Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

domenica 30 settembre 2012

730 - RICORDANDO IL CARD. MARTINI


729 - 1 OTTOBRE: CELEBRAZIONI IN SUFFRAGIO DEL CARD.MARTINI

Il cardinale Angelo Scola chiede a tutte le comunità della Diocesi di celebrare la messa di suffragio per il cardinale Carlo Maria Martini nel trigesimo della sua morte, lunedì 1 ottobre.
La celebrazione locale continua un evento che ha radunato tanta gente in occasione della celebrazione delle esequie: è un invito a riconoscere l’abbondante seminagione con cui l’episcopato del cardinale Martini ha fecondato la vita diocesana in modo capillare, con un intenso coinvolgimento personale, con intuizioni e prospettive universali.
Le molte persone che hanno ritenuto doveroso rendergli omaggio nei giorni che hanno preceduto il funerale, i molti che ogni giorno si fermano in Duomo là dove, sotto la croce, il cardinale Martini è sepolto, attestano di una riconoscenza che continua, di una filiale devozione che ancora ispira a vivere e a pregare. In ogni parrocchia si possono riconoscere iniziative, persone, memorie di quanto è stato recepito e custodito del suo magistero.
La fecondità dell’episcopato del cardinale Martini non è però solo affidata al ricordo, né può essere solo oggetto di confronto, discussioni, celebrazioni e verifiche: infatti è celebrata nel memoriale della Pasqua del Signore che riconosce la presenza viva di coloro che sono passati dalla morte alla vita per la partecipazione al mistero pasquale. Perché la memoria rimanga viva, perché il magistero continui a portare frutto, perché la conversazione con il cardinale Martini continui a essere franca e gentile, lungimirante e docile allo Spirito, potranno essere avviate molte iniziative.
(
www.chiesadimilano.it)

728 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - OTTOBRE 2012


Cuore divino di Gesù, io ti offro per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al Sacrificio eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del divin Padre.

In particolare per le intenzioni del Papa e dei Vescovi di questo mese di Ottobre

Generale: Per lo sviluppo e il progresso della Nuova Evangelizzazione nei Paesi di antica cristianità.

Missionaria: Perché la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale sia l'occasione di un rinnovato impegno di evangelizzazione.

giovedì 27 settembre 2012

727 - 1952-2012: 60 ANNI DI OPERE BUONE A MILANO

Il prossimo 21 ottobre papa Benedetto XVI proclamerà Santo il fondatore della Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth, padre Giovanni Battista Piamarta;
Nel 2012 ricorre il 20° anniversario dell’arrivo a Milano dei religiosi Piamartini, che sostituirono i religiosi di Don Calabria, presenti in via Pusiano fin dal 1950, e trasferitisi, su invito del card. Martini, al Centro Peppino Vismara di via dei Missaglia
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Per celebrare degnamente tali ricorrenze, le due Congregazioni di padre Piamarta e don Calabria organizzano la seguente giornata di celebrazioni, alla quale sono invitate le autorità religiose e civili della città e della provincia di Milano e della Regione Lombardia, e tutti i parrocchiani.
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Sabato 6 ottobre 2012
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ore 15-17.30: Convegno: 1952-2012: 60 anni di opere buone a Milano,  in via Pusiano 52 presso l’Auditorium del Centro P. Piamarta
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Il Convegno sarà presieduto dai Superiori Generali delle due Congregazioni: padre Enzo Turriceni, don Miguel Tofful.
Interverranno inoltre il prof. Giuseppe Perazzolo e padre Giordano Cabra studiosi della vita dei due fondatori (Padre Giovanni Calabria e Padre Giovanni Piamarta), don Elvio Damoli, già parroco di San Gerolamo Emiliani, don Antonio Mazzi e padre Giacomo Marietti già direttori del Centro formazione professionale).

ore 18,00: S. Messa celebrata da S.E. Mons. Erminio De Scalzi, vescovo ausiliare, e dai Superiori Generali delle due Congregazioni

ore 19,30: Cena per Parrocchiani, Religiosi, Ex-Allievi. 

ore 21,30: Serata in onore di padre Giovanni Piamarta presso la chiesa parrocchiale.
Per informazioni rivolgersi in parrocchia: 02.2564645 

venerdì 21 settembre 2012

726 - IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Il brano (GV. 6,41-51) fa parte del discorso sul pane della vita (Giovanni 6,25-71) preparato dal segno prodigioso del pasto dato a cinquemila uomini (6,5-15). Qui ai vv. 41-42 viene riportata l’obiezione dei Giudei riguardante la precedente autoproclamazione di Gesù quale pane della vita (v. 35) e circa la sua origine celeste (v. 38). Nella sua risposta (v. 43) il Signore invita anzitutto i suoi interlocutori a non mormorare, con allusione a ciò che fecero i loro padri nel deserto (cfr. Esodo 16,2 ss.) e afferma che la fede in lui, indicata con l’espressione «venire a me» (v. 44), è frutto dell’«attrazione» che Dio accende nei cuori. Tale attrazione è attivata nei cuori con l’ascolto e la conseguente sequela della Parola di Dio (v.45; cfr. Isaia 54,13). La prima parte del discorso si conclude al v. 47 con l’affermazione riguardante il godimento già da questa vita della vita eterna da parte di quanti, attirati dal Padre, credono nel Signore Gesù.
Nella seconda parte torna l’autoaffermazione di Gesù: «Io sono il pane della vita» (v. 48. e v. 51) seguita dalla memoria di ciò che avvenne nel deserto con il dono della manna (cfr. Esodo, 16). Al contrario di essa, l’effetto prodotto in colui che mangia il pane dato da Gesù è la possibilità di sfuggire alla morte, da intendere anzitutto come rovina eterna (v. 50); affermazione poi ribadita al v. 51 con l’annuncio che egli morirà per dare la vita al mondo. Questa vita, che è eterna, perché partecipazione alla vita divina, è ricevuta con il «mangiare il pane» che Gesù afferma essere la sua «carne», ovvero la sua persona nella pienezza della natura divina e della natura umana che egli ha assunto una volta disceso dal cielo, vale a dire nel mistero della sua incarnazione.
In questa domenica l’ascolto delle divine Scritture illumina il nostro essere radunati per compiere ciò che ci è stato trasmesso dagli Apostoli: «spezzare il pane» e «bere al calice» in memoria di ciò che Gesù fece nella cena pasquale di addio consumata la vigilia della sua morte sulla Croce (cfr. Epistola: 1 Corinzi 11,23-25).
Croce che noi con fede piena annunciamo mentre mangiamo il pane e beviamo al calice del Sangue del Signore, nuova e definitiva alleanza che unisce in un vincolo indistruttibile e insuperabile Dio e l’uomo!
Nell’ascolto che diviene accoglienza di fede e di amore delle celesti Parole, il Padre pone nei nostri cuori un’irresistibile attrazione nei confronti del suo unico Figlio, di Gesù, che egli ha mandato a noi come «pane disceso dal cielo» (Vangelo: Giovanni 6,41).
Egli, infatti, ci nutre anzitutto con la parola, che ci rivela il Padre invisibile e inaccessibile. Nessuno, infatti, può vedere il Padre eccetto «colui che viene dal Padre» (v. 46). Egli, dunque, ci parla della relazione filiale che viene proposta a quanti credono e accolgono la sua bella e, buona notizia. È proprio quella relazione che, a motivo della fede ci trasforma in figli, la vita eterna promessa dal Signore e che già ora è possibile sperimentare in tutta verità (v. 47).
Oltre che con la Parola Gesù ci nutre di sé stesso. Il pane che lui prese tra le sue mani nell’ultima cena è, in verità, il suo corpo, ossia la sua persona nella sua totalità, nell’atto di consegnarsi alla morte a favore nostro e al nostro posto (1Corinzi 11,23-24). Il calice che Gesù tenne nelle sue mani «dopo aver cenato» è la coppa che contiene il suo sangue nel quale viene sigillata l’alleanza, quella ultima tra Dio e l’uomo (v. 25). Perciò nulla noi possediamo di più sacro che il pane e il vino della mensa eucaristica ed è ciò che più di ogni altra cosa ci preme trasmettere (1Corinzi 11,23) agli uomini per farne dei credenti!
Nel pane e nel vino dell’altare è racchiuso infatti il tesoro della nostra salvezza e in esso alimentiamo quella vita eterna, che la fede ha già deposto nei nostri cuori, fino alla fine del cammino, vale a dire del nostro viaggio terreno verso il «monte di Dio» (Lettura: 1Re 19,8). Nessuno di noi, infatti, può sopravvivere in questo difficile viaggio senza mangiare e bere il pane e il vino della mensa preparataci da Dio stesso. Come per il profeta, anche per ogni uomo infatti «è troppo lungo il cammino» (v. 7). Tutto ciò deve sostenere ogni giorno e in ogni tempo l’incessante pellegrinare della Chiesa e di ogni singolo fedele verso la pienezza della vita. Una cosa è certa: non siamo abbandonati a noi stessi tra le difficoltà e le prove anche terribili che la vita può riservarci e tra i flutti impetuosi dei cambiamenti storici e culturali dai quali pare ad ogni istante di venire sommersi. Abbiamo, in verità, tutto ciò che serve per non cadere nello sconforto e nell’angoscia mortale già sperimentata dal profeta in marcia nel deserto (cfr. 1Re 19,4). Siamo infatti ben equipaggiati: la Parola del Dio vivente e il suo Pane! Non ci resta che “alzarci” dal nostro torpore spirituale e dalle nostre paure e deciderci a “mangiare”. La mensa della Parola e del Pane di vita eterna, infatti, è sempre imbandita per noi. 
A. Fusi

venerdì 14 settembre 2012

725 - III DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Questi giorni del Tempo dopo Pentecoste, caratterizzati dal “martirio” del Precursore del Signore, richiamano ogni anno la comunità dei credenti al suo primo impegno: dare al mondo, sotto l’impulso dello Spirito Santo la testimonianza al Signore Gesù Cristo annunziando il suo Vangelo reso al vivo nella vita dei fedeli.
Di conseguenza questo tempo liturgico esorta la Chiesa ad accogliere, con fede sempre più aperta, la testimonianza che Dio stesso, tramite le divine Scritture, offre al Signore Gesù, il suo Figlio Unigenito che è venuto a noi «dall’alto»: da lui !
Egli è l’unico in grado di “parlare”, ossia di rivelare Dio in quanto, proprio come Figlio, “conosce” Dio e “vede” Dio così come egli è! Gesù, dunque, entrando nel mondo, “testimonia” con autorevolezza ciò che sa e ciò che ha visto “venendo da Dio” non solo “come maestro” (cfr. Vangelo: Giovanni 3,2), ma soprattutto nella sua qualità di Figlio!
Queste sono «le cose del cielo» (v. 12) a cui i credenti hanno prestato fede. Ciò è possibile perché essi, rinati «da acqua e da spirito» (v. 5), non sono più soltanto “carne”, ma sono diventati anch’essi “spirito” (v.6), in grado, perciò, di credere nelle «cose del cielo» (v. 12) e di riconoscere che colui che è «disceso dal cielo» divenendo uno di noi, è venuto a rivelare l’amore di Dio per l’uomo.
Una rivelazione sbalorditiva perché, come afferma l’Apostolo, Dio riversa il suo amore non tanto sui giusti, ma sugli empi e sui peccatori (Epistola: Romani 5,6-8), e il suo amore è visibile e tangibile nella Croce del suo Unico Figlio, sulla quale muore offrendo la sua vita per empi, peccatori e nemici, ossia l’intera umanità meritevole pertanto dell’ “ira” divina distruttiva del male e del peccato.
Nel suo Unigenito, perciò, Dio ha riconciliato a sé il mondo e ha «riversato il suo amore per mezzo dello Spirito» del suo Figlio, portando così a compimento quanto era stato annunziato dal Profeta: «In noi sarà infuso uno spirito dall’alto» (Lettura: Isaia 32,15).
È lo Spirito che trasforma gli uomini in figli destinati alla salvezza mediante l’offerta che il Figlio Crocifisso e Risorto fa della sua vita e che il profeta annuncia mediante l’immagine poetica della trasformazione del deserto in un giardino e una selva dove regnano il diritto e la giustizia (v. 16).
È questa la testimonianza che la Chiesa deve dare al mondo, facilmente assimilabile a un arido deserto a motivo dell’incredulità che genera indifferenza nei confronti di Dio e del prossimo, con conseguente ripiegamento del cuore umano nel suo io cattivo. Una simile testimonianza è resa possibile dal momento che i fedeli, avendo accolto con fede Gesù e la sua parola di rivelazione, sperimentano personalmente la condizione di gente giustificata, riconciliata e salvata mediante la vita del Signore Gesù a essi partecipata nella rigenerazione battesimale “dall’alto” e continuamente ravvivata e accresciuta nella comunione al suo Corpo e al suo Sangue. È questa la realtà misteriosa dalla quale la Chiesa trae di continuo la forza di testimoniare, specialmente nella vita dei suoi membri, l’amore di Dio che, nel suo Figlio, giustifica, riconcilia e salva trasformando peccatori ed empi in figli la cui dimora di pace è il suo stesso Cuore di Padre.

domenica 9 settembre 2012

724 - II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

"Il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me": la liturgia di questa domenica, richiamando la profonda unità della rivelazione e la fedeltà di Dio, è invito a superare ogni resistenza per riconoscere in Gesù la Parola stessa del Padre.
Compito del credente è accettare questa testimonianza per comprendere la propria identità di figlio di Dio. "La testimonianza chiama in causa la liberà. Ognuno di noi, in piena liberà, deve decidere se accettarla o negarla. Non accettare la testimonianza - come ricordano le parole severe del Signore - svela una chiusura della libertà che finisce per contrastare la verità". Scrutare le Scritture significa superare ogni fraintendimento o presunzione: è attraverso le Scritture che incontriamo il vero volto di Dio, è la verità delle Scritture che ci rende a nostra volta testimoni, "se conserviamo la libertà e la speranza" che abbiamo ricevuto in Cristo.  

domenica 2 settembre 2012

723 - MARTINI: IL RAPPORTO TRA LA CHIESA E LA “CITTÀ DELL’UOMO”

Carlo Maria Martini, arcivescovo per più di vent’anni (1980-2002), ha accompagnato la Milano che usciva dai corruschi e appassionati anni Settanta (non solo, ma anche di piombo), la Milano “da bere” del benessere e dell’illusoria postmodernità, la Milano dei passaggi drammatici di Tangentopoli e della crisi di un’intera classe dirigente, la Milano rancorosa dell’identità localista. Ha esercitato lungo tutti questi anni un magistero discreto, umile, appassionato, capace di parlare a credenti e non credenti, che è quindi diventato in qualche modo un modello vivente di come la Chiesa si possa e si debba rapportare alla “città dell’uomo”. Un punto di riferimento nazionale e anche ben più che nazionale.
Il suo approccio sapienziale alla città e alla società è scaturito sempre spontaneamente dalla radice biblica ed eucaristica della sua vita e della sua riflessione. Per cui i discorsi alla città, tipici della solennità di Sant’Ambrogio, sono sempre stati intessuti non a caso di riferimenti alle lettere pastorali che annualmente scandivano la sua proposta di priorità rivolta alle comunità cristiane ambrosiane. E si nutrivano della memoria di Ambrogio, pastore di una chiesa in tempi di transizione.
Ecco allora che il primo ciclo di cinque lettere che invitava a concentrarsi sui pilastri dell’esperienza cristiana (dimensione contemplativa della vita, parola di Dio, eucarestia, missione, carità, dispiegate tra 1980 e 1986), si integrava con la proposta iniziale di un magistero alla città che insisteva sulla riconciliazione rispetto ai duri conflitti degli anni Settanta, cercava gli spazi della solidarietà in una città condizionata dalla rivoluzione neoliberista, rifletteva sulla pace di fronte alle ultime tensioni della guerra fredda, si apriva all’accoglienza del diverso e dell’immigrato.
Il secondo ciclo delle lettere pastorali dedicate agli atteggiamenti di fondo della vita cristiana (educare, comunicare, vigilare), che corsero dal 1987 al 1993, si intrecciò con una serie di discorsi alla città sempre più puntuali e radicali, rispetto alle trasformazioni dell’epoca. Si pensi agli interventi sulla nuova stagione di educazione alla politica dei giovani cristiani, sulle inedite prospettive di unità dell’Europa derivanti dagli eventi del 1989 europeo, sulla rinnovata attenzione alla solidarietà di fronte alle minacce antisolidaristiche, sui rapporti con l’islam tra dialogo religioso e necessità di costruire forme vivibili di un incontro pratico, sull’attenzione al futuro in tempi di incertezza e rassegnazione, sulla legalità minacciata dall’ondata di corruzione.
Questi sono anche gli anni dei primi tentativi di sintetizzare un metodo attorno ad alcuni punti fermi, collegati anche alla celebrazione del sinodo diocesano e alla proposta ormai decollata della “Cattedra dei non credenti”. La lettera per la città intitolata “Alzati e vai a Ninive” del 1991 esprimeva questa consapevolezza con un ragionamento approfondito sulle condizioni dell’evangelizzazione in una situazione intermedia tra cristianità e secolarizzazione, approdando a identificare il punto critico nello “stile pastorale” (uno stile comunicativo, di amorevole discernimento, di irradiazione e di accoglienza).
Ecco allora l’ultimo ciclo, in cui l’apertura al Giubileo del 2000 e alla proposta di papa Giovanni Paolo II di dedicare attenzione progressiva alla Trinità strutturava una riflessione magisteriale che toccava i punti più alti nel rivolgersi alla città. Restano pagine cruciali quelle dedicate al rapporto tra silenzio e parola della Chiesa, che approdarono a proporre – da “serva inutile”, umile e grata – un allarme sulle condizioni etiche della convivenza, anche nelle loro ricadute istituzionali e politiche. Allarme bilanciato dall’esortazione a coltivare il grande “sogno” del futuro, senza fuggire dalle responsabilità nel presente, prendendo sul serio le paure del nuovo millennio, amplificate dal terrorismo omicida dell’11 settembre, ma costruendone operosamente le speranze.
Un magistero confermato negli ultimi dieci anni di vita da Arcivescovo emerito, quando ha saputo alternare sapientemente silenzi e parole, contribuendo alla ricerca su alcuni nodi profondi del vivere cristianamente l’umanità (da un approccio non scontato alle questioni bioetiche, fino agli spunti sofferti sulla malattia e la morte). Un maestro autorevole che andava oltre ogni ideologia, un pastore credente che si faceva interrogare dal “non credente che era in lui”, un duraturo punto di riferimento per un volto di Chiesa fedele all’umanità perché fedele al Signore.
di Guido Formigoni, storico

722 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA SETTEMBRE 2012

Generale: Perché i politici agiscano sempre con onestà, integrità e amore alla verità.
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Missionaria: Perché aumenti nelle comunità cristiane la disponibilità al dono di missionari, sacerdoti e laici, e di risorse concrete in favore delle Chiese più povere.

sabato 1 settembre 2012

721 - MARTINI UOMO DEL DIALOGO

 
Il giorno successivo nel quale la Chiesa ambrosiana ha ricordato la morte del suo venerato arcivescovo Ildefonso Schuster, giunge la notizia della scomparsa, nella residenza dei gesuiti di Gallarate, del cardinale Carlo Maria Martini, che per 22 anni, dal 1980 al 2002, è stato arcivescovo di Milano. Tracciare un bilancio di questo lungo episcopato nella diocesi più grande del mondo, segnata in questo periodo da profonde trasformazioni che ne hanno cambiato la pelle con la nascita di vecchie e nuove povertà, non è certo facile.
Si può partire dal giorno del suo ingresso nella diocesi, quando Martini era stato accolto dal racconto evangelico di Simon Pietro, che , dopo una notte passata senza pescare nulla, si fidava di Gesù, che lo invitava a tornare in mare, e gli diceva: «Sulla tua parola getterò le reti». Questo testo è stato ripreso più volte dall’Arcivescovo per sollecitare l’intera Chiesa ambrosiana a ripetere il gesto di Pietro «nei mari calmi della fede accogliente, come in quelli tempestosi del dubbio e della tentazione di non credere». E Martini poneva al centro di questa sollecitudine pastorale che riguarda tutta la comunità cristiana - ed è una caratteristica costante del suo magistero - la centralità della Parola di Dio che è quella che porta i cristiani «a un atteggiamento di apertura al futuro perché per un credente non è mai il tempo della nostalgia né tantomeno del rimpianto. È sempre l’ora della speranza, della fiducia, dell’amore. Tutto passa, l’amore resta».
Per tutto il suo episcopato Martini è stato annunciatore ininterrotto della Scrittura. Una scelta che Giovanni Paolo II gli riconosceva ampiamente scrivendogli, al compimento dei 75 anni, quando avrebbe lasciato il governo della diocesi di Milano, «in tutte le tue feconde attività pastorali il primo posto lo tengono le Sacre Scritture, così come è conveniente che faccia quel modello di pastore d’anime che in tutto hai voluto rappresentare: tu infatti non solo hai tentato di condurre alla dottrina del vangelo i fedeli cattolici ma anche il mondo laico e chi si dimostrava indifferente».
Scelto personalmente da papa Wojtyla, Martini, che aveva fino alla sua nomina a vescovo incentrato il suo impegno sullo studio della Bibbia, sia all’Università gregoriana che all’Istituto biblico, con un’alta specializzazione scientifica e con il desiderio sempre presente di poter andare a Gerusalemme, diventa nella capitale lombarda più che un amministratore nella diocesi un uomo del dialogo verso tutte le componenti della società milanese, vicine e lontane, facendo della parola di Dio la cifra del suo episcopato. Con iniziative come la “Cattedra dei non credenti”, con “La Scuola della Parola”, incontri nel Duomo con migliaia di giovani che hanno superato i confini dell’Arcidiocesi, con decine di scritti ha letto i segni dei tempi alla luce della Parola di Dio.
Ma il biblista Martini non ha dimenticato le tante vicende della sua città e dell’intero Paese: dal terrorismo, allora ben presente a Milano (e sarebbero stati alcuni terroristi a consegnargli in Curia le armi dei loro delitti), a Tangentopoli, alla crisi della politica. Con i discorsi pronunciati ogni anno nella festa di Sant’Ambrogio, che costituiscono un’antologia improntata al discernimento delle situazioni e insieme un invito alla speranza, non ha mancato di leggere, sempre alla luce della Parola di Dio, i tanti fenomeni emergenti, positivi o negativi che fossero. Ma forse per lui non era abbastanza: «Avrei dovuto farmi più carico, anche con l’intercessione presso Dio, dei peccati più diffusi e degradanti: la corruzione, la droga, la prostituzione, la criminalità organizzata, i peccati contro la vita, le deviazioni sessuali, l’edonismo, le chiusure nel particolarismo». Di fronte a questi mali, Martini non ha smesso di parlare. La sua non è mai stata però una denuncia fine a se stessa, ma sempre guidata dalla Parola. Concluso il suo episcopato milanese e svanito il sogno di trasferirsi definitivamente a Gerusalemme, Martini ha continuato – e lo ha fatto fino a poche settimane fa – a guardare oltre con entusiasmo e con speranza perché la sua fiducia era basata sulla Parola che non passa.
di Antonio AIRÒ, in www.chiesadimilano.it