Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 27 ottobre 2012

743 - I DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE

Il brano di Marco 16,14b-20 riporta l’apparizione del Signore Risorto agli Undici, i quali vengono dapprima rimproverati per non aver prestato fede a Maria di Magdala e agli altri due discepoli che annunciarono loro la sua risurrezione (vv. 9-13). Segue il mandato di portare il Vangelo ovunque e a tutti gli uomini e l’ordine di battezzare quanti avranno creduto (vv. 15-16). I vv. 17-18 riportano le nuove facoltà in possesso dei credenti in vista della loro missione. Dopo aver fugacemente accennato all’ascensione del Signore (v. 19), si dà conto, al v. 20, dell’esecuzione immediata del mandato missionario che i discepoli svolgono “insieme” al Signore, che dava efficacia all’annunzio della Parola.
L’ultimo scorcio del Tempo dopo Pentecoste ci fa sostare ogni anno sul “grande mistero” che è la Chiesa, la quale riconosce la sua origine nel mistero pasquale del Signore Crocifisso e Risorto ed è perennemente animata dal soffio del suo Santo Spirito. 
Lo Spirito, infatti, rende viva la Parola del Risorto che, inviando i suoi apostoli, in realtà manda incessantemente i discepoli di ogni tempo, a portare su tutta la terra la bella e buona notizia che lui ha vinto le tenebre del male e della morte e che, in lui, è possibile non solo vincere la morte, ma accedere definitivamente alla vita beata, ovvero alla salvezza.
È oggi più che mai necessario che tutti i fedeli si riconoscano negli Undici e, dunque, avvertano come rivolta a sé stessi la parola del Signore: «Andate in tutto il mondo...» (Vangelo: Marco 16, 15). Sono infatti questi i giorni nei quali ogni discepolo del Signore sente fortemente urgere nel cuore l’imperativo del mandato missionario verso ogni uomo oggetto di quella volontà di Dio che vuole tutti salvi e capaci di giungere alla «conoscenza della verità» (Epistola: 1Timoteo 2,4), che consiste nella rivelazione folgorante e insuperabile della sua incredibile carità fissata nella Croce del suo Figlio. In essa, rappresentata efficacemente dal fonte battesimale, vengono letteralmente immersi quanti aprono il cuore alla predicazione del Vangelo (Marco 16,16).
Tutto ciò deve scuotere le nostre comunità e, in esse, ogni fedele perché il Signore non debba rimproverarci «per la nostra incredulità e durezza di cuore» (Marco 16,14) e per l’opacità della nostra vita che manifesta la debolezza della nostra fede. Non a caso l’iniziativa dell’Anno della fede, voluta dal Papa, ci esorta con forza a riscoprire, assimilare e confessare con gioia la nostra fede per poterla mostrare nella vita e nella condotta e così più efficacemente annunziarla a quanti incontriamo sul nostro cammino ovvero a quanti il Signore ci manda ad affiancare nel loro cammino.
Siamo noi, oggi, i continuatori del servizio “diaconale” di Filippo, che ci pone al fianco di tanta gente in attesa di una parola che apra il loro cuore alle meraviglie dell’universale carità di Dio che è incredibilmente posta in Colui che «come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa» (Lettura: Atti degli Apostoli 8,32), il Signore Crocifisso.
Questo è il Vangelo che siamo mandati ad annunciare perché chi ascolta e crede sia rigenerato dalla divina Carità per diventare “discendenza” dell’Agnello immolato e risorto, formando in tal modo il suo popolo, la sua Chiesa.
Il nostro raduno eucaristico, specialmente nel giorno di domenica, annunzia e anticipa l’ingresso di tutte le genti mediante la fede e il battesimo in quell’unica Chiesa che «il Signore Gesù trasse da tutte le genti» ed «efficacemente avvera» nel «sacramento del Corpo di Cristo» la sua unione d’amore così profonda al punto da essere paragonata a una sposa che si unisce al suo sposo (Prefazio).
Avvertiamo, così, la grande responsabilità che grava su tutti noi che ci sediamo al banchetto dell’Agnello per essere uniti a lui, e di conseguenza, tra di noi, in un vincolo indissolubile di carità!
Esso, se vissuto con fedeltà, rappresenta l’annuncio più efficace e comprensibile dell’Evangelo. Ci venga per questo in aiuto la grazia misericordiosa del nostro Dio che così invochiamo: «O Dio fonte del vero amore e della pace, donaci di conservare sempre più radicato nel cuore e nella vita l’impegno di unione e di carità» (Orazione Sui Doni).
A. Fusi

domenica 21 ottobre 2012

742 - SAN GIOVANNI BATTISTA PIAMARTA


Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!
Oggi la Chiesa ascolta ancora una volta queste parole di Gesù, pronunciate durante il cammino verso Gerusalemme, dove si doveva compiere il suo mistero di passione, morte e risurrezione. Sono parole che contengono il senso della missione di Cristo sulla terra, segnata dalla sua immolazione, dalla sua donazione totale. In questa terza domenica di ottobre, nella quale si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, la Chiesa le ascolta con particolare intensità e ravviva la consapevolezza di essere tutta intera in perenne stato di servizio all’uomo e al Vangelo, come Colui che ha offerto se stesso fino al sacrificio della vita.
Rivolgo il mio saluto cordiale a tutti voi, che riempite Piazza San Pietro, in particolare le Delegazioni ufficiali e i pellegrini venuti per festeggiare i sette nuovi Santi. Saluto con affetto i Cardinali e i Vescovi che in questi giorni stanno partecipando all’Assemblea sinodale sulla Nuova Evangelizzazione. E’ felice la coincidenza tra questa Assise e la Giornata Missionaria; e la Parola di Dio che abbiamo ascoltato risulta illuminante per entrambe. Essa mostra lo stile dell’evangelizzatore, chiamato a testimoniare ed annunciare il messaggio cristiano conformandosi a Gesù Cristo, seguendo la sua stessa vita. Questo vale sia per la missione ad gentes, sia per la nuova evangelizzazione nelle regioni di antica cristianità.
Il Figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (cfr Mc 10, 45).
Queste parole hanno costituito il programma di vita dei sette Beati che oggi la Chiesa iscrive solennemente nella gloriosa schiera dei Santi. Con eroico coraggio essi hanno speso la loro esistenza nella totale consacrazione a Dio e nel generoso servizio ai fratelli. Sono figli e figlie della Chiesa, che hanno scelto la vita del servizio seguendo il Signore. La santità nella Chiesa ha sempre la sua sorgente nel mistero della Redenzione, che viene prefigurato dal profeta Isaia nella prima Lettura: il Servo del Signore è il Giusto che «giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità» (Is 53,11), questo Servo è Gesù Cristo, crocifisso, risorto e vivo nella gloria. L’odierna canonizzazione costituisce un’eloquente conferma di tale misteriosa realtà salvifica. La tenace professione di fede di questi sette generosi discepoli di Cristo, la loro conformazione al Figlio dell’Uomo risplende oggi in tutta la Chiesa.
Giovanni Battista Piamarta, sacerdote della diocesi di Brescia, fu un grande apostolo della carità e della gioventù. Avvertiva l’esigenza di una presenza culturale e sociale del cattolicesimo nel mondo moderno, pertanto si dedicò all’elevazione cristiana, morale e professionale delle nuove generazioni con la sua illuminata carica di umanità e di bontà. Animato da fiducia incrollabile nella Divina Provvidenza e da profondo spirito di sacrificio, affrontò difficoltà e fatiche per dare vita a diverse opere apostoliche, tra le quali: l’Istituto degli Artigianelli, l’Editrice Queriniana, la Congregazione maschile della Santa Famiglia di Nazareth e la Congregazione delle Umili Serve del Signore. Il segreto della sua intensa ed operosa vita sta nelle lunghe ore che egli dedicava alla preghiera. Quando era oberato di lavoro, aumentava il tempo per l’incontro, cuore a cuore, con il Signore. Preferiva le soste davanti al santissimo Sacramento, meditando la passione, morte e risurrezione di Cristo, per attingere forza spirituale e ripartire alla conquista del cuore della gente, specie dei giovani, per ricondurli alle sorgenti della vita con sempre nuove iniziative pastorali.

Cari fratelli e sorelle! Questi nuovi Santi, diversi per origine, lingua, nazione e condizione sociale, sono uniti con l’intero Popolo di Dio nel mistero di salvezza di Cristo, il Redentore. Insieme a loro, anche noi qui riuniti con i Padri sinodali venuti da ogni parte del mondo, con le parole del Salmo proclamiamo al Signore che «egli è nostro aiuto e nostro scudo», e lo invochiamo: «Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo» (Sal 32,20-22). Possa la testimonianza dei nuovi Santi, della loro vita generosamente offerta per amore di Cristo, parlare oggi a tutta la Chiesa, e la loro intercessione possa rafforzarla e sostenerla nella sua missione di annunciare il Vangelo al mondo intero.
Omelia di papa Benedetto XVI, 21 ottobre 2012
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L'intera cerimonia al link:

sabato 20 ottobre 2012

741 - DOMENICA 21 OTTOBRE PADRE PIAMARTA SANTO!


Significato del Logo della canonizzazione di Padre Giovanni Piamarta.
Le due P, iniziali di Padre Piamarta, si trasformano nell’abbraccio del Padre (prima P) ad un giovane (seconda P). Un abbraccio paterno e materno, che non guarda ai meriti di nessuno, ma che fa nascere pane e lavoro (il caschetto/pagotta ai piedi delle due PP) forza di vita e canto di gioia.
Tutto questo all’ombra della croce che è stata luce per Padre Piamarta e dalla quale ha preso forza per scrivere tutta la sua vita (firma)
I colori poi del cerchio e della croce sono cinque e rappresentano le cinque nazioni dove i figli di padre Piamarta continuano la sua missione e la sua dedizione (Italia, Brasile, Cile, Angola e Mozambico). Un cerchio però aperto al desiderio di vivere come Piamarta sulla via della PIETAS e del LABOR.

giovedì 18 ottobre 2012

740 - BEATIFICAZIONE DI PADRE PIAMARTA - 12 OTTOBRE 1997

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In  preparazione della ormai prossima canonizzazione di padre Giovanni Piamarta, ricordiamo il momento della sua beatificazione con alcuni cenni biografici per conoscere la sua figura e la sua missione.

mercoledì 17 ottobre 2012

739 - TRA POCHI GIORNI LA CANONIZZAZIONE DI PADRE PIAMARTA


Le facce di una medaglia, che celebra la grandezza dell'umile apostolo della gioventù, dichiarato "Beato" da papa Giovanni Paolo II, e che raccontano l'itinerario della sua santità: dall'accoglienza dei "piccoli" alla gloria di chi contempla la Verità.
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Autore dell'opera: Maffeo Ferrari

738 - DAL DIARIO DI PADRE PIAMARTA

“Dopo quasi un’ora di ostinata lotta con la penna” riesco a scrivere alcune righe, “mentre mi si stava per poco recitando il “De profundis”.
L’11 gennaio ho subito un insulto apoplettico, che mi tolse la parola per un paio di giorni. Dovevo essere davvero conciato male se il Cittadino di Brescia si sentiva in obbligo di tranquillizzare i lettori, affermando che “il Direttore dell’Istituto Artigianelli è assai migliorato, restandogli ora un poco di inceppamento della parola” e se i miei collaboratori si sentivano in dovere di ringraziare le molte “benevole persone”che si sono interessate della mia salute. In attesa di “ricuperare la completa guarigione” e di “ottenere la grazia plenaria della perfetta libertà di parola, parlata e scritta”, non posso non ringraziare il Signore per gli anni di servizio della mia parola alla Sua Parola.
Non sono mai stato un predicatore di cartello, ma ho avuto la sensazione di essere ascoltato volentieri dal popolo e di essere di utilità per miei ragazzi e giovani. Questi, quando ritornano, mi ricordano non poche parole che sono rimaste impresse, parole che sovente avevo la sensazione di spargere al vento per l’apparente scarsa attenzione prestata. E’ una conferma che a noi tocca seminare, anche se i frutti non sono immediati, ma verranno col tempo.
I giovani ascoltano più di quanto non sembri: solo che non vogliono dare la soddisfazione di farlo vedere, quasi per affermare la loro autonomia. Noi educatori non siamo come i lavoratori dell’industria che operano per vedere subito i frutti. Siamo piuttosto come i contadini che seminano con fiducia sapendo che il frutto verrà a “suo tempo”. E’ una convinzione da radicare anche nei giovani, i quali pure devono lavorare sui tempi lunghi della preparazione al loro futuro: Lavorare e faticare oggi per avere frutti in un domani non immediatamente a portata di mano. Il volere tutto e subito, forzando i tempi, produce frustrazione, scoraggiamento e tentazioni di abbandonare l’impresa.
Le parole che sfuggono
Ora che faccio fatica a parlare mi vengono in mente le parole che mi sono sfuggite e non dovevo pronunciare, quando parlavo speditamente. Il mio carattere impulsivo è sempre stato un problema per me, perché non è mai stato facile dominarmi.
Fin da giovane avevo preso ad esempio San Francesco di Sales che era considerato il santo della mitezza, ma che aveva dovuto lottare per più di venti anni per dominare la sua indole irascibile. Beato lui che ha impiegato solo venti anni! Quante volte ho dovuto fuggire in chiesa per evitare una scenata e per calmarmi!
E quante volte ho chiesto scusa per aver trasceso o esagerato nel rimprovero. Mi sono ripromesso di seguire le sagge indicazioni dei Padri del deserto: “Sotto l’effetto della collera, non fare nulla. Taci, perché tacendo vinci più facilmente”. E ancora: ”Occorre, fin dove è possibile, impedire all’ira di penetrare fino al cuore; se essa c’è già, fare in modo che non si manifesti sul volto; e se si mostra, controllare la lingua per cercare di preservarla; se è già sulle labbra, impedirle di passare agli atti. E sempre vigilare a eliminarla il più presto possibile dal proprio cuore”.
Il focoso apostolo San Paolo aveva gli stessi miei problemi…forse la famosa spina piantata nella carne…o schiaffo di Satana…era proprio quel suo carattere impetuoso… ..
Spero di riprendere la parola per poter parlare con più filtri, ma…non certamente con meno franchezza, sincerità e coraggio!
Brescia 2 marzo 1910
Dal “Diario” di Padre Piamarta

venerdì 12 ottobre 2012

737 - VII DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Il brano evangelico di Matteo (13, 24-43) proclamato riporta tre delle “parabole del regno” che occupano l’intero tredicesimo capitolo. Si tratta della parabola della zizzania (vv. 24-30) che Gesù stesso spiega ai suoi discepoli una volta congedata la folla ed entrato «in casa», allusione, questa, alla Chiesa, la Comunità del Signore (vv. 36-43), della parabola del grano di senape (vv. 31-32) e di quella del lievito (v. 33). L’evangelista non manca di spiegare perché Gesù si serva del linguaggio parabolico per parlare alle folle del regno di Dio mediante il ricorso alla citazione del Salmo 78,2 (vv. 34-35).
L’immagine del Regno, di cui parlano le tre parabole del testo evangelico odierno, appartiene di per sé alla dimensione terrena, ma riceve un significato nuovo in quanto Gesù la assume per indicare la piena e definitiva sovranità di Dio sul mondo e sulla storia.
Di conseguenza, occorre andare oltre la categoria mondana e ben nota del regno e, a questo, provvede Gesù stesso ricorrendo al linguaggio parabolico. Egli infatti paragona il regno dei cieli «a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo» (Vangelo: Matteo 13,24). In quel seminatore riconosciamo Gesù stesso (v. 37) che nella sua esistenza terrena ha seminato il buon seme della sua Parola e della sua stessa vita come autentici “germogli” del regno destinato a manifestarsi in pienezza alla fine del mondo ossia nell’ora della sua parusia ovvero del suo secondo e definitivo ritorno per il giudizio (cfr. v. 30).
Gesù, dunque, nel mistero della sua incarnazione, morte, risurrezione e ritorno glorioso alla fine dei tempi “è” il regno dei cieli piantato come buon seme nel campo che è il mondo e, in esso, l’intera umanità. Esso, però, e quanti accogliendo il seme della sua Parola sono diventati a loro volta buon seme, deve fare i conti con un altro seme, quello della zizzania, un’erbaccia nella quale Gesù vede raffigurati i figli del Maligno intenti a impedire e a soffocare la crescita del seme buono dei credenti (v. 38). Nella zizzania sono raffigurati coloro che si lasciano sedurre dalla predicazione mondana che si oppone risolutamente a quella evangelica e vivono nell’incredulità e nella ricerca egoistica di sé che genera nell’uomo ogni sorta di male e di peccato.
Il messaggio altamente positivo che questa domenica fa risuonare al nostro cuore è che la semina del buon seme è fruttificata nella vita di tanti uomini e donne che, lungo i secoli, hanno accolto il Vangelo predicato da un’infinita serie di collaboratori di Dio e, a ragione, perciò, sono anche chiamati “campo di Dio” ed “edificio di Dio” (Epistola: 1 Corinzi 3,9).
Il campo e l’edificio di Dio, lo sappiamo, è la Chiesa, la comunità piantata e irrigata dai suoi collaboratori quali, in primo luogo, gli Apostoli e, dopo di essi, i Vescovi loro successori, e tutti i Missionari del Vangelo. Ma è Dio stesso a edificarla sul fondamento che è Gesù Cristo (v. 11) e a farla crescere e prosperare. Essa sa di essere, per grazia, un riflesso del regno dei cieli, ma è ben consapevole di dover vivere e di svilupparsi in questo mondo accanto e insieme alla zizzania. La Chiesa, inoltre, sa di portare in sé la presenza autentica del regno ma nella consistenza di un granello di senape che «è il più piccolo di tutti i semi» (Matteo 13,32) o di una piccola porzione di lievito mescolato «in tre misure di farina» (v. 33).
Questa lezione che viene direttamente dalla bocca del Signore Gesù insegna alla sua comunità a ritenersi in effetti un germoglio del Regno, ma umile e piccolo e, perciò, tanto autentico quanto sa svilupparsi con pazienza accanto alla zizzania senza la tentazione di sostituirsi a Dio nel giudizio su di essa (cfr. vv. 28-30)!
In tal modo la comunità del Signore fa intravedere all’umanità e alla storia la novità profeticamente annunciata: «Ecco, io faccio una cosa nuova» (Lettura: Isaia 43,19) e già riscontrabile proprio in essa, irrigata e dissetata dal fiume della Parola divina capace di far fiorire il deserto che è questo mondo arido, violento, pericoloso e addirittura di trasformare la zizzania in buon grano da riporre nei granai del cielo e, dunque, di fare dell’intera umanità il “suo” popolo, quello “eletto”, perché canti le sue lodi (cfr. vv. 20-21).
A. Fusi

martedì 9 ottobre 2012

736 - L'ANNO DELLA FEDE



Con la Lettera apostolica Porta Fidei dell’11 ottobre 2011, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo.
Quest’anno sarà un’occasione propizia perché tutti i fedeli comprendano più profondamente che il fondamento della fede cristiana è «l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Fondata sull’incontro con Gesù Cristo risorto, la fede potrà essere riscoperta nella sua integrità e in tutto il suo splendore. «Anche ai nostri giorni la fede è un dono da riscoprire, da coltivare e da testimoniare», perché il Signore «conceda a ciascuno di noi di vivere la bellezza e la gioia dell’essere cristiani».
L’inizio dell’Anno della fede coincide con il ricordo riconoscente di due grandi eventi che hanno segnato il volto della Chiesa ai nostri giorni: il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, voluto dal beato Giovanni XXIII (11 ottobre 1962), e il ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, offerto alla Chiesa dal beato Giovanni Paolo II.
Il Concilio, secondo il Papa Giovanni XXIII, ha voluto «trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», impegnandosi affinché «questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo». Al riguardo, resta di importanza decisiva l’inizio della Costituzione dogmatica Lumen Gentium: «Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16, 15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa». A partire dalla luce di Cristo che purifica, illumina e santifica nella celebrazione della sacra liturgia (cfr Costituzione Sacrosantum Concilium) e con la sua parola divina (cfr Costituzione dogmatica Dei Verbum), il Concilio ha voluto approfondire l’intima natura della Chiesa (cfr Costituzione dogmatica Lumen Gentium) e il suo rapporto con il mondo contemporaneo (cfr Costituzione pastorale Gaudium et Spes). Attorno alle sue quattro Costituzioni, veri pilastri del Concilio, si raggruppano le Dichiarazioni e i Decreti, che affrontano alcune delle maggiori sfide del tempo.
Dopo il Concilio, la Chiesa si è impegnata nella recezione e nell’applicazione del suo ricco insegnamento, in continuità con tutta la Tradizione, sotto la guida sicura del Magistero. Per favorire la corretta recezione del Concilio, i Sommi Pontefici hanno più volte convocato il Sinodo dei Vescovi, istituito dal Servo di Dio Paolo VI nel 1965, proponendo alla Chiesa degli orientamenti chiari attraverso le diverse Esortazioni apostoliche post-sinodali. La prossima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, nel mese di ottobre 2012, avrà come tema: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.
Sin dall’inizio del suo Pontificato, Papa Benedetto XVI si è impegnato decisamente per una corretta comprensione del Concilio, respingendo come erronea la cosiddetta «ermeneutica della discontinuità e della rottura» e promuovendo quella che lui stesso ha denominato «l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino».
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, ponendosi in questa linea, da una parte è un «autentico frutto del Concilio Vaticano II», e dall’altra intende favorirne la recezione. Il Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985, convocato in occasione del ventesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II e per effettuare un bilancio della sua recezione, ha suggerito di preparare questo Catechismo per offrire al Popolo di Dio un compendio di tutta la dottrina cattolica e un testo di sicuro riferimento per i catechismi locali. Il Papa Giovanni Paolo II ha accolto tale proposta quale desiderio «pienamente rispondente a un vero bisogno della Chiesa universale e delle Chiese particolari». Redatto in collaborazione con l’intero Episcopato della Chiesa Cattolica, questo Catechismo «esprime veramente quella che si può chiamare la “sinfonia” della fede».
Il Catechismo comprende «cose nuove e cose antiche (cfr Mt 13, 52), poiché la fede è sempre la stessa e insieme è sorgente di luci sempre nuove. Per rispondere a questa duplice esigenza, il Catechismo della Chiesa Cattolica da una parte riprende l’”antico” ordine, quello tradizionale, già seguito dal Catechismo di san Pio V, articolando il contenuto in quattro parti: il Credo; la sacra Liturgia, con i sacramenti in primo piano; l’agire cristiano, esposto a partire dai comandamenti; ed infine la preghiera cristiana. Ma, nel medesimo tempo, il contenuto è spesso espresso in un modo “nuovo”, per rispondere agli interrogativi della nostra epoca». Questo Catechismo è «uno strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale» e «una norma sicura per l’insegnamento della fede». In esso i contenuti della fede trovano «la loro sintesi sistematica e organica. Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede».
L’Anno della fede vuol contribuire ad una rinnovata conversione al Signore Gesù e alla riscoperta della fede, affinché tutti i membri della Chiesa siano testimoni credibili e gioiosi del Signore risorto nel mondo di oggi, capaci di indicare alle tante persone in ricerca la “porta della fede”. Questa “porta” spalanca lo sguardo dell’uomo su Gesù Cristo, presente in mezzo a noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Egli ci mostra come «l’arte del vivere» si impara «in un intenso rapporto con lui». «Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede».
Per incarico di Papa Benedetto XVI, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha redatto, in accordo con i competenti Dicasteri della Santa Sede e con il contributo del Comitato per la preparazione dell’Anno della fede[16], la presente Nota con alcune indicazioni per vivere questo tempo di grazia, senza precludere altre proposte che lo Spirito Santo vorrà suscitare tra i Pastori e i fedeli nelle varie parti del mondo.
(Indicazioni pastorali per l’anno della fede) 

 

735 - 11 OTTOBRE: INIZIA L'ANNO DELLA FEDE

Su un campo quadrato, bordato, è simbolicamente rappresentata una barca, immagine della Chiesa, in navigazione su dei flutti graficamente appena accennati, e il cui albero maestro è una croce che issa delle vele che con dei segni dinamici realizzano il trigramma di Cristo; inoltre lo sfondo delle vele è un sole che associato al trigramma rimanda anche all'eucaristia.

domenica 7 ottobre 2012

734 - OTTOBRE MESE DEL ROSARIO

Il rosario è una preghiera che richiede una certa calma, una certa distensione, l'acquisizione di ritmi che ci permettano di entrare in uno stato vero di preghiera, e non soltanto di recita verbale... bisogna soprattutto badare non tanto alla qualità delle cose, quanto ad un vero ritmo, che allora davvero nutre il nostro spirito, ci entra dentro.
(Carlo Maria Martini, Le virtù del cristiano)

sabato 6 ottobre 2012

733 - VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Il brano evangelico di Matteo 20,1-16, introdotto dalla formula: «Il regno dei cieli è simile a» (v. 1a), riporta una delle parabole più avvincenti relative al Regno! Il racconto, nella sua prima parte (vv. 1b-7), è chiaramente imperniato sulle prime quattro uscite del padrone della vigna per assumere operai con i quali concorda un congruo compenso per il lavoro svolto (vv. 1b-5) e su una quinta e ultima uscita intorno alle cinque del pomeriggio, dunque a giornata lavorativa quasi conclusa, senza però concordare il compenso (vv. 6-7). La seconda parte (vv. 8-15) è introdotta dalla connotazione temporale: «venuta la sera» e dall’ordine impartito dal padrone al suo amministratore di effettuare il pagamento degli operai «cominciando però dagli ultimi» (vv. 8-9). Il v. 12 registra la protesta degli operai della prima ora nel constatare di essere pagati come quelli che «hanno lavorato un’ora sola». I vv. 13-15 riportano la risposta del padrone che rende ragione del suo operato apparentemente ingiusto e nel quale, in verità, si cela l’agire di Dio sorprendentemente buono e generoso con tutti specialmente se considerati ultimi e peccatori . Viene in tal modo superato il concetto di giustizia concepito come precisa corrispondenza tra diritti e doveri. Non è così presso Dio! Il brano si conclude al v. 16 con la nota riguardante la classificazione di primi e ultimi agli occhi di Dio. 
In questa domenica le divine Scritture tracciano un profilo del discepolo del Signore chiamato da tutti i popoli e da tutte le culture, come afferma il testo profetico, e a «tutte le ore», come intendiamo dalla parabola evangelica.
Con ciò è evidente la gratuità totale della nostra chiamata, dalla miseranda nostra condizione di “pagani” a seguire il Signore come insegna l’Epistola paolina! Ed è proprio la gratuità inspiegabile della grazia divina all’origine dell’appello rivolto ai «superstiti delle nazioni» a volgersi a Dio per ottenere salvezza (Lettura: Isaia 45,20).
Una gratuità che è rivelata in pienezza e definitivamente dal Signore Gesù che manifesta un Dio non legato a schemi mondani del merito e della ricompensa, ma assolutamente disposto a fare grazia, a offrire la sua salvezza a tutti con particolare preferenza per quanti, dal citato schema mondano, sono considerati immeritevoli e, dunque, esclusi.
Gesù chiede a tutti noi di accogliere Dio così com’è: buono! (v. 15) rifuggendo da ogni tentativo di avere qualcosa da rivendicare davanti a lui e dal covare risentimento nell’animo per il suo agire umanamente incomprensibile. 
È una lezione imparata personalmente dall’Apostolo e che egli non cessa di impartire nelle sue Lettere, quella che vede i «senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio» (Epistola: Efesini 2,12), vale a dire la moltitudine dei popoli pagani ritenuti «lontani» e ora «diventati vicini grazie al sangue di Cristo» (v. 13) e dunque pienamente partecipi della salvezza operata nella sua Pasqua (v. 6).
È la lezione che nessuno di noi può e deve dimenticare. Al contrario, in questi nostri giorni attraversati da tanta incertezza e inquietudine, occorre annunciare con gioia la grandezza del nostro Dio che fa di tutto per mostrare, fino alla fine dei secoli, la «straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù» (v. 7).
Via da noi, pertanto, quella mentalità tanto cara al nostro modo di vedere le cose e che vorrebbe persino “regolare” l’agire di Dio costringendolo nei nostri schemi. Deve essere a tutti chiaro che nessun uomo può reclamare qualcosa o pensare di avere qualche credito da vantare davanti a lui. Il fatto di essere stati chiamati alla fede , a far parte della Chiesa e, perciò, a divenire “candidati” del Regno, non è frutto dei nostri meriti ma dono esclusivo di Dio. Un dono che egli vuole partecipare al maggior numero di uomini perché frutto nientemeno che del sangue del suo Figlio, nel quale brilla la sua bontà che lo porta a essere generoso con tutti e specialmente con quanti secondo i criteri umani di giudizio non sono meritevoli di ciò.
Tocca alla Chiesa perseverare nell’incessante gioiosa proclamazione della bontà di Dio che apre a tutti le porte del suo Regno. Si realizzerà così il desiderio profondo del cuore paterno di Dio svelato dalla parola profetica: «Volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti i confini della terra» (Isaia 45,22). Per questo, prima di accostarci alla mensa eucaristica che annunzia quella del Regno, abbiamo così pregato: «Annunzierò, o Dio, le tue gesta mirabili, gioisco in te ed esulto, canto inni al tuo nome, o Altissimo» (Canto Allo Spezzare del Pane).
A. Fusi

mercoledì 3 ottobre 2012

732 - SAN FRANCESCO

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O santissimo Padre nostro,
creatore, redentore,
consolatore e salvatore nostro…
Venga il tuo regno,
affinché tu regni in mezzo a noi
per mezzo della grazia
e ci faccia giungere
nel tuo regno,
dove la visione di te
è senza veli,
l’amore di te è perfetto,
la comunione con te è beata,
il godimento di te
senza fine.
San Francesco

731 - LA BASILICA DI SAN FRANCESCO AD ASSISI


La Basilica di San Francesco costituisce uno dei più splendidi ed originali complessi che l’arte italiana abbia saputo realizzare, arricchito dagli affreschi di tutte le maggiori scuole pittoriche del ‘200 e del ‘300. La costruzione fu ideata da frate Elia, per dare degna sepoltura e glorificazione a San Francesco. I lavori presero avvio il 17 luglio 1228, l’indomani della canonizzazione del Poverello di Assisi. Si tratta di una duplice basilica sovrapposta ad una cripta. Quella inferiore venne terminata nel 1230. La Basilica superiore esalta la gloria di Francesco. Fu completata intorno al 1253 ed è fra le più importanti creazioni gotiche italiane. Di Cimabue sono i vari cicli del transetto, nella navata spicca il grande ciclo di 28 affreschi giotteschi raffiguranti episodi di vita del Poverello.
Il corpo di San Francesco venne trasportato in questo luogo il 25 maggio 1230, ma vi restò nascosto per sei secoli. Il 12 dicembre 1818 fu ritrovato e per custodirlo degnamente venne costruita la cripta.