Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 30 novembre 2013

867 - III DOMENICA DI AVVENTO, “LE PROFEZIE ADEMPIUTE”

La prima impressione è che il Vangelo (Mt. 11,2-15) di oggi sia diviso in due parti, ma unico è l’insegnamento: Gesù è l’Atteso, colui che ha portato a compimento le parole dei profeti e tutta la Scrittura.
Gesù è l’Atteso da Giovanni, che forse è preso da un momento di dubbio, d’incertezza. Il suo impegno a proclamare la venuta del Messia, a «preparare le strade», come aveva detto il profeta Isaia (40,3), sembra non produrre frutto, anzi gli ha guadagnato il carcere e la morte che sente vicina: conosce bene l’ira di Erode e le arti maliarde di Erodiade e di sua figlia. Forse si domanda perché Gesù non si decide a instaurare quel Regno tanto atteso, che avrebbe scalzato i potenti dai troni e innalzato gli umili, quel regno di giustizia e di pace, che attendeva e per cui aveva dato la vita con la sua predicazione. Può succedere anche a Giovanni, come succede a tutti, di interrogarsi, di domandarsi se per caso ci si è illusi, se ci si è sbagliati. Forse per questo dubbio che lo rattrista, Giovanni manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù se sia lui l’Atteso, o se devono aspettarne un altro.
Gesù non si stupisce dei dubbi di Giovanni come anche dei nostri dubbi, delle nostre incertezze. Gesù non teme le domande che gli facciamo, seppure fossero domande scomode. Sa come rispondere e capisce che chi si interroga è già alla ricerca, perché solo gli indifferenti non si pongono domande: chi ama, cerca di capire sempre meglio l’Amato.
Gesù risponde ai discepoli di Giovanni non con lunghi discorsi, ma con i fatti: indica i ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i sordi, i poveri che gli sono vicini.
Sa che Giovanni capirà: proprio il profeta Isaia, cui Giovanni si è ispirato nella sua vocazione, aveva detto che avrebbero riconosciuto il Messia dal fatto che i sordi avrebbero udito e i ciechi avrebbero visto, gli umili e i poveri avrebbero gioito (cfr Isaia 29,18; 42), gli zoppi avrebbero saltato e i muti cantato inni di gioia (cfr Isaia 35,4-6), perché Dio lo mandava a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare i cuori spezzati, a liberare gli schiavi (cfr Isaia 61,1). Lo stesso metodo Gesù usa con le folle, che attendevano il Messia con lo stesso desiderio di Giovanni. Fa capire loro che è lui l’Atteso, perché ha compiuto le Scritture e proprio Giovanni il Battista ne è la prova.
Il profeta Malachia aveva profetizzato che il segno della venuta del Messia sarebbe stato il ritorno di Elia, che avrebbe convertito i cuori dei padri verso i figli e viceversa (Malachia 3,1 e 23-24).
Parlando alle folle Gesù dice proprio questo: è Giovanni colui di cui ha parlato Malachia; è Giovanni il vero Elia e, dunque, lui, Gesù, è il Messia atteso! Giovanni capirà alla luce della parola di Dio, così come la folla: Gesù ha realizzato le profezie.
Serve anche a noi: impariamo a leggere alla luce della parola di dio le vicende del mondo, allora ne comprenderemo la verità e sapremo come agire, perché Dio – ed è l’ultimo insegnamento del Vangelo di oggi – è fedele: ciò che aveva promesso si è avverato in Gesù. Sarà sempre così, perché Dio è fedele e «forte è il suo amore per noi» (Salmo 117).
Monsignor Ennio Apeciti

866 - EVANGELII GAUDIUM - 5

Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:
Voce profetica per la pace
Riguardo al tema della pace, il Papa afferma che è “necessaria una voce profetica” quando si vuole attuare una falsa riconciliazione che “metta a tacere” i poveri, mentre alcuni “non vogliono rinunciare ai loro privilegi” (218). Per la costruzione di una società “in pace, giustizia e fraternità” indica quattro principi (221): “il tempo è superiore allo spazio” (222) significa “lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati” (223). “L’unità prevale sul conflitto” (226) vuol dire operare perché gli opposti raggiungano “una pluriforme unità che genera nuova vita” (228). “La realtà è più importante dell’idea” (231) significa evitare che la politica e la fede siano ridotte alla retorica (232). “Il tutto è superiore alla parte” significa mettere insieme globalizzazione e localizzazione (234).
Una Chiesa che dialoga
“L’evangelizzazione – prosegue il Papa – implica anche un cammino di dialogo” che apre la Chiesa a collaborare con tutte le realtà politiche, sociali, religiose e culturali (238). L’ecumenismo è “una via imprescindibile dell’evangelizzazione”. Importante l’arricchimento reciproco: “quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri!”, per esempio “nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità” (246); “il dialogo e l’amicizia con i figli d’Israele sono parte della vita dei discepoli di Gesù” (248); “il dialogo interreligioso”, che va condotto “con un’identità chiara e gioiosa”, è “una condizione necessaria per la pace nel mondo” e non oscura l’evangelizzazione (250-251); “in quest’epoca acquista notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam (252): il Papa implora “umilmente” affinché i Paesi di tradizione islamica assicurino la libertà religiosa ai cristiani, anche “tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali!”. “Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento” invita a “evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza” (253). E contro il tentativo di privatizzare le religioni in alcuni contesti, afferma che “il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose” (255). Ribadisce quindi l’importanza del dialogo e dell’alleanza tra credenti e non credenti (257).
Evangelizzatori con Spirito
L’ultimo capitolo è dedicato agli “evangelizzatori con Spirito”, che sono quanti “si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo” che “infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente” (259). Si tratta di “evangelizzatori che pregano e lavorano” (262), nella consapevolezza che “la missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo” (268): “Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri” (270). “Nel nostro rapporto col mondo – precisa – siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano” (271). “Può essere missionario – aggiunge – solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri” (272): “se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita” (274). Il Papa invita a non scoraggiarsi di fronte ai fallimenti o agli scarsi risultati perché la “fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata”; dobbiamo sapere “soltanto che il dono di noi stessi è necessario” (279). L’Esortazione si conclude con una preghiera a Maria “Madre dell’Evangelizzazione”. “Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto” (288). (Sintesi a cura di Sergio Centofanti) - fine.

865 - EVANGELII GAUDIUM - 4

Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:
Una Chiesa povera per i poveri
Ricorda, quindi, “l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana” (178). Ribadisce il diritto dei Pastori “di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo” (182). “Nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza nella vita sociale e nazionale”. “Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo”. E cita Giovanni Paolo II laddove dice che la Chiesa “non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia” (183). “Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri” (187). “A volte si tratta di ascoltare il grido … dei popoli più poveri della terra, perché ‘la pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell'uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli’. Deplorevolmente persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali o dei diritti dei popoli più ricchi” (190). Il Papa denuncia la “cattiva distribuzione dei beni e del reddito” (191). Quindi lancia un monito: “Non preoccupiamoci unicamente di cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza. Perché ‘ai difensori «dell'ortodossia» si rivolge a volte il rimprovero di passività, d'indulgenza o di colpevoli complicità rispetto a situazioni di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che le mantengono’” (194). In questo contesto “c'è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via” (195). “Per la Chiesa l'opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica”. “Per questo chiedo una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci” (198). Il Papa poi afferma che “la peggior discriminazione che soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale” (200). “Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri … non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema” (202).
I politici abbiano cura dei deboli
“La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune” – scrive il Papa - “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri!” (205). Invita ad avere cura dei più deboli: “i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati”. Riguardo ai migranti esorta “i Paesi ad una generosa apertura, che, al posto di temere la distruzione dell'identità locale, sia capace di creare nuove sintesi culturali” (210). Il Papa parla “di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta delle persone” e delle nuove forme di schiavismo: “Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta” (211). “Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza” (212).
Riconoscere dignità umana dei nascituri: aborto non è progressista
“Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo” (213). “Non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a ‘modernizzazioni’. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l'aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie” (214). Poi, l’appello a rispettare tutto il creato: “Piccoli, però forti nell’amore di Dio, come San Francesco d’Assisi, tutti i cristiani siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo” (216). (Sintesi a cura di Sergio Centofanti) - continua -

864 - EVANGELII GAUDIUM - 3

Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:

Dio ci liberi da una Chiesa mondana
Denuncia quindi “la mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa”: consiste “nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale” (93). Questa mondanità si esprime in due modi: “il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo” e “il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che … fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché … sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. E’ una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare” (94). In altri “si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia”. In altri ancora, la mondanità “si esplica in un funzionalismo manageriale … dove il principale beneficiario non è il Popolo di Dio ma piuttosto la Chiesa come organizzazione” (95). “E’ una tremenda corruzione con apparenza di bene … Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!” (97).
Più spazio nella Chiesa a laici, donne e giovani
Altra denuncia: “all’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre!” per “invidie e gelosie”. “Alcuni … più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale” (98). Il Papa sottolinea quindi la necessità di far crescere “la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa”. Talora, “un eccessivo clericalismo” mantiene i laici “al margine delle decisioni” (102). “La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società”, ma “c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”. Occorre garantire la presenza delle donne “nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali” (103). “Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne …non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere”. “Nella Chiesa le funzioni «non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri». Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi” (104). Poi, il Papa rileva che i giovani devono avere “un maggiore protagonismo” (106). Riguardo alla scarsità di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata che si riscontra in molti luoghi, afferma che “spesso questo è dovuto all’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso”. Nello stesso tempo, “non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione, tanto meno se queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico” (107).
La Chiesa ha un volto pluriforme
Affrontando il tema dell’inculturazione, il Papa ricorda che “il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale” e che “la Chiesa esprime la sua autentica cattolicità” mostrando la bellezza di un “volto pluriforme”. (116) “Non farebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde” (117). Il testo ribadisce “la forza evangelizzatrice della pietà popolare” (122). “Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!” (124). Il Papa incoraggia “il carisma dei teologi e il loro sforzo nell’investigazione teologica” ma li invita ad avere “a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa e della stessa teologia” e a non accontentarsi “di una teologia da tavolino” (133).

Omelia: saper dire parole che fanno ardere i cuori
A questo punto, il Papa si sofferma “con una certa meticolosità, sull’omelia e la sua preparazione, perché molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie” (135). Innanzitutto, “chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dov’è vivo e ardente il desiderio di Dio” (137). “L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento”, “deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione” (138). Bisogna saper dire "parole che fanno ardere i cuori", rifuggendo da una "predicazione puramente moralista e indottrinante" (142). “La preparazione della predicazione è un compito così importante che conviene dedicarle un tempo prolungato di studio, preghiera, riflessione”, rinunciando anche “ad altri impegni, pur importanti”. “Un predicatore che non si prepara non è ‘spirituale’, è disonesto ed irresponsabile verso i doni che ha ricevuto” (145). “Una buona omelia … deve contenere ‘un’idea, un sentimento, un’immagine’” (157). “Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio”. “Una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività” (159).
Ruolo fondamentale del “kerygma” “Nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o ‘kerygma’”. Sulla bocca del catechista risuoni sempre il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”(164). Ci sono “alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna” (165). Il Papa indica l’arte dell’accompagnamento, “perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” che bisogna vedere “con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana” (169).  (Sintesi a cura di Sergio Centofanti) - continua -

863 - EVANGELII GAUDIUM - 2

Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:
Concentrarsi sull’essenziale
Riguardo all’annuncio, afferma che è necessario concentrarsi sull’essenziale, evitando una pastorale “ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere” (35): “in questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto” (36). Succede che si parli “più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio” (38). “A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature” dice: “in seno alla Chiesa ... le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola” (40). Circa il rinnovamento, afferma che occorre riconoscere consuetudini della Chiesa “non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”: “non abbiamo paura di rivederle”. (43).
Una Chiesa con le porte aperte
“La Chiesa – scrive il Papa – è chiamata ad essere sempre la casa aperta del padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte”. “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”. Così “l’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (47). Quindi ribadisce quanto diceva a Buenos Aires: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli” senza l’amicizia di Gesù (49).
Sistema economico attuale ingiusto alla radice
Parlando di alcune sfide del mondo attuale, denuncia l’attuale sistema economico: “è ingiusto alla radice” (59). “Questa economia uccide”, fa prevalere la “legge del più forte, dove il potente mangia il più debole”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’” (53). C’è la “nuova tirannia invisibile, a volte virtuale”, di un “mercato divinizzato” dove regnano “speculazione finanziaria”, “corruzione ramificata”, “evasione fiscale egoista” (56). Il documento affronta poi gli “attacchi alla libertà religiosa” e le “nuove situazioni di persecuzione dei cristiani, le quali, in alcuni Paesi, hanno raggiunto livelli allarmanti di odio e di violenza. In molti luoghi si tratta piuttosto di una diffusa indifferenza relativista” (61).
Individualismo postmoderno snatura vincoli familiari
La famiglia, “cellula fondamentale della società” – prosegue il Papa – “attraversa una crisi culturale profonda”. Ribadendo, quindi, “il contributo indispensabile del matrimonio alla società” (66), il Papa sottolinea che “l’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita … che snatura i vincoli familiari”(67).
Tentazioni degli operatori pastorali
Il testo affronta poi le “tentazioni degli operatori pastorali”. Il Papa, afferma, “come dovere di giustizia, che l’apporto della Chiesa nel mondo attuale è enorme. Il nostro dolore e la nostra vergogna per i peccati di alcuni membri della Chiesa, e per i propri, non devono far dimenticare quanti cristiani danno la vita per amore” ((76). Ma “si possono riscontrare in molti operatori di evangelizzazione, sebbene preghino, un’accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo del fervore” (78); in altri si nota “una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana” (79). “La più grande minaccia” è “il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità” . Si sviluppa “la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo” (83). Tuttavia, il Papa invita con forza a non lasciarsi prendere da un “pessimismo sterile” (84). Nei deserti della società sono molti i segni della “sete di Dio”: c’è dunque bisogno di persone di speranza, “persone-anfore per dare da bere agli altri” (86). “Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza” (88). (Sintesi a cura di Sergio Centofanti) - continua -
 

862 - EVANGELII GAUDIUM - 1

Pubblichiamo di seguito un’ampia sintesi dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco:

Nuova tappa evangelizzatrice caratterizzata dalla gioia
“La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (1). Così inizia l’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco. Si tratta di un accorato appello a tutti i battezzati perché con nuovo fervore e dinamismo portino agli altri l’amore di Gesù in uno “stato permanente di missione” (25), vincendo “il grande rischio del mondo attuale”: quello di cadere in “una tristezza individualista” (2). “Anche i credenti corrono questo rischio” (2), perché “ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua” (6): un evangelizzatore non dovrebbe avere “una faccia da funerale” (10). E' necessario passare "da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria" (15).
Riforma delle strutture ecclesiali
Il Papa invita a “recuperare la freschezza originale del Vangelo”, trovando “nuove strade” e “metodi creativi” (11). L’appello rivolto a tutti i cristiani è quello di “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”: “tutti siamo chiamati a questa nuova ‘uscita’ missionaria” (20). Si tratta “di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” e che spinge a porsi in un “permanente stato di missione” (25). E’ necessaria una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie” (27). Partendo dalle parrocchie, il Papa nota che l’appello al loro rinnovamento “non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente” (28). Le altre realtà ecclesiali “sono una ricchezza della Chiesa”, ma devono integrarsi “con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare” (29).
Conversione del papato
Quindi aggiunge: “Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato” perché sia “più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione”. Giovanni Paolo II “chiese di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». Siamo avanzati poco in questo senso”. “Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente». Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria” (32). (Sintesi a cura di Sergio Centofanti) - continua -

861 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - DICEMBRE 2013

Generale: "Perché i bambini vittime dell'abbandono e di ogni forma di violenza possano trovare l'amore e la protezione di cui hanno bisogno".
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Missionaria: "Perché i cristiani, illuminati dalla luce del Verbo incarnato, preparino l'umanità all'avvento del Salvatore".

sabato 23 novembre 2013

860 - I FIGLI DEL REGNO

Luca, indicando con precisione l’anno di regno di Tiberio e i nomi di persona e di luogo, ci ricorda che la storia di Gesù non è un romanzo, ma una verità. Il cristianesimo non si basa su miti e personaggi di nebulosi racconti di misteriosi antenati, ma su una persona precisa:Gesù, veramente vissuto in un tempo e in un luogo precisi e dimostrabili.
Anche per questo Luca cita Isaia: al tempo dei Vangeli più una persona era antica, più le sue parole erano vere. In fondo anche noi diciamo che «il tempo è galantuomo»: la verità dura, mentre la menzogna, come il fango, si deposita sul fondo del lago della storia. Proprio perché le parole di Isaia erano vere, Giovanni andò nel deserto a «preparare la via del Signore» (Isaia 40,3-5), che sarebbe venuto per tutti gli uomini: «Ogni uomo» avrebbe visto la salvezza di Dio.
Per questo Luca presenta tutte le categorie sociali: le folle, i pubblicani, i soldati... tutti! Ad essere precisi, solo“alcuni” dei pubblicani e dei soldati accorrono. Luca da una parte ci dice che tutti sono alla ricerca di Gesù e, dall’altra, ci ricorda che non tutti sono disposti ad accogliere la parola di Dio.
Non tutti lo cercano, ma Giovanni risponde a tutti, agli onesti (le folle) e agli sfruttatori e traditori del loro popolo (com’erano i pubblicani) e ai violenti, spesso assassini, com’erano i soldati, perché in ogni caso tutte le categorie umane sono in ricerca; c’è nel cuore dell’essere umano un insopprimibile desiderio di Dio. Non a caso papa Francesco, a Eugenio Scalfari che gli ha detto di non credere nell’anima, ha risposto: «Non ci crede ma ce l’ha. Si domanderà certo, come tutti, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Se le pone anche un bambino queste domande. E lei?».«Che cosa dobbiamo fare?».
La domanda ripetuta tre volte e identica per tutte le categorie di persone (folla, pubblicani, soldati) allora acquista un senso ancora più profondo. La risposta di Giovanni ha una premessa: occorre non essere ipocriti. Si riconoscono perché per loro la fede è solo una pratica esteriore: si fanno battezzare, ma nel loro cuore non sono convinti di averne bisogno; si sentono già a posto, si ritengono gli eletti di Dio perché hanno «Abramo per padre». Giovanni quasi li aggredisce.Forse questo è il vero peccato: comportarsi bene, senza convinzione interiore. detto questo, la risposta di Giovanni è una sola, valida per tutti: fai bene il tuo dovere; vivi bene la tua vita; sii attento agli altri.
Chi ha due tuniche ne dia una a chi non l’ha; i pubblicani siano onesti e non derubino i loro fratelli;
i soldati non siano violenti e non saccheggino le case dei poveri, ma si accontentino del loro salario.
A questi uomini in ricerca, Giovanni ricorda che la fede e la vita si sostengono a vicenda:la fede cresce se la metti in pratica, e una vita secondo Dio rende più facile il credere in lui.
Mons. Ennio Apeciti

sabato 16 novembre 2013

859 - IL SIGNIFICATO DELL'AVVENTO


Avvento, cioè venuta e attesa, attesa di Colui che deve venire ma anche, per noi Monache, tempo di silenzio per sgombrare il cuore e la mente da rumori e pensieri che occupano la strada di Colui che deve venire; per ordinare i nostri desideri alla sua venuta; per imparare nuovamente a sorprenderci della ricchezza del quotidiano in cui Lui viene a dimorare… Silenzio dunque, ma anche canto con melodie riconoscibili fra mille e che ci fanno riascoltare le parole degli antichi profeti e il loro annuncio. (Abbiamo ancora bisogno di profeti? Sappiamo ancora riconoscerli ed ascoltarli?).
Un’antifona tra tutte ci è cara, quasi iscrivesse nel nostro cuore la dolcezza della sua melodia e la fiduciosa attesa delle sue parole: Rorate coeli de super, et nubes pluant iustum; aperiatur terra, et germinet Salvatorem (Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza — Isaia 45, 8).
Parole che narrano della speranza quotidiana di un contadino: i cieli che si aprono a benedire con la pioggia il suo lavoro, il seme che germoglia… Ma non solo. L’annuncio che si serve dei verbi e degli avvenimenti della quotidiana speranza degli uomini ha per oggetto non un buon raccolto o un conto in banca, ma “il giusto” e “il Salvatore”.
È possibile attendere nei gesti della nostra quotidianità, nei desideri e nelle speranze un Salvatore? Si può aprire il cielo del nostro oggi perché vengano sulle nostre strade, accanto ai nostri passi, la giustizia e la salvezza? E che genere di salvezza può essere quella impastata di fango come noi, quella carica di fatica, di povertà, di preoccupazioni? Quella che cresce come germoglio nascosto accanto agli altri, quella che si affaccia tra le nuvole oscure del nostro peccato, del nostro limite, le nuvole appunto che ci sembrano spegnere il nostro sguardo rivolto al cielo?
Deve essere un Salvatore piccolo come noi, che compie gesti piccoli come i nostri — forse, anzi, proprio i nostri — che cammina, studia e lavora, incontra persone e fa amicizie, ha progetti che a volte riescono e altre volte no. Uno come noi che però sa vedere dentro ogni miseria e piccolezza, oltre ogni gioia e bellezza, uno squarcio di cielo, un raggio di amore che vince ogni solitudine ed invita alla comunione: “Venite a me, voi tutti” (Matteo 11, 28)…
Questo Avvento sia allora per noi, per tutti, “un cammino dello sguardo, in cui gli occhi si abituano a vedere in profondità” (Papa Francesco, Lumen Fidei 30), un cammino di fede che allarga il nostro cuore nella speranza e nella carità.
Romite Ambrosiane del Sacro Monte di Varese

venerdì 8 novembre 2013

858 - CRISTO RE DELL'UNIVERSO

Il brano di Matteo 25,31-46 conclude il discorso sulla venuta del Figlio dell’uomo (Matteo 24-25) e si può dividere in tre parti. La prima: vv. 31-33, introduce la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo con il raduno universale davanti al suo trono e la separazione tra i buoni (pecore) alla sua destra e i cattivi (capre) alla sua sinistra. Nella seconda: vv. 34-45, possiamo distinguere il dialogo del re con i chiamati alla beatitudine per aver compiuto le opere di carità e di misericordia verso i poveri a lui identificati (vv. 34-40) e il dialogo con quelli posti alla sua sinistra destinati alla perdizione e alla rovina eterna per non aver compiuto le sopra citate opere di carità verso i poveri (i piccoli) e, in definitiva, verso di lui (vv. 41-45). Il v. 46 rappresenta la conclusione che descrive l’effettiva esecuzione delle sentenze: l’eterna rovina-la vita eterna. 

In questa domenica, conclusiva dell’anno liturgico, viene messa in rilievo la regalità che il Signore Gesù ha acquistato sul mondo, sulla storia e su ogni realtà esistente a motivo della sua morte, con la quale ha affrontato e vinto il potere del male che teneva proditoriamente in suo pugno l’uomo e l’intera creazione uscita dalla mano di Dio.
Con la sua risurrezione, inoltre, ha fatto brillare la vittoria della vita come speranza certa per i credenti e ha ricevuto dal Padre «ogni potere in cielo e in terra», compreso quello di giudicare, ossia di escludere o di ammettere nella vita beata del Regno dei Cieli.
Il testo evangelico, a tale riguardo, ci trasporta nelle realtà ultime e definitive che attendono ogni uomo, tra le quali spicca il giudizio affidato al Figlio dell’uomo, ossia al Signore Gesù Cristo vittorioso sul male, sul peccato e sulla morte. 
L’Antico Testamento, come risulta dalla pagina profetica, conosce la misteriosa figura del Figlio dell’uomo come proveniente dalla sfera celeste e al quale il vegliardo che siede sul trono circondato da miriadi di angeli (Lettura: Daniele 7,9-10), nel quale si deve riconoscere Dio, consegna un potere eterno «che non finirà mai e il suo regno non sarà mai distrutto» (v.14). Non sorprende, perciò che, per indicare l’ora del giudizio finale, l’evangelista applichi a Gesù il titolo di Figlio dell’uomo, altamente espressivo della sua sovranità sovratemporale, e lo descriva ricorrendo al linguaggio vetero-testamentario idoneo a parlare delle realtà ultime qual è, appunto, il giudizio supremo e inappellabile che avviene attorno al suo trono circondato dalla corte celeste e davanti al quale «verranno radunati tutti i popoli» (Vangelo: Matteo 25,31-32).
Gesù stesso, del resto, si attribuirà il titolo di Figlio dell’uomo, a indicare il “potere” che verrà posto nelle sue mani, in seguito agli eventi pasquali della sua morte e risurrezione, che lo proclamano davanti al mondo e alla storia quale egli è in senso pieno ed esclusivo: Figlio di Dio. Nella sua Pasqua, infatti, si manifesta al livello più alto il suo amore filiale per il Padre e il suo amore incandescente per l’umanità piagata e umiliata dal male e dal peccato.
Si comprende, perciò, come il giudizio abbia luogo davanti a colui che reca sulla sua persona i segni visibili della sua carità e consista, essenzialmente, in una “separazione” tra “pecore” e “capre”, ossia tra buoni e cattivi che nell’esistenza terrena vivevano insieme. Separazione fatta in base a un unico criterio: «l’aver dato o non dato da mangiare agli affamati, da bere agli assetati…» (cfr. vv.35-36), il criterio, cioè, della carità verso gli ultimi, i piccoli, i tribolati, che il Giudice ritiene come fatta o non fatta a sé stesso (v.40; v.45).
Una identificazione giustificata in quanto, nel mistero del suo amore per gli uomini umiliati dal potere del male, egli non solo si è spogliato della sua condizione divina venendo in questo mondo rivestito della nostra fragilità e debolezza, ma ha sacrificato «se stesso sull’altare della croce come vittima immacolata di pace», portando così «a compimento il mistero della nostra salvezza» (Prefazio). 
Il suo regno, pertanto, sarà popolato soltanto da gente capace di amare, come lui ha amato e, dunque un regno che, diversamente dai regni mondani fondati sul dominio e sul potere e, perciò, caduchi, sarà «un regno universale ed eterno: regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» (Prefazio).
Esso apparirà nell’ora solenne della parusìa, l’ora del definitivo trionfo del Signore sulle potenze celesti ostili ai disegni salvifici e su tutti i nemici di Dio e degli uomini compreso quello che l’Apostolo chiama l’ultimo e il più terribile, quale è la morte (cfr. Epistola: 1Corinzi 15,24-26). Solo allora, infatti, potrà consegnare a Dio Padre il regno conquistato dal suo amore e abitato da quanti, al pari di lui, hanno amato, così che, finalmente, «Dio sia tutto in tutti» (v. 28).
Mentre attendiamo la manifestazione piena e definitiva del Regno, guardando al Signore che ci ha amato «sino alla fine», esaminiamo il nostro cuore e la nostra vita e se scoprissimo di essere collocati «alla sinistra» del trono del grande Re, supplichiamolo perché il suo Spirito ci trasformi intimamente e ci renda capaci di vivere della sua carità, che ci tiene costantemente vicini agli affamati, agli assetati, ai tribolati e agli ultimi che il mondo disprezza e non degna di considerazione alcuna, così come ha disprezzato il Signore Crocifisso.
Così facendo tutti noi, membra vive della Chiesa, autentico germoglio del Regno, mostreremo che è possibile un’altra vita, un altro mondo, un altro regno: quello dell’Amore crocifisso, l’unico che riconosciamo nostro Re. Lui solo, infatti, ha avuto «pietà dei nostri errori» e, «obbediente al volere del Padre», si è lasciato «condurre sulla croce come agnello mansueto destinato al sacrificio». A lui, solo a lui, dunque, diciamo: «Sia gloria, osanna, trionfo e vittoria», a lui «la più splendente corona di lode e di onore» (canto Dopo il Vangelo). 
Nel concludere l’Anno liturgico e preparandoci a vivere una nuova stagione di grazia, impariamo dalla solennità odierna a seguire le orme del Signore nella via della Carità, perché quando egli verrà come nostro giudice non abbiamo nulla da temere. Mentre ci accostiamo alla mensa imbandita dall’amore del Signore, supplichiamo il Padre perché «obbediamo con gioia a Cristo, Signore dell’universo, per regnare anche noi un giorno nella gloria senza fine»  (Orazione Dopo la Comunione).
A.Fusi