Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

lunedì 31 gennaio 2011

492 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - FEBBRAIO 2011

Generale: Perché la famiglia sia da tutti rispettata nella sua identità e sia riconosciuto il suo insostituibile contributo in favore dell'intera società.

Missionaria: Perché in quei territori di missione dove più urgente è la lotta contro le malattie, le comunità cristiane sappiano testimoniare la presenza di Cristo accanto ai sofferenti.

Durante la sua vita terrena, Gesù è stato sempre vicino alla sofferenza umana. L'esperienza della guarigione dei malati ha occupato gran parte della sua missione pubblica. A Lui hanno portato malati, storpi, ciechi e lebbrosi. Una catena di dolore vissuto tante volte nell’emarginazione sociale, e considerato il risultato del peccato personale o dei propri genitori (cfr. Gv 9, 2). Sant’Agostino amava chiamare Gesù "il medico umile". Ha attraversato il mondo facendo il bene e curando le malattie.

Benedetto XVI ha affermato: "Nonostante la malattia faccia parte dell’esperienza umana, ad essa non riusciamo ad abituarci, non solo perché a volte diventa veramente pesante e grave, ma essenzialmente perché siamo fatti per la vita, per la vita completa. Giustamente il nostro ‘istinto interiore’ ci fa pensare a Dio come pienezza di vita, anzi come Vita eterna e perfetta” (Angelus, 8 febbraio 2009).

Talvolta il dolore e l'impotenza causata dalla malattia possono mettere alla prova la fede. I credenti hanno il dovere di aiutare i loro fratelli a trovare il senso della sofferenza nella croce di Gesù Cristo e di continuare a pregare per chiedere a Dio la grazia di "saper soffrire". Dobbiamo essere per loro la vicinanza di Dio nel dolore.

Alla domanda sollevata dalla malattia, Dio ha risposto in Cristo Gesù: " Dio – del quale Lui stesso ci ha rivelato il volto – è il Dio della vita, che ci libera da ogni male. I segni di questa sua potenza d’amore sono le guarigioni che compie: dimostra così che il Regno di Dio è vicino, restituendo uomini e donne alla loro piena integrità di spirito e di corpo” (Benedetto XVI, ibid.).

Ma queste guarigioni fisiche non sono un fine in sé stesse. Sono segni che parlano della necessità di una guarigione più profonda. La più grave malattia che affligge l’uomo di tutti i tempi è l'assenza di Dio, sorgente della verità e dell'amore. In Cristo, Dio è diventato buon samaritano per noi. Attraverso l’incarnazione si è fatto "nostro prossimo", ci ha preso sulle sue spalle di Buon Pastore e ci ha portato alla locanda che è simbolo della Chiesa. Ci ha guarito le ferite con l'olio dei sacramenti, per rimetterci in salute.

Parlando del significato pieno del ministero di Cristo, il Papa afferma che "solo la riconciliazione con Dio può donarci la vera guarigione, la vera vita, perché una vita senza amore e senza verità non sarebbe vita. Il Regno di Dio è proprio la presenza della verità e dell’amore e così è guarigione nella profondità del nostro essere. Si comprende, pertanto, perché la sua predicazione e le guarigioni che opera siano sempre unite: formano infatti un unico messaggio di speranza e di salvezza” (Benedetto XVI, ibid.).

Il ministero di Cristo continua nella Chiesa. Essa continua a guarire l'uomo con la grazia dei sacramenti, mentre, impegnata in mille attività caritative, mitiga il dolore di quanti soffrono, essendo per loro la presenza amorevole di Dio. Preghiamo affinché molti cristiani - sacerdoti, religiosi e laici - che assistono i malati in molte parti del mondo, continuino ad essere le mani e il Cuore di Cristo per i loro fratelli nei paesi di missione. "Quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 40

sabato 29 gennaio 2011

491 - FAMIGLIE IN FESTA A SAN GEROLAMO EMILIANI

Domenica 30 gennaio, in occasione della festa della Sacra Famiglia, durante la solenne concelebrazione eucaristica delle ore 11 saranno ricordati gli sposi che festeggiano 10, 25, 40, 50 e 60 anni di matrimonio.

Dopo la Messa, alle ore 12,30 è previsto il pranzo comunitario presso il refettorio del Centro Piamarta.

Auguri a tutte le famiglie!

venerdì 28 gennaio 2011

490 - SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE

Il brano evangelico di Luca 2,22-33, inserito nel racconto della natività e dell’infanzia di Gesù, in un primo momento (vv. 22-24) riferisce i passi compiuti da Maria e da Giuseppe in ottemperanza alla “Legge di Mosè” che prescrivono riti di “purificazione” dopo il parto riguardanti la madre (cfr. Levitico 12,2-5) e l’offerta a Dio di Gesù, il loro figlio “primogenito” (cfr. Esodo 13,2). Riti che si compiono nel tempio di Gerusalemme che è il luogo eletto da Dio per significare la sua presenza in mezzo al suo popolo.

Segue l’incontro con Simeone del quale viene prima tracciato un profilo (vv. 25-26) come «uomo giusto e timorato di Dio» che aspettava “il conforto di Israele” ossia aperto e disponibile ad accogliere la visita di Dio a beneficio del suo popolo. Egli è soprattutto un “profeta” come insinua l’espressione: «lo Spirito Santo era su di lui» e porta nel cuore la rivelazione dell’imminente venuta del Messia.

I vv. 27-32 riportano i gesti e le parole pronunziate da Simeone in un contesto di “benedizione” del Signore e mentre teneva tra le sue braccia il bambino Gesù che riconosce come la “salvezza” personificata e come “luce” destinata a far uscire tutte le genti della terra dall’oscurità dell’incredulità e dell’idolatria e come “gloria”, ossia rivelazione di Dio al popolo di Israele.

Il v. 33, infine, registra la reazione “stupita” di Maria e di Giuseppe davanti a ciò che hanno visto e ascoltato.

Collocata nel peculiare contesto del tempo dopo l’Epifania la presente festività liturgica vuole certamente mettere in luce il carattere di esemplarità che la Famiglia di Nazaret riveste per tutte le nostre famiglie, ma sottolinea ancora una volta l’epifania del Figlio di Dio fatto uomo.

Egli, «svuotandosi della sua gloria divina», si fa in tutto uno di noi a cominciare dal mettersi totalmente nelle mani di un papà e di una mamma come avviene per ognuno di noi. I suoi primi giorni sono contrassegnati da un totale abbandono alla volontà di Dio, inizialmente manifestata nella “Legge di Mosè” e che contraddistinguerà tutta la sua esistenza fino alla fine, fino alla sua morte di croce.

Lui, che è il Figlio dell’Altissimo, viene “riscattato” con una «coppia di tortore o due giovani colombe», perché i suoi genitori non sono in grado di offrire un “agnello di un anno” come prescrive il libro del Levitico 12,6. Tutto ciò rinnova nella Chiesa la grazia del Natale come apparizione nel mondo della “salvezza”, della “luce”, della “gloria” e della “consolazione” di Dio donata a tutti gli uomini.

Dalla Famiglia di Nazaret, inoltre, nella quale Dio ha «collocato le arcane primizie della redenzione del mondo» (Prefazio) impariamo a fondare le nostre famiglie sull’accoglienza e sull’obbedienza alla Legge del Signore che è tutta riassunta nel precetto della carità così declinata dall’apostolo Paolo: «rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro» (Epistola, Colossesi, 3,12-13).

Tale precetto esige naturalmente l’osservanza di ciò che è stabilito da Dio nel cuore di tutti i figli verso i loro genitori: «Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare le doglie di tua madre. Ricorda che essi ti hanno generato: che cosa darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?» (Lettura Siracide, 7,27-28).

Sappiamo bene che tale visione sulla famiglia fatica a conservarsi anche nelle nostre comunità ecclesiali. La tentazione di sganciare la famiglia dai disegni fondativi di Dio e dalla sua volontà su di essa fa breccia anche tra di noi. Occorre guardare, perciò, alla Famiglia di Nazaret, penetrare nel suo “segreto” e fare di tutto per rimanere fondati e fermi sulla divina volontà.

Per questo così preghiamo all’inizio dell’Assemblea Liturgica: «O Dio onnipotente, che hai mandato tra noi il tuo unico e dilettissimo Figlio a santificare i dolci affetti della famiglia umana e a donare, con la sua immacolata condotta e con le virtù di Maria e di Giuseppe, un modello sublime di vita familiare, ascolta la preghiera della tua Chiesa: concedi ai coniugi le grazie della loro missione di sposi e di educatori e insegna ai figli l’obbedienza che nasce dall’amore».

(A.Fusi)

venerdì 21 gennaio 2011

489 - III DOMENICA DOPO PASQUA

Lambert Lombard, Sfamando i cinquemila - Rockox House, Anversa

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Il miracolo dei pani, narrato da tutti gli evangelisti, è interpretato dalla nostra tradizione liturgica come uno dei momenti “epifanici” del mistero di Cristo. I brani biblici oggi proclamati sono:

Lettura: Esodo 16,2-7a.13b-18: Dopo l’acqua di Meriba, un altro dono manifesta il mistero di Dio:la manna. Un pane sconosciuto, da mangiare in modo diverso, accogliendolo giorno dopo giorno, senza mai possederlo, per entrare in una relazione con Dio intessuta di vero affidamento.

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Salmo 104: il Signore ricorda sempre la sua parola santa.

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Epistola: 2Corinzi 8,7-15: La manna era donata secondo il bisogno di ciascuno; tale deve essere il nostro rapporto con i beni, teso a creare eguaglianza tra tutti nella condivisione. Si diviene così partecipi del modo stesso di essere di Gesù, che ci arricchisce facendosi povero.

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Vangelo: Luca 9,10b-17: Gesù accoglie le folle, mentre i discepoli vorrebbero congedarle; ordina di non comperare del pane, ma di condividere il poco che hanno. Trasforma così la logica del mondo: non il possesso ma la condivisione sazia la nostra vita e rivela il regno di Dio.

488 - LA DOMENICA DEI “PANI”

Il brano evangelico, nel versetto iniziale che non viene letto: «Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto» (v. 10a), si rifà a Luca 9,1-6 riguardante l’invio in missione dei dodici apostoli da parte di Gesù.

I vv. 10-11a rappresentano l’introduzione del racconto che vede Gesù invitare i suoi apostoli a ritirarsi “in disparte” dopo la loro attività missionaria. Si direbbe invano, perché la folla continuava a seguirli.

Il v. 11a sottolinea con il verbo “le accolse” la premura del Signore verso quanti lo seguono. Di essi si prende cura parlando «loro del regno di Dio», in qualche modo reso riconoscibile nella disponibilità di Gesù «a guarire quanti avevano bisogno di cure».

Il v. 12 nel dare ragguagli sull’ora, quella del tramonto, mette in campo i Dodici che si preoccupano della necessità della gente che li segue di trovare un alloggio per la notte e dei necessari rifornimenti di cibo con la precisazione «qui siamo in una zona deserta».

Segue, ai vv. 13-15, il dialogo tra Gesù e i discepoli avviato dall’ordine sorprendente ed incomprensibile dato da Gesù: «Voi stessi date loro da mangiare». La risposta mette in luce l’esiguità di ciò che essi hanno a disposizione: «cinque pani e due pesci» se messa in rapporto all’enorme numero di persone da sfamare: “cinquemila uomini” che vengono fatti accomodare per terra «a gruppi di cinquanta circa».

Il v. 16 che allude al racconto della cena rappresenta il centro del racconto occupato dal solo Gesù! Lui è il protagonista dei “gesti”: «prese i cinque pani e i due pesci» e «alzò gli occhi al cielo»; e delle parole di lode e di esaltazione di Dio: «recitò su di essi la benedizione»; e, ancora, del gesto importante, quello di “spezzare” i pani e di “darli” ai discepoli, i quali sono ora coinvolti nel distribuirli alla folla.

Con ciò si sottolinea ancora una volta, come già al v. 12, il ruolo di mediazione e la funzione di servizio dei Dodici che anticipa quello che dovranno assumere dopo la morte e la risurrezione del Maestro.

Il brano si chiude al v. 17 con le osservazioni relative all’abbondanza del cibo imbandito dal Signore. Non solo «tutti mangiarono a sazietà» ma addirittura, con i pezzi avanzati, si riempirono “dodici ceste” ad indicare, con ciò, la straordinaria grandezza di Dio che in Cristo, suo Figlio, viene incontro con sovrabbondanza e in modo definitivo, alle necessità degli uomini. “Sovrabbondanza”, quella di Dio, che sopravanza e si distingue da ogni altra abbondanza terrena.

Proclamato nel presente contesto liturgico dell’Epifania del Signore il brano evangelico mette in luce come Gesù, nel “pane” donato alla folla che lo segue, porta a compimento quanto è stato profeticamente annunziato nella «cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra» e che gli Israeliti, in marcia nel deserto, chiamarono “manna” (Lettura: Esodo 16).

In verità Gesù non solo è il vero Mosè che ottiene da Dio il “pane” come cibo per il popolo affamato ma è lui stesso in grado di donare il nutrimento a quanti lo seguono e di donarlo in misura sovrabbondante.

Anzi, come sappiamo, è Gesù stesso il “pane” che viene dal Cielo nella donazione senza misura fatta di sé, nell’imminenza della sua morte. In lui, nel suo agire, si manifesta la grandezza dell’amore di Dio per tutti, così cantato nel Prefazio: «è giusto benedirti in ogni tempo perché da te ci viene ogni alito di vita, da te ci è data ogni capacità di agire, da te dipende tutta la nostra esistenza. Nessun momento mai trascorre senza i doni del tuo amore, ma in questi giorni, dopo che abbiamo rivissuto la venuta tra noi del Signore Gesù e tutti i prodigi della redenzione, si fa più chiara e viva la coscienza delle passate gioie e dei beni presenti».

Posti davanti a un così traboccante dono dell’amore del Signore che, venendo nel mondo, «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (Epistola: 2Corinzi 8,9), impariamo da lui a fare altrettanto con il nostro prossimo, usando generosa carità, specialmente verso i poveri, i quali, spesso sono ricchi di fede e di grande umanità.

A questo, infatti, ci esorta l’Apostolo: «Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza» (v. 14). è quanto domandiamo nell’orazione Dopo la Comunione: «Tu che ci nutri e ci rinnovi, o Dio, con la sublimità di questi misteri di grazia, disponi i tuoi fedeli a rendere operosa nella vita la ricchezza della loro divina efficacia».

(A. Fusi)

martedì 18 gennaio 2011

487 - LA GIOIA È LA PRIMA TESTIMONIANZA DEL VANGELO

E' molto bello che nel vangelo di Giovanni la prima presentazione di Maria avvenga a una festa di nozze, in un momento di gioia intensa e partecipata. Se il messaggio di Gesù è un "vangelo", cioè un lieto annuncio, non poteva esserci momento più significativo per proclamarlo. Non meraviglia che la prima a capirlo e a viverlo così sia proprio sua madre. Era abituata a gustare e a condividere la gioia umana più profonda e autentica (con Elisabetta, con il Magnificat, con i pastori, con Simeone e Anna) perché viveva vicino alla sorgente di quella gioia, Gesù.

Chi pensa e vive la propria fede cristiana come un peso schiacciante e un impegno severo che non lascia spazio a manifestazioni di gioia e a distrazioni festose, non ha capito il vangelo. La fede è prima di tutto pace, gioia e festa con Dio Padre e con i fratelli. Il volto del cristiano deve essere il riflesso del Dio della gioia. Maria insegna a tutti a condividere e a comunicare la gioia di vivere. E' la prima e la più semplice testimonianza del vangelo che il Signore ci chiede.

(Oscar Battaglia, La Madre del mio Signore)

venerdì 14 gennaio 2011

486 - II DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

In queste domeniche, che seguono alla solennità dell’Epifania, ripercorriamo le prime manifestazioni del Signore. “A Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù: egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero in lui”: il segno delle nozze di Cana suscita e accompagna la nostra fede. Nel miracolo del Signore è la sua fedeltà lungo tutta la storia della salvezza. Resi partecipi dell’esuberanza dei suoi doni, siamo chiamati ad aprirci alla comprensione del suo ministero di amore: è l’ora della Pasqua, che viene annunciata e resa presente un questa celebrazione, affinché cresca in noi l’opera della grazia, e ci sia dato di conseguire i beni offerti alla nostra speranza.

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Lettura Libro dei Numeri 20,2.6-13: A Meriba Dio di dimostrò santo in mezzo a loro” attraverso il dono dell’acqua. Dio rivela se stesso mediante i doni con cui si prende cura della nostra vita. La fede che ci viene chiesta è credere in questa sua sollecitudine provvidente.

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Salmo 94: Noi crediamo, Signore, alla tua parola.

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Epistola ai Romani 8,22-27: Molti desideri abitano la nostra vita e “non sappiamo come pregare”, non perché ignoriamo cosa chiedere, ma perché non sappiamo fare ordine nei desideri e discernere i veri bisogni. Lo Spirito ci aiuta ad orientare i nostri desideri al vero bene, Dio stesso.

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Vangelo Giovanni 2,1-11: Quello di Cana è l’inizio dei segni e imprime il suo stampo su tutto ciò che Gesù dirà e farà. Ci rivela così il suo ministero più nascosto, egli è lo Sposo venuto a trasformare l’acqua della nostra relazione con Dio nel vino di una comunione sponsale.

mercoledì 12 gennaio 2011

485 - A UN ANNO DAL TERREMOTO DI HAITI

«LA MIA VITA NUOVA NELL'HAITI DEL TERREMOTO

È partito per la missione a 70 anni, e ad accoglierlo ha trovato subito il terremoto. E poi la ricostruzione che non c'è, il colera, i disordini. Ma padre Thomas Moore continua a vedere i segni della speranza

«La domanda non è "Padre, lei come fa a mantenere un senso di ottimismo e di speranza in una situazione in cui sono successe tali terribili cose?", ma è "come fanno loro?". Perché per la gente di Haiti la vita, semplicemente, continua. Gente magnifica e, a mio giudizio, invincibile. Il numero dei morti dall'inizio dell'anno è impressionante - 230mila per il terremoto, più quelli per l'uragano e ora quelli per il colera - tuttavia non sono riportati casi di suicidio. Sarebbe interessante fare un paragone con i suicidi negli Stati Uniti solo nelle ultime settimane. Forse è San Paolo che può aiutare a capire, in questo passo della Lettera ai Romani: "Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato"».

Così scriveva il 28 novembre padre Thomas Moore nel suo blog. Piccolo rifugio nei ritagli di tempo, quando c'è la corrente, e mezzo per far conoscere la vita sull'isola e ai parenti e amici lasciati negli Usa.

Padre Tom è un religioso della provincia di Detroit-Toledo degli Oblati di San Francesco di Sales. Avrebbe potuto finire tranquillamente in patria il suo ministero sacerdotale. Due anni fa, alla veneranda età di 70 anni, ha invece chiesto di essere mandato ad Haiti per dare una mano nel nuovo noviziato dell'isola. «Per un'ispirazione divina», dice. Un paio di giorni dopo il terremoto, con la casa crollata, due religiosi morti e altri feriti, l'avevano dato per defunto. I confratelli avevano preparato un necrologio. E invece padre Tom è riapparso, deciso a condividere fino in fondo la tragedia di un popolo a cui la sua parabola si è legata misteriosamente.

«In questo momento abbiamo 18 postulanti che stanno studiando filosofia e teologia - racconta via mail -, viviamo tutti molti stretti sotto lo stesso tetto. Abbiamo iniziato le lezioni in aprile, continuiamo a farle nelle tende. La nostra biblioteca è andata distrutta. Abbiamo salvato qualcosa, ma abbiamo bisogno di libri e altro materiale didattico che qui non si trova. Per questi ragazzi che iniziano la vita religiosa, condividere le sofferenze del loro popolo è un'esperienza formativa in sé. È un tempo di profonda preghiera, per discernere la volontà di Dio, e di carità, portando aiuto a coloro che hanno più bisogno».

Dopo la catastrofe e l'epidemia, adesso sono arrivati anche gli incidenti e la rabbia per i risultati delle ultime elezioni, pochi giorni fa. Il giudizio di padre Tom sulla corruzione e il malgoverno ad Haiti è netto: «A parte i generosissimi aiuti medici e la distribuzione di acqua e cibo degli inizi, dopo quasi un anno non ho visto veri tentativi di ricostruire Port-Au-Prince. Non ho sentito di piani per radere al suolo gli edifici inabitabili o per ricostruire le infrastrutture. Non vedo camion portare via le macerie. Vedo gente che cerca di tirare giù a mano le case pericolanti e altri che trascinano pezzi di cemento in mezzo alla strada, dove restano bloccando il traffico».

Quello che rifulge tra le macerie è la vita cristiana, la fede nuda di chi può far affidamento quasi solo su Dio. «Posso citare la mia parrocchia, Saint Louis Roi de France, a Turgeau - Port-Au-Prince - racconta sempre questo figlio americano di san Francesco di Sales - dopo il terremoto, che ha distrutto la bella chiesa eretta 125 anni fa, il parroco è stato il primo a organizzare gli aiuti, ha portato cibo, ha trovato alcuni dottori e del personale infermieristico per curare centinaia di persone della zona. La ‘clinica', sotto un telone di plastica, è ancora in funzione. Abbiamo iniziato a celebrare la Messa all'aperto e lo spazio attorno alle rovine della chiesa è diventato un luogo di ritrovo per chi aveva perso tutto. In quaresima abbiamo organizzato delle via Crucis, meditando alle varie stazioni sugli effetti del terremoto».

Questa, per padre Tom, è anche la Chiesa per cui vale pena diventare missionari quando gli altri se ne vanno in pensione: «Vivere il terremoto è stato vivere l'orrore. Morte e sofferenza ovunque, con un senso di impotenza. Oggi posso dire che il mio spirito è contento di essere qui, con questo popolo meraviglioso, anche se il mio corpo lo è meno. Ci sono piccole cose - l'elettricità, l'acqua corrente calda o fredda, lo spazio personale, la privacy - che in un Paese come gli Usa sono scontate. Qui sono un lusso. Per fortuna ho il dono della salute: ho 72 anni ma è come se ne sentissi 45. Un'altra grazia».

di Andrea Galli

http://www.missionline.org/

martedì 11 gennaio 2011

484 - FIGLIO MIO, NON AVERE PAURA

Figlio mio,

che sei su questa terra,

preoccupato, triste e tentato,

ti chiamo per nome,

ti conosco e ti amo.

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Non avere paura,

non sarai mai solo,

ti sarò sempre accanto,

insieme spargeremo il seme della vita

che ti dono in eredità.

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Desidero solo che tu faccia

la mia volontà.

Non preoccuparti:

ti darò cibo per ogni giorno

Da dividere col tuo prossimo

più povero, in solidarietà.

Sappi che ti perdono ogni peccato

Anche prima che tu pecchi;

ti chiedo solo di perdonare

tutti quelli che ti offendono.

Per non soccombere alla tentazione

afferra la mia mano

con forza e fiducia.

Ti libererò dal male,

figlio mio ,

a me tanto caro.

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(Padre Raffaele di Bari, missionario comboniano di Barletta

ucciso in Uganda il 1 ottobre 2000)

venerdì 7 gennaio 2011

483 - QUESTI E' IL FIGLIO MIO

In quel tempo. Il Signore Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».


Vangelo secondo Matteo, 3,13-17

482 - BATTESIMO DEL SIGNORE

Il testo del Vangelo di Matteo (3,13-17) si presenta diviso in due parti. Nei vv. 13-15 è riportato il dialogo tra Giovanni il Battista e Gesù che vuole essere battezzato da lui, mentre i vv. 16-17 narrano l’evento del Battesimo con la relativa teofania, ovvero, con la manifestazione di Dio. Va in particolare notata la resistenza iniziale opposta dal Battista alla richiesta di Gesù. Giovanni, infatti, sa molto bene chi è Gesù e come, lui solo, ha la capacità di battezzare «in Spirito e fuoco» (Mt 3,11) per l’effettiva remissione dei peccati.

Il suo, infatti, è un Battesimo “nell’acqua” di tipo, cioè, penitenziale in qualche modo orientato proprio al “Battesimo” di Gesù! La risposta di Gesù (v. 15) fa capire a Giovanni che il suo mettersi in fila con i “peccatori” bisognosi di purificazione e di perdono dice come lui obbedisce in tutto al disegno divino di universale salvezza rivelato nelle Sacre Scritture.

Il racconto del Battesimo vero e proprio è assai stringato (vv. 16-17). In esso si distinguono quattro elementi come il “salire” di Gesù dall’acqua del Giordano quale segno della sua “discesa” nella morte di croce e di “salita” nella sua risurrezione. Non a caso, perciò, l’apostolo Paolo attribuisce anche al nostro Battesimo un valore simbolico di morte e di risurrezione.

Il secondo elemento è rappresentato dalla “apertura dei cieli”. Essa permette di entrare in contatto con il mondo dove Dio abita. Ad essa fa seguito la visione dello Spirito Santo discendere su Gesù come “colomba”. Questa visione, si riallaccia a ciò che leggiamo nel libro della Genesi 1,2 dove si dice che al principio della creazione lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Con ciò si vuol dire che in Gesù e a partire da lui lo Spirito è all’opera in vista di una nuova creazione. Quella precedente, come ben sappiamo, ha fatto naufragio e con essa l’umanità.

L’ultimo elemento è la “voce” dai cieli a indicare Dio stesso che qui si rivolge ai presenti per rivelare che quell’uomo che “sale dall’acqua” è il «Figlio mio, il prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». Si tratta di una citazione di Is 42 modificata dall’evangelista: colui che il Profeta indicava come il “servo” qui è il “Figlio” di Dio (cfr. Salmo 2,7), non “eletto”, ma il “prediletto” ossia il Figlio quello “unico”, quello che Dio “ama” (cfr. Genesi 22,2 in riferimento a Isacco, figlio “unico” di Abramo).

Queste parole, in realtà, ci richiamano l’ora suprema dell’epifania del Figlio di Dio che è l’ora della sua croce nella quale egli riceve dal Padre l’“onore” più grande: quello di diventare il punto di raccolta dell’umanità così indicata dal Profeta: «Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele che ti onora» (Lettura: Isaia 55,4-5).

Anche l'Epistola mette in luce la destinazione universale dei disegni salvifici di Dio che si rivelano nel Figlio “amato” e che riguardano tutti gli uomini: «Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo» (Efesini, 2,13). Egli, come figlio obbediente, pronto a compiere la volontà del Padre, fino alla consegna di sé sulla croce, è come il capostipite di una moltitudine non più di “lontani”, ma di “vicini”, non più di “nemici”, ma di “riconciliati”, non più di «stranieri né ospiti», ma di «concittadini dei santi e familiari di Dio» (v. 19).

Tutto ciò è “annunziato” nell’evento del Battesimo al Giordano che, perciò, segna il momento tra i più significativi dell’epifania del Signore il Figlio, l’unico, l’amato, nel quale il Padre ha deciso di concedere a tutti il “perdono e la pace” e specialmente di rendersi a tutti accessibile e di farsi da tutti trovare. è l’esortazione del Profeta: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona» (Isaia 55,6-7).

La preghiera liturgica, sola, è in grado di offrire una mirabile sintesi orante del “mistero” che oggi evochiamo, e che consiste nella manifestazione, da parte di Dio, del “Salvatore degli uomini” e della manifestazione di Dio stesso quale “padre della luce”: «Hai schiuso i cieli, hai consacrato le acque, hai vinto le potenze del male e hai indicato il tuo Figlio unigenito, su cui in forma di colomba era apparso lo Spirito Santo. Oggi l’acqua, da te benedetta, cancella l’antica condanna, offre ai credenti la remissione di ogni peccato e genera figli di Dio, destinati alla vita eterna. Erano nati secondo la carne, camminavano per la colpa verso la morte; ora la vita divina li accoglie e li conduce alla gloria dei cieli» (Prefazio).

(A.Fusi)

mercoledì 5 gennaio 2011

481 - EPIFANIA DEL SIGNORE

Lettura Isaia 60,1-6: A Gerusalemme, che ha sperimentato l’invasione di popoli stranieri, che hanno portato la distruzione delle sue mura e l’esperienza tragica dell’esilio, viene annunciata un’altra “invasione”, che ora porterà non la morte ma luce, vita, gioia nel Signore.

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Salmo 71: Ti adoreranno Signore tutti i popoli della terra.

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Lettera di Tito 2,11-3,2: Al centro dell’insegnamento e dell’annuncio di Tito, come di tutta la chiesa, deve esserci una memoria e una speranza. Sapere che in Gesù la grazia di Dio si è già manifestata nella storia ci consola e ci apre ad attendere la sua salvezza definitiva.

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Vangelo di Matteo 2,1-12: I Magi sono la primizia di quel pellegrinaggio universale, profetizzato da Isaia e misteriosamente in atto nella storia. La nascita di Gesù offre ora ai cammini dispersi degli uomini un orientamento che li fa finalmente convergere verso la stessa meta.

martedì 4 gennaio 2011

480 - L’ADORAZIONE DEI MAGI NELL’ARTE

Adorazione dei Magi - Masaccio
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La Adorazione dei Magi di Masaccio è una tempera su tavola (321x61 cm) proveniente dallo smembrato polittico di Pisa ed oggi conservato nei Musei Statali di Berlino. Risale al 1426..

Destinato alla Chiesa del Carmine per la cappella del notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi da San Giusto, il polittico di Pisa è l'opera meglio documentata di Masaccio, grazie a un committente particolarmente preciso, che annotò tutti i pagamenti e i solleciti fatti al pittore.

Il 19 febbraio 1426 l'artista era a Pisa a siglare il contratto e, dopo vari solleciti e richieste a impegnarsi in esclusiva all'opera, il 26 dicembre Masaccio riceveva il saldo per l'opera.

Entro il 1568 Giorgio Vasari lo vide e lo descrisse nella seconda edizione delle Vite. Nel corso del XVII o XVIII secolo venne rimosso dall'altare, smembrato e disperso.

L'opera, faceva parte della predella nello scomparto centrale, sotto la Maestà, oggi alla National Gallery di Londra. La scena dell'Adorazione dei Magi è presentata come di consueto di profilo, e sembra dipinta per contrastare la celebre Adorazione di Gentile da Fabriano, che nel 1423 aveva incantato i fiorentini.

La composizione di Masaccio è pacata e simile a un fregio, in contrapposizione con l'affollata e sontuosa "frivolezza" di Gentile. A sinistra si vede la capanna, dove il bue e l'asinello stanno di spalle, accanto a una cavalcatura per il dorso dell'asino. Subito dopo si vede la Sacra Famiglia, con le aureole scorciate in prospettiva. Maria è seduta in un seggio dorato con protomi e zampe leonine (il faldistorio con le teste leonine imperiali), e tiene in braccio il Bambino che benedice il primo dei Magi, il quale è già inginocchiato e tolto la corona deponendola in terra; il suo dono è già nelle mani di san Giuseppe. Dietro di lui sta un altro Magio con tunica rosa, si è intanto inginocchiato e la sua corona è nelle mani di un servitore. Il terzo Magio è appena arrivato, è in piedi e un servo gli sta togliendo la corona, mentre un altro ne porta il dono. Dietro i re si trovano due personaggi emblematici, non presi dall'iconografia tradizionale, vestiti di cappelli alla moda dell'epoca e da lunghi mantelli grigi, che lasciano scoperte le gambe coperte da calzamaglie. Si tratta probabilmente delle figure dei committenti: il notaio ser Giuliano di Collino, più alto in secondo piano, e suo nipote, più basso e in primo piano, posto sopra una montagnola del terreno.

A destra stanno infine i cavalli e i servitori, tra i quali si scorge qualche affinità sia con Gentile (il cavallo con la testa in scorcio in lato), sia con altre opere come l'Adorazione di Nicola Pisano scolpita nel pulpito del Battistero di Pisa (1260 circa), come il cavallo intento a pascolare.

Lo stile della pittura è a tratti morbido e sfumato, come nello sfondo, a tratti forte e incisivo, come nei mantelli dei due committenti. In ogni caso la luce e la ricca cromia unificano tutta la rappresentazione, senza squilibri.

479 - INTORNO AL PRESEPE

Le persone riunite attorno al presepio ci offrono già un'immagine della Chiesa e del suo spiegamento. I rappresentanti dell'antica stirpe regale alla quale era stato promesso il Salvatore del mondo e i rappresentanti del popolo credente, collegano l'antica con la nuova Alleanza. I re del lontano oriente sono la figura dei popoli pagani che dovrebbero ricevere la salvezza di Giuda. Così, « la Chiesa nata dai giudei e dai pagani » è già presente lì.

Al presepio, i magi sono i rappresentanti dei cercatori di Dio di ogni paese e nazione. Sono stati condotti dalla grazia, prima ancora di appartenere alla Chiesa visibile. Animava loro un puro desiderio della verità, che non si fermava ai limiti degli insegnamenti e delle tradizioni del loro paese. Perché Dio è Verità, e vuole lasciarsi trovare da coloro che lo cercano con tutto il cuore (Ger 29,13), occorreva che la stella brillasse, presto o tardi, agli occhi di questi saggi per indicare loro il cammino verso la verità. Perciò si ritrovano davanti alla verità fatta uomo, si prostrano, adorandolo e depongono ai suo piedi la loro corona, perché in confronto alla Verità, tutte le ricchezze del mondo non sono nulla se non un po' di polvere.
(Santa Teresa Benedetta della Croce [Edith Stein] (1891-1942), carmelitana, martire, compatrona d'Europa
Vita nascosta e Epifania ; 245)

domenica 2 gennaio 2011

478 - LO SPIRITO DEL SIGNORE E' SU DI ME

In quel tempo. Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l’anno di grazia del Signore.
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Vangelo secondo Luca 4,14-22

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Vivere secondo lo stile indicato da Gesù è un modo concreto di incarnare l’amore di Dio nell’amore verso il prossimo. Come vivo la mia fede in Dio?

Che cosa faccio per portare il lieto annuncio?

Che cosa faccio per assicurare che tutti vivano in fraternità come desidera Dio?

477 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA – GENNAIO 2011

Generale: Perché le ricchezze del creato siano preservate, valorizzate e rese disponibili a tutti, come dono prezioso di Dio agli uomini.
Missionaria: Perché i cristiani possano raggiungere la piena unità, testimoniando a tutto il genere umano la paternità universale di Dio.

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Commento all’Intenzione Missionaria di gennaio 2011

Papa Benedetto XVI ha più volte annunciato che uno dei principali obiettivi del suo Pontificato è il lavoro per l'ecumenismo, continuare a progredire per raggiungere l'unità che Cristo vuole: “Che tutti siano uno, come Tu, Padre sei in me e io in te, in modo che siano in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). Nel 1910 ha avuto luogo la Conferenza di Edimburgo, dove si sono incontrati oltre un migliaio di missionari appartenenti a diversi rami del Protestantesimo e dell’Anglicanesimo, ai quali si unì un ospite ortodosso. Volevano riflettere insieme sulla necessità di raggiungere l’unità per annunciare in modo credibile il Vangelo di Gesù Cristo. Proprio il desiderio di annunciare Cristo agli altri e di portare al mondo il suo messaggio di riconciliazione, fa sperimentare la contraddizione della divisione tra i cristiani. In che modo gli increduli potranno accogliere l’annuncio del Vangelo, se i cristiani non sono concordi tra loro? La comunione e l'unità dei discepoli di Cristo è una condizione particolarmente importante per una maggiore credibilità e perché la loro testimonianza sia efficace.

L'unità è un dono che dobbiamo implorare dal Padre della misericordia. E' davvero triste che la divisione che ha portato il peccato continui ad essere presente nella Chiesa di Cristo. Pertanto è necessario, insieme alla preghiera, un dialogo sincero per poter camminare verso l'unità. Il Figlio di Dio è morto in croce per distruggere il muro di separazione, per unire tutte le pecore disperse di Israele. E' il potere della croce che può ricreare l'unità perduta, che può riparare le lacerazioni che gli uomini hanno arrecato alla veste senza cuciture del Cristo. Cristo crocifisso è il ponte che attraversa l'abisso che ci separava da Dio, e ci apre un cammino nuovo e vivo verso il Padre. Nato da donna, crocifisso per i nostri peccati, risuscitato per la nostra giustificazione, il Figlio eterno ci dà l'opportunità di essere figli e coeredi in Lui.

In un mondo segnato da indifferenza religiosa e anche da una crescente avversione verso la fede cristiana, abbiamo bisogno di una nuova e intensa attività di evangelizzazione, non solo tra i popoli che non hanno mai conosciuto il Vangelo, ma anche laddove il cristianesimo è stato diffuso e fa parte della storia. Per questo il Santo Padre Benedetto XVI, alla celebrazione dei Vespri che concludeva la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2010, affermava: “Mentre siamo in cammino verso la piena comunione, siamo chiamati ad offrire una testimonianza comune di fronte alle sfide sempre più complesse del nostro tempo, quali la secolarizzazione e l’indifferenza, il relativismo e l’edonismo, i delicati temi etici riguardanti il principio e la fine della vita, i limiti della scienza e della tecnologia, il dialogo con le altre tradizioni religiose. Vi sono poi ulteriori campi nei quali dobbiamo sin da ora dare una comune testimonianza: la salvaguardia del Creato, la promozione del bene comune e della pace, la difesa della centralità della persona umana, l’impegno per sconfiggere le miserie del nostro tempo, quali la fame, l’indigenza, l’analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni” (Omelia nella Basilica di San Paolo, 25 gennaio 2010).

Solo giungendo ad essere un’unica famiglia in Cristo, i cristiani potranno testimoniare l’unica paternità di Dio. E allo stesso tempo, solo dove gli uomini riconoscono Dio come Padre può veramente esistere una sincera fraternità. Non ci può essere nessuna famiglia se non c'è un Padre comune. La nostra preghiera dunque sia perseverante e fiduciosa, perché si basa sulla potenza di Cristo. La sua croce abbatta le barriere che noi costruiamo, perché ci sia un solo gregge e un solo pastore (cfr. Gv 10, 16) e il mondo creda.

(Agenzia Fides 29/12/2010)

sabato 1 gennaio 2011

476 - DOMENICA DOPO L'OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE

Il brano di Luca 4,14-22 fa parte del più ampio racconto della visita fatta a Nazaret, il paese dove era cresciuto, e contrassegnata dal rifiuto dei suoi paesani (vv.14-30). I versetti, oggi proclamati, dopo quelli utili a raccordare l’episodio qui narrato, con il precedente relativo alle “tentazioni” nel deserto (4,1-13), riportano, con alcune modifiche, una citazione di Is 61,1; 58,5; 61,2, riguardante il Messia (vv. 17-19); la breve “omelia” di Gesù (v. 21) e la reazione di ammirato stupore dei suoi paesani.

Il brano viene proclamato nel contesto liturgico delle celebrazioni natalizie e orienta, perciò, il nostro percorso di fede che ci fa riconoscere in Gesù il Figlio unigenito di Dio, nato a Betlemme dalla vergine Maria. A questo ci invita il canto All’ingresso: «Venite e vedete il grande mistero di Dio: Dio nasce da una vergine per redimere il mondo. è il Salvatore promesso dai profeti, l’Agnello predetto da Isaia».

Nel Natale di Gesù, perciò, si adempie e si avvera anche l’antica profezia riguardante il “Servo di Dio” sul quale si è posato lo Spirito Santo. Egli è perciò il Messia, ovvero, l’unto, il consacrato, il “Cristo” per eccellenza, e, dunque, “inviato” come “araldo” ovvero annunciatore del Vangelo, letteralmente della “bella notizia”.

Con la venuta nel mondo del suo Figlio, perciò, viene nel nostro mondo non più un “inviato” scelto e mandato da Dio, ma in Gesù è Dio stesso a entrare nella storia degli uomini segnata dal potere negativo e oppressivo del male, per portare l’annunzio perenne ed efficace della “buona notizia”. Essa riguarda certamente i “poveri” e con essi gli emarginati dalla società che hanno popolato, popolano e popoleranno la terra, ma riguarda, di fatto, ogni uomo reso “povero”, oppresso e prigioniero del male perché esule da Dio, privo perciò di fede e di speranza.

Ed effettivamente Gesù ha “evangelizzato” i “poveri” guarendo i malati, liberando quelli tenuti in scacco dal potere malvagio del male, accogliendo e liberando i peccatori dal giogo mortificante del peccato, annunciando la volontà salvifica del Padre per la quale nell’ora suprema della croce ha dato tutto sé stesso in riscatto di tutti.

E' quanto afferma con forza l’Apostolo guardando al volere salvifico di Dio da lui realizzato «mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato» (Epistola: Romani 8,3). In tal modo Gesù ha dato a ogni uomo la grazia di vivere “secondo il suo Spirito”, sfuggendo così all’ineluttabile triste prospettiva della “morte”, ovvero la rovina eterna alla quale lo trascina inesorabilmente la fragilità della sua “carne”.

Gesù, pertanto, è la Sapienza di Dio personificata, quella «uscita dalla bocca dell’Altissimo» e alla quale Dio ha ordinato: «fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele» (Lettura: Siracide 24,3-8) svelando e portando a compimento i divini disegni di salvezza.

Perciò, a ragione, la preghiera liturgica proclama che: «ogni immagine delle profezie antiche oggi si avvera nell’Agnello di Dio, nel pontefice eterno, nel Cristo che è nato per noi» (Prefazio).

(A. Fusi)

475 - 1 GENNAIO - GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Signore
dammi il tormento della pace,
la certezza che la pace è possibile,
il coraggio di volere la pace.
Signore
liberami dalla rassegnazione
che accetta per gli altri
ciò che non voglio per me.
Signore
fammi sicuro e libero
geloso dei miei sogni di pace
instancabile nel realizzarli.
Signore
apri il mio cuore ad amare
sempre e tutti senza eccezioni
senza aspettare nessuna risposta.
Signore
liberami dall'invidia
gelosia e sfiducia
inutili scuse al mio egoismo.
Signore
ostacoli e difficoltà,
insuccessi e delusioni
non generino mai scelte violente.
Signore
Tu hai conquistato la pace
con la tua morte e resurrezione
e l'hai messa nelle mie mani.
Signore
non voglio tradire il tuo dono
voglio viverlo e offrirlo al mondo
perché creda che Tu sei con noi.
Signore
« Pace in terra agli uomini »
è annuncio, è realtà sicura:
nelle mie mani sia un dono per tutti.

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don Giorgio Basadonna