Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 30 luglio 2010

363 - LE RICCHEZZE E IL REGNO DEI CIELI

Il brano segue immediatamente il racconto dell’incontro di Gesù con un personaggio assai in vista (“un capo” dice Luca) che non raccoglie l’invito a seguire Gesù (18,18-23) “poiché era assai ricco” e prende avvio, al v 24, dalla constatazione: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio». Ad essa fa seguito il celebre “detto” riguardante il passaggio del cammello “per la cruna di un ago” (v 25).

Intervengono a questo punto gli astanti con la domanda: «E chi può essere salvato?» (v 26). Essa dice che i presenti hanno ben capito che soltanto un miracolo può permettere a un “ricco” di entrare nel Regno di Dio, ossia di “salvarsi”.

Il v 27 mitiga, con la risposta, la precedente severa affermazione di Gesù, appellandosi al fatto che a Dio è possibile ciò che non lo è per gli uomini, alludendo così alla “grazia” capace di fare cose inimmaginabili.
A questo punto intervengono i discepoli tramite Pietro, loro portavoce, mettendo in luce la loro pronta disponibilità a lasciare tutto per seguire Gesù (v 28) divenendo così una chiara alternativa al comportamento del “capo” che non se la sentì di far parte ai poveri dei suoi averi in vista del Regno. La risposta di Gesù al v 29 assicura ai discepoli, che hanno lasciato addirittura gli affetti umani più belli per seguirlo, un’adeguata “ricompensa”, a partire già da questa vita e destinata a manifestarsi come “vita eterna”, dunque come condizione permanente di salvezza.

Letto nel conteso del tempo liturgico in atto, il brano evangelico ci chiede una presa di coscienza e una conseguente valutazione sulla reale accoglienza del dono divino di salvezza ricevuto nei sacramenti pasquali. Per loro mezzo il credente è, di fatto, già “entrato” nel regno di Dio, è, dunque, già salvo. Si comprende, perciò, come l’effettiva appartenenza al Regno è ciò che deve stare a cuore al credente, più di ogni altra realtà terrena. In una parola la vera “sapienza”, per noi che crediamo, è quella di non anteporre nulla e nessuno al dono di salvezza effettivo in Cristo crocifisso e risorto.

La pagina vetero-testamentaria ci offre l’esempio del grande re Salomone, figlio di Davide, conosciuto su tutta la terra come “sapiente” possessore cioè di un’irresistibile capacità di “distinguere il bene dal male” e dunque in grado di garantire al suo popolo una vita serena e ordinata. Il “cuore saggio” di Salomone aspirava, dunque, a ottenere da Dio questo unico dono: “il discernimento nel giudicare” per il servizio della sua gente mettendo da parte, come Dio stesso riconosce, le richieste per sé stesso quali “molti giorni” di vita, ricchezze e la vita dei suoi nemici, cose, peraltro, che Dio ugualmente a lui dona come sovrappiù! (cfr. Lettura: 1Re 3,11-13).

Così deve essere per noi: ottenere da Dio la grazia di saper abbandonare tutto ciò che costituisce un ostacolo nel nostro cammino di salvezza sulle orme di Cristo. Si tratta, se necessario, di diventare “stolti” agli occhi del mondo, valutando con “sapienza” ciò che davvero conta per l’uomo: “salvarsi”, ossia perseverare nella sequela di Gesù, costi quel che costi! Tutto ciò può apparire una pazzia agli occhi di chi, confidando in sé stesso e nelle tante cose che possiede, crede di essere al riparo da tutti e da tutto, ignorando così, di fatto, Dio e la sua proposta salvifica.

È evidente che nessuno di noi, con le sole sue forze e con la sua umana sapienza, è in grado di capire tali esigenze e di sceglierle e perseguirle. Se è davvero difficile “salvarsi” e se per “un ricco”, non solo di beni materiali ma anche della “sapienza di questo mondo” (cfr. 1Cor 3,18-20) è addirittura “impossibile”, occorre chiedere la salvezza a Dio, al quale nulla è impossibile, come “grazia”!

In tal modo lo Spirito ci fa interiormente convinti che, ciò che conta “in assoluto” è “entrare nel regno di Dio”. Mancare un simile obiettivo significa andare incontro al drammatico definitivo fallimento della propria vita. È questa la vera “sapienza” che non fa temere al discepolo del Signore di apparire “stolto” agli occhi del mondo, nella consapevolezza che essere “di Cristo” vuol dire essere “di Dio” e, dunque, possedere ogni cosa.
Così si esprime, al riguardo, l’Apostolo: «tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro, tutto è vostro» (1Corinzi 3,21-22). È il dono da chiedere e da ottenere nella celebrazione eucaristica quando, nella croce del Signore, brilla la “sapienza” stessa di Dio che nell’”umiliazione” del suo Figlio ha fatto risiedere la salvezza per tutti e apre il passaggio al suo Regno.

(A.Fusi)

362 - X DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”: la preghiera di Salomone è motivo e occasione di esempio per il credente che si apre con docilità all’ascolto della Parola di Dio. La vera sapienza nasce da un autentico sguardo di fede. Siamo chiamati a superare le incomprensioni e le preoccupazioni del mondo e le tentazioni di chiuderci in noi stessi, lasciandoci vincere dall’egoismo e da un eccessivo attaccamento alle ricchezze materiali: “Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel Regno di Dio”. Chiediamo quindi di conservare e accrescere “in noi una coscienza pura e sincera”.

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Lettura 1Re 3,5-15: Con Salomone una nuova tappa si aggiunge alla storia della salvezza. Del padre Davide, Dio ha guardato non l’apparenza, ma il cuore. Salomone non chiede ricchezza,ma un cuore docile, un cuore che sa ascoltare. Così è il cuore che Dio conosce e ama.

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Salmo 71: Benedetto il Signore, Dio di Israele.

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Epistola 1Cor3,18-23: La sapienza del mondo è vana; agli occhi di Dio è addirittura stoltezza. Stolto è l’uomo che confida in se stesso. Il vero sapiente, invece, si fa stolto, si spoglia cioè della propria pretesa di sapere, per accogliere i doni di Dio in Cristo.

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Vangelo Lc.18,24b-30: Salomone preferisce un cuore docile alle ricchezze. Per san Paolo è stoltezza confidare in se stessi anziché in Dio. I discepoli devono rinunciare alle ricchezze per seguire Gesù, ma possono farlo confidando nella possibilità di Dio, non nella propria.

mercoledì 28 luglio 2010

361 - LE VIE DELLA SOBRIETA'

Nella vita di tutti i giorni, la sobrietà passa attraverso piccole scelte, fra cui meno auto più bicicletta, meno mezzo privato più mezzo pubblico, meno carne più legumi, meno prodotti globalizzati più prodotti locali, meno merendine confezionate più panini fatti in casa, meno cibi surgelati più prodotti di stagione, meno acqua imbottigliata più acqua del rubinetto, meno cibi precotti più tempo in cucina, meno prodotti confezionati più prodotti sfusi, meno recipienti a perdere più prodotti alla spina.

Schematicamente la sobrietà si può riassumere in dieci consigli:

- Evita l’usa e getta. È la forma di consumo a maggior spreco e a maggiore produzione di rifiuti.

- Evita l’inutile. Prima di comprare qualsiasi oggetto chiediti se ne hai davvero bisogno o se stai cedendo ai condizionamenti della pubblicità. Alcuni esempi sono l’acqua in bottiglia, il vestiario alla moda, il cellulare all’ultimo grido.

- Privilegia l’usato. Se hai deciso che hai bisogno di qualcosa non precipitarti a comprarlo nuovo. Prima fai un giro presso amici e parenti per verificare se puoi avere da loro ciò che fa al caso tuo.

- Consuma libero da scorie. Quando fai la spesa fai attenzione agli imballaggi. Privilegia le confezioni leggere, i contenitori riutilizzabili, i materiali riciclabili.

- Autoproduci. Producendo da solo yogurt, marmellate, dolci e tutto ciò che puoi, eviti chilometri e imballaggi.

- Consuma corto e naturale. Comprando locale e biologico eviti chilometri, sostieni l’occupazione e mantieni un ambiente sano.

- Consuma collettivo. È il modo migliore per permettere a molti di soddisfare i propri bisogni mantenendo al minimo il consumo di risorse e di energia. Oltre all’autobus e al treno, puoi condividere molti altri beni durevoli: auto, bici, aspirapolvere, trapano, lavatrice.

- Ripara e ricicla. Allungando la vita degli oggetti risparmi risorse e riduci i rifiuti.

- Abbassa la bolletta energetica. Andando in bicicletta, isolando la casa, investendo in energia rinnovabile, utilizzando elettrodomestici efficienti e gestendoli con intelligenza, riduci il consumo di energia con beneficio per le fonti energetiche e il portafoglio.

- Recupera i rifiuti. Praticando in maniera corretta la raccolta differenziata permetti ai rifiuti di tornare a vivere in nuovi oggetti.

Da “Altravia”, di Francesco Gesualdi

lunedì 26 luglio 2010

360 - DAVIDE PECCATORE E CREDENTE

Nel presente volume abbiamo raccolto le meditazioni e le omelie di un corso di esercizi spirituali predicati dal cardinale Carlo Maria Martini ai padri Gesuiti e ad altri missionari in Chad.

Sulla scia del metodo offerto da Ignazio di Loyola, nel celebre libretto Esercizi spirituali, l’Arcivescovo riflette sulla figura di Davide, l’antico re del popolo eletto, per approfondire la conoscenza del disegno salvifico di Dio che risplende in Cristo Gesù. Se la vita cristiana non è altro che il prendere coscienza del nostro essere figli di Dio in Gesù, è fondamentale capire in che modo l’Antico Testamento rappresenta in cammino verso questa meta.

Gesù è annunciato come l compimento delle scritture antiche, come colui che perfeziona e porta a termine il disegno che comincia da Abramo e passa per la regalità davidica messianica.

La dimenticanza dell’Antico testamento rischia sempre di sfociare nella visione o di un Gesù rivoluzionario, liberatore politico, o di un Gesù fuori dalla storia; impedisce la contemplazione del vero Gesù Cristo, Signore della nostra storia e di tutta la vicenda umana.

Per comprendere Gesù ed il suo vangelo, dobbiamo conoscere le tappe di preparazione che Dio ha predisposto nell’Antico Testamento.

Nel libro, a poco a poco i lettori si affezionano alla figura di Davide e dei grandi testimoni del popolo ebraico. Davide è il tipo dell’uomo secondo il cuore di Dio, e non lo è per una moralità superiore, bensì per la sua fede, la sua obbedienza, il suo senso della santità trascendente di Dio. il confronto tra il re temporale e il Re universale Gesù è suggestivo e ricco di insegnamenti, un confronto che l’Arcivescovo spinge fino alle radici, nel tentativo di trovare nella storia di Davide qualcosa di simile ai vangeli dell’infanzia, e lo fa riflettendo, al termine degli Esercizi, su Rut, l’antenata di Davide, e quindi di Gesù.

Lo stile delle meditazioni è molto familiare, semplice, privo di disposizioni critiche.

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Carlo Maria Martini, Davide peccatore e credente, Centro Ambrosiano Edizioni Piemme, 1989.

sabato 24 luglio 2010

359 - IL CAMMINO DI SANTIAGO

Cattedrale di Santiago
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Il 23 ottobre 1987 il Consiglio d’Europa ha riconosciuto l'importanza dei percorsi religiosi e culturali che attraversano l'Europa per giungere a Santiago de Compostela dichiarando la via di Santiago "itinerario culturale europeo" e finanziando adeguatamente tutte le iniziative per segnalare in modo conveniente "el camino de Santiago".

Questo riconoscimento, che pone l'accento sul carattere storico e culturale del Cammino, è stato probabilmente una delle principali ragioni della forte ripresa di frequentazione del Cammino stesso, a partire dagli anno Novanta del secolo scorso, anche da parte di persone che non lo percorrono per motivi religiosi, e - in misura crescente - di nazionalità non spagnola.

Il numero dei pellegrini tocca punte altissime negli anni cosiddetti "iacobei" - quelli in cui il 25 luglio, festa annuale del santo, cade di domenica (anni considerati "giubilari" in forza di una bolla emessa dal papa Alessandro III nel 1179).

Tra gli stranieri prevalgono, nell'ordine,tedeschi, italiani e francesi. In generale, comunque, i numeri sembrano indicare che Santiago sta diventando, con Lourdes e Fatima, una delle mete preferite dal turismo religioso.

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Nel 1989 a Santiago si svolse una delle famose Giornate Mondiali della Gioventù: da allora sempre più numerosi sono i giovani e non che dalla vecchia Europa e dagli altri continenti si muovono, come gli antichi pellegrini, verso la città dell’Apostolo. Durante quell’incontro oltre alla veglia notturna e alla S. Messa sul Monte do Gozo particolarmente coinvolgente fu la preghiera recitata nella basilica compostellana dal Papa dopo il gesto dell’abrazo, l’abbraccio all’Apostolo che ogni pellegrino compie al termine del suo pellegrinaggio a suggellare l’intima comunione e confidenza con Santiago l’amico del Signore.

Ecco il testo di quella preghiera che racchiude non solo il valore della Giornata mondiale della Gioventù ma l’autentico e genuino significato del pellegrinaggio cristiano e jacobeo:

"San Giacomo!

Sono qui, nuovamente, presso il tuo sepolcro / al quale mi avvicino oggi, / pellegrino da tutte le strade del mondo, / per onorare la tua memoria ed implorare la tua protezione. / Giungo dalla Roma luminosa e perenne, / fino a te che ti sei fatto pellegrino sulle orme di Cristo / ed hai portato il suo nome e la sua voce / fino a questo confine dell’universo. / Vengo dai luoghi di Pietro / e, quale suo successore, porto a te / che sei con lui colonna della Chiesa, / l’abbraccio fraterno che viene dai secoli / ed il canto che risuona fermo ed apostolico nella cattolicità. / Viene con me, san Giacomo, un immenso fiume giovanile / nato dalle sorgenti di tutti i paesi della terra. / Qui lo trovi, unito e sereno alla tua presenza, / ansioso di rinnovare la sua fede nell’esempio vibrante della tua vita. / Veniamo a questa soglia benedetta in animato pellegrinaggio. / Veniamo immersi in questo copioso esercito / che sin dalle viscere dei secoli è venuto portando le genti fino a questa Compostela / dove tu sei pellegrino ed ospite, apostolo e patrono. / E giungiamo qui al tuo cospetto perché andiamo uniti nel cammino. / Camminiamo verso la fine di un millennio / che desideriamo sigillare con il sigillo di Cristo. / Camminiamo ancora oltre, verso l’inizio di un millennio nuovo / che desideriamo aprire nel nome di Dio. / San Giacomo, / abbiamo bisogno per il nostro pellegrinaggio / del tuo ardore e del tuo coraggio. / Per questo veniamo a chiederteli / fino a questo “finisterrae” delle tue imprese apostoliche. / Insegnaci, Apostolo ed amico del Signore, / la via che porta a lui. / Aprici, predicatore delle Spagne, / alla verità che hai imparato dalle labbra del Maestro. / Dacci, testimone del Vangelo, / la forza di amare sempre la vita. / Mettiti tu, patrono dei pellegrini, / alla testa del nostro pellegrinaggio di cristiani e di giovani. / E come i popoli all’epoca camminarono verso di te, / vieni tu in pellegrinaggio con noi incontro a tutti i popoli. / Con te, san Giacomo apostolo e pellegrino, / desideriamo insegnare alle genti d’Europa e del mondo / che Cristo è - oggi e sempre - / la via, la verità e la vita".

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Un sito molto ricco di materiale sul Cammino di Santiago: http://compostela.pellegrinando.it/index.php

358 - 25 LUGLIO – SAN GIACOMO MAGGIORE

Il martirio di San Giacomo
A. Durer
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Detto il Maggiore (per distinguerlo dall'omonimo apostolo detto il Minore), Giacomo figlio di Zebedeo e Maria Sàlome e fratello dall'apostolo Giovanni Evangelista, nacque a Betsàida. Fu presente ai principali miracoli del Signore (Mc 5,37), alla Trasfigurazione di Gesù sul Tabor (Mt 17,1.) e al Getsemani alla vigilia della Passione. Pronto e impetuoso di carattere, come il fratello, con lui viene soprannominato da Gesù «Boànerghes» (figli del tuono) (Mc 3,17; Lc 9,52-56).
Primo tra gliapostoli, fu martirizzato con la decapitazione in Gerusalemme verso l'anno 43/44 per ordine di Erode Agrippa. Il sepolcro contenente le sue spoglie, traslate da Gerusalemme dopo il martirio, sarebbe stato scoperto al tempo di Carlomagno, nel 814.
La tomba divenne meta di grandi pellegrinaggi medioevali, tanto che il luogo prese il nome di Santiago (da Sancti Jacobi, in spagnolo Sant-Yago) e nel 1075 fu iniziata la costruzione della grandiosa basilica a lui dedicata.
Patronato: Pellegrini, Cavalieri, Soldati, Malattie reumatiche
Etimologia: Giacomo = che segue Dio, dall'ebraico
Emblema: Cappello da pellegrino, Bastone, Conchiglia, Stendardo.

venerdì 23 luglio 2010

357 - DAVIDE E IL MESSIA

Samuele unge Davide - Dura Europos, Siria
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Il brano conclude la serie dei dibattiti che oppongono soprattutto i farisei a Gesù e avvia, con il cap. 23, i discorsi polemici con i quali il Signore li smaschera nella loro autosufficienza e nella loro pretesa di conoscere e possedere la volontà di Dio. Può sorprendere come qui è Gesù a porre domande ai suoi avversari che, alla fine, non troveranno risposta. La prima domanda riguarda la figliolanza del “Cristo”, il vocabolo di origine greca che traduce quello ebraico di “messia” (v 42). È noto infatti come ai tempi di Gesù fosse viva più che mai l’attesa per la venuta del messia, letteralmente il “consacrato” inviato da Dio per risollevare le sorti del suo Popolo. Inserendosi nell’attesa della sua gente, Gesù pone dunque la domanda sull’origine del messia e alla quale i farisei rispondono: “Di Davide” sulla scorta della rivelazione vetero-testamentaria (2Samuele 7,12ss; Isaia 11,1; Geremia 23,5; Ezechiele 34,23; 37,24; Salmo 89,20). Questa riguarda sostanzialmente la promessa fatta da Dio di suscitare dalla stirpe di Davide il futuro messia e re del popolo il cui regno non avrebbe mai visto la fine. Di qui l’usanza, tipicamente semitica, di chiamare “figlio di Davide” il messia.

I vv 43-45 contengono domande con le quali Gesù intende fare ulteriori passi sulla via dell’identificazione dell’origine del messia. Egli è certamente della stirpe di Davide e, dunque, “discendente di Davide”. Un dato, questo, essenziale nella prima trasmissione della fede fatta dagli Apostoli (cfr. Epistola: 2Timoteo 2,8). Ma tale individuazione non dice tutto sul messia! Per questo, allo scopo di favorire un ulteriore progresso, Gesù cita il primo versetto del Salmo 110 composto, secondo gli antichi, da Davide: «Oracolo del Signore al mio signore: “Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”». In esso, dunque, Davide riferisce tali parole che provengono da Dio a un personaggio che lui chiama “mio signore” e che perciò non può essere suo figlio. A questa obiezione i farisei non sanno e non possono rispondere, perché la risposta la potrà dare solo chi crede che Gesù, il messia, è il Figlio di Dio.


Nel ripercorrere i momenti più significativi della storia della salvezza, in questa nona domenica del Tempo “dopo Pentecoste”, le divine Scritture ci presentano la figura di Davide. Egli, il “più piccolo” tra i suoi fratelli, incaricato dell’umile compito di “pascolare il gregge” (Lettura: 1Samuele 16,11), viene scelto da Dio, il quale, a differenza dell’uomo che “vede l’apparenza”, “vede il cuore” (v 7), quale “re” del suo popolo, anzi “il più alto tra i re della terra” (Salmo 88,28). Su di lui, consacrato con l’olio che il profeta Samuele gli versa sul capo, “irruppe” lo spirito del Signore (cfr. 1Samuele 16,13). In tal modo Davide diviene come un annuncio profetico di quel re il cui regno non sarà mai scosso e che noi crediamo essere Gesù di Nazaret inserito nella “discendenza davidica” al fine di mostrare come realizzate le divine promesse riguardanti il re-messia liberatore del suo popolo.


In Gesù queste divine promesse hanno trovato il pieno compimento e superamento. Egli, infatti, non è soltanto “figlio di Davide”, egli è il Figlio di Dio che nella sua croce ha compiuto la liberazione definitiva dell’intera umanità ponendo i suoi “nemici” ovvero satana, il peccato, la morte, sotto i suoi piedi (cfr. Salmo 110,1). Perciò, nella sua risurrezione, Dio lo ha fatto “sedere alla sua destra” quale Kyrios e Signore di un regno che non avrà mai fine, il regno dei Cieli! In esso si entra già da ora con la piena adesione di fede in Gesù, il messia, il Figlio di Dio, e con la rigenerazione battesimale che aggrega alla Chiesa, autentico “germoglio” del Regno. Perciò, diversamente dai farisei che non hanno potuto rispondere alle domande di Gesù, noi possiamo dire che “in” Gesù, il Kyrios risorto dai morti, si raggiunge “la salvezza” insieme “alla gloria eterna” (2Timoteo 2,10).


(A. Fusi)

giovedì 22 luglio 2010

356 - IX DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Nel disegno d’amore che si rivela lungo l’intera storia della salvezza, la liturgia di questa domenica presenta la figura di Davide. Centrale è il riconoscimento dell’iniziativa di Dio che sempre suscita e accompagna la storia del suo popolo: “Ti farò conoscere quello che dovrai fare e ungerai per me colui che ti dirò”.

“La tua mano, Signore, sostiene il tuo eletto”: è la certezza che anima la nostra preghiera e di spinge a rinnovare la nostra fede in Cristo, vero discendente di Davide, che realizza le promesse di Dio. Ne deriva per il credente l’impegno ad una testimonianza vera, entusiasta e grata: “Se moriamo con lui, con lui anche vivremo, se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso”.

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Lettura: 1Samuele 16,1-13: Nonostante il peccato dell’uomo, Dio compie la salvezza. Si è piegato ad accogliere la richiesta del popolo di avere un re, ma Saul si è mostrato indegno della chiamata. Dio comunque non torna indietro, sceglie Davide, un re secondo il suo cuore.

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Salmo 88: La tua mano, Signore, sostiene il tuo eletto.

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Epistola 2Timoteo 2,8-13: Gesù è discendente di Davide. In lui si compie la promessa fatta a Davide tramite Natan: susciterò un discendente dopo di te e renderò stabile il tuo regno. In lui c’è la salvezza e la gloria eterna, a condizione di condividere la sua parola.

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Vangelo Matteo 22,41-46: Dio compie le sue promesse oltrepassando la speranza stessa del suo popolo. Il Figlio di Davide, atteso e invocato da Israele, finalmente viene, ma in modo sorprendente. Non è solo il figlio di Davide, ma il suo Signore, perché Figlio del Dio altissimo.

martedì 20 luglio 2010

355 - QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DELLA FEDE?

La fede, dono gratuito di Dio e accessibile a quanti la chiedono umilmente, è la virtù soprannaturale necessaria per essere salvati, L'atto di fede è un atto umano, cioè un atto dell'intelligenza dell'uomo che, sotto la spinta della volontà mossa da Dio, dà liberamente il proprio consenso alla verità divina. La fede, inoltre, è certa, perché fondata sulla Parola di Dio; è operosa « per mezzo della carità» (Gal 5,6); è in continua crescita, grazie all'ascolto della Parola di Dio e alla preghiera, Essa fin d'ora ci fa pregustare la gioia celeste.

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What are the characteristics of faith?

Faith is the supernatural virtue which is necessary for salvation. It is a free gift of God and is accessible to all who humbly seek it. The act of faith is a human act, that is, an act of the intellect of a person - prompted by the will moved by God - who freely assents to divine truth. Faith is also certain because it is founded on the Word of God; it works “through charity” (Galatians 5:6); and it continually grows through listening to the Word of God and through prayer. It is, even now, a foretaste of the joys of heaven.

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¿Cuáles son las características de la fe?

La fe, don gratuito de Dios, accesible a cuantos la piden humildemente, es la virtud sobrenatural necesaria para salvarse. El acto de fe es un acto humano, es decir un acto de la inteligencia del hombre, el cual, bajo el impulso de la voluntad movida por Dios, asiente libremente a la verdad divina. Además, la fe es cierta porque se fundamenta sobre la Palabra de Dios; «actúa por medio de la caridad» (Ga 5,6); y está en continuo crecimiento, gracias, particularmente, a la escucha de la Palabra de Dios y a la oración. Ella nos hace pregustar desde ahora el gozo del cielo.

venerdì 16 luglio 2010

354 - UN RE PER IL POPOLO

Il brano evangelico fa parte di tutta una serie di dispute e di contrasti che di volta in volta oppongono Gesù ad avversari via via più numerosi e mal disposti nei suoi confronti. È il caso dei farisei che si radunano per studiare le modalità al fine di cogliere «in fallo il Signore Gesù nei suoi discorsi» (v 15).

Di qui la domanda insidiosa fatta a Gesù circa la liceità o meno del tributo da pagare all’imperatore romano (v 17) e che non permetteva via di scampo. Un sì avrebbe attirato su Gesù la condanna di misconoscere la sovranità di Dio su Israele. Un no avrebbe rappresentato un atto sovversivo contro il potere costituito.
La domanda è preceduta da una specie di captatio benevolentiae (v 16) che, pur viziata da intenzione malvagia, alla fine diviene un pubblico riconoscimento sulla predicazione di Gesù, libera nei confronti di tutti e specialmente conforme alla volontà di Dio.

La risposta di Gesù dapprima smaschera le cattive intenzioni del cuore dei suoi interlocutori (v 18) e, una volta avuta tra mano la moneta del tributo che i Romani esigevano ogni anno, da tutti, a partire dai 12 ai 65 anni, scolpisce e fissa il suo insegnamento: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (v 21). Il v 22 registra la reazione dei suoi cattivi interlocutori: la “meraviglia” fatta di sorpresa e di amarezza per aver fallito nel loro intento.

Il brano evangelico va ora collocato, con gli altri testi biblici oggi proclamati, nel tempo liturgico in atto, vale a dire quello “Dopo Pentecoste” che fa ripercorrere l’opera divina di salvezza. Una tappa di notevole importanza nel cammino della salvezza è indubbiamente segnata nell’introduzione, nel popolo d’Israele, della “monarchia” al tempo del profeta Samuele e di cui ci riferisce la Lettura.

Fino a quel momento non è esistito in Israele, a differenza degli altri popoli, la figura del “re” terreno in quanto Jahweh, solo, regnava sul popolo da lui conquistato «con mano potente e braccio forte», strappato al faraone d’Egitto, liberato da tutti i nemici, dotato di una terra dove “scorre latte e miele”. Perciò Israele poteva dire in tutta verità: «Sei tu, Signore, la guida del tuo popolo» (Ritornello al Salmo responsoriale).

Nelle parole di Dio a Samuele si avverte come la delusione dell’Altissimo nei confronti del suo popolo: «Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro» (1Samuele 8,7).

Della concezione riguardante la sovranità esclusiva di Jahweh su Israele si avverte ancora l’eco nella domanda-trabocchetto che i farisei fanno a Gesù: «È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» (Matteo 22,17). È un modo di pensare che ha un valore non solo politico ma, come prima si ricordava, anche “teologico” perché evidenzia l’unicità di Israele a partire proprio dal suo essere “di” Dio, sua proprietà. Sicché non si poteva pensare che questo popolo avesse altro re al di fuori di Jahweh.

È quanto sostenevano al tempo di Gesù, anche con l’insurrezione armata contro i Romani, il gruppo degli Zeloti! Nella sua risposta «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» Gesù dà un’indicazione, tra l’altro, valida per tutti i tempi. Egli riconosce che “Cesare” ha e detiene un vero potere, quello significato nella “immagine” e nella “iscrizione” impresse sulla “moneta del tributo”.

Così è per la comunità cristiana delle origini. L’apostolo Paolo riconosce il potere civile e, per questo, raccomanda che «si facciano domande, ordinando suppliche, preghiere e ringraziamenti… per i re e per tutti quelli che stanno al potere» (Epistola: 1Tim 2,1).

Il cuore della risposta del Signore è però l’affermazione su Dio, sulla sua sovranità che non è significata, come per quella provvisoria di Cesare, da un’immagine impressa sul metallo, ma risplende nel cielo, in terra, in tutto il creato, su ogni uomo, anche su Cesare. Così Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a rispettare, a onorare e a obbedire a coloro che esercitano sulla terra, il potere, ma a vivere la giusta proporzione tra il “potere terreno” esercitato dai re, di per sé provvisorio e, dunque, limitato, e quello divino che è su tutto e su tutti e per sempre, cosa che gli riconoscono anche i suoi avversari (v 16).

Tra la sovranità esercitata dai re di questo mondo e che spesso è fuorviante e tirannica (cfr. 1Samuele) e la sovranità di Dio, il discepolo di Gesù d’ora in poi sa a chi riconoscere il primato e a chi “pagare il tributo”. A «Cesare quello a lui dovuto perché possa svolgere il suo servizio a favore del bene comune, a Dio il tributo di tutto sé stesso, il tributo dell’obbedienza e della stessa vita». È la norma “apostolica” alla quale occorre attenersi. Si rispetta e si prega per l’autorità civile «perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio» (1Timoteo 2,2).

353 - SIGNORE SEI TU LA GUIDA DEL TUO POPOLO

“Sei tu Signore la guida del tuo popolo”: è la preghiera che accompagna la liturgia di questa domenica. Riconoscendo a Dio questo primato, non possiamo sottrarci alle responsabilità del mondo e alle esigenze di una autentica vita di fede: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Il credente è chiamato a compiere ogni giorno scelte coerenti, frutto di un maturo discernimento, capaci di salvaguardare i rispettivi ambiti della vita quotidiana, senza per questo dimenticare la propria vocazione alla salvezza.

Chiediamo quindi che il dono della fede sia accompagnato dalla ricerca della giustizia e da un sincero desiderio del bene.

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Lettura 1Samuele 8,1-22a: A Samuele non piace che il popolo voglia un re come gli altri popoli. Israele è diverso. Dio lo ha scelto come suo popolo per essere suo Dio. volere un re è rigettare l’unica signoria di Dio, che libera, mentre quella dei potenti della terra asservisce.

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Salmo 88: Sei tu Signore la guida del tuo popolo.

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Epistola 1 Timoteo 2,1-8: Occorre pregare per i re e per chi è al potere, perché garantiscano una vita nella pace. Senza però dimenticare che c’è un solo Dio e un solo Signore, Gesù Cristo, che esercita la sua signoria in modo paradossale:offrendo la sua vita per la salvezza di tutti.

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Vangelo Matteo 22,15-22: Occorre riconoscere l’autorità di Cesare, senza dimenticare quella di Dio, né trascurare la differenza tra i due. Se a Cesare è doveroso dare il tributo, solo a Dio si può consegnare totalmente la propria vita. Non si può fare di Cesare un idolo o un assoluto.

giovedì 15 luglio 2010

352 - TI BENEDICO SIGNORE

martedì 13 luglio 2010

351 - CURVARSI SULL'ALTRO

"Occorre ancora dare accoglienza all'altro, decidendo di amarlo prima di conoscerlo.

(...) Il fratello, la sorella, è un dono di Dio, non lo scegliamo ma dobbiamo accettarlo come dono, con il suo modo di stare, di vivere i rapporti, di essere altro: gli possiamo solo chiedere di vivere il Vangelo, come lui può chiederlo a noi.

Occorre infine curvarsi sull'altro, per servirlo, per perdonarlo, perché prima o poi sarà malato, prima o poi sarà vecchio, prima o poi lo scopriremo peccatore, prima o poi verrà a trovarsi in una situazione di bisogno e ci chiederà di piegarci, di curvarci davanti a lui."

fr. Enzo Bianchi, Bose, Veglia della Trasfigurazione, 6 agosto 2009

sabato 10 luglio 2010

350 - NON VOGLIAMO SERVIRE ALTRI DEI

In questo contesto che cosa significa “non vogliamo seguire altri dei?” vuole dire che l’alleanza, il patto è affidato a noi, è nelle nostre mani, che sta a noi rispondere.

Dicendo “non vogliamo servire altri dei” pensiamo a nuovi nomi degli idoli, a nomi più subdoli e non meno concorrenti con Dio dell’alleanza: il successo, il denaro, il potere, il profitto, visti come realtà assolute, come fini e non come strumenti di servizio. Sono, questi idoli-padroni, un riflesso dell’io divenuto signore assoluto, narcisisticamente posto al centro di ogni mia ammirazione e cura, sono lo specchio del culto di me stesso, considerato come assoluto.

La presenza di tali idoli è sottile e costante. Questa tentazione idolatrica la troviamo accanto a tutte le nostre scelte.

Perché in tutte le nostre scelte cercano di insinuarsi l’orgoglio, l’ambizione,la sensualità, la durezza di cuore, la lussuria, il cinismo, l’indifferenza, il disprezzo degli altri, il razzismo. Questi sono tutti effetti degli idoli, così come la pace, l’armonia, la fraternità, la giustizia, la solidarietà sono effetti dell’alleanza.

Oltre agli idoli, noi dobbiamo stare attenti alle ideologie, termine con cui intendo quei sistemi dominanti che si impongono alle masse per piegarle a gusti, consumi, scelte non dettati dalla ragione o dal bene comune, ma dall’interesse di alcuni pochi o dall’autorità astratta di un sistema di potere. Oggi come ideologia dominante c’è soprattutto quella laicista, consumista, che spinge a massimizzare i profitti, bisogni, consumi, con riguardo solo al proprio soddisfacimento individuale.

Uscire dall’influsso di idoli e di ideologie è difficile perché si richiede un vigoroso salto di qualità della vita, che noi chiamiamo conversione – religiosa, morale, intellettuale -, cioè l’accettazione nella mente, nel cuore e nella vita dell’alleanza che Gesù ci offre dalla croce e nell’Eucarestia.

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Vi propongo tre domande.

- quali sono i miei idoli? Posso cominciare ad interrogarmi su quali sono i miei idoli più innocui, quelli per cui spasimo, i miei campioni di cui ho il poster in camera. È vero che non hanno grande importanza, però forse mi introducono a capire quali sono i valori o i disvalori che essi rappresentano per me. Giungo allora alla domanda: quali sono i miei idoli, cioè a che cosa do peso nella vita, che cosa pesa nelle mie decisioni? Gli idoli o il Dio dell’alleanza?

- Sono tributario di ideologie? La domanda sembra molto grossa e la traduco in forma più semplice: quali giornali leggo più volentieri e quali ideologie stanno dietro a quei fogli di carta stampata?

- Ho mai vissuto qualcosa come una conversione? Penso ai momenti in cui ho resistito con forza e decisione agli idoli e ho detto “non voglio servire altri dei”, non voglio servire al denaro, alla sensualità, alla morbosità, al potere. Penso ai momenti in cui ho vissuto i Salmi che cantano l’esperienza dell’appartenenza al Dio dell’alleanza: “O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne” (Salmo 63,1-2). Penso ai momenti in cui viviamo, come Davide, l’intimità profonda che ci lega a Dio e che è effetto della mano forte con cui egli ci ha afferrato tirandoci fuori dal male, dal fango, dalla morte, dalla schiavitù, dal non senso, e ci ha posti nel centro dei suo amore e della sua redenzione.

(Cardinale Carlo Maria Martini, Scuola della Parola 1988/89)

349 - L'ASSEMBLEA DI SICHEM

Chi fu convocato da Giosuè a Sichem?

Giosuè, capo carismatico, eletto da Dio, successore immediato di Mosè, radunò tutte le tribù di Israele nella pianura presso le due montagne di Ebal e Garizim.

Sichem è un luogo celebre dell’antichità, ricco di ricordi, di tradizioni per tutto il popolo di Israele.

Nel versetto 1 del capitolo 24 si legge che “Giosuè radunò tutte le tribù … e convocò gli anziani…” . Perché questa differenza di verbi?

Il verbo ebraico, che traduciamo con radunare, significa “raccogliere”, “mietere” mettere insieme una grande massa; il verbo ebraico che traduciamo con convocare, significa “gridare”, “chiamare per nome gridando”. È il verbo usato per le grandi chiamate bibliche.

Abbiamo quindi nel primo versetto un raduno che riguarda tutti e una convocazione più specifica, più personale, che riguarda quattro categorie di persone: gli anziani, i capi, i giudici, gli scribi. Nel linguaggio nostro potremmo dire: i responsabili legislativi, quelli giudiziari, burocratici e culturali.

Tutto il popolo è presente, però è convocato vicino a Giosuè per rappresentanza.

È facile immaginare la scena: il popolo sta dietro, nell’accampamento, e gli anziani, i capi, i giudici, gli scribi, si avvicinano ascoltano direttamente il discorso di Giosuè.

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Chi è convocato oggi?

Ciascuno deve rispondere: sono convocato io personalmente, convocato e non semplicemente radunato. È facile andare una volta tanto ad un raduno, andare una sera alla veglia missionaria o alla marcia della pace.

Ma la convocazione richiede ascolto e risposta. Ascolto per capire a fondo la nostra identità e risposta attraverso la proclamazione della nostra fedeltà.

Vi affido alcune domande per la riflessione:

- mi sento di lasciarmi convocare? Non radunare una volta tanto, ma convocare con perseveranza, lasciandomi convocare per una responsabilità, per un ascolto e per una risposta?

- quali sono le mie resistenze a lasciarmi convocare? Che cosa sento dentro di me? Sento pigrizia, stanchezza, svogliatezza? Talora queste cose nascondono la paura di impegnarsi, la tristezza di chi non vuole gustare la gioia del vangelo.

(Cardinale Carlo Maria Martini, Scuola della Parola 1988/89)

venerdì 9 luglio 2010

348 - VII DOMENICA DOPO PENTECOSTE – ANNO C

“Serviremo per sempre il Signore nostro Dio”: è ancora il tema dell’alleanza al centro della liturgia di questa settima domenica dopo Pentecoste. La fedeltà all’alleanza si traduce in una scelta matura, frutto di una consapevole accoglienza della parola di Dio. “Servire il Signore” è certamente un cammino impegnativo. Significa vivere nell’operosità della fede, nella fatica della carità e nella fermezza della nostra speranza in Lui, superando l’entusiasmo del momento per riconoscerlo come unico vero Maestro che accende e santifica le nostre esistenze. “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio”.

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Giosuè 24,1-2a.15b-27: A Sichem il popolo deve decidere chi servire, se Dio o gli idoli. Dalla liberazione dalla schiavitù alla libera decisione di servire Dio: ecco il suo cammino. La sua decisione non è che una risposta: è Dio che per primo ha scelto e liberato il suo popolo.

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Salmo 104: Serviremo per sempre il Signore.

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Epistola 1Tessalonicesi 1,2-10: nelle parole di Paolo c’è un bel ritratto dell’identità del cristiano, scelto da Dio perché Dio lo ama. Accogliere la parola di questa chiamata significa lasciarsi trasformare dalla potenza del Vangelo, fino a diventare modelli di fede, di speranza e di carità.

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Vangelo di Giovanni 5,59-69: Per alcuni la parola di Gesù e dura, per Pietro è parola di vita eterna. E’ la stessa parola, ma il modo di ascoltarla fa la differenza. Forse Pietro non ha capito più degli altri, sa però chi è colui che la pronuncia: il santo di Dio. E in Lui confida.

martedì 6 luglio 2010

347 - LA MISURA DELL'AMORE




346 - CHE COSA SIGNIFICA PER L'UOMO CREDERE IN DIO?

Significa aderire a Dio stesso, affidandosi a Lui e dando l'assenso a tutte le verità da Lui rivelate, perché Dio è la Verità. Significa credere in un solo Dio in tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo.

(dal Compendio del catechismo della Chiesa Cattolica, nr.27).

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What does it mean in practice for a person to believe in God?

It means to adhere to God himself, entrusting oneself to him and giving assent to all the truths which God has revealed because God is Truth. It means to believe in one God in three Persons, Father, Son, and Holy Spirit.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, nr.27)

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En la práctica ¿qué significa para el hombre creer en Dios?

Creer en Dios significa para el hombre adherirse a Dios mismo, confiando plenamente en Él y dando pleno asentimiento a todas las verdades por Él reveladas, porque Dios es la Verdad. Significa creer en un solo Dios en tres personas: Padre, Hijo y Espíritu Santo.

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.27)

IL MONDO CONTEMPORANEO E LA CHIESA

Il mondo si presenta oggi potente a un tempo e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell'odio. Inoltre l'uomo prende coscienza che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli. Per questo si pone degli interrogativi.

In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo. È proprio all'interno dell'uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe (Rm 7,14). Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società...

Con tutto ciò, di fronte all'evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: cos'è l'uomo?

Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l'uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?

Ecco: la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né «è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati» (At 4,12). Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che «è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli» (Eb 13,8).

Gaudium et spes, 9-10

venerdì 2 luglio 2010

344 - LA NUOVA ALLEANZA

Miniatura inglese del secolo XIII
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Il testo evangelico riporta al v 30 la scena solenne della morte del Signore da lui stesso intesa, con le ultime parole: “È compiuto!”, quale compimento dell’”opera” che il Padre gli ha affidato: la salvezza del mondo. La sua morte è significata dal gesto di “chinare il capo” e di “consegnare lo spirito” quale preludio all’effusione dello Spirito Santo estensore della salvezza sino alla fine dei tempi.

I vv 31-32 relativi alla richiesta fatta a Pilato dai capi del popolo di rimuovere i corpi dei crocifissi, a motivo dell’avvio delle celebrazioni pasquali, preparano l’evento della trafittura del “fianco” di Gesù e della misteriosa fuoriuscita di “sangue e acqua” (vv 33-34), particolari, questi, riferiti dal solo Giovanni, con il dichiarato intento di condurre il lettore e l’ascoltatore a “credere” (v 35).

Particolari che, a ben guardare, vengono illustrati dall’evangelista sulla base di precisi riferimenti biblici. A Gesù, infatti, i soldati “non spezzarono le gambe” compiendo in tal modo ciò che la Scrittura prescriveva a riguardo dell’agnello pasquale (Esodo 12,46), ma con una lancia Gesù viene colpito al fianco nella direzione del cuore e, da quella apertura uscì “sangue e acqua” e verso di essa, commenterà l’evangelista al v 37: «volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (cfr. Zaccaria 12,10) indicando con ciò l’adesione di tutte le genti a Gesù.

Circa la fuoriuscita del sangue e dell’acqua essa ha dato origine a varie interpretazioni anche simboliche. Il “sangue” simbolo della vita dice il dono che Gesù fa di sé, della sua vita, come vero agnello pasquale per la salvezza del mondo. L’acqua significa il dono dello Spirito promesso da Gesù per condurre tutti a credere in lui, e così potersi immergere nella salvezza racchiusa nella sua morte.

Nel ripercorrere l’intero cammino della storia della salvezza scaturita dal cuore della Trinità la presente domenica pone in risalto la figura e l’opera di Mosè quale guida scelta da Dio non solo per condurre fuori dalla schiavitù d’Egitto il suo popolo, ma soprattutto per fare di quella gente da lui stesso liberata, il “suo” proprio popolo, quello che gli appartiene e al quale egli vuole legarsi con un vincolo indistruttibile qual è l’Alleanza.

Con essa Dio si impegna a essere sempre “con” il suo popolo, al quale dona una “Legge” con precetti e norme che lo distinguono tra tutti i popoli della terra. Il popolo da parte sua è tenuto a mantenere fede all’alleanza mediante l’obbedienza alla Legge data da Dio: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo» (Esodo 24,3).

Mosè, sigilla l’alleanza con l’offerta “di olocausti e sacrifici di giovenche” il cui sangue versa sull’altare e con il quale asperge il popolo a indicare il suggello perenne e infrangibile del loro legame. «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole» (Esodo 24,8).

Questo evento carico di conseguenze per la storia di Israele, è in realtà come un annuncio profetico dell’”alleanza migliore” (Epistola: Ebrei 8,6), immutabile e definitiva, stipulata tra Dio e l’intera umanità per la “mediazione” non di un uomo per quanto grande qual è Mosè, ma di Gesù Cristo, il Figlio stesso di Dio!

Diversamente da Mosè che stabilì l’alleanza nel sangue di animali inconsapevoli, Gesù la sancì, con piena consapevolezza, nel suo sangue: “Sangue dell’Alleanza” (cfr. Matteo 26,28; Marco 14,24). Per questo il suo sangue, sparso sulla croce e fuoriuscito dal suo costato aperto dalla lancia del soldato (Giovanni 19,34), insieme con l’acqua, simbolo dello Spirito Santo è, perciò, il vincolo nuovo e indistruttibile che, da ora in poi, legherà per sempre Dio al suo popolo, quello raggiunto dal sangue vivificante del suo Figlio e che porta impresso “nella mente e nel cuore la nuova Legge” (cfr. Ebrei 8,10), lo Spirito dell’amore!

Gesù dunque è il “vero” Mosè, l’unico intermediario o “mediatore” tra Dio e gli uomini che egli unisce in un vincolo “nuovo ed eterno”, che ha come segno perenne ed efficace il suo “sangue”, vale a dire la sua vita offerta in obbedienza al Padre e per l’amore bruciante per gli uomini suoi fratelli.

Nella partecipazione all’Eucaristia, bevendo al calice, quello del sangue “per la nuova ed eterna Alleanza”, tutti avvertiamo la bellezza di appartenere al popolo il cui unico Dio è il Signore. A lui, perciò, la Chiesa in preghiera così si rivolge: «Tu sei, o Dio, la mia protezione, il mio rifugio, la salvezza della mia vita. Tu sei la mia forza e la mia difesa; nel tuo nome mi guidi e mi sostieni» (canto All’Ingresso).

Nello stesso tempo, avvertiamo la responsabilità di tale appartenenza e il conseguente impegno di “fedeltà”. Per questo preghiamo: «Larga scenda, o Dio, la tua desiderata benedizione e confermi i cuori dei credenti, perché non si allontanino mai dal tuo volere e si allietino sempre dei tuoi doni generosi» (orazione A conclusione della Liturgia della Parola).

(A. Fusi)

343 - VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi”. Nella vicenda di Mosè e lungo l’intera storia della salvezza, è prefigurato il compimento delle promesse di Dio in Cristo. Nella Croce del Signore si realizza infatti la nuova e definitiva alleanza tra Dio e l’uomo: “Voi foste liberati con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia”. In Gesù è la vita stessa di Dio che ci è comunicata mediante i sacramenti, segni efficaci della grazia che rendono presente nella nostra vita e nella storia il dono della nuova alleanza: chiediamo quindi “un cuore purificato” perché condividendo “la passione redentrice” ci sia dato di “essere nella gloria eterna eredi con lui”.

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Lettura: Esodo 24,3-18: Dopo Abramo, altra tappa fondamentale della salvezza l’alleanza sul Sinai, il sangue delle vittime viene in parte asperso sull’altare, segno di Dio, in parte sul popolo. Il sangue è simbolo della vita. Una sola vita scorre ora tra Dio e il suo popolo.

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Salmo 49: Ascoltate oggi la voce del Signore.

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Epistola Ebrei 8,6.13a: L’alleanza di Gesù è nuova non perché Dio rinnova ancora il patto più volte infranto dal suo popolo. È radicalmente nuova: Gesù offrendo se stesso, ci dona lo Spirito; la Legge, anziché su tavole di pietra, viene scritta nella carne dei nostri cuori.

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Vangelo Giovanni 19, 30-35: Giovanni anticipa nell’ora della Croce il dono dello Spirito, che sgorga dal costato trafitto. L’acqua dello Spirito è il frutto del sangue versato da Gesù. L’alleanza di compie: Gesù dona la propria vita per farci vivere della vita stessa di Dio.

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342 - LE VANE SPERANZE E LA SUPERBIA

Stolto è chi ripone la sua speranza negli uomini o nelle altre creature. Tu non aver vergogna di essere servo degli altri per amore di Gesù Cristo e di apparire privo di tutto in questo mondo. Non contare su te stesso, ma riponi tutta la tua fiducia in Dio. Fa’ tutto quello che ti è possibile: e Dio non mancherà di assistere la tua buona volontà.

Non confidare nella tua scienza o nell’astuzia di qualche uomo, chiunque esso sia, ma nella grazia di Dio che soccorre gli umili e umilia i presuntuosi. Se poi hai ricchezze o amici potenti, non vantartene, ma loda Dio.

Non ti facciano insuperbire la prestanza o la bellezza del tuo corpo, che dalla più piccola malattia è sciupato e sfigurato. E così non compiacerti della tua abilità o del tuo ingegno, per non dispiacere a Dio, che di qualsiasi dote naturale degli uomini è il vero padrone.

Non stimarti migliore degli altri, chè proprio Dio potrebbe giudicarti peggiore, lui che conosce bene l’intimo di ogni uomo.

Non insuperbire se fai qualcosa di buono, perché Dio vede in modo diverso dagli uomini e spesso ciò che piace agli uomini dispiace a lui. Se hai qualche buona qualità, stima migliori quelle degli altri, per non perdere l’umiltà. Il considerarti inferiore a tutti non ti arrecherà alcun danno, mentre te ne arrecherà moltissimo l’anteporti anche a uno solo. L’umile ha una pace che non tramonta, al contrario nel cuore del superbo stanno di continuo il cruccio e lo sdegno.

Dall’Imitazione di Cristo, L.I, cap.VII, 1-3