Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

lunedì 28 novembre 2011

619 - AVVENTO: DIO E' PIU' VICINO

Da Natale, da dove l’infinitamente grande si fa infinitamente piccolo, i cristiani cominciano a contare gli anni, a raccontare la storia. Questo è il nodo vivo del tempo, che segna un prima e un dopo. Attorno a esso danzano i secoli e tutto cambia.
La Bibbia conta i giorni a partire dalla sera, dall’apparire della terza stella: “e fu sera e fu mattino, primo giorno” (Genesi 1,1..). Il giorno è in viaggio dalla tenebra verso la luce, dal tramonto verso una speranza di sole, così come il viaggio dell’esistenza va verso un di più di vita e chiama salvezza. Nella Bibbia il tempo è talmente importante da costituire, insieme al corpo, lo spazio privilegiato dell’incontro con Dio. Al tempio Dio preferisce il tempo, il quotidiano, dove l’abbraccio può essere senza interruzione. Anche nella Chiesa le feste liturgiche sono come delle cattedrali innalzate a Dio dentro il tempo anziché dentro lo spazio, sono come stele erette negli incroci dei giorni, anziché agli incroci delle strade.
In esse convergono le trasversali del tempo: il passato, l’evento della Pasqua di Cristo, è reso presente, il futuro è annunciato. Quasi un cortocircuito del tempo, dove la storia si abbrevia nell’istante; una condensazione dell’eterno, dove il fluire del fiume di fuoco è tutto nella scintilla.
Avvento è parola che nella sua radice significa venire accanto, farsi vicino. È il tempo in cui tutto si fa più vicino: Dio all’uomo, l’altro a me, io al mio cuore. È sempre tempo d’Avvento, sempre tempo di abbreviare distanze, vivendo attesa e attenzione. Attesa: di Dio, di Colui-che-viene, eternamente in-camminato verso ogni uomo. Attesa come di madre: la donna sa nel suo corpo, da dentro, cosa significa attendere; è il tempo più sacro, più creatore, più felice. Attendere, infinito del verbo amare.
Tutte le creature attendono, anche il grano attende, e le pietre e la notte, tutta la creazione attende un Dio che viene, che ha sempre da nascere. Attenzione: state attenti che i vostri cuori non si appesantiscano (Lc 21,34). Vivere con attenzione, perché «la più grave epidemia moderna è la superficialità» (Raimon Panikkar). Attenti a che cosa? Al cuore, perché è la casa della vita, «la porta degli dei»; attenti agli altri, alle loro domande mute e alla loro ricchezza: e vedremo in loro lo scintillìo di un tesoro. Attenti al quotidiano, eco sommessa dei passi di Dio. Attesa e attenzione sono le parole dell’avvento. Tutta la vita dell’uomo è tensione verso altro, annuncio che il nostro segreto è oltre noi. L’Incarnazione non è finita, ora è il tempo del mio Natale: Dio nasce perché io nasca.
(Padre Ermes Ronchi)

giovedì 24 novembre 2011

618 - III DOMENICA DI AVVENTO

In questo tempo ci disponiamo, con cuore vigile e attento, a contemplare la salvezza operata da Dio nella “pienezza dei tempi” e i “nostri cuori sono pervasi dal desiderio di risplendere come luci festose” davanti al Signore che viene. In Cristo si rivela il compimento dell’intera storia della salvezza, in lui ogni uomo è chiamato a comprendere il significato della propria vita. La prima venuta del Signore – preparata e annunciata dalla parola dei profeti – ha rappresentato il compimento dell’attesa dell’Israele di Dio; l’attesa del suo ritorno alla fine dei tempi sarà il compimento della speranza dell’umanità intera. La parola e le opere di Gesù trovano infatti la loro conferma nella testimonianza stessa del Padre: “Io ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato”.
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Lettura Isaia 51,1-6: Isaia invita il popolo a ricordare di essere figlio della benedizione di Dio per Abramo. Persino dell’esperienza del male, quando tutto sembra finire e la morte regnare, possiamo perseverare nella fiducia: la salvezza di Dio è vicina e rimane per sempre.
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Salmo: Nostro rifugio è il Dio di Giacobbe
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Epistola 2Corinti 2,1416a: Rendendoci partecipi della vittoria di Cristo, Dio ci pone nel mondo come segno di discernimento. Siamo portatori della promessa e dobbiamo diffondere il profumo fragrante della vita, così che gli uomini abbiano criteri per scegliere tra la morte e la vita.
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Vangelo Giovanni 5,33-39:  Chi  cerca con sincerità il vero, con cuore libero da pregiudizi, può riconoscere le molteplici testimonianze che Gesù riceve. Soprattutto quella che gli viene dalle opere affidategli dal Padre, con cui egli compie tutte le promesse delle Scritture. 

lunedì 21 novembre 2011

617 - LA FAMIGLIA ANIMA LA SOCIETA'


Elisabetta, 38 anni, e Valerio, 36 anni, vivono con i loro 3 figli dentro a Villaggio Barona. Inaugurato nel 2003, il Villaggio raccoglie tante situazioni di difficoltà e tanti volontari che se ne occupano: c'è chi opera per gli anziani in difficoltà, le persone malate di AIDS, i diversamente abili e per l'acquisizione della consapevolezza della genitorialità. C'è chi sostiene i soggetti affetti da disagio psichico, le mamme sole, le ragazze madri e chi accoglie i rifugiati politici e le persone da poco uscire dal carcere.
Elisabetta e Valerio hanno scelto di vivere con i loro figli a Villaggio Barona riconoscendone il forte valore sociale. Qui ogni iniziativa si inquadra nella tolleranza e nel rispetto della diversità; nella volontà di contribuire a rendere la vita dei residenti il più "normale" possibile.
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VII Incontro mondiale delle famiglie
30 maggio - 3 giugno 2012

sabato 19 novembre 2011

616 - II DOMENICA DI AVVENTO

Il Regno dei cieli è l’iniziativa sorprendente di Dio di voler radunare attorno a Casa Trinità tutta una famiglia di uomini e donne che vi vogliono aderire; è la proposta fatta a tutte le creature a divenire figli di Dio e quindi suoi eredi, in una comunità di fratelli che già nel tempo inizia a formare una comunione con Dio e degli uomini tra di loro. Appunto, la Chiesa, “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1,1).
L’iniziativa parte da lontano, in Israele, da Abramo, “padre di una moltitudine di popoli” (Gen 17,5); e perciò da subito universale proprio perché fondata sulla gratuità della chiamata. Dentro la storia del popolo di Dio avrà la sua svolta decisiva con l’invito del Precursore ad aprirsi - convertirsi - al definitivo iniziatore del Regno aperto a tutti, quel Gesù di Nazaret che “battezzerà in Spirito santo”. E, quale suo prolungamento, nell’opera degli Apostoli a portare il vangelo “fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).
Tutti sono chiamati, ma tocca a ciascuno “spianare la strada” e accogliere con interiore conversione la proposta di salvezza offerta da Dio.
Israele si è accorto di avere un Dio capace di riscatto e di salvezza quando sperimentò la liberazione dall’Egitto: “Non sei tu che hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso, e hai fatto delle profondità del mare una strada, perché vi passassero i redenti?” (I lett.). Da allora fu tutto un susseguirsi di premure - e di pazienza - da parte di Dio nel raccogliere attorno a Sé un popolo fedele: “la mia giustizia durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione”. Da qui la fiducia nell’agire di Dio e l’invocazione: “Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate”. La grande certezza cui educa tutta la Bibbia è quella di aver scoperto un Dio affidabile, anzi un Dio che previene il bisogno di vita e felicità dell’uomo col promuovere e stimolare un ritorno a Lui da parte di tutti: “Io, io sono il vostro consolatore”. Su questo sfondo (su questa preparazione) si colloca l’iniziativa di Dio di inviare il definitivo Salvatore, di cui il Battista è il battistrada. “Il Regno di Dio è vicino”. Siamo al colmo della vicenda salvifica: “Colui che viene dopo di me è più forte di me e io non son degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco”. Dalle promesse - dalla preparazione - ai fatti definitivi: l’azione di Dio salvatore si storicizza in una Persona concreta, nei suoi gesti e nella sua vicenda umana che esprime tutto quanto Dio voleva fare e offrire per l’uomo e il suo riscatto. La voce del Battista risuona al Giordano nell’anno 28 della nostra èra, e la missione di Gesù tra il 28 e il 30. Luoghi e date di fatti ben precisi. Dio agisce tra gli uomini mettendosi sulle loro strade per un contatto addirittura fisico. La salvezza divina è appunto una Persona, Gesù di Nazaret.
E da lì, come un fiume ormai inarrestabile, si dilata a tutti gli uomini “con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito” (II lett.). E’ Paolo l’emblema di questa corsa del vangelo lungo le strade del mondo, col suo puntiglio “di non annunziare il vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo”. Sta scritto infatti - cioè è disegno preciso di Dio -: “Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno”. Il proposito è esplicito: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tim 2,4). Al Regno di Dio tutti gli uomini sono chiamati, per la via maestra dell’annuncio del vangelo, ma anche per altre vie note solo a Dio dacché Cristo è morto per la salvezza di tutti. “Da queste pietre Dio può suscitare figli di Abramo”. Ora tocca ad ognuno di noi rispondere di sì, cioè convertirci! “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”. Il primo passo della conversione è passare dal soggettivismo alla “verità”. Questo è il vero male del nostro tempo: non credere più che esista una verità sulla quale misurarsi, ma solo l’opinione o l’interesse soggettivo di ognuno. Ne deriva un grande indifferentismo morale. Il Battista annuncia il giudizio di Dio: “Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco”. Non è tutto indifferente: il bene e il male hanno ancora un nome preciso e Dio ne è il garante! “La scure è posta alla radice degli alberi”. “Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”.
Raddrizzare i sentieri significa poi compiere frutti di conversione morale. Il Battista indicherà ad ogni categoria i suoi doveri di giustizia e di carità. Non vale l’appartenenza, servono le opere: “Non crediate di poter dire dentro di voi: Abbiamo Abramo per padre!”. Capita di vivere la nostra religiosità in pratiche abitudinarie. O di sentirci arrivati, perché magari siamo del giro.. Il battesimo di conversione praticato da Giovanni significa fare dei passi personali di apertura operosa verso il nuovo stile del Regno. Paolo dice che per mezzo suo “Cristo ha operato per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere” (II lett.).
Ma il vertice del cambiamento lo si ottiene solo quando si arriva ad essere toccati dallo Spirito. Questa è la novità del Cristianesimo, o della Nuova Alleanza: uno Spirito nuovo che trasforma il cuore di pietra in cuore di carne. Perché il risultato finale deve essere “che le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo” (II lett.). Il sacramento sancisce e perfeziona l’autentica trasfigurazione dell’uomo, ben oltre le sue buone intenzioni e le sue capacità morali. La salvezza piena la si ottiene solo quando si è toccati dall’opera di Cristo: “Colui che viene dopo di me è più forte di me - confessa il Battista - Egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco”. Troppi ancora ingenuamente pensano a un generico ricorso a Dio, trascurando il “sacramento”, cioè all’unico canale efficacia della grazia che trasforma e salva l’uomo.
(don Romeo Maggioni)

martedì 15 novembre 2011

615 - LA PAROLA DEL PARROCO

“I miei occhi hanno visto la tua Salvezza” (Lc 2,30)
Queste parole dell’anziano Simeone (I miei occhi…) ci introducono al nuovo Avvento di quest’anno, indicandoci la luce del mondo che sta per venire: Cristo Gesù. L’attesa di Simeone si è compiuta: quel bambino è il compimento delle promesse di Dio. In quel bambino è possibile un vero ed autentico legame tra Dio e l’uomo incarnato da una persona viva, Dio e uomo nello stesso tempo.
In quel bambino atteso è possibile una fraternità nuova, che non riguarda solo Israele, ma si estende a tutti i popoli.
L’avviarsi di un nuovo anno liturgico ci porta a pensare a un nuovo inizio: in questo Avvento ci sarà dato di fare esperienza della vicinanza di Dio che ha dato inizio alla storia, creandoci, e che si è preso cura di noi giungendo fino al culmine nella sua condiscendenza con il farsi uomo. Proprio il mistero grande e affascinante del “Dio con noi”. In questo Avvento sentiremo la Chiesa che ci prende per mano e, a immagine di Maria, esprime la sua maternità facendoci pregustare l’attesa gioiosa della venuta del Signore, che tutti ci abbraccia nel suo amore che salva e consola.
Tempo di Attesa, dunque, tempo di speranza.
Il tempo, diciamo così, più congeniale alla nostra moderna società, così ricca e insieme così povera; così arrivata e, nel medesimo tempo, ancora in cerca di qualcosa. Se c’è stata un’epoca di evoluzioni vertiginose e, quindi, di spasmodica tensione verso l’avvenire, sognato migliore, nonostante tutte le previsioni, questa è la nostra.
Si può dire che l’uomo è sempre in stato di avvento, in atteggiamento di vigilia. Tutta la nostra vita è vigilia di quello che verrà. Una vigilia di festa, la festa che tutti abbiamo nel cuore e che la realtà di ogni giorno ci costringe a rimandare per il dopo.
La Parola di Dio dà a questa ansia segreta dell’uomo un significato altissimo: dice, senza possibilità di equivoci, che l’attesa dell’uomo non può essere che attesa di Dio. Di più. Assicura che questa attesa non andrà mai delusa, perché Dio stesso è sceso sul cammino dell’uomo. Dio stesso si è mosso per primo incarnandosi nel seno di una donna, MARIA, alla quale indirizziamo la nostra preghiera:
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Maria,
i tuoi occhi contemplano
il volto del crocefisso.
Vedi il suo dolore e la sua sofferenza,
ma anche la gioia senza fine
della Redenzione.
Accogli le nostre umili preghiere,
conferma la nostra fede,
sostieni la nostra speranza,
rafforza la nostra carità.
Aiutaci a vedere il suo volto
in coloro che hanno bisogno di noi.
Aiutaci a vedere gioia e letizia
nella vita di ogni giorno.
Aiutaci a mettere il tempo
che ci è donato vivere
al servizio di Cristo.
Ti affidiamo le nostre preghiere.
Intercedi per noi.
Amen
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A tutti un gioioso e sereno Avvento nell’attesa di accogliere il Salvatore della nostra vita: CRISTO GESÙ.
(Padre Luigi)

venerdì 11 novembre 2011

614 - LA VENUTA DEL SIGNORE

Questa prima domenica, con i testi biblici oggi proclamati, pone il tempo dell’Avvento, essenzialmente orientato al mistero salvifico dell’Incarnazione e della Natività del Signore, nel più ampio contesto degli ultimi eventi, della sua venuta cioè alla fine dei tempi (parusìa) che rappresenta il compimento ultimo e definitivo della salvezza che ha il suo esordio proprio nella sua Natività e il suo apice nella sua Pasqua.
I brani biblici ci dicono che la prima venuta del Figlio di Dio nel mondo ha effettivamente introdotto in esso la salvezza, che dovrà però compiersi definitivamente con il suo ritorno alla fine dei tempi. Le immagini a tinte forti della Lettura profetica dicono la condizione anche attuale della storia umana contrassegnata dall’iniquità, dalla violenza, dal peccato che provoca nell’uomo sofferenza e dolore di cui si fa interprete il Salmo 79(80): «Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza», e che lo spinge a implorare: «Dio degli eserciti, ritorna!».
La decisione da parte di Dio di intervenire con forza per porre fine a tanto sfacelo si concretizza nella “prima venuta” del suo Figlio fatto uomo. Egli si presenta come la mano tesa da Dio agli uomini invitati ad abbandonare ogni empietà e a ritornare a lui con decisa determinazione. L’Avvento ci stimola ogni anno ad accogliere in Cristo l’intervento salvifico di Dio nel mondo.
Rifiutarlo o misconoscerlo comporterebbe l’impossibilità a sopportare l’inevitabile crollo delle umane certezze delle quali, come ci avverte il Signore, non rimarrà «pietra su pietra che non venga distrutta» (Vangelo), e l’incapacità a resistere, come ci viene detto, saldi nella fede alle altrettanto inevitabili prove e persecuzioni così come alla “grande tribolazione” che attraversa normalmente la nostra storia e la nostra vita.
In essa, come ben sappiano per esperienza diretta e personale, la fanno da padroni quelli che l’Epistola paolina chiama i «nostri nemici», per noi invincibili, il più terribile dei quali è la morte! Rifiutare il dono di salvezza che viene dall’alto comporterebbe infine, cosa più grave e irrimediabile, l’esclusione dal gruppo degli eletti che il Signore radunerà «dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo» (Vangelo).
Di qui l’annuale invito dell’Avvento a volgere il nostro sguardo e il nostro cuore al Volto di Dio che brilla benevolo nel suo Figlio nato da Maria e mentre attendiamo la sua “seconda venuta” nella quale pronuncerà, come speriamo, il giudizio definitivo della nostra salvezza, impariamo a riconoscerlo e ad accoglierlo nella sua incessante “venuta” nell’assemblea liturgica radunata nel suo nome.
In essa è attualizzato ciò che egli ha compiuto con la sua prima venuta «nell’umiltà della carne», nella quale «portò a compimento l’antica speranza e aprì il passaggio all’eterna salvezza» e dove è tenuta desta la certezza che «quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell’attesa» (Prefazio).
Illuminati dalle divine Scritture sperimentate alla mensa eucaristica dove annunciamo la morte e la risurrezione del Signore «nell’attesa della sua venuta» sale spontanea in noi la gioia e l’esultanza che, come ci suggerisce l’antifona Alla Comunione, coinvolge il cielo e la terra: «Gioite cieli, esulta o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo, con la sua mano radunerà gli agnelli e ha pietà degli infelici».
A. Fusi

613 - LETTURE DELLA PRIMA DOMENICA D’AVVENTO

Lettura del profeta Isaia (24,16b-23)
Il brano fa parte di quella che viene chiamata la “grande apocalisse” di Isaia, nella quale viene annunziato il giudizio di Dio sull’intera umanità travolta dall’ingiustizia e dalla violenza. Il giudizio è descritto con il ricorso a immagini catastrofiche che riguardano le realtà terrene (vv. 18-20) e celesti (vv. 21-23). Esse intendono far capire che Dio non è indifferente a ciò che avviene nel mondo e che niente e nessuno può resistere e sottrarsi al suo giudizio.
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Epistola: Prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (15,22-28)
Il brano fa parte della sezione della lettera nella quale l’Apostolo vuole rafforzare nella comunità di Corinto la certezza che la risurrezione del Signore Gesù dai morti offre ai credenti la garanzia della loro risurrezione «alla sua venuta» (v. 23) espressione questa del vocabolario cristiano delle origini che sta a indicare il ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi o parusia. Essa segnerà il definitivo annientamento di tutti i nostri nemici, il più implacabile dei quali è la morte (v. 26) e la riconsegna a Dio Padre di ogni cosa, «perché Dio sia tutto in tutti» (v.28).
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Vangelo: Lettura del Vangelo secondo Marco (13,1-27)
Il testo riporta quasi per intero il discorso escatologico, riguardante cioè gli avvenimenti finali della storia e della definitiva venuta del Figlio dell’uomo. Si può così suddividere: vv.1-4: scena d’introduzione che prende spunto dall’ammirazione del tempio di Gerusalemme del quale Gesù predice la distruzione come segnale che avvia la fine; vv. 5-8: Gesù invita i suoi a guardarsi nel frattempo dai seduttori e predice l’inizio delle sofferenze che preludono la fine; vv. 9-13: Gesù esorta i suoi discepoli a perseverare tra persecuzioni e tribolazioni fino alla fine; vv. 14-23: descrizione dell’ultima e più grande “tribolazione”, accompagnata da straordinari fenomeni celesti; vv. 24-27: descrivono la parusìa del Figlio dell’uomo per il giudizio con il conseguente raduno davanti a lui dei suoi eletti. 

612 - INIZIA L’AVVENTO

Con due settimane di anticipo su quella romana la nostra tradizione liturgica ambrosiana dà inizio, con l’Avvento, al nuovo anno liturgico destinato ad attualizzare il mistero dell’universale salvezza che è nel Figlio di Dio fatto uomo, nato dalla Vergine Maria, morto sulla Croce e risorto.
L’Avvento, che ha la durata di sei settimane, ha il compito di preparare la celebrazione dell’annuale memoria della Natività del Signore quale sua prima venuta nell’umiltà e di tenere desta nella Chiesa l’attesa della seconda e definitiva venuta del Signore con «grande potenza».
La celebrazione eucaristica, specialmente quella domenicale, è il luogo privilegiato dove è possibile, nella “venuta sacramentale”, fare esperienza viva dell’incontro con il Signore «nell’attesa della sua venuta». Veicolo primario di tale esperienza è la Parola divina proclamata nelle Scritture e la preghiera della Chiesa che ascolta e accoglie, nella Parola e nei santi segni eucaristici, il Verbo di Dio fatto uomo, il Crocifisso/Risorto.
 

domenica 6 novembre 2011

611 - GIORNATA DIOCESANA CARITAS

Di fronte alle sfide che il fare la carità oggi porta con sé non è difficile scontrarsi con lo scarto tra le nostre forze e la grandiosità del compito che ci sentiamo assegnato. L’icona alla quale riferirci può essere quella della vicenda di Davide e di Golia, narrata in 1 Sam 17 […].
Nessuno è tanto accecato dalla presunzione di poter risolvere con le proprie forze le difficoltà e le miserie che colpiscono l’umanità. Ma il rischio di combattere in modo sbagliato o con le armi sbagliate, questo forse lo corriamo eccome! Come Davide che inizialmente indossa l’armatura di Saul, salvo poi non riuscire neppure a muoversi […].
Così è per noi operatori e volontari di una Caritas. Quando ci pensiamo alla stregua di una qualsiasi realtà del privato sociale, anche se dovessimo disporre di mezzi ingenti, saremmo dei poveri illusi se arrivassimo a immaginare di riuscire a sconfiggere la povertà. Non solo: questi mezzi, queste armi servono ben poco nel momento in cui arriviamo finalmente a scoprire che i primi destinatari della nostra azione – secondo il mandato dei Vescovi italiani - sono anzitutto i componenti delle nostre comunità e non solo i poveri che a noi si rivolgono. Ebbene, il Golia col quale confrontarci con i nostri strumenti e con le nostre armi pure molto povere è la comunità cristiana. Un Golia non tanto da sconfiggere, quanto da convincere, non tanto da annientare quanto da animare ad una vita di carità, attraverso una fionda e cinque ciottoli di fiume che potrebbero rappresentare:
-un’intensa vita spirituale, per rispondere alla domanda: “perché lo fai?”
-una profonda comunione con la Chiesa locale, per rispondere alla domanda: “chi ti manda? chi te lo fa fare?”
-una lucida conoscenza dei bisogni reali, perché la carità sia risposta ad effettive necessità (“per chi lo fai?”)
-una buona competenza, perché la carità non si improvvisa (“come lo fai?”)
-un deciso spirito di collaborazione, perché quella della animazione alla carità è una battaglia che si vince solo in squadra (“con chi lo fai?”)
(don Roberto Davanzo)

venerdì 4 novembre 2011

610 - NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

Il brano evangelico di Giovanni 18,33c-37 fa parte del più ampio racconto della Passione che in Giovanni occupa i capitoli 18-19 e 20. In particolare riferisce un passaggio dell’interrogatorio di Gesù condotto dal governatore romano Ponzio Pilato (18,28-19,16), al quale era stato “consegnato” dopo il processo subito presso il sommo sacerdote Caifa. La scena vede come protagonisti Gesù e Pilato che, una volta appresa l’accusa rivolta a Gesù dai maggiorenti d’Israele, gli rivolge la domanda: «Sei tu il re dei Giudei?» (v. 33).
La domanda allude alla trepida attesa presente in Israele del Messia, il quale doveva certamente restaurare il regno dando inizio a una nuova stagione esaltante per il popolo di Dio. Tale attesa era tenuta desta dagli oracoli profetici e in particolare dalla solenne promessa di Dio a Davide proclamata nella Lettura: «Io susciterò un tuo discendente dopo di te...» (2 Samuele 7,12). Curiosamente Gesù prima di dare una risposta interroga a sua volta Pilato (v. 34) tentando di aprirgli gli occhi sulla sottile manovra ordita «da altri», ovvero dai capi dei Giudei che lo hanno consegnato a lui.
La risposta piccata di Pilato: «Sono forse io Giudeo?» dice che egli non ha compreso l’avvertimento di Gesù e che considera la cosa una vicenda tutta interna che oppone a Gesù alla sua gente e ai capi dei sacerdoti che lo hanno consegnato a lui (v. 35). A questo punto abbiamo la prima delle due solenni affermazioni con le quali il Signore dichiara la sua regalità (v. 36) e quindi il suo essere effettivamente re (v. 37b).
Dapprima spiega la provenienza della sua regalità, che egli esercita con il «venire in questo mondo». Tale provenienza distingue essenzialmente la regalità di Gesù da quella che è comunemente esercitata in terra da un regnante, tanto è vero che non si è verificato nessun combattimento tra i servitori di Gesù «perché non fossi consegnato ai Giudei» (v. 36b).
Perché fosse ancora più evidente l’origine non terrena della sua regalità Gesù ripete: «Il mio regno non è di quaggiù», anche se con la sua parola e le sue opere la esercita di fatto anche qui, tra gli uomini che egli invita ad ascoltare la sua voce e a porsi sulle sue orme. Ancora una volta Pilato non coglie il messaggio profondo veicolato nelle parole di Gesù e ripresenta la stessa domanda: «Dunque tu sei re?» (v. 37). Omettendo però la precisazione «dei Giudei» (v. 33), che limita l’estensione della sua regalità, di fatto ne proclama la dimensione universale.
Dopo aver affermato la veridicità dell’affermazione del suo giudice: «Tu lo dici: io sono re», Gesù fornisce la spiegazione relativa alla modalità della sua regalità mettendo in luce come effettivamente essa viene esercitata: «Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità» (v. 37). Tenendo conto di ciò che si legge in merito nel vangelo giovanneo, la testimonianza riguarda la missione di portare in questo mondo ciò che Gesù, che è il Verbo di Dio fatto uomo, ha visto e ha udito presso il Padre.
In una parola, si tratta della rivelazione di Dio portata nel mondo dal suo Figlio unigenito che è destinata ad ogni uomo invitato ad “ascoltare la voce” di Gesù e dunque ad impostare concretamente la vita secondo la proposta di entrare in comunione con Dio che è il cuore della verità ossia della rivelazione.
Pur con un linguaggio diverso, l’apostolo Paolo presenta la regalità del Signore con la categoria più nota della salvezza portata nel mondo e che, nel disegno di Dio, riguarda il mondo intero. È Dio, infatti, che nel suo Figlio «ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» (Epistola: Colossesi 1,13-14).
Queste parole alludono alla croce sulla quale il Signore ha dato piena testimonianza alla verità contenuta nella sua regalità, che nel progetto divino è destinata a «portare a compimento il mistero della nostra salvezza» che comporta la liberazione dell’umanità dal potere alienante del male e la conseguente consegna al Padre di «un regno universale ed eterno: regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» ( Prefazio).
L’apostolo Paolo esorta quanti sono stati assoggettati alla signoria del Signore Crocifisso a obbedire a lui in tutto e a comportarsi «in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio» (Colossesi 1,10) come autentici cittadini del Regno.
La partecipazione al «Pane della vita immortale» ci dona la grazia e la forza per obbedire «con gioia a Cristo, Signore dell’universo, per regnare anche noi un giorno nella gloria senza fine» (Orazione Dopo la Comunione ).
Alberto Fusi

giovedì 3 novembre 2011

609 - LE RAGIONI DEL CREDERE. SCRITTI E INTERVENTI DI CARLO MARIA MARTINI

Auguri di buon onomastico
al Cardinale Martini!


Il volume - una ricchissima antologia di scritti - è suddiviso in tre sezioni, seguendo la metafora delle tre città, Roma, Milano, Gerusalemme: tre Luoghi simboleggiati nei tre cuori presenti nello stemma arcivescovile - carichi di profondi significati storici, morali, evocativi e anche mistici. Gerusalemme simboleggia la Parola di Dio, Roma la Chiesa, Milano l'azione pastorale. Quattro i temi fondamentali sottesi agli scritti: studio, ascolto e predicazione della Parola di Dio; pratica del Ministero arcivescovile a Milano (Lettere pastorali); i temi, insieme soggettivi e universali, dell'uomo di fronte alla fede, al dolore, al silenzio di Dio, all'ingiustizia; il rapporto tra Chiesa e società, nelle sue manifestazioni sociali, economiche, politiche. La raccolta mostra la ricca tessitura culturale e dottrinaria e la dimensione umana e storica del pensiero del Cardinale, ma evidenzia anche come questo si sia tradotto, giorno dopo giorno, nella prassi attiva dell'azione pastorale. Il primo saggio introduttivo è firmato dallo scrittore Ferruccio Parazzoli, il secondo, di taglio biografico, da Marco Garzonio, giornalista autore di una monografia su Martini.
(Ed. Mondadori)