Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

domenica 29 settembre 2013

850 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - OTTOBRE 2013

Intenzione generale: "perché quanti si sentono schiacciati dal peso della vita, sino a desiderare la fine, possano avvertire la vicinanza dell'amore di Dio".
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Intenzione missionaria: "perché la celebrazione della giornata missionaria mondiale renda tutti i cristiani coscienti di essere non solo destinatari, ma anche annunciatori della parola di Dio".
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Intenzione dei vescovi: "perché i cristiani non si sottraggano al dovere di dare il loro contributo all'edificazione della città dell'uomo, e siano coscienza evangelica della società".

venerdì 27 settembre 2013

849 - V DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Il brano di Luca 6,27-38 fa parte del cosiddetto “discorso della pianura” (6,17-49) che Gesù pronuncia, dopo l’elezione dei dodici apostoli, davanti ai suoi discepoli e alla folla. Si noti come egli si rivolga dapprima: «A voi che ascoltate», a quanti cioè aprono il cuore e la mente alla sua parola (v.27), e avvia il suo discorso riguardante il comportamento dei suoi discepoli improntato essenzialmente alla misericordia (vv. 28-34), incorniciato dai detti relativi all’amore per i nemici rispettivamente al v. 27 e al v. 35a. Tutto però poggia sul fatto che un simile amore rivela, in chi lo vive, la figliolanza dell’Altissimo, di Dio, il quale «è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (v. 35). Ciò viene poi ripetuto al v. 36 dove la misericordia di Dio è indicata come misura della misericordia del discepolo. Ad esso seguono alcuni detti sul giudizio, sul perdono e sulla generosità del dono (vv. 37-38).
Le Scritture offrono una chiara testimonianza alla carità di Dio verso tutti gli uomini che si è resa visibile nel donare al mondo il suo Unico Figlio, Gesù.
Egli nella sua vita terrena ha predicato il Vangelo della salvezza destinata anche ai peccatori, ai piccoli e agli ultimi che, perciò, ha fatto oggetto di speciale attenzione e amore. Egli si è premurato di mettere in luce nella sua parola e nelle sue azioni che nessuno, proprio nessuno, è escluso dalla salvezza che Dio offre in lui, il Figlio amato!
Con ciò Gesù porta a compimento quanto i profeti avevano annunciato a proposito delle grandi cose che Dio ha in serbo non solo per il suo popolo, ma anche per gli stranieri e perfino per gli eunuchi (Lettura: Isaia 56) che «preferiscono quello che a me piace e restano fermi nella mia alleanza» (v. 4).
Stranieri ed eunuchi nel contesto della società del tempo del profeta rappresentano il gradino più basso e, di fatto, sono considerati degli estranei, esclusi perciò dalla discendenza di Abramo e dalle promesse, impossibilitati a rendere culto all’unico Dio, il Dio di Israele. Gli eunuchi, in particolare, impossibilitati a generare, sono destinati all’insignificanza e all’oblio perenne.
Eppure, a quanti di essi si aprono alla volontà di Dio e praticano perciò la “giustizia” (v. 2), Dio promette di dare un «nome eterno» che non sarà mai cancellato dalla memoria del popolo (cfr.v. 5) e di gradire le loro preghiere e le loro offerte, ammettendoli così a celebrare il culto nel suo Tempio che, perciò, diviene «casa di preghiera per tutti i popoli» (v. 7).
Il Signore Gesù, principalmente nella sua Pasqua, compiendo l’antica profezia, ha radunato senza preclusioni di sorta nella sua comunità, la Chiesa, quanti, pur appartenenti a popoli diversi per lingua e cultura, volgono il cuore a lui e al suo Vangelo.
Ciò si concretizza nell’accoglienza delle sue parole e della sua Legge che è illustrata nella pagina evangelica oggi proclamata. In essa viene data la norma suprema della carità declinata in atteggiamenti e comportamenti umanamente inconcepibili come l’amore verso i nemici, «il fare del bene a quelli che vi odiano, il benedire coloro che vi maledicono, il pregare per coloro che vi trattano male» (Vangelo: Luca 6,27-28).
Questa norma che Gesù consegnò ai suoi discepoli e, tramite essi, a tutti coloro che nei secoli vorranno seguirlo, è stata da lui praticata per primo nel dare la sua stessa vita per gli uomini, tutti indistintamente “morti” a causa del peccato e anche per quelli a lui ostili al punto da consegnarlo a una morte violenta e infamante. In ciò egli ha rivelato il comportamento di Dio stesso il quale, “giustamente” dovrebbe condannare il mondo alla rovina eterna mentre, inaspettatamente, si mostra «benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (v. 35) concedendo il suo perdono nel suo Figlio crocifisso.
Tocca ora alla sua Chiesa mostrare e testimoniare il volto di Dio che Gesù ha rivelato nella sua persona e nella sua vita così che tutti i suoi membri appaiono effettivamente, quali sono per grazia, «figli dell’Altissimo» (v. 35) come lui, cioè, pronti al perdono e misericordiosi.
In epoca apostolica, Paolo ha tradotto la norma del Signore nell’esortazione data alla comunità di Roma composta da ebrei convertiti e da pagani e, quindi, difficilmente amalgamabili: «Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio» (Epistola: Romani 15,7) e, perciò, supplica il Signore di concedere ad essi «di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (v. 5-6). Si tratta di una norma tra le più difficili per noi da osservare, di fatto impossibili se non interviene un dono dall’Alto.
Del resto anche l’antico orante si domandava: «Come potrà un giovane tenere pura la sua via?», ossia vivere in fedeltà i precetti del Signore (Salmo 118,9)? La risposta è contenuta nei versetti successivi: «Con tutto il mio cuore ti cerco: non lasciarmi deviare dai tuoi comandi» (v. 10).
Cercare il Signore con tutto il cuore, chiedere a Dio di insegnarci i suoi decreti e di far sì che riponiamo in essi la nostra gioia e la nostra delizia, non più, dunque, nella gioia e nelle delizie effimere che ci procura l’assecondare il nostro cuore cattivo. È ciò che abbiamo domandato all’inizio dell’assemblea liturgica: «Signore, ascolta la mia voce! Di te il mio cuore ha detto: Cerca il suo volto! Io cercherò il tuo volto, Signore; non ti celare mai!» (Canto All’Ingresso) e per cui abbiamo pregato prima dell’offerta del Corpo e del Sangue del Signore: «Infondi, o Dio, nei tuoi figli una grande e forte capacità di amare, perché sappiano serbarsi fedeli all’insegnamento del vangelo e possano vivere sempre nella carità e nella pace» (Orazione Sui doni). 
A. Fusi

sabato 14 settembre 2013

848 - 3 DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

In questo discorso di rivelazione del Figlio (Vangelo di Giovanni, 5,25-36), Gesù annunzia con solennità che è giunta l’“ora” in cui i “morti”, ossia quanti non sono stati illuminati dal suo Vangelo, finalmente lo «udranno e a chi l’avrà accolto, sarà donata la vita» (v. 25). Questo perché anche il Figlio «ha la vita in sé stesso» proprio in quanto Figlio del Padre che è fonte della vita. Con la vita il Figlio riceve anche la funzione di giudicare propria del Figlio dell’uomo, che esige cioè un’adeguata risposta in coloro che odono il suo messaggio (vv. 26-27). Una funzione questa che non riguarda solo il presente, ma che attiene al giudizio finale (vv. 28-30). Nella seconda parte del brano Gesù produce delle testimonianze sulla sua missione tra le quali la prima è quella di «un altro», ovvero del Padre (vv. 31-32). Segue quella data da Giovanni il Battista descritto come lampada che aveva annunciato la presenza del Messia. Un annuncio anch’esso non accolto (vv. 33-34). Gesù, infine, ritorna sulla “testimonianza superiore”, vale a dire le opere che lui compie, ossia i grandi segni che lo accreditano come l’inviato dal Padre, da Dio (v. 36).
Nelle domeniche che si succedono a partire dalla festa del martirio del Precursore, siamo invitati dalle divine Scritture ad accogliere la “testimonianza” che esse danno di Gesù e della sua missione nel mondo. In realtà, l’ascolto delle Scritture, ci permette di udire la testimonianza che Dio stesso dà di Gesù, mandato nel mondo a compiere quelle opere salvifiche sintetizzate nella sua Pasqua (cfr. Vangelo: Giovanni 5,36).
Di Gesù, a cavallo tra l’Antica e la Nuova Alleanza, ha dato efficace testimonianza Giovanni Battista, definito dallo stesso Signore quale «lampada che arde e risplende» (v. 35), con il compito di additare in lui l’inviato di Dio atteso dal popolo e soprattutto il Figlio Unigenito del Padre. È questa la «testimonianza alla verità» che Israele è invitato ad accogliere e, con Israele, sono invitati tutti i popoli.
Proprio nella sua condizione di “Figlio”, Gesù viene nel mondo perché “i morti”, ossia l’umanità avvolta dalle tenebre dell’incredulità e del peccato, odano la sua voce e «quelli che l’avranno ascoltata, vivranno» (v. 25). La «voce del Figlio di Dio», infatti, è capace di oltrepassare ogni barriera e ogni abisso per raggiungere il cuore dell’uomo, e liberarlo, così, dalla “morte eterna”, dalla quale è già avviluppato a causa del suo peccato, donandogli la “vita” che il Figlio, in quanto tale, ha in sé stesso.
In tal modo viene portata a compimento non solo per Israele, ma per ogni uomo, la profezia con la quale Dio, fedele a sé stesso, al giuramento d’amore per il suo popolo, non solo decide unilateralmente di cancellare i suoi misfatti e di non ricordare più i suoi peccati (Lettura: Isaia 43,25), ma di versare «il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri» (v. 3), sicché è davvero «beata la nazione che ha il Signore come Dio, il popolo che egli ha scelto come sua eredità» (Salmo32).
Effondere lo spirito e recare al mondo la benedizione divina capace di ridare vita ai “morti” è l’opera che Dio ha dato da compiere al suo Unigenito, il quale cerca sempre di fare «la volontà di colui che lo ha mandato» (cfr. Giovanni 5,30).
Un’opera adempiuta nella sua Pasqua, come precisa opportunamente l’Epistola: «Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio» (Ebrei 12,2).
Lo spirito e la benedizione divina per l’uomo di ieri, di oggi e di sempre, risiede pertanto nella persona del Figlio Unigenito di Dio, in Gesù di Nazaret, il Crocifisso/Risorto. Ascoltare la sua voce e credere in lui significa letteralmente “uscire dai sepolcri” nei quali l’incredulità e il peccato tengono già rinchiuso l’uomo e soprattutto ottenere in dono non tanto la vita terrena che è «un soffio», ma la vita di Dio che il Figlio ha in sé stesso (Giovanni 5,26).
È la vita di cui egli fa partecipi quanti, «avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù» (Ebrei 12,1-2).Tenere fisso lo sguardo su Gesù significa concretamente credere in lui, costi quel che costi, poggiare ogni attesa e ogni speranza su di lui il quale, solo, ha dimostrato di avere in sé stesso la vita e di donarla a quanti «ascoltano la sua voce» (Giovanni 5,25).
Intanto di quell’ascolto e del conseguente dono della vita ci è dato di fare iniziale autentica esperienza nella celebrazione eucaristica. In essa, come ci fa dire il canto Alla Comunione, «Il Pane della vita è spezzato, il Calice è benedetto. Il tuo corpo ci nutra, o Dio nostro, il tuo sangue ci dia vita e ci salvi.
A. Fusi

domenica 8 settembre 2013

847 - VEGLIA DI PREGHIERA PER LA PACE


«Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,12.18.21.25). Il racconto biblico dell’inizio della storia del mondo e dell’umanità ci parla di Dio che guarda alla creazione, quasi la contempla, e ripete: è cosa buona. Questo, carissimi fratelli e sorelle, ci fa entrare nel cuore di Dio e, proprio dall’intimo di Dio, riceviamo il suo messaggio.

Possiamo chiederci: che significato ha questo messaggio? Che cosa dice questo messaggio a me, a te, a tutti noi?

1. Ci dice semplicemente che questo nostro mondo nel cuore e nella mente di Dio è la “casa dell’armonia e della pace” ed è il luogo in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi “a casa”, perché è “cosa buona”. Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare, e la relazione con Dio che è amore, fedeltà, bontà, si riflette su tutte le relazioni tra gli esseri umani e porta armonia all’intera creazione. Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro. Questa sera, nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non è forse questo il mondo che io desidero? Non è forse questo il mondo che tutti portiamo nel cuore? Il mondo che vogliamo non è forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle città, nelle e tra le nazioni? E la vera libertà nella scelta delle strade da percorrere in questo mondo non è forse solo quella orientata al bene di tutti e guidata dall’amore? 

2. Ma domandiamoci adesso: è questo il mondo in cui viviamo? Il creato conserva la sua bellezza che ci riempie di stupore, rimane un’opera buona. Ma ci sono anche “la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra”. Questo avviene quando l’uomo, vertice della creazione, lascia di guardare l’orizzonte della bellezza e della bontà e si chiude nel proprio egoismo.

Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto. Esattamente questo è ciò che vuole farci capire il brano della Genesi in cui si narra il peccato dell’essere umano: l’uomo entra in conflitto con se stesso, si accorge di essere nudo e si nasconde perché ha paura (Gen 3,10), ha paura dello sguardo di Dio; accusa la donna, colei che è carne della sua carne (v. 12); rompe l’armonia con il creato, arriva ad alzare la mano contro il fratello per ucciderlo. Possiamo dire che dall’armonia si passa alla “disarmonia”? Possiamo dire questo: che dall’armonia si passa alla “disarmonia”? No, non esiste la “disarmonia”: o c’è armonia o si cade nel caos, dove è violenza, contesa, scontro, paura…

Proprio in questo caos è quando Dio chiede alla coscienza dell’uomo: «Dov’è Abele tuo fratello?». E Caino risponde: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Non si tratta di qualcosa di congiunturale, ma questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!

Dopo il caos del Diluvio, ha smesso di piovere, si vede l’arcobaleno e la colomba porta un ramo di ulivo. Penso anche oggi a quell’ulivo che i rappresentanti delle diverse religioni abbiamo piantato a Buenos Aires, in Plaza de Mayo, nel 2000, chiedendo che non ci sia più il caos, chiedendo che non ci sia più guerra, chiedendo pace.
 
3. E a questo punto mi domando: E’ possibile percorrere la strada della pace? Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo! La mia fede cristiana mi spinge a guardare alla Croce. Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla Croce! Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani e i fratelli delle altre Religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace! Ognuno si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello - penso ai bambini: soltanto a quelli… - guarda al dolore del tuo fratello, e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro! Finisca il rumore delle armi! La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità. Risuonino ancora una volta le parole di Paolo VI: «Non più gli uni contro gli altri, non più, mai!... non più la guerra, non più la guerra!» (Discorso alle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965: AAS 57 [1965], 881). «La pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità» (Messaggio per Giornata Mondiale della pace 1976: AAS 67 [1975], 671). Fratelli e sorelle, perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata Nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo, questa sera, per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace. Così sia.
Francesco

846 - TWEET DI PAPA FRANCESCO PER LA PACE

7 settembre 

Pregate per la pace!

Pray for Peace!

¡Recen por la paz!

Priez pour la paix

Betet um Frieden!

Módlcie się o pokój!
 
6 settembre
 
Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà!
 
All men and women of good will are bound by the task of pursuing peace
 
¡Que una cadena de compromiso por la paz una a todos los hombres y mujeres de buena voluntad!
 
Qu’une chaîne d’engagement pour la paix unisse tous les hommes et toutes les femmes de bonne volonté !
 
Eine Kette des Einsatzes für den Frieden möge alle Männer und Frauen guten Willens verbinden!
 
لتوحِد سلسلة من الالتزام بالسلام جميع الرجال والنساء من ذوي الإرادة الصالحة!
 
Niech działania na rzecz pokoju połączą niczym łańcuch wszystkich ludzi dobrej woli!

sabato 7 settembre 2013

845 - DONACI LA PACE SIGNORE

Dacci, Signore, quella PACE inquieta
che denuncia la pace dei cimiteri
e la pace degli abbondanti guadagni.
Dacci la PACE che ci scuote con l’urgenza del REGNO.
La PACE che ci invade, con il vento dello SPIRITO,
l’abitudine e la paura, il riposo delle spiagge e la preghiera di rifugio.
La PACE della fame di Giustizia,
la PACE della Libertá conquistata,
la PACE che diventa “nostra” senza recinti né frontiere,
che tanto é “Shalom” come “Salam”, perdono, ritorno, abbraccio...
Dacci la tua PACE,
questa PACE marginale che balbetta in Betlemme
e agonizza sulla Croce e trionfa nella Pasqua.
Dacci, Signore, quella PACE inquieta che non ci lascia in pace!
(Mons. Pedro Casaldaliga)

domenica 1 settembre 2013

844 CHE COSA POSSIAMO FARE NOI PER LA PACE?

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Quest'oggi, cari fratelli e sorelle, vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall'unica grande famiglia che è l'umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace! E' il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato.
Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra, ma, in questi giorni, il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano.
Rivolgo un forte Appello per la pace, un Appello che nasce dall'intimo di me stesso! Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l'uso delle armi in quel martoriato Paese, specialmente tra la popolazione civile e inerme! Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro! Con particolare fermezza condanno l'uso delle armi chimiche! Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi! C'è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l'uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza!
Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all'altro come ad un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell'incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. Con altrettanta forza esorto anche la Comunità Internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell'intera popolazione siriana.
Non sia risparmiato alcuno sforzo per garantire assistenza umanitaria a chi è colpito da questo terribile conflitto, in particolare agli sfollati nel Paese e ai numerosi profughi nei Paesi vicini. Agli operatori umanitari, impegnati ad alleviare le sofferenze della popolazione, sia assicurata la possibilità di prestare il necessario aiuto.
Che cosa possiamo fare noi per la pace nel mondo? Come diceva Papa Giovanni: a tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convivenza nella giustizia e nell'amore (cfr Lett. enc. Pacem in terris [11 aprile 1963]: AAS 55 [1963], 301-302).
Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà! E' un forte e pressante invito che rivolgo all'intera Chiesa Cattolica, ma che estendo a tutti i cristiani di altre Confessioni, agli uomini e donne di ogni Religione e anche a quei fratelli e sorelle che non credono: la pace è un bene che supera ogni barriera, perché è un bene di tutta l'umanità.
Ripeto a voce alta: non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell'incontro, la cultura del dialogo; questa è l'unica strada per la pace.
Il grido della pace si levi alto perché giunga al cuore di tutti e tutti depongano le armi e si lascino guidare dall'anelito di pace.
Per questo, fratelli e sorelle, ho deciso di indire per tutta la Chiesa, il 7 settembre prossimo, vigilia della ricorrenza della Natività di Maria, Regina della Pace, una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente, e nel mondo intero, e anche invito ad unirsi a questa iniziativa, nel modo che riterranno più opportuno, i fratelli cristiani non cattolici, gli appartenenti alle altre Religioni e gli uomini di buona volontà.
Il 7 settembre in Piazza San Pietro - qui - dalle ore 19.00 alle ore 24.00, ci riuniremo in preghiera e in spirito di penitenza per invocare da Dio questo grande dono per l'amata Nazione siriana e per tutte le situazioni di conflitto e di violenza nel mondo. L'umanità ha bisogno di vedere gesti di pace e di sentire parole di speranza e di pace! Chiedo a tutte le Chiese particolari che, oltre a vivere questo giorno di digiuno, organizzino qualche atto liturgico secondo questa intenzione.
A Maria chiediamo di aiutarci a rispondere alla violenza, al conflitto e alla guerra, con la forza del dialogo, della riconciliazione e dell'amore. Lei è madre: che Lei ci aiuti a trovare la pace; tutti noi siamo i suoi figli! Aiutaci, Maria, a superare questo difficile momento e ad impegnarci a costruire ogni giorno e in ogni ambiente un'autentica cultura dell'incontro e della pace. Maria, Regina della pace, prega per noi!
papa Francesco