Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

martedì 30 giugno 2009

41 - LA FAME NEL MONDO

La fame è una morte lenta e si­lenziosa, e la fame sta au­mentando nel mondo. Siamo al massimo storico. Lo denuncia la Fao: secondo una stima, nel 2009 saranno 1,02 miliardi le persone che soffriranno per mancanza di cibo. Una cifra che supera di oltre 100 mi­lioni il livello del 2008. È, dunque, un sesto della popolazione mon­diale.

La situazione è drammatica anche nei Paesi sviluppati: sono 15 milioni le persone affamate. «L’at­tuale situazione dell’insicurezza a­limentare nel mondo non ci può la­sciare indifferenti – è l’appello di Jacques Diouf, direttore generale della Fao – le nazioni povere devo­no essere dotate degli strumenti e­conomici e politici necessari a sti­molare la produzione e la produt­tività del loro settore agricolo. Gli investimenti in agricoltura – ag­giunge Diouf – devono aumentare perché per la maggioranza dei Pae­si poveri un settore agricolo in buo­ne condizioni è essenziale per com­battere i problemi della fame e del­la povertà, ed è anche un prerequi­sito indispensabile per la crescita e­conomica generale».


Il numero delle persone affamate è aumentato nei periodi 1995- 97 e 2004-06 in tutte le regioni del mon­do, esclusa l’America Latina e i Ca­raibi. Quasi l’intera popolazione sottonutrita vive in Paesi in via di sviluppo (ma, come si è detto, il pro­blema esiste anche in quelli svilup­pati): in Asia e nel Pacifico circa 642 milioni di persone soffrono di de­nutrizione cronica; nell’Africa Sub Sahariana 265 milioni; nel Vicino O­riente e nel Nord Africa 42 milioni.

Contrariamente a quanto si possa immaginare, questo aumento del­la fame non è la conseguenza di rac­colti non soddisfacenti, ma della cri­si economica globale che ha ridot­to i redditi e aumentato la disoccu­pazione. Il che ha diminuito, ovvia­mente, le possibilità di accesso al cibo per i poveri. È questa la spie­gazione data dall’agenzia delle Na­zioni Unite. A contribuire è anche la riduzione delle rimesse degli emi­grati nei loro Paesi di origine. Nel 2008 e nei primi sei mesi di que­st’anno, il calo è stato sensibile ed ha causato una riduzione delle ri­serve estere e dei redditi familiari. « La diminuzione delle rimesse – spiega la Fao – insieme al previsto declino degli aiuti ufficiali allo svi­luppo, ridurrà ulteriormente la ca­pacità dei Paesi di avere accesso al capitale necessario a sostenere la produzione e a creare reti di sicu­rezza e schemi di protezione socia­le per i poveri». Va poi considerato un altro feno­meno: l’aumento dei prezzi. La Fao nota che quelli dei generi alimen­tari di base, sebbene siano dimi­nuiti, restano ancora più alti del 24 per cento rispetto al 2006, e del 33 per cento rispetto al 2005. È suc­cesso infatti che mentre i prezzi a­limentari sui mercati internazionali sono diminuiti nel corso degli ulti­mi mesi, quelli interni nei Paesi in via di sviluppo sono scesi assai più lentamente e sono rimasti più alti in media del 24 per cento alla fine del 2008 rispetto al 2006.


La maggioranza dei poveri e degli affamati nel mondo è costituita da piccoli contadini dei Paesi in via di sviluppo. Kanayo F. Nwanze, presi­dente del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, fa però notare un paradosso: «Pur essendo conta­dini – dice – avreb­bero il potenziale non solo per garan­tire la propria sussi­stenza, ma anche per accrescere la si­curezza alimentare e stimolare una più vasta crescita eco­nomica. Per rende­re effettivo questo potenziale – aggiunge – e ridurre il numero delle persone vittime del­la fame nel mondo, i governi, assi­stiti dalla comunità internaziona­le, devono proteggere gli investi­menti di base nel settore agricolo, in modo da garantire ai piccoli con­tadini l’accesso non solo a semen­ti e fertilizzanti, ma anche a tec­nologie più adatte, infrastrutture, schemi di finanza rurale e merca­ti ». È un chiaro appello a tutti i Paesi che danno vita a queste orga­nizzazioni, perché la fame è un problema non solo per quelli che la soffrono, ma per tutto il genere u­mano.

(Giovanni Ruggiero Avvenire, 20 giugno 2009)

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domenica 28 giugno 2009

40 - SANTI PIETRO E PAOLO

Gesù dà le chiavi a Pietro
Affresco del Perugino, Cappella Sistina

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Su quale base si fonda il primato di Pietro, e quindi del Papa?

Si fonda sulla volontà di Cristo stesso.

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Dove appare tale volontà di Cristo?

Nelle pagine del Vangelo e in parte degli Atti degli Apostoli sono presenti “numerosi indizi” che manifestano la volontà di Cristo di attribuire a Pietro uno speciale rilievo all’interno del Collegio degli Apostoli. Ad esempio: Egli è l’unico apostolo al quale Gesù assegna un nuovo nome, Cefa, che vuol dire “Pietra”.

Gesù non era solito cambiare il nome ai suoi discepoli. Se si eccettua l’appellativo di “figli del tuono”, rivolto in una precisa circostanza ai figli di Zebedeo (cfr. Mc 3,17) e non più usato in seguito, Egli non ha mai attribuito un nuovo nome ad un suo discepolo.

Lo ha fatto invece con Simone, chiamandolo Kefa, nome che fu poi tradotto in greco Petros, in latino Petrus. E fu tradotto proprio perché non era solo un nome; era un “mandato” che Petrus riceveva in quel modo dal Signore. Non bisogna dimenticare che nell’Antico Testamento, il cambiamento del nome preludeva in genere all’affidamento di una missione (cfr. Gn 17,5; 32,28 ss. ecc.). Il nuovo nome Petrus ritornerà più volte nei Vangeli e finirà per soppiantare il nome originario Simone.

Altri indizi sono: dopo Gesù, Pietro è il personaggio più noto e citato negli scritti neotestamentari: viene menzionato 154 volte con il soprannome di Pètros, “pietra”, “roccia”; i Vangeli ci informano che Pietro è tra i primi quattro discepoli del Nazareno (cfr. Lc 5, 1-11); a Cafarnao il Maestro va ad alloggiare nella casa di Pietro (cfr. Mc 1,29); quando la folla gli si accalca intorno sulla riva del lago di Genesaret, tra le due barche lì ormeggiate, Gesù sceglie quella di Simone (cfr. Lc 5,3), e così la barca di Pietro diventa la cattedra di Gesù; quando in circostanze particolari Gesù si fa accompagnare da tre discepoli soltanto, Pietro è sempre ricordato come primo del gruppo: così nella risurrezione della figlia di Giairo (cfr. Mc 5,37; Lc 8,51), nella Trasfigurazione (cfr. Mc 9,2; Mt 17,1; Lc 9,28), e infine durante l’agonia nell’Orto del Getsemani (cfr. Mc 14,33; Mt 16,37), a Pietro per primo Egli lava i piedi nell'ultima Cena (cfr. Gv. 13,6)

(Mons. Raffaello Martinelli)

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sabato 27 giugno 2009

39 - VI RICORDO NELLE MIE PREGHIERE

Rendo grazie a voi, ricordandovi nelle mie preghiere,

perché il Dio del nostro Signore

Gesù Cristo vi dia uno spirito

di sapienza e di rivelazione

per una più profonda conoscenza di lui.

Possa egli davvero illuminare gli occhi

della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza

vi ha chiamati, quale tesoro di gloria

racchiude la sua eredità fra i santi

e qual è la straordinaria grandezza

della sua potenza verso di noi credenti

secondo l’efficacia della sua forza

che Egli manifestò in Cristo,

quando lo risuscitò dai morti

e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,

al di sopra di ogni principato e autorità,

di ogni potenza e dominazione

e di ogni altro nome che si possa nominare

non solo nel secolo presente

ma anche in quello futuro

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(San Paolo, lettera agli Efesini 1,16-21)

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venerdì 26 giugno 2009

38 - TERZO VIAGGIO MISSIONARIO DI SAN PAOLO

Si sta per concludere l’anno paolino, indetto da Papa Benedetto XVI per riscoprire la figura dell’apostolo delle genti. Ripercorriamo brevemente i viaggi missionari di san Paolo.
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Nel suo terzo viaggio missionario, Paolo torna a visitare le comunità da lui incontrate nei viaggi precedenti, prendendo con sé un nuovo collaboratore, di nome Tito, un cristiano di Antiochia.
Percorse le regioni della Galazia e della Frigia (nell’odierna Turchia centrale), egli raggiunge Efeso, una delle più grandi città dell’impero romano, con i suoi 300.000 abitanti, città nella quale si sofferma per oltre tre anni (53 – 56 d.C.).
A Efeso Paolo incontra i discepoli di Giovanni Battista e annuncia loro per la prima volta il vangelo di Gesù Cristo, insegna nella sinagoga e poi nella locale scuola, condannando i riti pagani e, in particolare modo, la magia. Nel suo lungo soggiorno a Efeso, Paolo scrive la lettera ai Filippesi, la lettera ai Galati e la prima lettera ai Corinti.
La predicazione lo pone in conflitto con gli orefici, che traggono i loro profitti dalla vendita di oggetti di culto legati al Tempio delle dea Artemide, molto venerata ad Efeso. Questa volta, quindi, la persecuzione contro i cristiani trae origine dallo scontro tra la necessità di annunciare la verità e il mantenimento del benessere economico.
In seguito al tumulto degli orafi argentieri, Paolo lascia Efeso. Prima però convoca gli anziani della comunità a Mileto per congedarsi solennemente da loro, ed enuncia una specie di testamento spirituale, nel quale fa il punto della sua esistenza missionaria (Atti 20,15-38).
Paolo ha servito Dio in maniera umile e sofferta, il suo servizio aveva di mira la conversione (cioè il ritorno a Dio) ed è stato realizzato predicando e istruendo. Lo Spirito conduce Paolo là dove egli non sa che cosa gli potrà accadere. L’apostolo sa che le sofferenze sono parte della testimonianza che egli deve rendere al messaggio di Dio, perché è un messaggio di grazia, cioè di dono. La pagina degli Atti parla di lacrime, prove, separazione, morte. Eppure termina con una nota gioiosa e una preghiera di lode. Paolo dice che tutto quello che ha fatto gli ha dato gioia perché è stato un dono. Offrirsi non lo ha impoverito, o intristito o amareggiato. E questo è tanto più sorprendente se pensiamo a quello che ha dovuto patire: la persecuzione dei giudei, l’invidia dei cristiani, le divisioni nelle sue comunità… Non nasconde la sua soddisfazione per essere riuscito a perseverare nei suoi iniziali propositi di fedeltà a Cristo. Tuttavia ribadisce la sua convinzione di essere “meritevole di nulla”: la forza della perseveranza è l’umiltà.
All’origine della perseveranza di Paolo, molta importanza assume la costante consapevolezza di adempiere ad un compito a lui assegnato dall’alto.
L’invito a resistere di fronte alle difficoltà è più convincente se viene da chi lo ha fatto prima di noi. In questo sta la forza dell’incitamento che Paolo fa alla comunità di Efeso a non desistere mai, anche di fronte alle situazioni umanamente impossibili. Paolo sente la vicinanza di Dio e la trasmette ai suoi discepoli.

Dopo aver effettuato un lungo viaggio via mare, Paolo torna in Palestina. Lungo il percorso che lo porterà a Gerusalemme, l’apostolo sente avvicinarsi il momento delle tribolazioni preannunciategli da Gesù, ma non cede alle preghiere dei suoi discepoli che, presentendo che non avrebbero più avuto occasione di riceverlo, cercano di distoglierlo dal proposito di recarsi nella città santa. Il commiato dai suoi discepoli avviene in un clima di generale commozione. La sua esperienza missionaria di interrompe nel momento in cui si apre un’altra lunga fase della vita di Paolo, che lo porterà al martirio a Roma.
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Per la riflessione:
· siamo perseveranti nella testimonianza cristiana? Quali sono le cause che la rendono incostante?
· quanto incide nella nostra perseveranza sapere che l’annuncio è un compito che ci è stato affidato da Dio?
· quanto tempo dedichiamo al nostro rapporto personale con Dio, condizione indispensabile per una fede convinta e perseverante?
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37 - SECONDO VIAGGIO MISSIONARIO DI SAN PAOLO

Nel 50 d. C. Paolo parte per l’Asia minore, per il suo secondo viaggio missionario, in compagnia di Sila e di Timoteo, che diventerà uno dei suoi più stretti collaboratori.
Paolo attraversa l’Asia minore (l’attuale Turchia) per poi passare in Europa, precisamente in Macedonia, a Filippi e in Tessalonica (nell’attuale Grecia). Giunge ad Atene, grande città che contava circa 5.000 abitanti, centro culturale di primo ordine. Paolo predica nella sinagoga, nella piazza principale della città incontra persone semplici e filosofi. I più autorevoli rappresentanti della città lo convocano all’Aeropago, perché possa spiegare il suo messaggio. Paolo fa un discorso adatto ad un pubblico colto (Atti 17,22-31) partendo da una espressione che ha visto su uno dei monumenti della città, e che dice: “”Al dio ignoto”. Paolo dichiara di voler annunziare agli ateniesi ciò che essi adorano senza conoscere. Ma non parla della croce, non nomina neppure esplicitamente Gesù. Paolo ha parlato agli intellettuali di Atene, e ha tentato di fare un discorso sapiente, ma ha fallito l’approccio. Lascia Atene e va a Corinto, sede del proconsole romano, città importante, in posizione strategica. Qui incontra una coppia che proviene dall’Italia, Aquila e la moglie Priscilla, allontanati da Roma da un decreto dell’imperatore Claudio. Paolo ha ripreso a predicare in sinagoga, annunciando che “Gesù è il Cristo” nel quale si compie l’attesa di Israele. Crispo, capo della sinagoga di Corinto si converte, ma Paolo deve affrontare l’ostilità dei giudei. Nei momenti cruciali, Paolo è confortato dalla sua fede: in una visione notturna il Signore dice a Paolo: “Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città” (Atti 18,9-10).
A Corinto Paolo ha compreso fino in fondo la centralità della croce e le sue conseguenze riguardo al contenuto del suo annuncio. La croce di Gesù dimostra la misericordia divina. Paolo sperimenta la “forza e la sapienza” della croce vedendo come essa viene accolta dalla gente più semplice e constatando quanto sia capace di rinnovare la loro esistenza.
A Corinto si trattiene circa un anno e mezzo, compiendo una importante opera di evangelizzazione, dedicandosi non solo alla locale comunità, ma anche alle chiese già fondate, in particolare alla comunità di Tessalonica, alla quale scrive le due lettere.
Dopo aver consolidato i gruppi cristiani di Corinto, nel 52 d.C. Paolo si imbarca per tornare in Siria, accompagnato da Aquila e Priscilla. Nel viaggio di ritorno, si ferma ad Efeso per qualche giorno, lasciando i suoi due collaboratori, e poi riprende la navigazione verso Cesarea Marittima (nell’odierno Israele). Quello che colpisce è la determinazione di Paolo.

Scrive il Cardinale Martini: “Fin dal primo giorno della sua conversione, predica a Damasco e deve fuggire; va a Gerusalemme, predica e lo fanno partire; a Tarso rimane finché la Provvidenza non lo richiama,. Nel suo viaggio missionario, praticamente ogni stazione è un ricominciare da capo; predica ad Antiochia di Pisidia, viene cacciato e va ad Iconio; a Iconio minacciano un attentato contro di lui, tentano di lapidarlo e va a Listra. A Listra è sottoposto ad una gragnola di sassi. Questa ripresa non è umana: un uomo dopo alcuni tentativi falliti, umanamente resta fiaccato. Noi non possediamo la sua instancabilità, nemmeno lui la possedeva: è un riflesso di quello che chiamerà “la carità”. Il suo modo di agire è riversato dall’alto, è un dono, ed è quello che fa sì che la delusione non sia mai definitiva. Nessuno sforzo umano può giungere a questo atteggiamento: è la carità di Dio diffusa nei nostri cuori per lo Spirito che ci è dato”. (Carlo Maria Martini, il vangelo di Paolo, pag. 40-41).

Spunti per la riflessione.
- in che misura incide la fede nella capacità di affrontare la sofferenza?
- credo che la croce è l’unica via che tende credibile ed efficace la mia testimonianza di fede?
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martedì 23 giugno 2009

36 - PRIMO VIAGGIO MISSIONARIO DI SAN PAOLO

Il primo viaggio missionario di San Paolo.
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Nel 43 d.C. Barnaba chiama Paolo per collaborare nell’opera di evangelizzazione di Antiochia di Siria, una delle città più importanti del Mediterraneo Orientale. Lì nasce presto una comunità vivace e numerosa, che diviene il punto di riferimento di Paolo.

Dopo un anno di permanenza ad Antiochia, Barnaba e Paolo partono per portare l’annuncio del Vangelo al di fuori della Palestina, chiamati dallo Spirito Santo per la missione di evangelizzazione (At 13,2).

Barnaba, Paolo e Giovanni Marco andarono a Seleucia e da qui in nave verso l'isola di Cipro, per dirigersi poi ad Antiochia di Pisidia, dove numerosi Ebrei e Gentili accolsero la parola di Dio e cedettero. Paolo e Barnaba annunziarono il vangelo nella sinagoga, ma i giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, allora essi dichiararono con franchezza che si sarebbero rivolti ai pagani, dato che veniva respinta la parola di Dio annunziata. Giunti ad Iconio (Konya, nella Turchia centrale) entrarono nella sinagoga e vi parlarono in modo che un gran numero di Giudei e di Greci divennero credenti, ma anche lì trovano l'ostilità dei giudei che istigavano i pagani contro Paolo e Barnaba con il proposito di lapidarli.

Alcuni Giudei arrivarono da Antiochia e da Iconio per organizzare gli abitanti contro gli Apostoli. Presero Paolo a sassate e lo trascinarono fuori città credendolo morto. Paolo, sopravvissuto a questo attacco, partì il giorno dopo insieme a Barnaba alla volta di Derbe; da qui ritornarono di nuovo a Listra, Iconio, Antiochia e Perge per rinforzare i credenti ed organizzare le chiese. Da Attalia (Antalya sulla costa turca) ritornarono ad Antiochia, dove riunirono la comunità cristiana per raccontare le loro esperienze. Siamo nel 48 d.C.


Primo viaggio missionario di Paolo

Durante questo primo viaggio, realizzato in condizioni difficili, i due missionari ricevono accoglienze molto diverse, anche se, quasi ovunque, sono costretti alla fuga dalle folle istigate dai loro persecutori.

Il rifiuto dei giudei induce Paolo e Barnaba a cambiare la loro priorità: dai giudei si spostano ai pagani. Negli Atti degli Apostoli, Luca parla del motivo per il quale i giudei rifiutano di ascoltare Paolo: la gelosia. I giudei, che in un primo momento avevano accolto i due missionari con interesse nella sinagoga, si dimostrano poi “pieni di gelosia” perché gli apostoli non hanno riservato solo ai giudei il loro annuncio. Non possono accettare che tutta la città si riunisca intorno a Paolo e Barnaba, non possono sopportare l’allargamento di una prerogativa che essi considerano esclusiva a motivo dell’appartenenza al popolo di Israele, la Parola del vero Dio è solo per loro, è loro proprietà. La cosa che deve interrogare sempre, anche noi oggi, è se vogliamo essere generosi come gli apostoli oppure invidiosi come i giudei. Siamo disposti ad essere apostoli che regalano a tutti la Parola di Dio, magari al prezzo di scontentare i “nostri” per le attenzioni che rivolgiamo agli “altri”, oppure vogliamo tenere soltanto per noi quella Parola, perché la riteniamo di nostra proprietà?

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Spunti per la riflessione.

- Quali sono i rischi che oggi si corrono nell’annunciare con franchezza il Vangelo nei nostri abituali ambienti di vita?


- Ci preoccupiamo di sostenere il coraggio dei missionari che annunciano il Vangelo in situazioni pericolose?


- Quanto interesse suscita alla comunità cristiana a cui apparteniamo la coraggiosa testimonianza dei missionari?

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sabato 20 giugno 2009

35 - UN LIBRO PER L’ESTATE


SIAMO TUTTI NELLA STESSA BARCA

Martedì 9 giugno presso il Ciborio dell’Ospedale San Raffaele c’è stata la presentazione del libro “Siamo tutti nella stessa barca”, nato da una serie di conversazioni tra il Cardinale Martini e Don Luigi Verzè, presidente dell’Ospedale San Raffaele.
Il Cardinale Carlo Maria Martini, intervenuto alla presentazione, ha spiegato innanzitutto il significato del titolo del libro: Siamo tutti nella stessa barca, parlando di sé e di don Luigi Verzè: “Siamo molto diversi per temperamento, per formazione, per visioni politiche e sociali, ma una cosa ci accomuna, essere sulla stessa barca, questa barca è la vita, in questo condividiamo la sorte di migliaia di esseri umani, ci unisce l’amore alla vita, che risulta da ogni pagina di questo libretto. L’amore alla vita si trova oggi di fronte a scelte difficili, e noi abbiamo in comune il desiderio di aiutare la gente a vivere bene. Siamo d’accordo sul fatto che la vera vita è la vita divina, sulla quale si regola la vita umana”
Prosegue nel suo intervento il Cardinale Martini: “Agli autori di questo libro stanno a cuore la glorificazione di Gesù Cristo, Verbo incarnato, e la vitalità e la vivacità della chiesa, amata come una madre, che merita amore e rispetto, entrambi vogliamo dare la vita per una chiesa più pura, più santa, evangelica, e anche se non ci incontriamo sui mezzi, il fine è lo stesso, è necessario creare spazi di dialogo, per vedere che cosa può rendere questa chiesa più umile, più bella, più attraente per coloro che vogliono seguire Gesù”.
Dopo l’intervento di don Verzè, ha preso la parola Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera, dando alcune chiavi di lettura del libro, che è una riflessione sull’uomo, una sorta di “colloquio laico” tra due uomini di Dio, proprio oggi, quando la gente ha paura di confrontarsi e parlare.
Il Cardinale Martini e don Verzè ci trasmettono la Parola di Dio e l’amore per la Chiesa in una modalità diversa, e ci fanno capire quanti muri invisibili impediscono il dialogo nella nostra società, dove c’è un grande livello di comunicazione ma c’è scarsa capacità di ascolto. Ha concluso l’incontro il professor Massimo Cacciari.
(Daniela, tratto da Voce della Comunità, numero 42 del 21 giugno 2009)
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34 - GRAZIE SIGNORE

Grazie, Signore, perché ci conservi nel tuo amore. Perché ancora non ti è venuto il voltastomaco per i nostri peccati. Perché continui ad avere fiducia in noi, pur vedendo che tantissime altre persone ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni.
Grazie, perché non solo ci sopporti, ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi. Perché ci infondi il coraggio di celebrare i santi misteri, anche quando la coscienza della nostra miseria ci fa sentire delle nullità e ci fa sprofondare nella vergogna.

Grazie, perché ci sai mettere sulla bocca le parole giuste, anche quando il nostro cuore è lontano da te. Perché adoperi infinite tenerezze, preservandoci da impietosi rossori, e non facendoci mancare il rispetto dei fedeli, la comprensione dei collaboratori, la fiducia dei poveri.

Grazie, perché continui a custodirci gelosamente, anzi, a nasconderci, come fa la madre con i figli più discoli. Perché sei un amico veramente unico, e ti sei lasciato così sedurre dall’amore che ci porti, che non ti regge l’animo di smascherarci dinanzi alla gente, e non fai venire meno agli occhi degli uomini i motivi per i quali, nonostante tutto, continuiamo ad essere stimati.

Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi. Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini. Perché. Al tuo sguardo, non c’è bancarotta che tenga. Perché a dispetto delle letture deficitarie delle nostre contabilità, non ci fai disperare. Anzi, ci metti nell’anima un così vivo desiderio di recupero, che vediamo ogni anno che viene come spazio della speranza e tempo propizio per sanare i nostri dissesti.

( Tratto da DON TONINO BELLO, Preghiere, pp. 30-31, Ed. San Paolo, Alba 2001 )
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giovedì 18 giugno 2009

33 - SACRATISSIMO CUORE DI GESU' - 19 Giugno 2009 (Solennità)

Donaci, Signore Gesù, di sostare in atteggiamento di ascolto davanti alla tua Parola. Aiutaci a non essere frettolosi, di non avere la mente e il cuore immersi nella superficialità e nella distrazione. Se saremo capaci di meditare sulla tua Parola, di certo, faremo l'esperienza di essere invasi dal fiume di tenerezza, di compassione, di amore, che dal tuo cuore trafitto riversi sull'umanità. Donaci di comprendere il simbolismo del sangue e dell'acqua che sgorgano dal tuo cuore. Fa' che possiamo raccogliere, anche noi, quel sangue e quell'acqua per partecipare alla tua infinita passione di amore e di sofferenza nella quale ti sei fatto carico di ogni nostra sofferenza fisica e morale. Il meditare su quei simboli della tua passione spacchi i nostri egoismi, le nostre chiusure, le nostre freddezze. Quell'acqua e quel sangue, di cui la parola del vangelo ci parla, lenisca le nostre ansie e angosce, lavi la nostra vanagloria, purifichi la nostra cupidigia, trasformi le nostre paure in speranze, le nostre tenebre in luce. Mentre ci apriamo alla forza della tua Parola ti diciamo con il cuore e la vita: «Gesù, tu sei davvero la rivelazione dell'amore».
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lunedì 15 giugno 2009

32 - OGGI 15 GIUGNO INIZIA IL GREST

“Guarda il cielo”: alzare lo sguardo verso Dio.
Il primo invito che Dio rivolge ad Abramo e oggi anche a ciascuno di noi, è quello di guardare il cielo. Ma che cosa significa per voi adolescenti ed animatori, impegnati nell’oratorio estivo, guardare il cielo? C’è, infatti, modo e modo di guardare il cielo: quello di chi è annoiato, di chi è rassegnato e ancora di chi vuole fuggire la realtà. Forse anche a voi, qualche volta è capitato di guardare il cielo, così, soprattutto, in qualche momento di delusione, di tristezza o di pigrizia. L’invito di Dio, naturalmente, non è nulla di tutto ciò, ma vuole ricordarci che, nella vita bisogna continuamente alzare lo sguardo per comprendere il senso di quello che viviamo, chiedere un aiuto, e prendere le giuste decisioni. La fede, cari animatori, è il nome che noi diamo a questo sguardo verso il cielo. Vi dirò di più. Il cielo che guardiamo non è un cielo lontano, ma molto vicino. E’ un cielo che si è aperto fino a toccare la terra attraverso Gesù; proprio Lui ha unito il cielo e la terra in un grande abbraccio. E Lui la finestra spalancata che ci permette di contemplare le meraviglie di Dio, che spesso invochiamo dicendo “Padre nostro, che sei nei cieli”.
Guardare il cielo significa allora non fermarci semplicemente a ciò che vediamo o viviamo ma avere il coraggio di alzare lo sguardo per cercare in questo cielo aperto che tocca a terra, il significato della nostra vita e l’orientamento del nostro desiderio di felicità.
Sarebbe proprio bello che almeno in qualche occasione durante l’oratorio estivo, i ragazzi vedessero i loro animatori a “Nasinsù”.

“Conta le stelle”: le promesse di Dio e i desideri dell’uomo.
Insieme al’invito a guardare il cielo, c’è quello a contare le stelle. Esse rappresentano anzitutto le promesse di bene che Dio ha fatto ad Abramo e oggi rinnova a ciascuno di noi. Cari animatori, così come è avvenuto più volte nella storia della salvezza, Dio non si stanca di rinnovare la sua alleanza con gli uomini, non cessa di ridire il suo ostinato desiderio di bene per ciascuno di noi… Le stelle, così numerose che non si possono contare, rappresentano proprio la grandezza e l’abbondanza delle promesse di Dio. Sono certo che le promesse di Dio corrispondono ai vostri desideri più veri e più profondi. Dio conosce che cosa c’è nel vostro cuore e vuole che siate felici.
Fidatevi di Dio e di quello che oggi vuole da voi. Il Signore vi chiede di impegnarvi con tutto voi stessi al servizio dei ragazzi. Fatelo senza paura. Spendetevi sino in fondo, non risparmiatevi, donate il vostro tempo con l’entusiasmo che avete dentro e vedrete crescere in voi l’amore che è la promessa più bella che Dio ha riservato per voi.

Il mandato: la stella polare.
Cari animatori, concedetemi un’ultima parola, la più importante: essa ha un volto luminoso che trasmette luce a chiunque decide di ascoltarla. Questa parola ha un volto e anche un nome “che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil. 2,9). E’ Gesù la parola vivente, il verbo che si è fatto carne e che oggi abita in mezzo a noi. Gesù Cristo è la stella polare. E voi, cari animatori, chi siete? Mi sembra di aver capito che, nell’oratorio estivo “Nasinsù”, voi animatori siete chiamati gli “stellari”, Bellissimo nome! Vi immagino allora pieni di luce, luminosi, carichi di una gioia che nessuno può spegnere! Vi sogno così tutti i ragazzi vi sognano così! E allora prendete la vostra luce dalla “stella polare” che è Gesù, Lui solo non farà mai spegnere il vostro entusiasmo, la vostra passione, il vostro desiderio di rendere la terra bella come il cielo.

Dal messaggio del cardinale Dionigi Tettamanzi agli animatori.
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giovedì 11 giugno 2009

31 - NEL SILENZIO DEL CUORE

Nel silenzio del cuore, Dio parla; se starai davanti a Dio nel silenzio e nella preghiera, Dio ti parlerà. E saprai allora che non sei nulla. Soltanto quando riconoscerai il tuo non essere, la tua vacuità, Dio potrà riempirti con se stesso. Le anime dei grandi oranti sono delle anime di grande silenzio.
(Beata Teresa di Calcutta)

mercoledì 10 giugno 2009

30 - LA PREGHIERA


Per me la preghiera è uno slancio del cuore,

è un semplice sguardo gettato verso il cielo,

è un grido di gratitudine e amore, nella prova come nella gioia,

insomma, è qualcosa di grande, di soprannaturale,

che mi dilata l’anima e mi unisce a Gesù.

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(Santa Teresa di Lisieux)

lunedì 8 giugno 2009

29 - L’EUCARESTIA AL CENTRO

Il cibo eucaristico fa dei molti un solo corpo, il corpo di Cristo, nello Spirito Santo.
Dunque configura nel tempo un popolo che esprime a livello sociale, e non solo individuale, la forza dello Spirito di Cristo che trasforma la storia. Fa dell’umanità un popolo nuovo, secondo il disegno di Dio.

Mettere l’Eucarestia al centro vuol dire riconoscere questa forza plasmatrice dell’Eucarestia, disporsi a lasciarla operare in noi non solo come singoli, ma anche come comunità cristiana, e accettare le condizioni e le implicazioni di questo evento unico e rivoluzionario che è la Pasqua immessa nel tempo dell’uomo.
Perché è importante mettere l’Eucarestia al centro? Essa ci assicura il contatto vivente con Cristo, centro oggettivo della vita della Chiesa e di tutta la storia umana. L’Eucarestia ha la proprietà di collocare ogni aspetto della vita, nella sua frammentarietà e singolarità, entro il respiro unitario di un piano e di un destino, che è insieme la sintesi riassuntiva e la matrice creativa di tutti i momenti della vita della chiesa e della storia umana.

Non è facile mettere l’Eucarestia al centro! Non è facile accogliere il messaggio del sacramento dell’Eucarestia nella sua forza.
I testi del Nuovo Testamento alludono spesso all’incomprensione che essa incontra in coloro ai quali è destinata.
Nell’Eucarestia l’amore di Dio si manifesta nelle sue forme più pure e sconvolgenti, e incontra un uomo spaesato dinanzi a cose immensamente più grandi di lui.
L’Eucarestia al centro è la meta di un lungo cammino.

Rimane la domanda di fondo: sappiamo davvero celebrare il mistero di Dio? Esso è davvero per tutti noi un valore, il valore sommo? La Messa trasforma la vita? La vita è sentita come attratta dalla Messa? L’Eucarestia è davvero il centro, o almeno viviamo come cristiani l’impegno di metterla al centro, di aprirci al soffio della Parola, al vento dello Spirito, che ci invitano a metterla al centro?

(Carlo Maria Martini, in Attirerò tutti a me, lettera pastorale 1982-83)
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28 - UN’ESISTENZA EUCARISTICA

Che cosa significa un’esistenza eucaristica? Ci risponde Isaia, al capitolo 61,versetti 1-3: è una vita “a” e una vita “per”. Una vita che non si chiude in sé nell’ansia dell’autorealizzazione, nella preoccupazione di essere qualcuno, di realizzarsi, di essere contento.
Una vita aperta a un compito al di là di me stesso, il cui centro non sono più io.
Isaia descrive questa vita così:
a portare il Vangelo ai poveri,
a fasciare i cuori spezzati,
a proclamare la libertà agli schiavi, la scarcerazione ai prigionieri.
a promulgare l’anno di misericordia del Signore.
Sono quattro “a” che descrivono una vita dedicata all’annuncio.

Nella seconda parte del testo del profeta si parla di una vita
per consolare,
per allietare,
per dare una corona invece di cenere, olio di letizia invece dell’abito di lutto, canto di lode invece di un cuore mesto.
Tre “per” che qualificano una vita per la gioia e il conforto degli altri.
Ci chiediamo allora quale nuova coscienza di sé, quale nuova comprensione di me genera questa vita “a” e “per”.
La risposta è nella seconda lettera ai Corinti (2 Cor. 4,1-2): questa vita genera una coscienza libera dalla paura e dai compromessi, proprio perché non si tratta più di me. Da dove viene questa qualità di vita? Chi ne è l’autore, il responsabile?
E’ lo stesso Gesù che dà la vita per noi per amore, l’Eucarestia è la garanzia, la forza permanente dell’uomo eucaristico.
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(Carlo Maria Martini, Omelia, 11 giugno 1983)
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domenica 7 giugno 2009

27 - IL VALORE DEL SILENZIO

Se in principio c’era la Parola e dalla Parola di Dio, venuta tra noi, è cominciata ad avverarsi la nostra redenzione, è chiaro che, da parte nostra, all’inizio della storia personale di salvezza ci deve essere il silenzio: il silenzio che ascolta, che accoglie, che si lascia animare. Certo, alla Parola che si manifesta dovranno poi corrispondere le nostre parole di gratitudine, di adorazione, di supplica, ma prima c’è il silenzio.

La capacità di vivere un po’ del silenzio interiore connota il vero credente e lo stacca dal mondo dell’incredulità.

L’uomo che ha estromesso dai suoi pensieri, secondo i dettami della cultura dominante, il Dio vivo che di sé riempie ogni spazio, non può sopportare il silenzio. Per lui, che ritiene di vivere ai margini del nulla il silenzio è segno terrificante del vuoto. Ogni rumore, per quanto tormentoso e ossessivo, gli riesce più gradito; ogni parola, anche la più insipida, è liberatrice da un incubo, tutto è preferibile all’essere posti implacabilmente, quando ogni voce tace, davanti all’orrore del niente.

L’uomo “nuovo” sa che il vuoto non c’è e il niente è eternamente vinto dalla divina Infinità, sa che l’universo è popolato di creature gioiose, sa di essere spettatore e già in qualche modo partecipe dell’esultanza cosmica, riverberata dal mistero di luce, di amore, di felicità che sostanzia la vita inesauribile del Dio Trino.

Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da orde di parole, di suoni, di clamori, che assordano il nostro giorno e perfino la nostra notte; ciascuno è interiormente insidiato dal multiloquio mondano che con mille futilità ci distrae e ci disperde.

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(Carlo Maria Martini, lettera pastorale “La dimensione contemplativa della vita”, 1980-81)

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sabato 6 giugno 2009

26 - COSTRUIAMO INSIEME L'EUROPA

In tutto il continente gli elettori per il Parlamento europeo sono circa 376 milioni, oltre 50 milioni nel nostro Paese.

Prima che l’Unione europea (Ue) nascesse, guerra, distruzione e violenza erano le caratteristiche di un continente diviso. Oggi l’Europa è unita e tutti noi facciamo parte di una stessa comunità di valori. La Ue non è solo un’entità politica ed economica, è anche un insieme di valori condivisi: i diritti dell’uomo, la dignità della persona, la democrazia, la giustizia, il valore della legge, la solidarietà e la sussidiarietà sono al centro delle nostre azioni. Siamo tutti diversi ma tutti uguali. Il nostro motto è: "uniti nella diversità".

Queste elezioni al Parlamento europeo sono di estrema importanza. Ci danno l’occasione di mostrare ai cittadini perché la Ue è così importante e di spiegare la concreta influenza per le loro vite del lavoro del Parlamento europeo, che agisce in aree che vanno dalla liberalizzazione dei trasporti alla regolazione dei mercati finanziari, dalla protezione dei consumatori alla limitazione delle emissioni da combustibili.

Durante il mandato parlamentare ormai concluso, abbiamo fatto grandi progressi nella protezione dell’ambiente con l’approvazione del Pacchetto sul cambiamento climatico. Questo lavoro dovrebbe proseguire anche nel prossimo mandato. La diversificazione delle risorse energetiche è un’altra priorità del futuro. La stessa cosa si può dire per la crisi economica: nessun Paese può affrontarla da solo, c’è bisogno di una soluzione europea. I cittadini temono di perdere il lavoro e chiedono il rilancio dell’economia: il Parlamento europeo è il posto giusto per affrontare questi problemi, perché siamo l’istituzione europea più legata ai cittadini.

Un’altra priorità è la ratifica del Trattato di Lisbona, affinché possa entrare in vigore il più presto possibile. Il Trattato darà nuovo slancio alla democrazia e alla protezione dei diritti dei cittadini, perché in esso sono compresi e difesi i valori di dignità della persona, di rispetto dei diritti dell’uomo e il principio della solidarietà. La Carta dei diritti fondamentali ha, inoltre, capitoli specifici sulla protezione della famiglia, dei minori e degli anziani, come esempi concreti e realizzati dei valori cristiani.

Questioni fondamentali come la povertà nei Paesi in via di sviluppo devono coinvolgerci in modo diretto. E l’Europa dovrebbe mostrarsi unita anche verso il problema delle migrazioni. L’immigrazione irregolare porta molti disperati a una morte atroce. La Ue non può accettare una cosa simile, mentre nessun Paese può pensare di risolvere un tale dramma solo per sé stesso. Il Parlamento europeo sostiene tutti gli sforzi mirati ad assicurare che i popoli di differenti religioni e culture possano vivere insieme e in pace in qualunque parte del mondo. Il dialogo interculturale è stato una delle mie primarie preoccupazioni, insieme con lo sforzo di costruire un ponte di mutua comprensione tra le due sponde del Mediterraneo.

Le elezioni del 6 e 7 giugno danno agli italiani l’occasione di far sentire le proprie speranze e le proprie preoccupazioni. Se volete avere voce in capitolo sulle decisioni prese in Europa, e se volete che chi le prende vi ascolti, allora fate sentire la vostra voce. La scelta è vostra!

Hans Gert Poettering Presidente del Parlamento Europeo

(Tratto da Famiglia Cristiana, numero 23 del 7 giugno 2009, pag.33)

mercoledì 3 giugno 2009

25 - LA TRINITÀ

“O mio Dio, Trinità che adoro, pacifica la mia anima, fanne il tuo cielo, la tua dimora amata e il luogo del tuo riposo. Che io non ti lasci mai sola, ma che sia lì, con tutta me stessa, tutta vigile nella mia fede, tutta adorante, tutta offerta alla tua azione creatrice”
(Beata Elisabetta della Trinità)

Qual è il mistero centrale della fede e della vita cristiana?
Il mistero centrale della fede e della vita cristiana è il mistero della Santissima Trinità. I cristiani vengono battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Il mistero della Santissima Trinità può essere conosciuto dalla sola ragione umana?
Dio ha lasciato qualche traccia del suo Essere trinitario nella creazione e nell’Antico Testamento, ma l’intimità del suo Essere come Trinità Santa costituisce un mistero inaccessibile alla sola ragione umana. Tale mistero è stato rivelato da Gesù Cristo, ed è la sorgente di tutti gli altri misteri.

Come la Chiesa esprime la sua fede trinitaria?
La Chiesa esprime la sua fede trinitaria confessando un solo Dio in tre persone:Padre, Figlio e Spirito Santo. Le tre persone divine sono un solo Dio, perché ciascuna di esse è identica alla pienezza dalla unica e indivisibile natura divina. Esse sono realmente distinte tra loro, per le relazioni che le mettono in riferimento le une alle altre: il Padre genera il Figlio, il Figlio è generato dal Padre, lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio.

(Dal Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, numeri 44-45-48)
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24 - LA TRINITA’ NELL’ARTE

Icona della Trinità, conservata presso la Galleria Statale Tret'jakov a Mosca, conosciuta anche come L'ospitalità di Abramo.

Andrei Rublëv
Della vita di Rublëv si conosce pochissimo. Non è noto né dove né quando, esattamente, sia nato.
Probabilmente visse nel Monastero della Trinità di San Sergio, il più importante monastero e centro di spiritualità della Chiesa Ortodossa Russa.
Le prime notizie di Rublëv risalgono al 1405, quando decorò con affreschi e icone la cattedrale dell’Annunciazione di Mosca. Morì nel 1430 e fu canonizzato dalla Chiesa ortodossa russa nel 1988, la sua ricorrenza è celebrata in 4 luglio.

Nella sua arte si combinano due tradizioni: un alto ascetismo è l'armonia classica di derivazione bizantina. Le sue pitture trasmettono sempre una sensazione di pace e calma, tanto che dopo alcuni anni la sua arte arrivò a essere percepita come l'ideale della pittura religiosa e dell'arte iconografica. Nel 1551, a Mosca, il Concilio dei Cento capitoli stabilì che l'iconografia di Rublëv era il modello per ogni pittura ecclesiastica.

Il capolavoro di Rublëv è l’icona della Trinità, risalente al 1422. questa icona rappresenta una novità in quanto, dell’ospitalità di Abramo sotto la quercia di Mamre, come era rappresentata fino ad allora, Rublëv ha conservato soltanto i tre angeli, per sottolineare il mistero della Trinità, dando alla scena un significato di apparizione di Dio.
La composizione prende anche una dimensione eucaristica: l’angelo centrale, che rappresenta il Figlio, benedice la coppa con gesto sacerdotale, la piccola costruzione sopra l’angelo di sinistra è la casa del Padre, simbolo della Chiesa, la quercia sulla destra è l’albero della vita e la roccia il macigno della fede.
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martedì 2 giugno 2009

23 - I FRUTTI DELLA PACE INTERIORE

Abbiate cura di mantenere il vostro cuore nella pace; non sia turbato da alcun evento di questo mondo; pensate che quaggiù tutto finisce.
In tutti gli avvenimenti, per quanto infausti siano, dobbiamo rallegrarci invece di rattristarci, per non perdere un bene più prezioso, che è la pace e la calma dell'animo.
Quand'anche tutto quaggiù crollasse e tutti gli avvenimenti ci fossero avversi, sarebbe inutile turbarci, poiché il turbamento ci porterebbe più danno che profitto.
Sopportare tutto con la stessa stabilità di umore e nella pace, è non soltanto aiutare l'animo ad acquistare grandi beni, ma anche disporre l'animo a giudicare meglio le avversità in cui si trova e a portarvi il rimedio adeguato.
Il cielo è stabile e non è soggetto a cambiamenti. Allo stesso modo le anime che sono di natura celeste sono stabili; non sono soggette a tendenze disordinate, o a nient'altro di simile; assomigliano in un certo senso a Dio, che è immutabile.

San Giovanni della Croce (1542-1591), carmelitano, dottore della Chiesa

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