Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 31 dicembre 2010

474 - OTTAVA DEL NATALE - 1 GENNAIO 2011

La Circoncisione di Cristo, Pieter Paul Rubens, 1605,

Chiesa del Gesù di Genova.

.

“Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”: è l’augurio e la preghiera che accompagnano la liturgia dell’ottavo giorno del Natale e il cammino nel tempo del credente. Il Signore Gesù è “la Parola che si salva, la via che ci guida alla pace” e ha voluto condividere la nostra esistenza, portando “nella povertà della nostra natura la sua divina ricchezza”.

.

Lettura Numeri 6,22-27: Il nome, per la Bibbia, dice relazione. Attraverso la mediazione sacerdotale, Dio pone il suo nome al suo popolo, vale a dire lo chiama alla relazione con sé, donandogli di vivere nella sua comunione. Ne sono frutto la sua benedizione e la sua pace.

.

Salmo 66: Dio ci benedica con la luce del suo volto.

.

Epistola ai Filippesi 2,5-11: Il nome di Dio si rivela in Gesù, che nella siua vicenda pasquale manifesta l’amore del Padre. Vivendo l’obbedienza fino alla croce, egli riceve il nome nuovo di “Signore”. La sua rimane la signoria di chi dona la vita e a tutti il nome nuovo di “figli di Dio”.

.

Vangelo Luca 2,18-21: Otto giorni dopo la nascita, come ogni ebreo, Gesù riceve la circoncisione e il nome. Sono i genitori a conferirlo, ma in obbedienza alla parola dell’angelo. In Gesù Dio stesso entra nella carne dell’uomo e la sua grazia abita e trasforma il nostro agire.

giovedì 30 dicembre 2010

473 - DA RICCO CHE ERI, SIGNORE GESÙ

Signore Gesù, da grande e ricco che eri, ti sei fatto piccolo e povero. Tu hai scelto di nascere fuori di casa in una stalla, di essere fasciato in poveri panni, di essere deposto in una mangiatoia tra un bue e un asinello. Abbraccia, anima mia, quel divino presepio, premi le labbra sui piedini di Gesù. Baciali tutti e due. Medita le veglie dei pastori, contempla il coro degli Angeli e canta insieme a loro con la bocca e con il cuore: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.

San Bonaventura (1217-1274)

domenica 26 dicembre 2010

472 - ... AUGURI SCOMODI

….non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza dare disturbo…non sopporto l’ idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine…


Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!


Gesù che nasce per amore ci dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e ci conceda di inventarci una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.


Il Bambino che dorme sulla paglia ci tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del nostro letto duro come un macigno, finché non avremo dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio…


…I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’ oscurità e la città dorme nell’ indifferenza, ci facciano capire che, se anche noi vogliamo vedere “una grande luce”, dobbiamo partire dagli ultimi…


… I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge”, e scrutano l’ aurora, ci diano il senso della storia, l’ ebbrezza delle attese, il gaudio dell’ abbandono in Dio.


E ci ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’ unico modo per morire ricchi.


Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.


Mons. Tonino Bello

sabato 25 dicembre 2010

471 - 26 DICEMBRE – SANTO STEFANO

“Signore Gesù, accogli il mio spirito!”: il secondo giorno dell’Ottava di Natale è illuminato e accompagnato dalla preghiera e dall’esempio del martire Stefano. In questo primo testimone del Signore si rivela la vera misura e la autentica figura del cristiano, chiamato a rendere ragione della propria fede: “Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento. .. Vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo”.

Nella gioia e nella luce del Natale di Gesù, siano in noi i medesimi sentimenti perché la nostra vita sia trasformata in un “perenne rendimento di grazie”, nella ricerca di una autentica fraternità e nell’impegno di una rinnovata testimonianza della novità del Vangelo.

venerdì 24 dicembre 2010

470 - BUON NATALE !

Se Cristo nasce mille volte a Betlemme ma non nasce nel tuo cuore,
tu rimani un uomo perduto.
(S.Ambrogio)
.
Buon Natale!
.
Padre Luigi Bazzani, parroco,
con la Comunità dei Padri Piamartini di Milano

469 - GESU' BAMBINO E' IL MESSIA

Gesù è il Cristo, il Messia promesso da Dio, il Dio che visita la nostra storia, che condivide la nostra condizione umana per farci partecipi della sua vita e della sua grazia. È questo il Vangelo, la Buona notizia che la comunità cristiana annuncia a tutti gli uomini che Dio ama.

In questo senso possiamo dire che il Natale è una festa tardiva. La Chiesa ha colto, prima di tutto, il mistero di essere salvata e redenta, ha colto Cristo nella Pasqua come Salvatore: è il mistero che celebriamo in ogni eucarestia, il mistero della redenzione.

Poi, a partire da qui, la Chiesa primitiva ha allargato la sua riflessione verso le radici, verso gli inizi della manifestazione di Gesù. Ha cominciato a contemplare i suoi anni oscuri, il mistero della sua nascita. Ha scoperto che anche nel primo apparire di Gesù rilucevano, come perle nascoste nell’ombra, quei modi di essere di Cristo mediante i quali Gesù ci avrebbe dato la salvezza.

Nella nascita appariva l’umiltà di Gesù, la scelta della povertà, la gloria del Figlio unico del Padre: Gesù obbediente, disponibile, in ascolto del Padre.

Il racconto evangelico assume allora questo professione di fede nel Cristo Salvatore e Signore, a, a partire dalla Pasqua, la fa risalire fino al momento in cui Gesù fa il suo ingresso nella nostra storia.

Questo primo messaggio del Natale, così come la comunità cristiana ce lo ha tramandato dalle origini, suona dunque come un invito a non operare riduzioni nel racconto della nascita di Gesù per fargli esprimere i nostri sentimenti umani, anche molto belli, di poesia, di vita, di lotta contro la povertà.

Aldilà di queste cose, noi siamo invitati ad accostarci umilmente alla nascita di Gesù accettando che ci parli di qualcosa che è oltre noi stessi, ci parli di messaggeri dall’alto, di un Signore, di un Messia.

(Cardinale Carlo M.Martini, Omelia nel giorno di Natale 1981)

468 - NATALE DEL SIGNORE – 25 DICEMBRE

“Oggi nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”: è l’annuncio al centro della liturgia del Natale che compie la nostra attesa e infonde nuova speranza di vita. Nel Mistero dell’incarnazione siamo resi “familiari” di Dio; egli “è con noi nella nostra natura, è con noi nella sua grazia, con noi nella sua bontà, con noi nella nostra miseria, con noi nella sua compassione” (Aelredo di Rievaulx). Ogni uomo può trovare in Cristo la luce del cammino, la fonte della propria gioia, la forza per una testimonianza coraggiosa, il desiderio di una autentica fraternità, la consolazione alla solitudine del cuore: la sua “indigenza è la mia ricchezza, e la debolezza del Signore è la mia forza” (Sant’Ambrogio).

.

Lettura Isaia 8,23,b-9,6a: Isaia annuncia la nascita di un bambino, erede del trono di Davide, che porterà la pace sperata. Eppure la storia umana conosce ancora l’oppressione e la guerra. Ma la nascita di Gesù ci assicura che Dio è con noi e non deluderà la nostra attesa.

.

Salmo 95: Oggi è nato per noi il Salvatore.

.

Epistola Ebrei 1,1-8: in Gesù Dio dice la sua parola ultima, senza pentimenti. E noi siamo già nei tempi ultimi. Non perché sia imminente la fine del mondo, ma perché la storia umana è per sempre inclusa nella salvezza e nella misericordia del Padre rivelatasi in Gesù.

.

Vangelo di Luca 2,1-14: “Oggi è nato per voi un Salvatore”. Gli uomini, con le loro decisioni, come quella del censimento di Augusto, pretendono di dominare e salvare la storia. Ma i nostri sforzi sono fecondi quando ci aprono ad accogliere una salvezza che nasce dall’alto.

mercoledì 22 dicembre 2010

467 - NATALE

lunedì 20 dicembre 2010

466 - IL SENSO DEL DONO: PER UN NATALE DI GRATUITÀ

Assaliti dall’ansia del regalo, nel mese di dicembre sembriamo ormai smarrire il legame con l’Avvento e, con esso, anche l’autentica dimensione umana e cristiana del dono. Sommersi dai doni da fare o da ricevere, abbiamo perso il senso della gratuità, non riusciamo più a vederla come ricchezza nelle nostre vite e nelle nostre relazioni, convinti di essere noi gli unici protagonisti di ogni cosa, coloro che determinano l’evolversi delle vicende e delle società. Eppure il Natale cui ci prepariamo dovrebbe ricordarci sia il dono per eccellenza che è ogni vita nuova che nasce, sia il dono inaudito che Dio ha fatto all’umanità e alla creazione intera con la venuta nella carne di Gesù, vero Dio e vero uomo.

Come la vita, infatti, il dono è qualcosa che ci precede, che esula dai diritti-doveri, che non può mai essere pienamente ricambiato, che nasce da energie liberate e origina a sua volta capacità inattese. La gratuità non è tale solo perché non comporta un prezzo, ma più ancora perché suscita gratitudine e, più in profondità ancora, perché sgorga da un cuore a sua volta grato per quanto già ha ricevuto. Nel dono autentico non si riesce mai a tracciare un confine certo e invalicabile tra chi dà e chi riceve: non perché vi sia il calcolo di chi pesa il contraccambio, ma perché, come dice Gesù, “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20,35). Chi dona, infatti, gode a sua volta della gioia che suscita in chi riceve. D’altronde, il fondamento dell’amore è la rinuncia alla reciprocità e alla sicurezza che ne deriva: occorre indirizzare l’amore verso l’altro senza essere sicuri che l’altro ricambierà.

E non dovremmo pensare al dono solo come a una possibile forma di scambio tra le persone: riscoprire la gratuità come istanza anche sociale costituisce un’esperienza liberante e arricchente per ogni tipo di convivenza. Lo ricorda con parole forti Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate: “La gratuità è presente nella vita dell’uomo in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza... Lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità”.

Forse il tempo del Natale e la maggiore sensibilità alla dimensione del dono che questa festa suscita potrebbe aiutarci proprio in due percorsi di approfondimento del senso delle nostre vite. A livello personale e relazionale, possiamo riscoprire la libertà profonda che il donare richiede e la gioia che suscita sia in colui che dona che in colui che riceve: A livello sociale, ci è dato di prendere coscienza di come, anche nell’ottica mercantile ormai dominante, si possano concretamente immettere istanze di gratuita fraternità: la solidarietà umana, uno stile di vita più sobrio ed essenziale, una ritrovata dimensione di fratellanza universale non sono alternative alle ferree leggi economiche o all’esercizio della giustizia, ma sono anzi correttivi preziosi per una più equa distribuzione di quei doni naturali che sono intrinsecamente destinati a tutti. Come cristiani testimonieremo così l’unicità del Signore di cui celebriamo la venuta nella carne e attendiamo il ritorno nella gloria: un dono sceso dall’alto che non ha cercato né atteso il nostro contraccambio per portare a tutti le ricchezze della sua grazia, il volto divino della gratuità. Senza il concetto di dono e di dono gratuito non sarebbe possibile un parlare cristiano perché, non lo si dimentichi, nel cristianesimo persino l’alleanza, che di per sé è bilaterale, è diventata alleanza unilaterale di Dio offerta all’uomo nella gratuità.

Enzo Bianchi, Avvenire, 13 dicembre 2009

domenica 19 dicembre 2010

465 - DAL MOZAMBICO NOTIZIE E AUGURI DI PADRE GIACOMO MARIETTI

Carissimi,

riprendiamo le nostre comunicazioni dopo una lunghissima pausa. Eravamo rimasti al "Mocodoene18" che porta la data del 25 Marzo 2010. Poi venne quella sera del 24 maggio in cui durante un tentativo di rapina sono rimasto ferito. Le cure e la convalescenza trascorsa in Italia mi hanno rimesso in forze e dal 29 Ottobre sono di nuovo qui per continuare il mio lavoro. Ringrazio il Signore, tutti coloro che mi sono stati vicini in questo periodo, e coloro che si sono fatti in quattro per continuare l'opera della nostra Missione. Con me sono venuti a rinforzare la squadra Fr. Aurelio Tassone e il laico Simone Mura. Ora il Padre Joao, dopo aver svolto un servizio molto apprezzato, è tornato in Brasile per motivi di salute. Siamo in attesa di Padre Higino Corentino, giovane sacerdote angolano, con cui ho già lavorato e che già conosce la nostra Missione di Mocodoene, avendo svolto il periodo di tirocinio quando presente ancora Padre Modesto Venturini, la Missione stava facendo i suoi primi passi.

In questo periodo della mia assenza le cose sono andate avanti bene grazie alla dedizione dei rimasti. Degli avvenimenti più significativi dobbiamo segnalare l'arrivo del Presidente della Repubblica Emilio Armando Ghebuza che ha onorato la Missione di Mocodoene con la sua presenza, confermando l'apprezzamento delle autorità pubbliche fino alle più alte sfere, del lavoro che stiamo facendo. A riceverlo era presente il nostro Superiore Generale Padre Enzo Turriceni. Fu lo stesso Superiore ad inaugurare anche il pozzo nuovo dell'Ospedale. Nell'ambito di un Progetto di sperimentazione cofinanziato dalla Regione Lombardia sono arrivate anche le vacche da latte. In questi giorni siamo in attesa del primo parto.

A me invece è stata riservata, proprio oggi, in una festa di consegna dei diplomi, la soddifazione di stringere la mano ai nostri primi qualificati "Operatori agricoli" al termine di un percorso triennale che ci ha fatto sudare, ma che finalmente è una realtà di cui le autorità e la popolazione ci ringraziano. Penso in questo momento a quelli che ci hanno aiutato con immensa gratitudine.

Ci aspetta molto lavoro e noi siamo disposti a dare tutte le nostre forze per portarlo avanti. Vi terremo informati. Cogliamo l'occasione per inviare a tutti i nostri più cari e sentiti auguri di Buon Natale e un Buon anno 2011. A nome di Fr. Geraldo, Fr. Aurelio, del Chierico Joaquim, di Riccardo e di Simone un carissimo saluto da Mocodoene.

Padre Tiago.

Mocodoene 10.12.2010.

venerdì 17 dicembre 2010

464 - ANNUNCIAZIONE DI FILIPPO LIPPI

L'Annunciazione di palazzo Barberini è un'opera,tempera su tavola (155x144 cm) di Filippo Lippi, databile al 1440-1445 conservata alla Galleria Nazionale d’arte antica di Palazzo Barberini a Roma.

La tavola proviene dal territorio di Bagno a Ripoli. In particolare il Supino scoprì, nel 1902, che l'opera decorava anticamente l'oratorio della famiglia Bardi -Larioni di Pian di Ripoli e che i due committenti inginocchiati erano Alessandro di Andrea de' Bardi e Lorenzo di Ilarione de' Bardi.

La Vergine, perno della composizione, è al centro della scena, secondo una composizione replicata poi dal Lippi in numerose varianti. Essa, incorniciata da un arco che si apre su un paesaggio esterno, sta ricevendo dall'Angelo inginocchiato l'omaggio del giglio bianco, simbolo della sua purezza. La sua figura è collocata in posizione rialzata su un gradino, davanti a uno scranno dove stava dedicandosi alla lettura, con il libro aperto appoggiato sopra, simbolo teologico delle Scritture che si avverano col suo atto di accettazione. In basso a destra, inginocchiati oltre la continuazione della balaustra, stanno i due committenti che gesticolano, raffigurati a dimensione naturale (una novità iconografica introdotta qualche decennio prima da Masaccio) ed abbigliati secondo la moda dell'epoca.

Più complesso è lo sfondo, dove si vede un ambiente tripartito da archi, un richiamo alla tradizionale forma dei trittici. A sinistra si trova il letto, fortemente scorciato in grandangolo, come nei pittori fiamminghi, al centro l'arco e a destra si intravede una scaletta dove due donne si stanno affannando a salire o a scendere.

Il dipinto presenta alcune incertezze nella prospettiva e nelle figure accessorie, per cui ha fatto pensare all'intervento di aiuti di bottega. L'elemento dominante è in questo caso il colore e la ricca ornamentazione, che ricorda le Annunciazioni di Beato Angelico degli anni trenta, pure impostate a una preziosità esteriore retaggio della tradizione tardogotica.

463 - DOMENICA DELL’INCARNAZIONE O DELLA DIVINA MATERNITÀ DI MARIA

La presente domenica vuole aprire i nostri cuori alla grandezza e alla stupenda bellezza dei disegni di Dio che tutti ci riguardano e che comportano la venuta salvifica nel mondo del suo Figlio Unigenito che noi, con fede integra, confessiamo “vero Dio e vero uomo”. Di conseguenza con stupore di fede riconosciamo la Vergine Maria come “vera madre” del Figlio di Dio fatto uomo!

.

Lettura Isaia 62,10-63,3b: La figlia di Sion nella letteratura profetica è immagine di Gerusalemme e di Israele o, meglio, del resto di Israele che attende nella fede, il giorno del Signore. La sua venuta lo renderà popolo santo, redento, amato. Maria ne è l’icona più eloquente.

.

Salmo 71: Rallegrati, popolo santo, viene il tuo Salvatore.

.

Epistola Filippesi 4,4-9: Sapere che il Signore è vicino, non solo perché ne attendiamo la venuta ma perché lo scopriamo già presente nella nostra vita, dona gioia alla nostra esistenza. È una gioia che si nutre delle preghiere e che ha come frutto la nostra amabilità verso tutti.

.

Vangelo Luca 1,26-38a: La gioia di cui parla Paolo si compie in Maria, che ne è riempita, secondo il saluto dell’angelo che la invita a rallegrarsi. È la gioia di una comunione – il Signore è con te - come pure di una obbedienza così radicale, che in Maria la Parola si fa carne.

462 - RALLEGRATI, PIENA DI GRAZIA

Il racconto di Luca 1,26-38 trova la sua ispirazione nelle diverse scene bibliche di “annunciazione” di concepimenti e di nascite del tutto singolari come, ad esempio, quella di Sansone, narrata nel libro dei Giudici (13,1-7). Nei versetti iniziali (26-27) l’evangelista, mentre ambienta il suo racconto a livello temporale e spaziale, è particolarmente interessato a mettere in evidenza la condizione della destinataria dell’annuncio: Maria, “una vergine”. Tale sottolineatura prepara l'annunzio della sua singolare maternità dovuta esclusivamente all’intervento di Dio.

I vv. 28-33 riportano il contenuto dell’annuncio diretto a Maria, salutata dall’angelo come «piena di grazia», a motivo del favore divino del tutto sorprendente e gratuito che guarda proprio a lei, una “donna”, una “vergine” non appartenente certo alle classi sociali più elevate.

Il v. 29 registra il “turbamento”, anzi, il forte spavento avvertito inizialmente da Maria e che viene fugato dalle successive parole dell’angelo, finalmente rivelatrici dei disegni divini su di lei (vv. 30-33.35-37). Esse annunziano la sua imminente maternità, quella di “un figlio” che porterà il nome di Gesù (=Dio salva), indicativo della sua missione nel mondo quale “figlio dell'Altissimo”, nel quale si realizza l’antica promessa fatta da Dio al re Davide: «io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno... io renderò stabile il trono del suo regno per sempre» (2Samuele 7,12-13).

Con queste parole viene annunziata la funzione regale di Gesù. Egli “regnerà per sempre”, non solo “sulla casa di Giacobbe” (v. 33) ma sull’intera famiglia umana, una volta liberata dai suoi nemici e mortali oppressori nell’ora della croce. È quanto viene profeticamente annunziato nella Lettura dove si parla di un personaggio misterioso: «che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza» (Isaia 63,1) e nel quale riconosciamo il Signore Gesù che, con la sua incarnazione, avvia quell’opera di salvezza e di liberazione dell’uomo che porterà a compimento nella sua Pasqua di morte e di risurrezione.

Il v. 34 registra un secondo intervento di Maria riguardante la sua condizione di “vergine”, al quale fa seguito la nuova risposta dell’angelo (vv. 35-37) che rivela come l’annunciata maternità non sarà ascrivibile a un intervento umano, ma soltanto all’intervento divino mediante l’azione dello Spirito Santo. Le successive parole angeliche (v. 35b) segnano il culmine della rivelazione riguardante il figlio concepito dalla Vergine: non solo “figlio dell’Altissimo”, non solo “figlio di Davide” e, dunque il re, il Messia, ma: «sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» in senso proprio ed esclusivo.

Gesù, dunque, è il Figlio di Dio ed è il figlio di Maria, la “vergine”. Ciò è possibile solo a Dio, per il quale «nulla è impossibile» come, ad esempio, rendere madre Elisabetta una parente di Maria che, nella sua vecchiaia, ha concepito anch’essa un figlio (v. 36).

Il racconto si conclude al v. 38 con il “sì” di Maria che la pone nel numero dei “servi del Signore”, vale a dire di coloro che si consegnano con decisione fedele e irrevocabile alla volontà di Dio. Questo “sì” di Maria, che “avvicina il Signore” a ogni uomo, è il motivo della gioia evangelica a cui ci invita l’Apostolo: «Fratelli, siate lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Epistola: Filippesi 4,4) e che viene così motivato nella preghiera liturgica: «O scambio di doni mirabile! Il creatore del genere umano, nascendo dalla Vergine intatta per opera dello Spirito Santo, riceve una carne mortale e ci elargisce una vita divina» (Alla Comunione).

La stessa preghiera liturgica ci consegna, nel cuore della celebrazione, una sintesi davvero mirabile del “mistero” della Vergine-Madre annunciato nelle Scritture. Ella: «accogliendo con fede illibata l’annunzio dell’angelo, concepì il tuo Verbo rivestendolo di carne mortale; nell’esiguità del suo grembo racchiuse il Signore dei cieli e il Salvatore del mondo e per noi lo diede alla luce, serbando intatta l’integrità verginale» (Prefazio I).

(A.Fusi)

mercoledì 15 dicembre 2010

461 - I DONI DI NATALE

O Signore tu ci prometti anche quest’anno di andare incontro alla luce, alla festa e alla gioia del Natale, che mette davanti ai nostri occhi la realtà più grande che ci sia: il tuo amore, con il quale hai amato il mondo fino a dare il tuo unico Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Che cosa porteremo noi a te, che cosa ti offriremo? Quanta oscurità nei nostri rapporti umani e nel nostro interno! Quanti pensieri confusi, quanta freddezza e dispetto, quanta vanità e odio! Quante cose, delle quali non puoi essere contento, che poi ci dividono tra noi e non ci sono di nessun aiuto! Quante cose che sono in stridente contrasto con il messaggio del Natale!Che farai tu di simili doni? E con simile gente, quale noi tutti siamo? Ma proprio questo tu, a Natale, vuoi da noi, e vuoi strapparcelo – tutta questa robaccia e noi stessi così come siamo – per donarci Gesù, il nostro Salvatore, e in lui, un cielo nuovo e una terra nuova, cuori nuovi e nuove aspirazioni, una nuova chiarità e una nuova speranza per noi e per tutti gli uomini.Donaci di parlare, di ascoltare, di pregare qui, nello stupore e nella gratitudine, per tutto quello che ci prepari, per tutto quello che hai già deciso, per tutto quello che hai già fatto! Amen.

(Karl Barth, Preghiere, Torino 1987)

lunedì 13 dicembre 2010

460 - MILANO, UNA CITTA’ DAL TERRENO BUONO - 3

La mancanza delle condizioni per crescere: le questioni educative e culturali

Nel suo lavoro, assieme al terreno buono e a quello soffocato dai rovi, il seminatore incontra poi un terreno reso improduttivo dalle pietre. La semente qui diffusa “appena germogliata, seccò per mancanza di umidità”: c’è buon terreno, ma mancano le condizioni per la sua fertilità.

La suggestione della parabola mi porta ad accostare quelle situazioni impermeabili alla verità o rese tali da altri: quelle dove si vive senza che ci sia un senso preciso dell’esistenza. È una questione culturale. Etimologicamente, alla base della parola “cultura”, c’è la radice “colere”, coltivare, dunque la stessa azione che compie il seminatore della parabola. Coltivare la propria

interiorità, i propri talenti, i rapporti personali è la via che rende fertile l’esistenza dei singoli e costruisce la società.

È difficile per un seme germogliare, vivere e portare frutto laddove manca la terra feconda. È difficile per un giovane crescere, realizzarsi, sviluppare relazioni buone che arricchiscano sé e la società laddove scarseggiano l’educazione e la cultura. È un problema grave e non raro nella sua

manifestazione. Molti giovani crescono senza desiderare, ricercare e costruire un serio progetto di vita, senza dare un senso all’esistenza. È una situazione, questa, frutto di un clima culturale complessivo che pare voler rimuovere la questione della responsabilità e del significato dell’esistenza.

Ancora una volta sant’Ambrogio ci è maestro, con il suo prezioso avvertimento, nel coltivare anzitutto l’interiorità: «La tua ricchezza è la tua coscienza; il tuo oro è il tuo cuore... Custodisci l’uomo che è dentro di te. Non trascurarlo, non averlo a noia come se non avesse valore, perché è un possesso prezioso» (I doveri, I,11).

Non pochi giovani sono come terreno pietroso, resi impermeabili alla semina della verità anche dalle carenze educative dovute a situazioni familiari complesse, a un’offerta scolastica non sempre efficace, a percorsi formativi non del tutto adatti alla loro condizione esistenziale o sociale.

Spesso è difficile coltivare le decisive questioni del senso e della responsabilità in alcune periferie provate dal degrado, in quei luoghi in cui la qualità della vita è povera a causa degli spazi abitativi insufficienti e inadeguati, della mancanza di aree per il gioco e la socializzazione, della carenza di occasioni formative… E se in una situazione già difficile si sommano, come spesso capita, altre negative influenze esterne come la piaga della droga, la malavita, la violenza diffusa, vivere e crescere in contesti simili segna in modo negativo l’esistenza di tanti giovani. La forza dei legami familiari e delle buone relazioni tra gli abitanti del quartiere è antidoto efficace per la

prevenzione del disagio giovanile.

Ma se la famiglia a volte “non ce la fa” a educare bene, a introdurre adeguatamente al senso e alla responsabilità della vita, se le relazioni sociali “non tengono” è pressoché difficile “salvare” la situazione solo con quegli interventi socio-educativi che le amministrazioni pubbliche mettono in atto. È importante allora intervenire per creare le condizioni affinché il tessuto sociale positivo possa svilupparsi naturalmente, eliminando le tante pietre che rendono il terreno impenetrabile all’azione educativa.

Diviene fondamentale – specialmente in simili contesti – un piano adeguato di sostegno alla famiglia perché possa continuare a svolgere la sua insostituibile missione educativa. Famiglie forti e unite favoriscono la coesione sociale del territorio!

È importante riconoscere, mettere in rete e sostenere l’azione di centri di educazione e socializzazione quali le scuole, gli oratori, i centri sportivi, le associazioni culturali e del tempo libero. Le risorse pubbliche, investite in questa direzione, mentre recano come effetto principale un indubbio aiuto alla persona, consentono di risparmiare in futuro altri interventi ben più dispendiosi per far fronte a situazioni di tensione e di degrado sociali.

(cardinale Dionigi Tettamanzi, 6 dicembre 2010)

domenica 12 dicembre 2010

459 - MILANO, UNA CITTA' DAL TERRENO BUONO - 2

Una preoccupazione per tutta la Città

Il seminatore della parabola può sembrare, a una prima lettura, piuttosto sprovveduto: pare sprecare la preziosa semente disperdendola sulla strada, tra le pietre e tra i rovi prima che affidarla al terreno buono. Quella che Gesù ci offre non è l’immagine di un contadino distratto o inesperto, bensì quella di un uomo saggio, lungimirante, misericordioso, aperto al futuro e carico di speranza. È un seminatore al cui giudizio nessun terreno è escluso dalla possibilità di dare frutti. Perché seminare solo nei campi già fertili? Perché negare la semente al viottolo posto tra i terreni buoni? Perché non gettarla anche tra le pietre e tra i rovi? Sarebbe fuorviante intendere la parabola applicando la categoria ristretta del puro calcolo economico. L’animo di questo seminatore – lo si comprende dallo stile dei gesti – è abitato dalla sovrabbondanza, dall’eccedenza dell’amore di Dio. La vita che il seminatore diffonde e promuove è un valore troppo grande per essere costretta in un calcolo.

Il terreno in cui gettare il seme buono e nuovo – della giustizia, della carità, della pace – è il cuore, la mente, il vissuto quotidiano personale, familiare, sociale degli abitanti vecchi e nuovi di Milano. Dentro ciascuna persona e in ogni realtà che compongono la nostra Città, sono presenti un’area fertile e una che resiste al buon seme.

Il Vangelo ci dà speranza: anche la parte infeconda della Città, se premurosamente e attentamente coltivata, può giungere a dare frutto.

L’abbondante terreno fertile

Un aspetto particolare della vita della Città ne mostra l’abbondante fecondità: è la componente intraprendente non soltanto nel produrre per sé ma anche per dare a tutti vita, speranza, dignità e autonomia. Penso a chi crea e offre posti di lavoro, a chi pone competenze a servizio di altri in campo amministrativo, economico, culturale, nell’ambito del servizio alla salute, della risposta al disagio e al bisogno. Mi riferisco a chi costantemente si impegna nel creare legami nuovi, nel promuovere un tessuto associativo vivace, nel sostenere l’integrazione dei nuovi cittadini.

È una fertilità che si incrementa là dove prevalgono il desiderio e l’impegno per meglio servire gli altri. È una fertilità rinnovata dalla dedizione personale. È un’eredità di cui si è spesso debitori: alle famiglie di origine, ai propri maestri ed educatori, a quanti hanno trasmesso esperienza e sapienza.

È fertile il terreno di chi ha potuto costruire solidamente la propria famiglia e ha saputo affrontare coraggiosamente le inevitabili avversità che la minacciano. Lo è anche per gli anziani che possono e sanno rendersi utili ad altri, che sono accolti e custoditi dalla famiglia o da strutture idonee. Lo è per i giovani che seriamente costruiscono il proprio futuro, vivono in armonia le proprie amicizie, scelgono esperienze di gratuità e di servizio che li aprono agli altri e al mondo.

Importante è la dedizione di tanti imprenditori che, nonostante la crisi, innovano, crescono, danno lavoro, costruiscono sviluppo, contribuiscono al benessere dell’intera Città. Laboriosa, strategica e silenziosa è l’opera di numerosi ricercatori che nelle nostre Università, negli Ospedali e Centri di

ricerca affrontano e risolvono i problemi che gravano sulla vita umana.

Preziosi sono tutti coloro che si impegnano per l’educazione delle nuove generazioni e si prendono cura dei malati e degli emarginati.

Fecondi si è non quando si ricerca una crescita egoistica e finalizzata ai propri interessi, non quando si trattengono per sé patrimoni economici e culturali per sfruttarli a proprio esclusivo vantaggio, ma quando tutto questo viene posto al servizio altrui.

A queste componenti positive della Città deve andare non soltanto l’incoraggiamento, ma l’appoggio esplicito di tutta la cittadinanza e, in particolare, dei suoi amministratori. Incoraggiamo e promuoviamo chi è generoso, chi incrementa realmente lo sviluppo, chi crea lavoro, chi vive

responsabilmente il proprio servizio, chi ricerca il bene comune. Sosteniamo e facciamo conoscere questo patrimonio di bontà, di giustizia, di operosità presente nel nostro tessuto cittadino!

La mancanza delle risorse economiche per la perdita del lavoro, sommata ad altre situazioni di fragilità, può far crollare le persone e le famiglie, impedendo un’esistenza serena. Intervenire in favore di chi sta pagando gli effetti più pesanti della crisi non significa solo aiutare chi è colpito dalla povertà, bensì investire sul futuro di migliaia di persone e di interi territori della città. Un compito che nessuna istituzione, realtà sociale o di volontariato, può svolgere da sola: non è possibile limitarsi a invocare l’aiuto delle amministrazioni locali, demandare l’intervento allo Stato centrale, delegarlo al terzo settore o alle attività caritative della Chiesa: ciascuno deve fare la propria parte.

Dissodare dagli ostacoli il terreno equivale anche a sostenere le imprese affinché non chiudano, spingerle a modernizzarsi, a investire in tecnologia, a valorizzare i prodotti più originali, a fare sistema, a realizzare situazioni di mutuo aiuto per affrontare nuovi mercati e l’instabilità della domanda.

Il lavoro ha una componente di sacralità, come la Bibbia più volte testimonia. Sia preoccupazione principale e condivisa rispettarlo, tutelarlo, promuoverlo. Gli esempi di interventi virtuosi – in Italia e all’estero – non mancano: conosciamoli e imitiamoli, adattandoli alla nostra situazione. Il lavoro è sempre stato la risorsa caratteristica della nostra Città intercettando e interpretando la proverbiale laboriosità dei milanesi. E proprio il lavoro può fare ripartire e rivivere Milano, togliendola dalle secche in cui il suo autentico splendore si è offuscato.

La questione non va ristretta al solo sostegno economico, ai servizi sociali, all’assistenza sanitaria; è piuttosto al senso di responsabilità di tutti i cittadini che occorre appellarsi. Quante risorse pubbliche potrebbero essere liberate a beneficio di situazioni più gravi se più cittadini venissero in aiuto di coloro che si trovano nelle situazioni di fragilità prima descritte!

Anche in questo caso, gli amministratori siano di esempio nell’attivare e sostenere in tutti i cittadini un’autentica corresponsabilità e la promuovano con ogni mezzo affinché tutti si sentano responsabili di tutti. Penso in particolare alle associazioni di volontariato, di matrice cattolica o laica, di cui è davvero ricca la nostra Città. Ma, a sua volta, il volontariato da solo non ce la fa: ha bisogno di essere formato, sostenuto economicamente, promosso nella ricerca di nuove forze. Un volontario motivato, competente e generoso porta un indubbio aiuto all’azione di governo.

Cooperative e associazioni possono arrivare laddove lo Stato o l’Amministrazione comunale non riescono a intervenire per dare opportunità a chi da solo mai potrebbe affrontare un’esperienza lavorativa. Una minore distribuzione di finanziamenti pubblici, nuove normative fiscali, la distorsione di alcuni intelligenti strumenti di finanziamento – si pensi ad esempio al 5 x 1000 – stanno penalizzando queste realtà di aiuto, fino a metterne a rischio la stessa esistenza.

Cari amministratori: aiutate chi sa aiutare, sostenete chi sa sostenere! La scelta e la sfida di una sussidiarietà animata da una vera solidarietà è quanto mai urgente! Occorre ricercare insieme un modo nuovo per garantire risorse pubbliche al terzo settore così che quest’ultimo, sempre più autonomo e protagonista, riattivi quelle forme di partecipazione, collaborazione, responsabilità capaci di fortificare la coesione sociale.

Cardinale Dionigi Tettamanzi

venerdì 10 dicembre 2010

458 - V DOMENICA DI AVVENTO AMBROSIANO

Michea 5,1 e Malachia 3,1-5a.6-7b: La prima lettura unisce insieme due testi profetici, di Michea e di Malachia, che annunciano l’origine del Messia da Betlemme e l’invio di un precursore a prepararne la via. Colui che attendiamo viene a purificare la nostra vita per renderla gradita a Dio.

.

Salmo 145: Vieni Signore a salvarci.

.

Epistola Galati 3,23-28: Anche la legge ha avuto il ruolo di preparare la via, come un pedagogo. Ma ora che Gesù è venuto non è più l’osservanza dei precetti a renderci giusti, ma la fede in lui, il rivestirci di lui, per vivere con il Padre la sua stessa relazione filiale.

.

Vangelo da Giovanni 1,6-8.15-18: Nel quarto Vangelo, Giovanni viene definito il Testimone: tutta la sua vita è tesa a rendere testimonianza alla luce che viene a illuminare ogni uomo. Luce nella quale possiamo conoscere il Padre e vivere in verità e grazia.

457 - LA DOMENICA DEL PRECURSORE

Il brano è preso dal “prologo” del Vangelo secondo Giovanni (1,1-18). Di esso vengono oggi letti i vv. 6-8 appartenenti alla terza strofa che introduce la figura di Giovanni il Battista come “testimone” qualificato del Figlio di Dio che viene nel mondo e i vv. 15-18 appartenenti all’ultima strofa. In particolare il v. 15 riporta il contenuto essenziale della “testimonianza” resa da Giovanni, mentre i vv. 16-17 offrono la testimonianza nel Signore Gesù Cristo da parte della comunità cristiana delle origini. Il v. 18, infine, proclama solennemente che Gesù è il Figlio Unigenito, unico “rivelatore” del Padre.

Proclamato nel contesto della preparazione al Natale del Signore il brano pone in luce la figura di Giovanni il Battista che appare, con tutto il rilievo dovuto, nel momento in cui la storia della salvezza giunge a un suo culmine, qual è appunto la venuta nel mondo del Figlio di Dio. Giovanni, perciò, viene indicato come uomo “mandato” da Dio, così come Gesù stesso è “mandato” dal Padre e come lo sono stati i profeti scelti e “mandati” da Dio al suo popolo.

Tra di essi, Malachia, manifestando la volontà di Dio a venire di persona tra il suo popolo, dice che, per questo, si farà precedere da un suo «messaggero a prepare la via davanti a me»; un messaggero «che io manderò» (Lettura: Malachia, 3,1).

In ragione di questo “mandato” (Gv 1,6) Giovanni è “testimone” autorevole di Gesù, il Figlio di Dio che viene nel mondo come “luce” ossia portatore della rivelazione di Dio che è luce di vita e di salvezza. Lui solo, infatti, il Figlio unigenito che “è nel seno del Padre” (v. 18) ha “visto” e conosce Dio!

Il “mandato” e la “testimonianza” di Giovanni, nei disegni divini, devono ottenere l'adesione di fede nel Signore Gesù di tutti gli uomini! In lui solo, e solo da lui, come leggiamo nell'iniziale professione di fede contenuta nel v. 17, essi possono trovare e ricevere “grazia su grazia”. Prima di Gesù, infatti, gli uomini erano come «custoditi e rinchiusi sotto la Legge», quella data da Dio per mezzo di Mosè, e che l’apostolo Paolo descrive come “pedagogo” (Epistola: Galati 3,23-24), ossia come un provvisorio accompagnatore dell’umanità verso Cristo, dalla cui “pienezza” divina discende sull’umanità “grazia su grazia”, ossia la salvezza in tutta la sua portata e in tutta la sua efficacia.

Mentre accogliamo con cuore disponibile la “testimonianza” di Giovanni e riconosciamo che Gesù è il Figlio Unigenito di Dio, venuto nel mondo, crediamo che, con la sua apparizione tra gli uomini i disegni e le divine promesse finalmente si sono attuati. In Cristo, infatti, ha fatto il suo personale ingresso nel mondo Dio stesso (cfr. Malachia 3,1). In lui ha ricevuto lo splendore della divina rivelazione che, come luce, finalmente dirada le tenebre dell’incredulità e della morte che gravano sul mondo.

Non solo, pieni di ammirato stupore, proclamiamo che Gesù, unico, porta nel mondo la “grazia”; anzi “grazia su grazia”, ossia, non solo la redenzione, la liberazione dal potere del male, ma specialmente il dono e la partecipazione alla vita stessa di Dio come “figli”. La preghiera liturgica così interpreta e traduce la traboccante pienezza di grazia che, in Cristo, viene a noi dal Cielo: «La nostra redenzione è vicina, l'antica speranza è compiuta; appare la liberazione promessa e spunta la luce e la gioia dei santi» (Prefazio).

La “missione” e la “testimonianza” di Giovanni la compie, ora, la comunità del Signore, la Chiesa. Essa sa di non essere la “luce” ma essendo stata “illuminata” e, avendo accolto Gesù “luce nel mondo”, non può fare a meno di dare una tale “testimonianza” autorevole all’uomo di oggi con la parola evangelica, la bella e la buona notizia: il figlio Unigenito ci ha detto che Dio è Padre e rivela la sua paternità riversando per mezzo di lui sul mondo “grazia su grazia”. E questa parola di luminosa rivelazione la Chiesa continuamente annuncia e trasmette a un mondo che vive nello smarrimento, nella paura, nell’angoscia.

Intanto, ogni domenica, radunati in santa assemblea riceviamo la “testimonianza” della divina liturgia che diffonde la luce della Parola e la grazia del cibo eucaristico, e che così ci fa pregare: «Rivelati, o tu che siedi sui cherubini! Manifesta la tua potenza e vieni, Signore, a salvarci. Volgiti a noi, o Dio onnipotente, guardaci dal cielo e vieni, Signore, a salvarci» (All’Ingresso).

(A.Fusi)

giovedì 9 dicembre 2010

456 - MILANO, UNA CITTA’ DAL TERRENO BUONO – 1

Cari fratelli e sorelle nel Signore,

riflettendo sulla vita quotidiana, vogliamo interrogarci sulle condizioni, le situazioni e le occasioni che rendono possibile vivere in pienezza la nostra umanità e guardare insieme al futuro della nostra Città. Desidero offrire queste mie parole all’intelligenza e alla volontà di tutti come contributo per edificare una vita comune promettente e buona e alla fede operosa dei credenti per la costruzione della Città eterna del Regno di Dio.

Il capitolo 8 del vangelo di Luca ci presenta Gesù che «se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio» (Luca 8,1). Ci pare di vedere questo inimitabile predicatore e profeta passare per i luoghi abitati e attraversarli (cfr. Luca 19,1ss) offrendo a tutti la sua parola illuminante e provocatoria. Immaginiamo quanto abbia potuto imparare e conoscere Gesù dalla vita della gente del suo tempo, osservando le persone che incontrava.

Lasciando che lo sguardo di Gesù si posi ora su di noi e sulla nostra Milano vogliamo riascoltare la parabola evangelica. La nostra Città deve molto ai suoi santi e alla sua quasi bi millenaria tradizione cristiana. Questa non è semplice memoria psicologica del passato, ma si concretizza nella sterminata moltitudine di persone che sulla fede in Cristo hanno fondato la propria esistenza, sul suo esempio hanno orientato le proprie azioni segnando positivamente la storia, diffondendo la parola del Vangelo, il bene e la giustizia.

Se dovesse camminare oggi per le vie di Milano, il Signore Gesù non troverebbe una situazione tanto dissimile da quella che ha presentato nella sua parabola. Scoprirebbe tanta buona semente gettata ovunque e incontrerebbe una città dal terreno promettente, dove il seme “germogliò e fruttò cento volte tanto”.

Milano è una città dove è forte l’impronta cristiana: il seme della Parola di Dio è stato qui diffuso con generosità ed efficacia anzitutto dai vescovi miei predecessori, pastori innamorati e fedeli al Signore. Penso ai santi Ambrogio e Carlo e – per arrivare ai nostri giorni – a Giovanni Battista Montini (poi papa Paolo VI), a Giovanni Colombo, a Carlo Maria Martini che confessava di “non avere altro che la Parola di Dio”.

Tale seminagione – condivisa con tanti sacerdoti, religiosi e religiose, fedeli laici – non solo ha edificato la comunità dei credenti, ma ha contribuito a modellare il volto buono della nostra Milano. I credenti ringrazino con me il Signore per coloro che, sostenuti dalla sua grazia, si sono fatti servi e strumenti del Vangelo. Anche chi sostiene di non credere riconosca il debito che la nostra Città deve a coloro che hanno speso in questo modo la propria vita.

Mille e più potrebbero essere le testimonianze, ma nell’anno che la Chiesa a lui dedica nel quattrocentesimo anniversario della sua canonizzazione, voglio ricordare san Carlo Borromeo: quanto sono ancora vivi oggi a Milano (e non solo) il suo esempio e la sua azione! Pensiamo al rigore con cui ha riformato la Chiesa e istruito il clero e i laici, alla definizione delle parrocchie che ha permesso la strutturazione del territorio, alle opere di carità che ha vissuto e promosso per far fronte ai bisogni della gente e alle loro povertà.

Davanti a sant’Ambrogio, che seppe attendere con sapienza, efficacia e giustizia sia alla dimensione religiosa della città sia a quella civile, vogliamo ricordare e ringraziare tutti gli amministratori pubblici che nel passato e fino a oggi si sono spesi per il bene di Milano e dei milanesi, rendendo possibile a ciascuno la realizzazione dei fondamentali, autentici, personali progetti di vita.

La testimonianza e l’esempio di questi santi vescovi e amministratori generosi e giusti, che nel tempo sono “usciti a seminare” la Parola di Dio e il bene comune, siano luce e guida per tutti noi nel servizio alla Città.

Cardinale Dionigi Tettamanzi, 6 dicembre 2010

martedì 7 dicembre 2010

455 - 8 DICEMBRE - IMMACOLATA CONCEZIONE

Immacolata, Pieter Rubens
.

Per essere la Madre del Salvatore, Maria « da Dio è stata arricchita di doni degni di una così grande missione».

L'angelo Gabriele, al momento dell'annunciazione, la saluta come « piena di grazia » (Lc 1,28). In realtà, per poter dare il libero assenso della sua fede all'annunzio della sua vocazione, era necessario che fosse tutta sorretta dalla grazia di Dio.

Nel corso dei secoli la Chiesa ha preso coscienza che Maria, « colmata di grazia » da Dio, era stata redenta fin dal suo concepimento. È quanto afferma il dogma dell'immacolata concezione, proclamato da papa Pio IX nel 1854: « La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale ».

Questi « splendori di una santità del tutto singolare » di cui Maria è « adornata fin dal primo istante della sua concezione » le vengono interamente da Cristo: ella è « redenta in modo così sublime in vista dei meriti del Figlio suo ». Più di ogni altra persona creata, il Padre l'ha « benedetta con ogni benedizione spirituale, nei cieli, in Cristo » (Ef 1,3). In lui l'ha scelta « prima della creazione del mondo, per essere » santa e immacolata « al suo cospetto nella carità » (Ef 1,4).

I Padri della Tradizione orientale chiamano la Madre di Dio « la Tutta Santa », la onorano come « immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa una nuova creatura ». Maria, per la grazia di Dio, è rimasta pura da ogni peccato personale durante tutta la sua esistenza.

«Avvenga di me quello che hai detto...»

All'annunzio che avrebbe dato alla luce « il Figlio dell'Altissimo » senza conoscere uomo, per la potenza dello Spirito Santo, Maria ha risposto con « l'obbedienza della fede » (Rm 1,5), certa che nulla è impossibile a Dio: « Io sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto » (Lc 1,38). Così, dando il proprio assenso alla parola di Dio, Maria è diventata Madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e senza essere ritardata da nessun peccato la volontà divina di salvezza, si è offerta totalmente alla persona e all'opera del Figlio suo, mettendosi al servizio del mistero della redenzione, sotto di lui e con lui, con la grazia di Dio onnipotente: « Come dice sant'Ireneo, "obbedendo divenne causa della salvezza per sé e per tutto il genere umano". Con lui, non pochi antichi Padri affermano: "Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l'obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la Vergine Maria ha sciolto con la sua fede", e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria "la Madre dei viventi" e affermano spesso: "La morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria" ».

(Catechismo della Chiesa Cattolica, nr. 491 – 494)

lunedì 6 dicembre 2010

454 - SANT'AMBROGIO - L'ELEZIONE EPISCOPALE

Ambrogio mentre celebra la Messa, mosaico
.

Milano 374. In una delle chiese della città, gremita fino all’inverosimile, presbiteri e laici, vecchi e giovani, cattolici e ariani stavano discutendo animatamente sul nome del successore del vescovo Assenzio (ariano) morto di recente. Era un po’ di tempo ormai che le due fazioni si affrontavano animatamente anche per le strade, con qualche pericolo per l’ordine pubblico.

Ambrogio, il governatore (della Lombardia, Liguria ed Emilia, con sede a Milano) si recò in quella chiesa per calmare gli animi e per incoraggiare il popolo a fare la scelta del nuovo vescovo in un clima di dialogo, di pace e di rispetto reciproco. Il popolo accolse le sue esortazioni, anche perché era un governatore imparziale, stimato e ben voluto dalla popolazione essendosi dedicato sempre al bene di tutti. La sua missione di funzionario pubblico sembrava compiuta e con successo, quando accadde l’imprevisto che gli cambierà completamente la vita.

Qualcuno dalla folla, sembra un bambino, gridò forte: “Ambrogio vescovo” e l’intera assemblea, cattolici e ariani, vecchi e giovani, presbiteri e laici, quasi folgorati da quel grido (era un’ispirazione dall’alto?) ripeterono a loro volta “Ambrogio vescovo”.

A furor di popolo, ecco trovata la soluzione allo spinoso problema. Tutti d’accordo sul nuovo vescovo: il loro governatore, anche se era un semplice catecumeno e per giunta senza ambizioni ecclesiastiche. E l’interessato? Per la verità non era proprio entusiasta. Proprio lui ancora semplice catecumeno e per di più a completo digiuno di teologia (quindi senza un’adeguata preparazione ad essere vescovo)? Sembrava tutto assurdo.

Si appellò all’imperatore Valentiniano protestando la propria inadeguatezza all’incarico “datogli” dal popolo. Non trovò una sponda favorevole nell’imperatore: anzi questi gli disse che si sentiva lui stesso lusingato per aver scelto un governatore “politico” (Ambrogio) che era stato ritenuto degno persino di svolgere l’ufficio episcopale (anche perché allora il vescovo di Milano aveva una specie di giurisdizione su quasi tutto il Nord Italia, quindi era un incarico molto prestigioso).

Ed Ambrogio accettò. Fu così che nel giro di una settimana venne battezzato e poi consacrato vescovo, il 7 dicembre del 374. Cominciava così per lui una seconda vita.

Ambrogio fece il governatore solo quattro anni, ma la sua opera fu molto incisiva. Era un uomo al di sopra delle parti e dei partiti, aveva costantemente l’occhio rivolto al bene di tutta la popolazione, non escludendo nessuno specialmente i poveri. Questo atteggiamento gli guadagnò non solo la stima ma addirittura l’affetto sincero di tutta la popolazione, senza distinzione. Possiamo dire che fece così bene il governatore che il Popolo di Dio (con l’imperatore e il Vescovo di Roma Papa Damaso) lo ritennero degno di fare il vescovo. Fatto vescovo, decise di rompere ogni legame con la vita precedente: donò infatti le sue ricchezze ai poveri, le sue terre e altre proprietà alla Chiesa, tenendo per sé solo una piccola parte per provvedere alla sorella Marcellina, che anni prima si era consacrata Vergine nella Basilica di San Pietro.

Consapevole della sua impreparazione culturale in campo teologico, si diede allo studio della Scrittura e alle opere dei Padri della Chiesa, in particolare Origene, Atanasio e Basilio. La sua vita era frugale e semplice, le sue giornate dense di incontri con la gente, di studio e di preghiera. Ambrogio studiava e poi faceva sostanza della sua preghiera ciò che aveva studiato, quindi, dopo aver pregato, scriveva e quindi predicava. Questo era il suo modo di porgere la Parola di Dio al popolo. Lo stesso Agostino d’Ippona ne rimase affascinato tanto da sceglierlo come maestro nella fede, proprio perché con il suo modo di fare e di predicare aveva contribuito alla sua conversione (insieme alla madre Monica, e naturalmente allo Spirito Santo).

Ogni giorno diceva la Messa per i suoi fedeli dedicandosi poi al loro servizio per ascoltarli, per consigliarli e per difenderli contro i soprusi dei ricchi. Tutti potevano parlargli in qualsiasi momento. Ed è anche per questo che il popolo non solo lo ammirava ma lo amava sinceramente.

È rimasto famoso il suo comportamento quando alcuni soldati nordici avevano sequestrato, in una delle loro razzie, uomini donne e bambini. Ambrogio non esitò a fondere i vasi sacri della chiesa per pagare il loro riscatto. E a coloro (gli ariani) che ebbero il coraggio di criticarlo per l’operato rispose:

“Se la Chiesa ha dell’oro non è per custodirlo, ma per donarlo a chi ne ha bisogno... Meglio conservare i calici vivi delle anime che quelli di metallo”.

Mario Scudu

453 - SANT'AMBROGIO - LA SUA AZIONE PASTORALE

Camillo Procaccini, Ambrogio ferma Teodosio sulla porta della Cattedrale
.

La Chiesa del tempo di Ambrogio attraversava una grave turbolenza dottrinale: la presenza cioè dell’eresia ariana, originata e predicata da Ario. Questi negava la divinità di Cristo e la sua consustanzialità col Padre, affermando che anche lui era una semplice creatura, scelta da Dio come strumento di salvezza. Come si vede un’eresia dirompente e devastante per la cristianità, che minacciava il centro stesso del Cristianesimo: Gesù Cristo, e questi Figlio di Dio.

Purtroppo ebbe molti seguaci anche nei ranghi alti delle autorità e cioè imperatori e imperatrici, governatori, ufficiali dell’esercito romano che la sostennero con il loro peso politico e militare. Ambrogio conosceva il problema già da governatore, ma dovette affrontarlo specialmente da vescovo di Milano scontrandosi addirittura con la più alta autorità: quella imperiale.

Nel 386 fu approvata una legge che autorizzava le assemblee religiose degli ariani e il possesso delle chiese, ma in realtà bandiva quelle dei cristiani cattolici. Pena di morte a chi non obbediva.

Ambrogio incurante della legge e delle conseguenze personali, si rifiutò di consegnare agli ariani anche una sola chiesa. Arrivarono le minacce contro di lui. Allora il popolo, temendo per il proprio vescovo, si barricò nella basilica insieme con lui. Le truppe imperiali circondarono e assediarono la chiesa, decisi a farli morire di fame. Ambrogio, per occupare il tempo, insegnò ai suoi fedeli salmi e cantici composti da lui stesso e raccontò al popolo tutto ciò che era accaduto tra lui e l’imperatore Valentiniano, riassumendo il tutto con la famosa frase: “L’imperatore è nella Chiesa, non sopra la Chiesa”.

Nel frattempo Teodosio il Grande, imperatore d’Oriente, dopo aver sconfitto e giustiziato l’usurpatore Massimo che aveva invaso l’Italia, reintegrò Valentiniano (facendogli abbandonare l’arianesimo) e si fermò per un po’ di tempo a Milano.

La riconoscenza di Ambrogio all’imperatore tuttavia non gli impedì di affrontarlo in ben due occasioni, quando ritenne che il suo comportamento era riprovevole e condannabile pubblicamente. Fu specialmente dopo l’infame massacro di Tessalonica del 390, in cui morirono più di settemila persone, tra cui molte donne e bambini, in rivolta per la morte del governatore. Furono uccisi tutti senza distinzione di innocenti e colpevoli. Ambrogio, inorridito per l’accaduto, insieme ai suoi collaboratori ritenne responsabile pubblicamente Teodosio stesso, invitandolo a pentirsi. Alla fine l’imperatore cedette e piegò la testa. Questo spiega la grande autorità morale di cui godeva il vescovo. Teodosio morì tre anni dopo e lui stesso ne fece un sincero elogio lodandone l’umiltà e il coraggio di ammettere le proprie colpe, additandone l’esempio anche agli inferiori.

Ambrogio non solo fu un baluardo a difesa della fede cattolica contro l’eresia ariana, ma si adoperò a difendere anche il Vescovo di Roma, Papa Damaso contro l’antipapa Ursino. Egli così riconosceva la funzione ed il primato del Vescovo della Città Eterna (in quanto successore di Pietro) come centro e segno di unità per tutti i cristiani.

È a lui che si deve la famosa frase che recita: “Ubi Petrus, ibi Ecclesia” (Dove c’è Pietro, lì c’è la Chiesa).

Mario Scudu

452 - SANT'AMBROGIO - LE SUE OPERE

Per i suoi molteplici scritti teologici e scritturistici è uno dei quattro grandi dottori della Chiesa d’Occidente, insieme a Gerolamo, Agostino e Gregorio Magno.

Del suo cristo-centrismo così ha scritto Giovanni Paolo II: “Al centro della sua vita, sta Cristo, ricercato e amato con intenso trasporto. A Lui, tornava continuamente nel suo insegnamento. Su Cristo si modellava pure la carità che proponeva ai fedeli e che testimoniava di persona... Del mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, Ambrogio parla con l’ardore di chi è stato letteralmente afferrato da Cristo e tutto vede nella sua luce”. Questo suo pensiero centrale può essere sintetizzato nella famosa frase del De Virginitate “Cristo per noi è tutto”.

Ambrogio visse e operò totalmente e incessantemente tutto per Cristo e tutto per la Sua Chiesa. Il suo amore a Cristo era inscindibile dal suo amore alla Chiesa. Operare per far crescere l’amore a Cristo significava per lui lavorare, soffrire, studiare, predicare, piangere, rischiare la vita davanti ai potenti del tempo per la Chiesa, popolo di Dio, perché Ambrogio era profondamente convinto che “Fulget Ecclesia non suo, sed Christi lumine” (La Chiesa risplende non di luce propria ma di quella di Cristo), senza dimenticare mai che “Corpus Christi Ecclesia est”, (Il Corpo di Cristo è la sua Chiesa), quindi i fedeli possono benissimo dire tutti: “Nos unum corpus Christi sumus”.

E per questi fedeli, che sono la Chiesa, che è il corpo di Cristo, e per amore di Cristo presente nella Sua Chiesa, Ambrogio vescovo lavorò, studiò, rischiò la vita, pianse, pregò, predicò, viaggiò e scrisse libri fino alla fine. Questa arrivò, per la verità non inaspettata, il 4 aprile, all’alba del Sabato Santo quando correva l’anno 397.

(Mario Scudu)

venerdì 3 dicembre 2010

451 - IV DOMENICA DI AVVENTO AMBROSIANO

Pedro Orrente, Ingresso di Gesù a Gerusalemme, 1620 circa, Hermitage, San Pietroburgo

.

La tradizione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana ha marcato questa domenica di Avvento con la proclamazione della pericope evangelica riguardante l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme letto in chiave di epifania del Messia e per orientare, così, la comprensione del mistero del Natale del Signore. Il Lezionario, pertanto, riporta i seguenti brani biblici:

Lettura: Isaia, 40,1-11: Il profeta è invitato da Dio a gridare, per ricordare all’uomo la sua precarietà e il suo venire meno, ma anche per annunciare che Dio viene a salvarlo. Preparare la via del Signore significa riconoscere la propria fragilità e attendere la sua salvezza.

Salmo 71: Vieni Signore, re di giustizia e di pace.

Epistola: Ebrei 10,5-9a: se la prima lettura insiste nell’atteggiamento di coloro che attendono il Veniente, la lettera agli Ebrei rivela quello di Colui che viene. Gesù viene a compiere la volontà del Padre e a farlo nel proprio corpo. L’offerta che deve vivere è quella di se stesso.

Vangelo: Matteo 21,1-9: L’ingresso a Gerusalemme è immagine del modo in cui Gesù sempre visita la nostra vita: come re, e solo Matteo precisa “re mite”. La sua mitezza si rivela nel fatto che egli slega l’asina così come fa con la nostra vita: solo la sua signoria ci rende liberi.

450 - L’INGRESSO MESSIANICO DEL SIGNORE

Il brano evangelico di Matteo 21,1-9 inaugura la sezione riguardante l’attività di Gesù in Gerusalemme (Mt 21,1-23,39) che prelude agli avvenimenti conclusivi della sua vita terrena con la sua morte e risurrezione. Viene proclamato in questa domenica con lo scopo di indirizzare i fedeli a vedere, nel Natale di Gesù, il compimento delle promesse riguardanti l’invio nel mondo del Messia e Salvatore del quale, il testo di Matteo, traccia un chiaro peculiare profilo. Il brano può essere così suddiviso: i primi tre versetti, con la precisa ambientazione dell’evento, descrivono i preparativi dell’“ingresso” di Gesù in Gerusalemme; i vv. 4-5 chiariscono, alla luce delle parole del profeta Zaccaria 9,9, l’identità del Messia che entra nella Città santa; i vv. 6-9, infine, descrivono i fatti legati all’ingresso del Signore, ponendo in rilievo il ruolo dei discepoli (vv. 6-7) e quello della folla con le acclamazioni di lode e di giubilo mutuate dal Salmo 118,25.Proclamato nel tempo di Avvento, il presente brano evangelico, preludio alla passione, morte e risurrezione del Signore, va letto specialmente nella sua capacità di tracciare l’identità del Messia del quale l’evangelista Matteo rimarca i tratti della “mitezza” e della “mansuetudine”. Non a caso nella citazione del profeta Zaccaria al v. 5 viene dato risalto unicamente al carattere “pacifico” della venuta del Messia in mezzo al suo popolo e alla sua mansuetudine con il rilievo dato alla cavalcatura da lui scelta: “un’asina” con il suo “puledro” e non splendidi cavalli come erano soliti fare i re dell’epoca. I Padri e gli antichi scrittori cristiani hanno poi visto rappresentati “nell’asina” e nel suo “piccolo” rispettivamente il popolo di Dio della Prima Alleanza e quello preso da tutte le “genti”. Gesù, il Messia, viene, perciò, a portare “pace” e salvezza a tutti i popoli della terra.Tali tratti caratterizzanti il Messia sono pure riscontrabili nell’annunzio profetico che è risuonato nelle prime parole della Lettura: «Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta»; e specialmente in quelle conclusive: «Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Isaia 40,1-2.11).Le Divine Scritture, in tal modo, imprimono nei nostri cuori un impulso interiore capace di orientarli verso Gesù, il Signore, che nel mistero del suo primo ingresso nel mondo, viene nella amabilità e nella piccolezza del Bambino. Egli, in verità, viene a recare salvezza, liberazione, redenzione come canta il Prefazio della Messa: «...nella pienezza dei tempi hai mandato (o Dio) lo stesso tuo Verbo nel mondo perché, vivendo come uomo tra noi, ci aprisse il mistero del tuo amore paterno e, sciolti i legami mortali del male, ci infondesse di nuovo la vita eterna del cielo». Tutto ciò induce a unire le nostre voci a quelle della moltitudine di Gerusalemme (Matteo 21,9) nel lodare e “benedire” Dio per aver mandato il Messia, il suo figlio Gesù come nostra “salvezza”. In pari tempo comprendiamo che viene chiesto anche a noi di assumere lo stesso atteggiamento del “re di pace”: imparare cioè a vivere come uomini di pace nella mansuetudine e nella mitezza e, soprattutto, accettare di vivere in questo mondo con gli stessi sentimenti e atteggiamenti del Figlio di Dio così riassunti nell’Epistola: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà» (Ebrei 10,9).(A. Fusi)

giovedì 2 dicembre 2010

449 - VERSO IL SIGNORE CHE VIENE

Anch’io sono perduto, Signore,

quando la tristezza oscura il mio volto

e la mancanza di coraggio mi impedisce

di alzare gli occhi

verso la luce.

Anch’io sono perduto, Signore,

quando la collera e il rancore

sfigurano i miei tratti

e cambiano il mio sguardo.

Anch’io sono perduto, Signore,

quando le mie parole feriscono

e le mie critiche demoliscono

senza lasciare aperto

nessuno spiraglio.

Ma io ti ritrovo, Signore,

quando il sorriso e la gioia

di vivere illuminano

i miei occhi in uno scoppio di risa.

Ma io ti ritrovo, Signore,

quando trovo la forza

di fare il primo passo

e di tendere la mano,

per amore, solo per amore.

Ma io ti ritrovo, Signore,

quando tu mi accogli, senza condizioni,

spalancando

le tue grandi braccia di padre.

(Christine Reinbolt)