dalla croce.
Carlo Maria Martini, Ritrovare se stessi.

1065 - LONGINO TRAFIGGE IL COSTATO DI GSU'



Longino trafigge il costato di Cristo
Chiesa di San Marco - Koper – Slovenia
I testi patristici abbondano di commenti sul costato di Cristo trafitto sulla croce. Nel racconto di Giovanni, il colpo di lancia non serve ad accertare la morte, dal momento che questa era già stata constatata, piuttosto è un gesto di accanimento gratuito. Ma per l’evangelista è un’immagine-simbolo che sintetizza il senso della vita di Gesù: all’odio che porta alla morte, Cristo risponde con il dono che scaturisce da una sorgente profonda – l’amore, la vita, l’effusione dello Spirito, da cui l’umanità può essere guarita. Cristo sulla croce, con gli occhi aperti, guarda al mondo nella pace, proprio per far vedere che Dio si è lasciato uccidere per mostrarci quanto ci ama.
La croce è simile ad un albero. Proprio da quel male che è giunto dall’albero del paradiso, Cristo ci ha redenti con la propria morte sull’albero della croce.
Dal costato sgorgano sangue e acqua. Il costato riporta al costato di Adamo, da dove Eva fu tolta. Dalla costola di Adamo venne la morte, dalla costola di Cristo la vita, la nuova Eva, la nuova madre dei viventi, cioè la Chiesa. La lancia ci fa risalire alla spada del cherubino che custodiva il paradiso dopo l’espulsione dei progenitori, e la fuoriuscita del sangue e dell’acqua è vista in riferimento all’acqua battesimale e all’eucaristia.
Il rito siro-occidentale del battesimo ha questa preghiera sul fonte battesimale: “Che il tuo Santo Spirito scenda e dimori su questa acqua, la santifichi e la renda simile all’acqua che colò dal fianco del tuo Figlio unigenito sulla croce”.
La lancia che trafigge il fianco di Cristo rimuove così la spada del cherubino a guardia del paradiso, e per noi è possibile il ritorno, lavati dall’acqua che sgorga dal costato.
se il battesimo è un ritorno al paradiso, questo paradiso non è solo il paradiso primordiale della Genesi, è anche il paradiso escatologico del regno. Il battesimo ci fa entrare nel paradiso escatologico e ci fa possedere la “caparra” del regno; realizzare già sulla terra questa entrata potenziale nel regno è lo scopo della vita cristiana, che si manifesta come un processo di continua purificazione e santificazione che culmina nella divinizzazione dell’uomo.
Centro Aletti
 

1064 - LO SGUARDO DI GESU' - 2

Lo sguardo di Gesù su Pietro - Santuario dedicato a San Giovanni Paolo II a Cracovia
Abbiamo contemplato un Pietro che piange amaramente. Secondo la tradizione le lacrime di Pietro da allora in poi hanno proseguito a scorrere continuamente, al punto che nella sua anzianità si erano formati addirittura dei solchi sulle sue guance. Questi segni indelebili, divenuti criteri per conoscere iconicamente la figura di Pietro, fanno del primo degli apostoli il simbolo del credente che vive nella gioia serena di sentirsi comunque perdonato.
La sua gioia intensa, e tuttavia misurata, è infatti una gioia abitata dalla riconoscenza di chi sa di aver certamente peccato, ma sa anche di essere stato definitivamente perdonato. Da qui il suo atteggiamento molto delicato, molto rispettoso, molto attento nel rapporto con il suo Signore. Il credente vive infatti sempre nella memoria della propria realtà creaturale e peccatrice, accompagnata comunque dalla gioia di essere sotto lo sguardo bene-volente di lui, del suo Signore.
Questa gioia abitata dalla riconoscenza è anche una gioia che impedisce ogni tipo di depressione, perché lo sguardo del Signore è sguardo di perdono, di vita, di ricominciamento, proprio di chi sa fare continuamente nuove tutte le cose. «La gloria di Dio è l’uomo vivente» – diceva sant’Ireneo. E infatti non c’è niente che renda più felice Dio che poter accogliere l’uomo nelle proprie mani, proprio come farebbe una mamma col suo bambino: stringendolo al cuore, qualunque possa essere stata la forma della sua debolezza. Una simile certezza permette perciò all’uomo credente, pur gravemente peccatore, di affidarsi al perdono di Dio, a differenza del non credente che tenta di liberarsi del peso della propria colpa, ignorandola, o cercando di trasformarla addirittura in virtù, non riuscendo a sopportarne il peso.
Innocenzo Gargano, Lectio divina sui Vangeli della passione, EDB.

1063 - LO SGUARDO DI GESU' - 1

Attenzione! Non è Pietro che guarda il Signore. Pietro gli ha voltato le spalle! È Gesù che si volta per ritrovare Pietro dall’altra parte della luna! Se due persone si stanno per incontrare e una delle due non vuole più avere nulla a che fare con l’altra, naturalmente gli volta le spalle! Ma la sorpresa del racconto di Luca sta nel fatto che Pietro, perpetrato il tradimento, tocca proprio quel fondo notturno in cui Gesù è appena sceso liberamente per illuminarlo col suo sguardo di amore e di perdono assoluto (cf. v. 61). L’apostolo sente emergere dal profondo di sé la stessa preghiera che aveva segnato il suo primo impatto con Gesù di Nazaret sul lago di Galilea, dopo una pesca dovuta tutta alla forza della parola del Maestro: «Signore, allontanati da me che sono peccatore» (Lc. 5,8), ma anche le ultime parole rivolte gli da Gesù durante l’ultima cena consumata insieme: «“Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte” (cf. Lc.22,34). E, uscito, pianse amaramente» (vv. 61b-62).
Scorre così per Pietro l’acqua della rigenerazione, l’acqua della compunzione con lacrime, che non solo purificano, non solo lavano, ma appunto rigenerano come le acque battesimali dei futuri credenti. L’esperienza di Pietro infatti apre la strada nuova dell’itinerario della Chiesa, del nostro itinerario. A partire da un invito preciso: lasciarci guardare, toccare da questo misteriosissimo laser che è lo sguardo di Gesù, perché spacchi la corazza delle nostre difese, della nostra pretesa di essere stati sempre coerenti, ligi, fedeli, ammettendo che senza il ricordo delle parole di lui, e soprattutto senza la preghiera di lui: «Ho pregato per te, (Pietro), perché la tua fede non venga meno» (Lc 22,32), resteremmo prostrati nella nostra condizione di adulterio permanente, di impurità e finalmente di morte.
Queste cose dovrebbero sconvolgerci. Luca non è andato troppo per il sottile, ma ha preso il bisturi ed è andato a fondo, nel cuore stesso della piaga. Può essere apparso perfino crudele nel descriverci il tradimento di Pietro, ma solo così ha potuto introdurci nei sentimenti più intimi dell’apostolo scandagliato nella propria verità ultima dagli occhi penetranti del suo Signore, lasciandosi tirar fuori dalla notte per imboccare finalmente la strada del ritorno.
Innocenzo Gargano, Lectio divina sui Vangeli della passione, EDB.

1062 - ENTRIAMO NEL MISTERO DELLA PASSIONE

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Domani è il Giovedì Santo. Nel pomeriggio, con la Santa Messa che si chiama “nella Cena del Signore”, avrà inizio il Triduo Pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo, che è il culmine di tutto l’anno liturgico e anche il culmine della nostra vita cristiana.
Il Triduo si apre con la commemorazione dell’Ultima Cena. Gesù, la vigilia della sua passione, offrì al Padre il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino e, donandoli in nutrimento agli Apostoli, comandò loro di perpetuarne l’offerta in sua memoria. Il Vangelo di questa celebrazione, ricordando la lavanda dei piedi, esprime il medesimo significato dell’Eucaristia sotto un’altra prospettiva. Gesù – come un servo – lava i piedi di Simon Pietro e degli altri undici discepoli (cfr Gv 13,4-5). Con questo gesto profetico, Egli esprime il senso della sua vita e della sua passione, quale servizio a Dio e ai fratelli: «Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Mc 10,45).
Questo è avvenuto anche nel nostro Battesimo, quando la grazia di Dio ci ha lavato dal peccato e ci siamo rivestiti di Cristo (cfr Col 3,10). Questo avviene ogni volta che facciamo il memoriale del Signore nell’Eucaristia: facciamo comunione con Cristo Servo per obbedire al suo comandamento, quello di amarci come Lui ci ha amato (cfr Gv 13,34; 15,12). Se ci accostiamo alla santa Comunione senza essere sinceramente disposti a lavarci i piedi gli uni gli altri, noi non riconosciamo il Corpo del Signore. È il servizio di Gesù che dona se stesso, totalmente.
Poi, dopodomani, nella liturgia del Venerdì Santo meditiamo il mistero della morte di Cristo e adoriamo la Croce. Negli ultimi istanti di vita, prima di consegnare lo spirito al Padre, Gesù disse: «E’ compiuto!» (Gv 19,30). Che cosa significa questa parola? Significa che l’opera della salvezza è compiuta, che tutte le Scritture trovano il loro pieno compimento nell’amore del Cristo, Agnello immolato. Gesù, col suo Sacrificio, ha trasformato la più grande iniquità nel più grande amore.
Nel corso dei secoli ci sono uomini e donne che con la testimonianza della loro esistenza riflettono un raggio di questo amore perfetto, pieno, incontaminato. Mi piace ricordare un eroico testimone dei nostri giorni, Don Andrea Santoro, sacerdote della diocesi di Roma e missionario in Turchia. Qualche giorno prima di essere assassinato a Trebisonda, scriveva: «Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne … Si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne. Il male del mondo va portato e il dolore va condiviso, assorbendolo nella propria carne fino in fondo, come ha fatto Gesù» (A. Polselli, Don Andrea Santoro, le eredità, Città Nuova, Roma 2008, p. 31). Questo esempio di un uomo dei nostri tempi, e tanti altri, ci sostengano nell’offrire la nostra vita come dono d’amore ai fratelli, ad imitazione di Gesù. E anche oggi ci sono tanti uomini e donne, veri martiri che offrono la loro vita con Gesù per confessare la fede, solo per quel motivo; è un servizio, della testimonianza cristiana fino al sangue, servizio che ci ha fatto Cristo: ci ha redento fino alla fine. E questo è il significato di quella parola “è compiuto”. Che bello sarà che tutti noi, alla fine della nostra vita con i nostri sbagli, con i nostri peccati, anche con le nostre buone opere, col nostro amore al prossimo, possiamo dire al Padre, come Gesù: “è compiuto”; non con la sua stessa perfezione, ma dicendo: ‘ho fatto tutto quello che ho potuto fare’; “è compiuto”. Adorando la Croce, guardando Gesù, pensiamo nell’amore, nel servizio, nella nostra vita, nei martiri cristiani, e anche ci farà bene pensare alla fine della nostra vita. Possiamo chiedere la grazia di poter dire: ‘Padre, ho fatto quello che ho potuto, è compiuto’.
Il Sabato Santo è il giorno in cui la Chiesa contempla il “riposo” di Cristo nella tomba dopo il vittorioso combattimento della croce. Nel Sabato Santo la Chiesa, ancora una volta, si identifica con Maria: tutta la sua fede è raccolta in Lei, la prima e perfetta discepola, la prima e perfetta credente. Nell’oscurità che avvolge il creato, Ella rimane sola a tenere accesa la fiamma della fede, sperando contro ogni speranza (cfr Rm 4,18) nella Risurrezione di Gesù.
Nella grande Veglia Pasquale, in tarda serata, in cui risuona nuovamente l’Alleluia, celebriamo Cristo Risorto centro e fine del cosmo e della storia; vegliamo pieni di speranza in attesa del suo ritorno, quando la Pasqua avrà la sua piena manifestazione.
A volte il buio della notte sembra penetrare nell’anima; a volte pensiamo: “ormai non c’è più nulla da fare”, e il cuore non trova più la forza di amare… Ma proprio in quel buio Cristo accende il fuoco dell’amore di Dio: un bagliore rompe l’oscurità e annuncia un nuovo inizio, qualcosa comincia. Nel buio più profondo. Noi sappiamo che la notte è più notte, e più buia, poco prima che cominci la giornata. Proprio in quel buio è Cristo che accende il fuoco dell’amore. La pietra del dolore è ribaltata lasciando spazio alla speranza. Ecco il grande mistero della Pasqua! In questa santa notte la Chiesa ci consegna la luce del Risorto, perché in noi non ci sia il rimpianto di chi dice “ormai…”, ma la speranza di chi si apre a un presente pieno di futuro: Cristo ha vinto la morte, e noi con Lui. La nostra vita non finisce davanti alla pietra di un sepolcro, la nostra vita va oltre con la speranza al Cristo che è risorto proprio da quel sepolcro. Come cristiani siamo chiamati ad essere sentinelle del mattino, che sanno scorgere i segni del Risorto, come hanno fatto le donne e i discepoli accorsi al sepolcro all’alba del primo giorno della settimana.
Cari fratelli e sorelle, in questi giorni del Triduo Santo non limitiamoci a commemorare la passione del Signore, ma entriamo nel mistero, facciamo nostri i suoi sentimenti, i suoi atteggiamenti, come ci invita a fare l’apostolo Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5). Allora la nostra sarà una “buona Pasqua”.
papa Francesco, Udienza Generale, 1 aprile 2015