Avvento, cioè venuta e attesa, attesa di Colui che deve venire ma anche, per noi Monache, tempo di silenzio per sgombrare il cuore e la mente da rumori e pensieri che occupano la strada di Colui che deve venire; per ordinare i nostri desideri alla sua venuta; per imparare nuovamente a sorprenderci della ricchezza del quotidiano in cui Lui viene a dimorare… Silenzio dunque, ma anche canto con melodie riconoscibili fra mille e che ci fanno riascoltare le parole degli antichi profeti e il loro annuncio. (Abbiamo ancora bisogno di profeti? Sappiamo ancora riconoscerli ed ascoltarli?).
Un’antifona tra tutte ci è cara, quasi iscrivesse nel nostro cuore la dolcezza della sua melodia e la fiduciosa attesa delle sue parole: Rorate coeli de super, et nubes pluant iustum; aperiatur terra, et germinet Salvatorem (Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza — Isaia 45, 8).
Parole che narrano della speranza quotidiana di un contadino: i cieli che si aprono a benedire con la pioggia il suo lavoro, il seme che germoglia… Ma non solo. L’annuncio che si serve dei verbi e degli avvenimenti della quotidiana speranza degli uomini ha per oggetto non un buon raccolto o un conto in banca, ma “il giusto” e “il Salvatore”.
È possibile attendere nei gesti della nostra quotidianità, nei desideri e nelle speranze un Salvatore? Si può aprire il cielo del nostro oggi perché vengano sulle nostre strade, accanto ai nostri passi, la giustizia e la salvezza? E che genere di salvezza può essere quella impastata di fango come noi, quella carica di fatica, di povertà, di preoccupazioni? Quella che cresce come germoglio nascosto accanto agli altri, quella che si affaccia tra le nuvole oscure del nostro peccato, del nostro limite, le nuvole appunto che ci sembrano spegnere il nostro sguardo rivolto al cielo?
Deve essere un Salvatore piccolo come noi, che compie gesti piccoli come i nostri — forse, anzi, proprio i nostri — che cammina, studia e lavora, incontra persone e fa amicizie, ha progetti che a volte riescono e altre volte no. Uno come noi che però sa vedere dentro ogni miseria e piccolezza, oltre ogni gioia e bellezza, uno squarcio di cielo, un raggio di amore che vince ogni solitudine ed invita alla comunione: “Venite a me, voi tutti” (Matteo 11, 28)…
Questo Avvento sia allora per noi, per tutti, “un cammino dello sguardo, in cui gli occhi si abituano a vedere in profondità” (Papa Francesco, Lumen Fidei 30), un cammino di fede che allarga il nostro cuore nella speranza e nella carità.
Romite Ambrosiane del Sacro Monte di Varese
Un’antifona tra tutte ci è cara, quasi iscrivesse nel nostro cuore la dolcezza della sua melodia e la fiduciosa attesa delle sue parole: Rorate coeli de super, et nubes pluant iustum; aperiatur terra, et germinet Salvatorem (Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza — Isaia 45, 8).
Parole che narrano della speranza quotidiana di un contadino: i cieli che si aprono a benedire con la pioggia il suo lavoro, il seme che germoglia… Ma non solo. L’annuncio che si serve dei verbi e degli avvenimenti della quotidiana speranza degli uomini ha per oggetto non un buon raccolto o un conto in banca, ma “il giusto” e “il Salvatore”.
È possibile attendere nei gesti della nostra quotidianità, nei desideri e nelle speranze un Salvatore? Si può aprire il cielo del nostro oggi perché vengano sulle nostre strade, accanto ai nostri passi, la giustizia e la salvezza? E che genere di salvezza può essere quella impastata di fango come noi, quella carica di fatica, di povertà, di preoccupazioni? Quella che cresce come germoglio nascosto accanto agli altri, quella che si affaccia tra le nuvole oscure del nostro peccato, del nostro limite, le nuvole appunto che ci sembrano spegnere il nostro sguardo rivolto al cielo?
Deve essere un Salvatore piccolo come noi, che compie gesti piccoli come i nostri — forse, anzi, proprio i nostri — che cammina, studia e lavora, incontra persone e fa amicizie, ha progetti che a volte riescono e altre volte no. Uno come noi che però sa vedere dentro ogni miseria e piccolezza, oltre ogni gioia e bellezza, uno squarcio di cielo, un raggio di amore che vince ogni solitudine ed invita alla comunione: “Venite a me, voi tutti” (Matteo 11, 28)…
Questo Avvento sia allora per noi, per tutti, “un cammino dello sguardo, in cui gli occhi si abituano a vedere in profondità” (Papa Francesco, Lumen Fidei 30), un cammino di fede che allarga il nostro cuore nella speranza e nella carità.
Romite Ambrosiane del Sacro Monte di Varese