Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

martedì 30 dicembre 2014

1024 - NON PIU' SCHIAVI MA FRATELLI


1023 - GLOBALIZZARE LA FRATERNITA'

Desidero invitare ciascuno, nel proprio ruolo e nelle proprie responsabilità particolari, a operare gesti di fraternità nei confronti di coloro che sono tenuti in stato di asservimento. Chiediamoci come noi, in quanto comunità o in quanto singoli, ci sentiamo interpellati quando, nella quotidianità, incontriamo o abbiamo a che fare con persone che
potrebbero essere vittime del traffico di esseri umani, o quando dobbiamo scegliere se acquistare prodotti che potrebbero ragionevolmente essere stati realizzati attraverso lo sfruttamento di altre persone. Alcuni di noi, per indifferenza, o perché distratti dalle preoccupazioni quotidiane, o per ragioni economiche, chiudono un occhio. Altri, invece, scelgono di fare qualcosa di positivo, di impegnarsi nelle associazioni della società civile o di compiere piccoli gesti quotidiani – questi gesti hanno tanto valore! – come rivolgere una parola, un saluto, un “buongiorno” o un sorriso, che non ci costano niente ma che possono dare speranza, aprire strade, cambiare la vita ad una persona che vive nell’invisibilità, e anche cambiare la nostra vita nel confronto con questa realtà.
Dobbiamo riconoscere che siamo di fronte ad un fenomeno mondiale che supera le competenze di una sola comunità o nazione. Per sconfiggerlo, occorre una mobilitazione di dimensioni comparabili a quelle del fenomeno stesso. Per questo motivo lancio un pressante appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, e a tutti coloro che, da vicino o da lontano, anche ai più alti livelli delle istituzioni, sono testimoni della piaga della schiavitù contemporanea, di non rendersi complici di questo male, di non voltare lo sguardo di fronte alle sofferenze dei loro fratelli e sorelle in umanità, privati della libertà e della dignità, ma di avere il coraggio di toccare la carne sofferente di Cristo, che si rende visibile attraverso i volti innumerevoli di coloro che Egli stesso chiama «questi miei fratelli più piccoli» (Mt 25,40.45).
Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai fatto del tuo fratello?” (cfr Gen 4,9-10).
La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli,
chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che
possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta con sé e che Dio pone nelle nostre mani.
Dal Vaticano, 8 dicembre 2014
papa Francesco

1022 - I MOLTEPLICI VOLTI DELLA SCHIAVITU' IERI E OGGI

3. Fin da tempi immemorabili, le diverse società umane conoscono il fenomeno dell’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo. Ci sono state epoche nella storia dell’umanità in cui l’istituto della schiavitù era generalmente accettato e regolato dal diritto. Questo stabiliva chi nasceva libero e chi, invece, nasceva schiavo, nonché in quali condizioni la persona, nata libera, poteva perdere la propria libertà, o riacquistarla. In altri termini, il diritto stesso ammetteva che alcune persone potevano o dovevano essere considerate proprietà di un’altra persona, la quale poteva liberamente disporre di esse; lo schiavo poteva essere venduto e comprato, ceduto e acquistato come se fosse una merce.
Oggi, a seguito di un’evoluzione positiva della coscienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesa umanità, è stata formalmente abolita nel mondo. Il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma inderogabile.
Eppure, malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.
Penso a tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori, a livello formale e informale, dal lavoro domestico a quello agricolo, da quello nell’industria manifatturiera a quello minerario, tanto nei Paesi in cui la legislazione del lavoro non è conforme alle norme e agli standard minimi internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione tutela il lavoratore.
Penso anche alle condizioni di vita di molti migranti che, nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente.
Penso a quelli tra di loro che, giunti a destinazione dopo un viaggio durissimo e dominato dalla paura e dall’insicurezza, sono detenuti in condizioni a volte disumane. Penso a quelli tra loro che le diverse circostanze sociali, politiche ed economiche spingono alla clandestinità, e a quelli che, per rimanere nella legalità, accettano di vivere e lavorare in condizioni indegne, specie quando le legislazioni nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la legalità del soggiorno al contratto di lavoro… Sì, penso al “lavoro schiavo”.
Penso alle persone costrette a prostituirsi, tra cui ci sono molti minori, ed alle schiave e agli
schiavi sessuali; alle donne forzate a sposarsi, a quelle vendute in vista del matrimonio o a quelle trasmesse in successione ad un familiare alla morte del marito senza che abbiano il diritto di dare o non dare il proprio consenso.
Non posso non pensare a quanti, minori e adulti, sono fatti oggetto di traffico e di mercimonio per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati, per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefacenti, o per forme mascherate di adozione internazionale.
Penso infine a tutti coloro che vengono rapiti e tenuti in cattività da gruppi terroristici, asserviti ai loro scopi come combattenti o, soprattutto per quanto riguarda le ragazze e le donne, come schiave sessuali. Tanti di loro spariscono, alcuni vengono venduti più volte, seviziati, mutilati, o uccisi.
Alcune cause profonde della schiavitù
4. Oggi come ieri, alla radice della schiavitù si trova una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. Quando il peccato corrompe il cuore dell’uomo e lo allontana dal suo Creatore e dai suoi simili, questi ultimi non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti. La persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, con la forza, l’inganno o la costrizione fisica o psicologica viene privata della libertà, mercificata, ridotta a proprietà di qualcuno; viene trattata come un mezzo e non come un fine.
Accanto a questa causa ontologica – rifiuto dell’umanità nell’altro –, altre cause concorrono a spiegare le forme contemporanee di schiavitù. Tra queste, penso anzitutto alla povertà, al
sottosviluppo e all’esclusione, specialmente quando essi si combinano con il mancato accesso all’educazione o con una realtà caratterizzata da scarse, se non inesistenti, opportunità di lavoro.
Non di rado, le vittime di traffico e di asservimento sono persone che hanno cercato un modo per uscire da una condizione di povertà estrema, spesso credendo a false promesse di lavoro, e che invece sono cadute nelle mani delle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Queste reti utilizzano abilmente le moderne tecnologie informatiche per adescare giovani e giovanissimi in ogni parte del mondo.
Anche la corruzione di coloro che sono disposti a tutto per arricchirsi va annoverata tra le cause della schiavitù. Infatti, l’asservimento ed il traffico delle persone umane richiedono una complicità che spesso passa attraverso la corruzione degli intermediari, di alcuni membri delle forze dell’ordine o di altri attori statali o di istituzioni diverse, civili e militari. «Questo succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non l’uomo, la persona umana. Sì, al centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse il dominatore dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori».
Altre cause della schiavitù sono i conflitti armati, le violenze, la criminalità e il terrorismo.
Numerose persone vengono rapite per essere vendute, oppure arruolate come combattenti, oppure sfruttate sessualmente, mentre altre si trovano costrette a emigrare, lasciando tutto ciò che possiedono: terra, casa, proprietà, e anche i familiari. Queste ultime sono spinte a cercare un’alternativa a tali condizioni terribili anche a rischio della propria dignità e sopravvivenza, rischiando di entrare, in tal modo, in quel circolo vizioso che le rende preda della miseria, della corruzione e delle loro perniciose conseguenze.
papa Francesco - continua
 

1021 - MESSAGGIO PER LA XLVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1. All’inizio di un nuovo anno, che accogliamo come una grazia e un dono di Dio all’umanità,
desidero rivolgere, ad ogni uomo e donna, così come ad ogni popolo e nazione del mondo, ai capi di Stato e di Governo e ai responsabili delle diverse religioni, i miei fervidi auguri di pace, che accompagno con la mia preghiera affinché cessino le guerre, i conflitti e le tante sofferenze provocate sia dalla mano dell’uomo sia da vecchie e nuove epidemie e dagli effetti devastanti delle calamità naturali. Prego in modo particolare perché, rispondendo alla nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà per la promozione della concordia e della pace nel mondo, sappiamo resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra umanità.
2. Il tema che ho scelto per il presente messaggio richiama la Lettera di san Paolo a Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere Onesimo, già schiavo dello stesso Filemone e ora diventato cristiano e, quindi, secondo Paolo, meritevole di essere considerato un fratello. Così scrive l’Apostolo delle genti: «E’ stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo» (Fm 15-16). Onesimo è diventato fratello di Filemone diventando cristiano. Così la conversione a Cristo, l’inizio di una vita di discepolato in Cristo, costituisce una nuova nascita (cfr 2 Cor 5,17; 1 Pt 1,3) che rigenera la fraternità quale vincolo fondante della vita familiare e basamento della vita sociale.
papa Francesco - continua
 

sabato 27 dicembre 2014

1020 - IL DOLORE INNOCENTE DEI BAMBINI

Benedizione Urbi et Orbi - Foto L'Osservatore Romano
Cari fratelli e sorelle, buon Natale!
Gesù, il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, è nato per noi. E’ nato a Betlemme da una vergine, realizzando le antiche profezie. La vergine si chiama Maria, il suo sposo Giuseppe.
Sono le persone umili, piene di speranza nella bontà di Dio, che accolgono Gesù e lo riconoscono. Così lo Spirito Santo ha illuminato i pastori di Betlemme, che sono accorsi alla grotta e hanno adorato il Bambino. E poi lo Spirito ha guidato gli anziani Simeone e Anna, umili, nel tempio di Gerusalemme, e loro hanno riconosciuto in Gesù il Messia. «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» - esclama Simeone - «salvezza preparata da [Dio] davanti a tutti i popoli» (Lc 2,30).
Sì, fratelli, Gesù è la salvezza per ogni persona e per ogni popolo!
A Lui, Salvatore del mondo, domando oggi che guardi i nostri fratelli e sorelle dell’Iraq e della Siria che da troppo tempo soffrono gli effetti del conflitto in corso e, insieme con gli appartenenti ad altri gruppi etnici e religiosi, patiscono una brutale persecuzione. Il Natale porti loro speranza, come ai numerosi sfollati, profughi e rifugiati, bambini, adulti e anziani, della Regione e del mondo intero; muti l’indifferenza in vicinanza e il rifiuto in accoglienza, perché quanti ora sono nella prova possano ricevere i necessari aiuti umanitari per sopravvivere alla rigidità dell’inverno, fare ritorno nei loro Paesi e vivere con dignità. Possa il Signore aprire alla fiducia i cuori e donare la sua pace a tutto il Medio Oriente, a partire dalla Terra benedetta dalla sua nascita, sostenendo gli sforzi di coloro che si impegnano fattivamente per il dialogo fra Israeliani e Palestinesi.
Gesù, Salvatore del mondo, guardi quanti soffrono in Ucraina e conceda a quell’amata terra di superare le tensioni, vincere l’odio e la violenza e intraprendere un nuovo cammino di fraternità e riconciliazione.
Cristo Salvatore doni pace alla Nigeria, dove altro sangue viene versato e troppe persone sono ingiustamente sottratte ai propri affetti e tenute in ostaggio o massacrate. Pace invoco anche per altre parti del continente africano. Penso in particolare alla Libia, al Sud Sudan, alla Repubblica Centroafricana e a varie regioni della Repubblica Democratica del Congo; e chiedo a quanti hanno responsabilità politiche di impegnarsi attraverso il dialogo a superare i contrasti e a costruire una duratura convivenza fraterna.
Gesù salvi i troppi fanciulli vittime di violenza, fatti oggetto di mercimonio e della tratta delle persone, oppure costretti a diventare soldati; bambini, tanti bambini abusati. Dia conforto alle famiglie dei bambini uccisi in Pakistan la settimana scorsa. Sia vicino a quanti soffrono per le malattie, in particolare alle vittime dell’epidemia di Ebola, soprattutto in Liberia, in Sierra Leone e in Guinea. Mentre di cuore ringrazio quanti si stanno adoperando coraggiosamente per assistere i malati ed i loro familiari, rinnovo un pressante invito ad assicurare l’assistenza e le terapie necessarie.
Gesù Bambino. Il mio pensiero va a tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita; sia a quei bambini sfollati a motivo delle guerre e delle persecuzioni, abusati e sfruttati sotto i nostri occhi e il nostro silenzio complice; e ai bambini massacrati sotto i bombardamenti, anche là dove il figlio di Dio è nato. Ancora oggi il loro silenzio impotente grida sotto la spada di tanti Erode. Sopra il loro sangue campeggia oggi l’ombra degli attuali Erode. Davvero tante lacrime ci sono in questo Natale insieme alle lacrime di Gesù Bambino!
Cari fratelli e sorelle, che lo Spirito Santo illumini oggi i nostri cuori, perché possiamo riconoscere nel Bambino Gesù, nato a Betlemme dalla Vergine Maria, la salvezza donata da Dio ad ognuno di noi, ad ogni uomo e a tutti i popoli della terra. Il potere di Cristo, che è liberazione e servizio, si faccia sentire in tanti cuori che soffrono guerre, persecuzioni, schiavitù. Che con la sua mansuetudine questo potere divino tolga la durezza dai cuori di tanti uomini e donne immersi nella mondanità e nell’indifferenza, nella globalizzazione dell’indifferenza. Che la sua forza redentrice trasformi le armi in aratri, la distruzione in creatività, l’odio in amore e tenerezza. Così potremo dire con gioia: “I nostri occhi hanno visto la tua salvezza”.
Con questi pensieri, buon Natale a tutti!
papa Francesco, Messggio e benedizione Urbi et Orbi, 25 dicembre 2014

1019 - «RICONOSCI, CRISTIANO, LA TUA DIGNITÀ»

Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti.
Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita. Il Figlio di Dio infatti, giunta la pienezza dei tempi che l’impenetrabile disegno divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana, l’assunse lui stesso in modo che il diavolo, apportatore della morte, fosse vinto da quella stessa natura che prima lui aveva reso schiava. Così alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Essi vedono che la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di questa opera ineffabile dell’amore divino, di cui tanto gioiscono gli angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l’umanità nella sua miseria! O carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, perché nella infinita misericordia, con cui ci ha amati, ha avuto pietà di noi e, mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo (cfr. Ef 2, 5) perché fossimo in lui creatura nuova, nuova opera delle sue mani.
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa (Disc. 1 per il Natale, 1-3; PL 54,190-193)

1018 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - GENNAIO 2015

Universale: Perché gli appartenenti alle diverse tradizioni religiose e tutti gli uomini di buona volontà collaborino nella promozione della pace.
Per l’evangelizzazione: Perché in questo anno dedicato alla Vita consacrata i religiosi e le religiose ritrovino la gioia della sequela di Cristo e si adoperino con zelo al servizio dei poveri.
Dei vescovi: Perché coloro che hanno ricevuto il Battesimo, ma non ne vivono le esigenze, scoprano la gioia della fede.

venerdì 26 dicembre 2014

1017 - DIO TI AMA PERSONALMENTE

1016 - TU CHE CI AMI PER PRIMO

O Dio che ci hai amato per primo,
noi parliamo di te
come di un semplice fatto storico,
come se una volta soltanto
tu ci avessi amati per primo.
E tuttavia tu lo fai sempre.
Molte volte, ogni volta,
durante tutta la vita,
tu ci ami per primo.
Quando ci svegliamo al mattino
e volgiamo a te il nostro pensiero,
tu sei il primo,
tu ci hai amati per primo.
Se mi alzo all'alba e volgo a te,
in un medesimo istante, il mio animo,
tu mi hai già preceduto,
mi hai amato per primo.
Quando m'allontano dalle distrazioni,
e mi raccolgo per pensare a te,
tu sei stato il primo.
E così sempre.
E poi, noi ingrati,
parliamo come se una volta sola
tu ci avessi amato così per primo !
(Soren Kierkegaard)


mercoledì 24 dicembre 2014

1015 - BUON NATALE!

 
La grazia che è apparsa nel mondo è Gesù, nato dalla Vergine Maria, vero uomo e vero Dio. Egli è venuto nella nostra storia, ha condiviso il nostro cammino. È venuto per liberarci dalle tenebre e donarci la luce. In Lui è apparsa la grazia, la misericordia, la tenerezza del Padre: Gesù è l’Amore fattosi carne. Non è soltanto un maestro di sapienza, non è un ideale a cui tendiamo e dal quale sappiamo di essere inesorabilmente lontani, è il senso della vita e della storia che ha posto la sua tenda in mezzo a noi. (papa Francesco, 24 dic. 2013)
 
PADRE LUIGI, CON LA COMUNITA' PIAMARTINA,
AUGURA A TUTTI SANTO NATALE E BUON ANNO 2015!

1014 - LA NATIVITÀ

Cappella della Santa Famiglia nel Quartier Generale dei Cavalieri di Columbus
New Haven, Connecticut - USA
Tutta la creazione partecipa allo straordinario evento di Dio che si fa uomo e molti elementi che si ritrovano nel racconto della natività sono qui rappresentati: Maria e Giuseppe, la stella, la grotta, gli animali.
Maria ha avvolto Gesù bambino in fasce, simili alle bende di lino in cui Giuseppe d’Arimatea avvolgerà Cristo dopo averlo deposto dalla croce. Le braccia del piccolo Gesù qui richiamano la posizione delle sue braccia distese sul legno della croce.
Giuseppe, un po’ scostato, sta riflettendo su ciò che accade con la nascita del bambino.
Se prima di Cristo si pensava che ciascuno nascesse sotto una stella da cui dipendeva il suo destino, con Cristo la stella si sottomette a lui e serve da indicatore per mostrare il luogo della sua nascita. Cristo cioè ci libera dal determinismo cosmico.
Non siamo figli della terra, siamo figli di Dio.

martedì 23 dicembre 2014

1013 - RIFLESSIONE SUL NATALE

Sin dall’infanzia il Natale costituisce un momento magico atteso e desiderato, ricco di contenuti simbolici che lo rendono la festa più significativa anche per la vita dei popoli. La festa è il compimento delle attese e dei desideri più profondi, poiché crea una comune coscienza di appartenenza vissuta di volta in volta intorno al Natale festa della luce, festa della famiglia e dei bambini, festa di una bontà e di una generosità umana, ma soprattutto festa religiosa della cristianità legata alla nascita di Gesù bambino.
Così di volta in volta il Natale prende il significato simbolico che ci aspettiamo, con il rischio anche di perdere di vista il suo senso ultimo e più vero. Ma chi e che cosa festeggiamo con il Natale? E cosa ci aspettiamo per il bene della nostra vita?
Tutti chiediamo la pace, la concordia, una maggiore solidarietà tra gli uomini, la salute, la risposta ai nostri dubbi e problemi quotidiani, ben consapevoli che siamo ben distanti dal Dio presente e vivo. Ma il Natale invita ad andare ancora più a fondo del contenuto del nostro desiderio sino alla sua radice religiosa: ciò di cui abbiamo bisogno è Dio non solo come risposta ai nostri bisogni particolari, ma come origine e compimento della nostra stessa vita. Suggestivamente nella Messa natalizia del 2007 Benedetto XVI diceva proprio che “Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra”, ad indicare che in Cristo si accorciano le distanze dell’umano dal divino.
Il cardinal Montini scriveva nella sua lettera pastorale del 1957 sul senso religioso che l’uomo è apertura verso Dio e desiderio di incontro con Lui; il Natale ci fa incontrare il Mistero ultimo dell’Essere attraverso la verità, la bellezza, la bontà, la pace, la felicità, la vita”, e qui è il fascino del Natale come avvenimento in cui Dio si mette alla portata dell’uomo per venirgli incontro.
Natale è la memoria dell’incarnazione di Dio per la salvezza di tutto l’uomo, ed è giusto fare festa per la gioia di aver potuto guardare con stupore quell’origine, unica ed irripetibile, della nascita del bambino Gesù. Da qui inizia la salvezza e il riscatto della nostra condizione umana. A Betlemme nasce il Salvatore che dà inizio alla nuova umanità in cui Dio attua ciò che l’uomo non sarebbe neppure riuscito ad immaginare.
Natale è il giorno di inizio della nuova creazione, il sorgere della speranza di una novità del bene che vince sul male, il mistero del ricollocare l’uomo al centro dell’universo in cui ogni realtà ritrova il suo posto, realizzando quanto diceva il cardinal Scola nel pontificale natalizio dell’anno scorso: “ogni uomo è veramente libero quando accoglie il suo essere figlio e ne fa consapevole esperienza. Più che mai nella nostra società, segnata da mille solitudini, questo è il bisogno primario. Per diventare uomini maturi riusciti, capaci di identità e di relazione, bisogna aver coscienza del mistero della nascita. Ogni donna, ogni uomo che nasce è voluto ed amato da Dio: nessuno è frutto del caso. Nel salvatore bambino impariamo ad essere figli nel Figlio”
Giampaolo Cottini - 19/12/2014, in http://www.rmfonline.it

venerdì 19 dicembre 2014

1012 - VI DOMENICA DI AVVENTO

Il rischio di fronte a pagine come questa di Luca 1,26-38 è di leggerle quasi per abitudine pensando che non abbiano nulla di nuovo da dire. Sappiamo che non è così; ma che fare per evitarlo?
Il Natale è alle porte e non possiamo correre il rischio di dare tutto per scontato; per prima cosa è necessario amare questo Vangelo e pensare che è scritto per me: è come una lettera d’amore, misteriosa e inaspettata, che voglio leggere e rileggere quasi per spremere tutte le meraviglie e i segreti che essa contiene.
Il Vangelo dell’Annunciazione svela il Mistero dell’Incarnazione; Luca racconta il modo con cui Maria ha preso coscienza della sua vocazione di essere la Madre di Dio: è un evento straordinario; il corpo di Maria nutre e fa crescere, giorno dopo giorno, il corpicino di un bimbo che è l’Emmanuele. Questo bimbo è Dio e Dio è questo bimbo per cui Maria, madre di questo bimbo, è Madre di Dio.
Tutto ciò è incredibile e davvero incredibile sarebbe se non ci venisse detto chi è il protagonista di questo evento unico e straordinario: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra»; senza lo Spirito del Padre, che è Amore eterno e Onnipotente, nulla di cristiano sarebbe possibile.
Questa, infatti, è la verità racchiusa nel Mistero del Natale: l’umanità di Gesù è frutto della Grazia dello Spirito Santo; da Maria impariamo che lo Spirito rende possibile a Dio ciò che è assolutamente impossibile per l’uomo. Lo Spirito “fa” Gesù: senza la sua azione Gesù non esisterebbe e noi non conosceremmo il volto umano di Dio.
Ma c’è un altro sorprendente Mistero: l’Amore Onnipotente, che ha “fatto” in Maria il corpo di Gesù, in questi giorni santi compie dentro di noi la stessa opera misteriosa; noi siamo come Maria perché anche per noi è pronto un Figlio.
Giovanni Papini ebbe a dire del Natale: «Cosa importa se anche Gesù nascesse mille volte a Betlemme ma non dovesse nascere neppure una volta nel tuo cuore?». Il cristiano è chiamato come Maria a “dare carne” a Gesù.
A pochi giorni dal Natale la liturgia ambrosiana contempla la maternità di Maria ma insieme ci invita a guardare dentro noi stessi perché si compia, per grazia, il miracolo dello Spirito che fa nascere Gesù in noi: è una meraviglia, grande come la maternità di Maria.
Noi siamo pieni di gioia guardando alla divina maternità di Maria, ma subito dobbiamo sapere che, se accogliamo con fede la grazia del Natale, anche in noi inizia una profonda e commovente assimilazione a Gesù. Maria conosce questo mistero e per questo a lei chiediamo di aiutarci a vivere la nascita misteriosa di Gesù nel nostro cuore.
Abbiamo bisogno della preghiera silenziosa che, come per Maria, ci faccia coscienti di ciò che, infallibilmente, lo Spirito sta compiendo dentro di noi. Soltanto così capiremo il senso del Natale, e, allora, il Natale celebrato dalla Chiesa sarà il anche il “nostro” Natale. Gesù disse a Nicodemo: «In verità, in verità io ti dico se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio». Così sia, in questo Natale, anche per noi e per i nostri cari.
don Luigi Galli

giovedì 18 dicembre 2014

1011 - IRAQ: NATALE IN ESILIO - 2

Per molti sfollati, cristiani ma anche yazidi e kakai, la Chiesa costituisce l'unica fonte di assistenza, anche perché episodi gravi di corruzione tra i funzionari statali hanno messo a rischio l'arrivo dei fondi stanziati per i rifugiati dal governo di Baghdad. Se la precarietà pervade le giornate di tutti questi fuggitivi che vivono con l'incubo della violenza estremista a un tiro di schioppo, per i nazara (cioè i cristiani, i fedeli di Gesù di Nazareth) la fede è vissuta altrettanto quotidianamente. In molti modi diversi. «Ho visto alcuni episodi eclatanti di difesa coraggiosa della propria appartenenza cristiana, ma anche una testimonianza silenziosa e concreta del messaggio di Gesù nelle difficoltà di ogni giorno, nonostante tutto», racconta monsignor Nona. «Per questa gente, davvero la fede è la cosa più importante, e questa è una constatazione che dà speranza». Per questo si fa di tutto per mantenere una certa normalità pastorale, sebbene sia complicato: «Cerchiamo di celebrare la Messa con regolarità anche nei villaggi più lontani e isolati, di portare sostegno spirituale alle persone, incoraggiarle ed esortarle ad avere forza. Qui ad Ankawa organizziamo momenti di preghiera e catechesi, come ad esempio una tre giorni per i giovani ospitata qualche settimana fa nel giardino del convento delle suore caldee Figlie di Maria Immacolata, a cui hanno partecipato almeno 250 ragazzi e ragazze».
Ogni anno, un festival per i giovani delle Chiese del Nord Iraq veniva organizzato durante l'estate: una tradizione che si è dovuta interrompere per l'avanzata degli jihadisti. «Alla fine abbiamo deciso di recuperare l'appuntamento qui, in esilio, e l'evento ha assunto un significato particolare. È stato anche un modo per aiutare i ragazzi a non cadere nella depressione, a trovare le ragioni di una speranza possibile».Lo stesso spirito con cui si sta ora vivendo l'Avvento. «Ci siamo incontrati con i sacerdoti e le suore, per parlare di come aiutare i nostri fedeli a celebrare il Natale in pienezza».
Le funzioni festive, visto il massiccio afflusso di profughi, raddoppieranno rispetto agli anni scorsi. Includendo tutti i riti, a Natale le Messe - che qui si celebrano nella lingua di Gesù, l'aramaico - saranno una cinquantina: si celebrerà nelle chiese, ma anche in strutture approntate per l'emergenza. «E vorremmo che anche i più piccoli possano avere un momento di serenità e gioia: per questo abbiamo stanziato una parte delle donazioni per quindicimila pacchetti dono», racconta monsignor Nona.
Soprattutto, però, ciò che i cristiani iracheni desiderano è sentirsi parte di una Chiesa universale che non li dimentica: «In questa crisi, abbiamo sentito i nostri fratelli nella fede molto vicini: hanno dimostrato prossimità con le parole, la preghiera e l'aiuto materiale. Una solidarietà grandissima che non avremmo mai immaginato». A cominciare dal Papa, che non ha perso occasione per esprimere il suo sostegno ai cristiani perseguitati dell'Iraq e anche il desiderio di una presenza fisica in queste terre, non appena sarà possibile. «Ho incontrato personalmente Papa Francesco e quando ho chiesto la sua benedizione mi ha detto: "Ti do la benedizione e anche la mia vicinanza, sono a fianco di voi cristiani dell'Iraq».
Un pezzo di Chiesa, quella mediorientale, che vive nella culla della fede cristiana. Ma che, ora, guarda con inquietudine al domani. «C'è molto buio nel nostro futuro», conferma l'arcivescovo di Mosul. «La situazione nella regione pone gravi minacce alla presenza di noi cristiani e purtroppo molte famiglie decidono di emigrare: ogni giorno abbiamo qualcuno che se ne va...».
Come invertire questo trend doloroso? «All'Iraq serve prima di tutto democrazia, poi un clima sociale diverso, visto che oggi purtroppo tra le varie etnie e fedi che hanno convissuto per secoli si sono create fratture e diffidenze che devono essere sanate. E, ancora, bisogna risollevare l'economia. Insomma, c'è un'intera società che va ricostruita, e non possiamo farlo da soli: ci serve l'aiuto della comunità internazionale. Ma bisogna fare presto, perché ogni giorno che passa c'è qualcuno che, in Iraq, non si sente più a casa».
di Chiara Zappa, in
http://www.missionline.org/

1010 - IRAQ: NATALE IN ESILIO

L’arcivescovo caldeo di Mosul, rifugiato nel Kurdistan iracheno con tutta la sua comunità, racconta la lotta per vivere la fede anche in una situazione di disagio estremo
«Ci hanno portato via tutto, ma non la nostra fede». È un messaggio chiaro e forte, nonostante la prostrazione e i disagi, quello che risuona insistentemente tra le roulotte dei campi profughi e le strutture prefabbricate tirate su in fretta - per battere sul tempo l'inverno - ad Ankawa. In questo distretto di Erbil a maggioranza cristiana, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, hanno trovato rifugio centinaia di migliaia di sfollati, fuggiti nei mesi scorsi dal Nord dell'Iraq messo a ferro e fuoco dagli jihadisti del sedicente Stato islamico. Tra di loro ci sono interi villaggi della piana di Ninive e tutta la Chiesa di Mosul, oggi in esilio. A cominciare dall'arcivescovo caldeo monsignor Emil Shamon Nona, lui stesso pastore profugo, costretto a cercare rifugio insieme ai suoi fedeli nella zona controllata dai curdi. Anche per lui, questo sarà un Natale da fuggitivo, lontano da casa e con nel cuore l'inquietudine di un presente drammatico e un futuro avvolto dall'incertezza. «La nostra è una situazione difficile da descrivere: come può una persona abbandonare da un giorno all'altro tutta la sua storia personale e quella della sua famiglia, tutto ciò che aveva costruito in decenni?», si sfoga l'arcivescovo nato 47 anni fa nell'antichissima città di Alqosh, importante centro del cristianesimo assiro-caldeo. Le giornate di monsignor Nona, ormai da mesi, sono scandite dalle visite alle famiglie rifugiate, sparse anche tra vari villaggi nei dintorni di Erbil, alle quali cerca di portare un conforto spirituale e, insieme, tutto il possibile sostegno materiale: «C'è un bisogno enorme di alloggi per questa gente che non ha più nulla», spiega. «Servono vestiti e coperte per proteggersi dal freddo, ma anche cibo e medicine, visto che tante famiglie non hanno un lavoro per sostentarsi. La Chiesa, dopo aver adibito all'accoglienza tutti gli spazi a propria disposizione, ha cercato di affittare case o alberghi e ha approntato campi di roulotte e di prefabbricati, grazie alla mobilitazione delle organizzazioni caritative straniere e a campagne come quella del Pime "Adotta un cristiano di Mosul"». Subito dopo l'assistenza di base, ci si occupa di garantire ai più piccoli la possibilità di non interrompere la loro istruzione: quattro scuole sono in costruzione a Erbil e altrettante a Dohuk, sempre nel Kurdistan.
di Chiara Zappa, in
http://www.missionline.org/

mercoledì 17 dicembre 2014

1009 - MADONNA DI ESTERHAZY

Madonna di Esterhazy - Raffaello

1008 - RAFFAELLO A MILANO

Il Comune di Milano rinnova anche quest’anno l’appuntamento con i capolavori d’arte per offrire alla città, durante le feste di Natale, un incontro speciale con la bellezza. Dal 3 dicembre 2014 all’11 gennaio 2015 infatti, nella sala Alessi a Palazzo Marino, la cinquecentesca sede  del Comune di Milano, verrà ospitata la Madonna Esterházy di Raffaello, splendida opera del genio del Rinascimento proveniente dal Museo delle Belle Arti di Budapest.
Nella storia dell’arte italiana, nel cuore del Rinascimento, c’è stato un momento davvero particolare: a Roma nel 1508, a poche decine di metri di distanza, Raffaello e Michelangelo hanno iniziato a dipingere i loro massimi, rispettivi capolavori, le Stanze del Vaticano e la volta della Cappella Sistina. È “l’alba del giorno più bello della pittura italiana", ha commentato il curatore Stefano Zuffi. E questo giorno inizia proprio con la Madonna Esterházy.
Il dipinto, raffinatissimo e solare, raffigura la Madonna col Bambino e san Giovannino e segna la conclusione del fondamentale periodo trascorso da Raffaello a Firenze, con la decisione di trasferirsi a Roma.
Come nella pagina di un personalissimo diario, Raffaello ci mostra questo decisivo passaggio direttamente nel dipinto stesso: la composizione infatti si ispira in modo esplicito a Leonardo, conosciuto e studiato attentamente da Raffaello durante i quattro anni passati a Firenze; ma sullo sfondo appaiono i ruderi del Foro Romano, dipinti con precisione topografica, a riprova di una conoscenza diretta e di una serena e convinta “immersione" nella classicità.
La Madonna Esterházy si affaccia nella storia e nella cronaca all’inizio del XVIII secolo, quando viene donata da Papa Clemente XI Albani a Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbuttel, futura moglie dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo. Elisabetta Cristina era la madre dell’imperatrice Maria Teresa, che a sua volta donò la tavola di Raffaello al conte Wenzel Anton von Kaunitz, figura di spicco nella politica imperiale. Alla morte di Kaunitz (1794) il dipinto passò infine agli Esterházy e da qui al Museo delle Belle Arti di Budapest.
La mostra è anche l’occasione per ricordare le vicende drammatiche, ma anche il “lieto fine", del furto avvenuto presso il Museo di Budapest nel 1983, considerato il più clamoroso furto d’arte dai musei del XX secolo. Approfittando dei lavori di restauro della sede museale, un gruppo di malviventi italiani, su commissione di una magnate greco, trafugò sei opere d’arte italiana, fra cui appunto la Madonna Esterházy.
I capolavori sono stati successivamente ritrovati dai Carabinieri del nucleo recupero di opere d’arte italiano in un convento dismesso in Grecia, e i ladri identificati e arrestati.
La Madonna Esterházy viene “accolta" in Sala Alessi da altri due dipinti milanesi, simili per soggetto e per epoca: la Vergine del Borghetto, senza dubbio la migliore copia antica della Vergine delle Rocce di Leonardo rimasta a Milano, concessa dall’Istituto delle Suore Orsoline e attribuita a Francesco Melzi; e la Madonna della rosa di Giovanni Antonio Boltraffio, prestito del Museo Poldi Pezzoli: sarà così possibile osservare le evidenti affinità nelle espressioni dei volti e nelle pose dei personaggi, ma anche le profonde differenze nella concezione del paesaggio e delle luci, mettendo direttamente a confronto l’interpretazione di Raffaello e quella dei seguaci milanesi di Leonardo.
 
Palazzo Marino - Piazza della Scala, 2
Tutti i giorni dalle ore 9.30 alle 20.00
Giovedì dalle ore 9.30 alle 22.30

giovedì 11 dicembre 2014

1007 - PREGHIERA ALLA VERGINE DI GUADALUPE




Benedetta Vergine di Guadalupe,
Ti chiedo a nome di tutti i miei fratelli del mondo, di benedirci e proteggerci.
Dacci una prova del tuo amore e bontà e ricevi le nostre preghiere e orazioni.
Oh Purissima Vergine di Guadalupe!
Ottieni da tuo figlio il perdono dei miei errori,
benedizione per il mio lavoro.
Rimedi per le mie infermità e necessità,
e tutto ciò che credi conveniente chiedere per la mia famiglia.
Oh Santa Madre di Dio, non deludere le suppliche che t’indirizziamo nelle nostre necessità.

1006 - GLI OCCHI DELLA VERGINE DI GUADALUPE

Il fenomeno più sorprendente riguarda le scoperte fatte nelle pupille della Vergine. Nel 1929, il fotografo Alfonso Marquè Gonzales, studiando alcuni negativi dell'immagine, osservò che nell'occhio destro della Madonna si vedeva una figura umana. La scoperta destò scalpore. Altri fotografi cercarono di chiarire il fatto.
Nel 1951, Carlos Salinas, fotografo ufficiale della Basilica di Guadalupe, affermò di aver constatato che una figura umana si notava anche nell'occhio sinistro. A questo punto cominciarono ad interessarsene anche i medici. Uno di essi, Raffael Torija Lavoignet, ottenne il permesso di studiare l'immagine senza la protezione del cristallo.
Tra il 1956 e il 1958, compì cinque indagini servendosi di lenti di ingrandimento e oftalmoscopi: egli confermò la presenza di immagini di figure umane negli occhi della Madonna. E' noto che nell'occhio umano si formano tre immagini riflesse degli oggetti osservati. Due di quelle immagini sono "diritte", una sulla superficie esterna della cornea, l'altra sulla superficie interna del cristallino. In teoria, tali immagini riflesse, oltre che negli occhi di una persona vivente possono essere viste anche in una fotografia della stessa, ma non potranno mai vedersi negli occhi di un volto umano "dipinto" su una tela. Eppure, nelle pupille dell'immagine della Vergine di Guadalupe, immagine che risale al 1531, diversi ricercatori avevano notato delle figure riflesse. Il fenomeno divenne eclatante quando cominciò ad essere studiato con i più sofisticati mezzi moderni supportati dal computer.
Lo studio sugli occhi della Madonna di Guadalupe, Patrona delle Americhe è stato realizzato, con le più moderne tecniche digitali e con l'utilizzo di funzioni matematiche, dall'ingegnere peruviano José Aste Tonsmann, ricercatore del Centro de Estudios Guadalupanos (Messico). Attraverso le elaborazioni dei computer e dopo venti anni di lavoro e ricerche, Tonsmann è riuscito ad evidenziare la presenza di una serie di figure umane in entrambi gli occhi della Vergine. Sembra quasi una "foto", "un'istantanea" scattata ai testimoni del miracolo, ai momento dell'apparizione dell'immagine della Madonna sui mantello dell'indio Juan Diego. Le persone appaiono, con diverse proporzioni, sia nell'occhio destro che nell'occhio sinistro della Vergine, proprio come si presenterebbero negli occhi di un essere umano. Nonostante siano microscopiche, le immagini risultano dettagliate. Inoltre, molti dei personaggi scoperti hanno riferimenti storici. La tecnica digitale ha permesso di ingrandire, filtrare e migliorare le tredici immagini di persone contenute negli occhi della Vergine, che non hanno più di otto millimetri di diametro. I personaggi scoperti appartengono a due scene distinte. Nella prima scena sono raffigurate le persone che la Madonna vede poco prima che la sua immagine rimanga impressa sui mantello di Juan Diego. Sono: il Vescovo Juan de Zumarraga, il suo servo indio e la sua schiava di colore, il traduttore Juan Gonzalez, un dignitario spagnolo e lo stesso Juan Diego mentre lascia cadere dal suo mantello le rose di Castilla che la Madonna gli aveva chiesto di presentare al Vescovo come prova della veridicità della sua apparizione. Le rose, però, non compaiono negli occhi della Vergine e Tonsmann suggerisce che potrebbero essersi trasformate nei personaggi protagonisti della seconda scena, che rappresenta una famiglia azteca composta da padre, madre, nonni e tre bambini. Le scoperte di Tonsmann sono rafforzate dalle parole con le quali la Madonna si era rivolta a Juan Diego, durante l'apparizione, per sollecitare la costruzione di una chiesa: "Per realizzare ciò che vuole il mio sguardo compassionevole e misericordioso". Gli occhi della Vergine, dunque, sono al centro di questo miracolo.
Ma che cosa ci vuole dire la Vergine attraverso queste immagini? Quale messaggio vuole comunicare attraverso il suo "sguardo misericordioso"? Tonsmann sostiene che la Madonna ha voluto dare all'umanità tre importanti messaggi che sono validi oggi come al tempo delle sua apparizione: il primo è l'importanza dell'unione della famiglia (soggetto della seconda scena) e dei suoi valori; il secondo è un monito antirazzista, in quanto nello sguardo della Madonna sono presenti uomini e donne di diverse razze; il terzo è un invito a servirsi della tecnologia per diffondere la parola di Cristo, perché il mantello di Juan Diego era più uno strumento di lavoro che un indumento vero e proprio. Gli Aztechi, infatti, non conoscevano l'uso della ruota ed utilizzavano il mantello come mezzo di trasporto di pietre e sementi.
http://lucedidio.over-blog.it/pages/Madonna_di_Guadalupe 

1005 - IL MIRACOLO DELLA TILMA DI GUADALUPE

Al 1666 risale il più antico esame scientifico dell'immagine "impressa" sulla tilma (il mantello di Juan Diego). Essa è costituita da due teli di tessuto di fibre d'agave, usato in Messico dagli indios poveri per fabbricare abiti, cuciti insieme con filo sottile. Su di essa si vede l'immagine della Vergine, di dimensioni leggermente inferiori al naturale - la statura è di 143 centimetri - e di carnagione un po' scura, donde l'appellativo popolare messicano di Virgen Morena o Morenita, circondata dai raggi del sole e con la luna sotto i suoi piedi, secondo la figura della Donna dell'Apocalisse. I tratti del volto non sono né di tipo europeo né di tipo indio, ma piuttosto meticcio - cosa "profetica" al tempo dell'apparizione - così che oggi, dopo secoli di commistioni fra le due razze, la Vergine di Guadalupe appare tipicamente "messicana". Sotto la falce argentata della luna un angelo, le cui ali sono ornate di lunghe penne rosse, bianche e verdi, sorregge la Vergine che, sotto un manto verde-azzurro coperto di stelle dorate, indossa una tunica rosa "ricamata" di fiori in boccio dai contorni dorati e stretta sopra la vita da una cintura color viola scuro: questa cintura - il "segno di riconoscimento", presso gli Aztechi, delle donne incinte - indica che la Vergine è in procinto di donare agli uomini il Salvatore.
I risultati degli esami compiuti su questa immagine dai pittori e dagli esperti nel 1666 sono i seguenti: è assolutamente impossibile che un'immagine così nitida sia stata dipinta a olio o a tempera sull'ayate, data la completa mancanza di preparazione di fondo; che il clima del luogo in cui l'immagine è stata esposta, senza alcuna protezione, per centotrentacinque anni è tale da distruggere in un tempo più breve qualsiasi pittura, anche se dipinta su tela di buona qualità e ben preparata, a differenza del rozzo ayate della tilma di Juan Diego. Gli studi scientifici sull'immagine e sull'ayate proseguono nei secoli successivi fino ai giorni nostri.
Nel 1751 una commissione di sette pittori con a capo Miguel Cabrera è incaricata di compiere una nuova ispezione. Le conclusioni a cui giungono Miguel Cabrera e i suoi colleghi sono sostanzialmente le stesse a cui erano giunti i medici e i pittori nel 1666: l'immagine non è un dipinto, apparendo i colori come "incorporati" alla trama della tela; e non soltanto una pittura, ma lo stesso tessuto dell'ayate avrebbe dovuto disgragarsi in breve tempo nelle condizioni climatiche della radura ai piedi del Tepeyac. La scienza appare dunque chiamata a fornire risposte sempre più adeguate ai tanti interrogativi che ancora oggi circondano questa immagine cosiddetta "acheropita", vocabolo d'origine greca che vuol dire "non fatta da mani d'uomo". Sembra di ripercorrere, in questo senso, il medesimo cammino della Sindone conservata a Torino, cioé dell'immagine di Gesù "impressa" sul lenzuolo con cui fu avvolto il corpo di Nostro Signore nel sepolcro.
Nel 1936 il professor Richard Kuhn, direttore della sezione di chimica del Kaiser Wilhelm Institut di Heidelberg, che due anni dopo, nel 1938, ottenne il premio Nobel per la chimica, ebbe la possibilità di esaminare due fili, uno rosso e uno giallo, provenienti da frammenti della tilma di Juan Diego. I risultati delle analisi, condotte con le tecniche più sofisticate allora disponibili, dimostrarono che su quelle fibre non vi era traccia di coloranti di nessun tipo, né vegetali, né animali, né minerali. Lungo il corso dei secoli sono state fatte del le aggiunte pittoriche attorno all'immagine primitiva della Vergine. Queste aggiunte si sono screpolate e sono sbiadite, mentre l'immagine è sempre rimasta intatta, con i colori vivi che sembrano freschi.

1004 - 12 DICEMBRE - IL MIRACOLO DI GUADALUPE

Cuauhtlatatzin, nato a Chuauhtitlàn, piccolo villaggio pochi chilometri a nord di Tenochtitlàn (l'odierna Citta del Messico) nel 1474, è un macehual, un uomo del popolo, piccolo coltivatore diretto in un modesto villaggio: poco più di niente, nella società azteca complessa e fortemente gerarchizzata.
Nel 1524, all'età di cinquant'anni, viene battezzato con il nome di Juan Diego, insieme con la moglie Malintzin, che prende a sua volta il nome di Marìa Lucìa.
Rimasto vedovo quattro anni più tardi, divide il suo tempo fra il lavoro dei campi e le pratiche della religione cristiana, fra cui l'ascolto della catechesi impartita agli indigeni neoconvertiti dai missionari spagnoli a Tlatelolco, un sobborgo di Città del Messico.
Quindi la sua vita è apparentemente la stessa di tanti altri suoi conterranei quando, all'alba del 9 dicembre 1531, avviene l'incontro che cambierà totalmente la sua vita e che lascerà sul suo mantello, o tilma, un segno visibile della benedizione data da Dio all'opera - allora appena iniziata - dell'evangelizzazione dei popoli del Nuovo Mondo.

sabato 6 dicembre 2014

1002 - L'IMMACOLATA CONCEZIONE

Che cosa vuol dire Immacolata Concezione?
Vuol dire che la Vergine Maria, pur essendo stata concepita dai suoi genitori (sant’Anna e san Gioacchino) così come vengono concepite tutte le creature umane, non è mai stata toccata dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento.

Perché la Vergine Maria è stata concepita immacolatamente?
La risposta sta nel fatto che la Vergine Maria non solo avrebbe dovuto concepire il Verbo incarnato e quindi portare con sé, nel Suo Grembo, il Dio fattosi uomo, ma avrebbe anche dovuto dare al Verbo incarnato la natura umana. Il catechismo afferma che Gesù Cristo è vero Dio ma anche vero uomo, nell’unico soggetto che è divino. Si tratta dell’unione ipostatica.
Ebbene, non si può pensare che Dio, somma perfezione e somma purezza, possa aver ricevuto la natura umana da una creatura toccata – anche se brevemente – dal peccato e, quindi, in quanto tale, soggetta in qualche modo all’azione del Maligno.
 
In che parte del Vangelo si può facilmente dedurre che la Vergine Maria è Immacolata?
Nell’Annunciazione l’Angelo saluta Maria con l’appellativo “Piena di Grazia”. Tali parole fanno chiaramente capire che non si tratta semplicemente di un saluto rivolto a chi è nello stato di Grazia, ma a chi è totalmente pieno della Vita di Dio, totalmente pieno di questa Vita perché costitutivamente immacolato.

Chi ha promulgato il dogma dell’Immacolata Concezione?
Il dogma fu promulgato nella Cappella Sistina dal beato Pio IX l’8 dicembre 1854. Il Pontefice, durante il suo esilio in Gaeta (1849-1851) – dovuto alla Rivoluzione mazziniana che nel 1848-1849 aveva portato alla costituzione della Seconda Repubblica Romana, per sua natura massonica e anticristiana – aveva fatto voto in una cappella dedicata all’Immacolata che, qualora avesse ricevuto la grazia del ritorno a Roma e del ripristino dell’ordine cristiano nell’Europa allora sconvolta dalla Rivoluzione, avrebbe appunto impegnato tutto se stesso nell’attuazione della proclamazione del gran dogma mariano. Come Pio IX ebbe poi a dire, sentì tale esigenza come una chiamata interiore, che ricevette mentre era assorto in preghiera dinanzi all’immagine dell’Immacolata.

Perché si attese il XIX secolo per promulgare tale dogma?
Primo: perché il dogma dell’Immacolata Concezione è un dogma di approfondimento della Rivelazione (approfondimento vuol dire che è comunque contenuto implicitamente nella Rivelazione) per cui era naturale che tale approfondimento avvenisse nel corso della storia.
Secondo: perché tale dogma fu una risposta all’influenza illuminista (prima) e positivista (poi) che affermavano una sorta di “immacolata concezione” dell’uomo. Si tratta del mito del buon selvaggio, secondo cui l’uomo sarebbe in natura buono ma poi verrebbe rovinato dalle strutture sociali. La conseguenza di questa errata antropologia era il ritenere che la soluzione di ogni male non stesse prima di tutto nella conversione del cuore dell’uomo ma solo nella teorizzazione di ideologie rivoluzionarie e utopiche atte a realizzare una sorta di “paradiso sulla terra”.
Ebbene, il dogma dell’Immacolata Concezione nel 1854 e la sua conferma venuta dall’Alto che si avrà quattro anni dopo a Lourdes (La Vergine si presentò a Bernadette con queste testuali parole: “Io sono l’Immacolata Concezione”), furono una risposta cattolica a questo errore. Se la Vergine Maria è stata concepita immacolatamente vuol dire che tutti gli altri uomini nascono macchiati dal peccato. E la salvezza non ci viene dalla scienza o dal progresso, ma solo dalla grazia divina e dalla nostra adesione – di fede e di opere – alla Redenzione di Cristo.
Occorre aggiungere anche che il fatto che si sia atteso tanto tempo prima di promulgare il dogma, è fattore ulteriormente accertativo della validità della decisione di Pio IX, in quanto fu frutto di secolari discussioni teologiche, che, pur basate su iniziali posizioni distanti, portarono però alla scoperta della verità sulla materia del dogma. Inoltre, un altro fattore decisivo era costituito dal fatto che ormai già da secoli, ovunque nella cattolicità, si venerava Maria anche sotto il titolo di Immacolata, e centinaia erano le cappelle già consacrate al suo immenso privilegio. Proprio in una di queste, come detto, il beato Pio IX ebbe la suggestione di giungere alla grande epocale decisione del dogma.
(Corrado Gnerre e Massimo Viglione)

1001 - QUARTA DOMENICA DI AVVENTO

Stupisce trovarsi davanti a questo brano di Vangelo (Marco 11,1-11) quando, ormai, non manca molto al Natale: sembrerebbe, infatti, più un Vangelo pasquale che natalizio. In realtà il modo cristiano per vivere il Natale di Gesù è quello di leggerlo in chiave pasquale.
Pensando a Gesù che è nato per essere il Redentore, il brano evangelico di oggi ci suggerisce tre atteggiamenti importanti per il nostro cammino di Avvento.
Il primo: sciogliere l’asino. L’asinello è legato: davanti a lui sta solo il muro della stalla; su di lui non era mai salito nessuno e non era ancora stato usato per nessun lavoro. Questo asinello ci dice che dobbiamo andare, liberi e puri, verso Gesù. Come questo asino è di Gesù e di nessun altro, così proprio lui è nato a Betlemme da una Madre vergine e verrà deposto in una tomba nuova, mai usata. La purezza di un cuore che fa spazio a Gesù è la condizione per vivere il Natale. Anzi, non basta: bisogna avere anche il cuore libero. Noi siamo quell’asino perché vogliamo essere amici di Gesù e perché siamo “sciolti” per poter andare dovunque egli ci conduce. Il prossimo Natale è solo l’inizio della nostra storia con Gesù; mettiamo il nostro destino nelle sue mani.
Il secondo: stendere il mantello. Il mantello rappresenta la nostra umanità. Ogni epoca ha il suo modo per vivere il Natale secondo le priorità che il momento richiede. Oggi quali sono le priorità per la fede? Il mantello gettato ai piedi di Gesù ci dice che il Verbo di Dio si è fatto carne, diventando Gesù, e Gesù ha come mantello la nostra, ormai anche sua, umanità. Ecco un punto decisivo per il nostro cristianesimo: il mondo non ha più una chiara, bella e condivisa risposta alla domanda essenziale su chi è l’uomo. Gesù risponde con il suo mantello, cioè con la sua umanità. La risposta è chiara, bella e piena di speranza: l’uomo è talmente amato da Dio che Dio stesso ha voluto essere uomo anche lui. La superbia di essere dei semi-dei per i quali tutto è possibile ci butta fuori strada. L’umile mantello di Gesù ci eleva fino a Dio. Il Natale è la riscoperta della grandezza dell’uomo; il cristiano, “esperto in umanità”, annuncia che Gesù cura tutte le bruttezze che deturpano il corpo degli uomini.
Il terzo: guardare attorno. Gesù entra nel tempio e «guarda ogni cosa». I discepoli devono essere stati molto colpiti dallo sguardo di Gesù perché spesso nei Vangeli si parla del suo sguardo. Anche noi guardiamo a Gesù: siamo in attesa del suo Avvento. Ma come è possibile guardare a Gesù? Ci possono essere due modi: il primo è sapere che Gesù “ci guarda” prima che noi lo vediamo, il secondo è “guardarci attorno”, cioè vedere il mondo attorno a noi. Sapere che Gesù “mi guarda” è il cuore della preghiera cristiana; io posso pregare solo perché Gesù sta già pregando, nello Spirito, con me. Trovo Gesù a Betlemme perché lui ha già trovato me a casa mia. E poi, guardato da Gesù, imparo da lui ad avere uno sguardo come il suo, pieno di misericordia verso le mie sorelle e i miei fratelli.
don Luigi Galli

sabato 29 novembre 2014

1000 - VIVERE L'AVVENTO

Vivere l' Avvento significa saper aspettare. Attendere è un'arte che il nostro tempo ha dimenticato. Dobbiamo attendere le cose più grandi e profonde del mondo, e questo non si può fare nel tumulto, ma secondo le leggi divine del germogliare, crescere e divenire.
(Dietrich Bonhoeffer)

999 - 3 DOMENICA DI AVVENTO

Da un’angolatura diversa rispetto a domenica scorsa, ritorna questa domenica la testimonianza di Giovanni Battista. Gesù, infatti, ci dice che la sua testimonianza è superiore a quella di Giovanni. Dobbiamo farci due domande: perché la testimonianza di Gesù è superiore a quella di Giovanni? Di cosa è testimone (martire) Gesù? La testimonianza di Gesù è superiore perché lui ha dalla sua la testimonianza del Padre. In questa pagina del Vangelo si nota un crescendo: Giovanni è testimone di Gesù, Gesù è testimone del Padre e il Padre garantisce la testimonianza di Gesù. Come si vede la parola-chiave è “testimonianza”.
Cosa significa? Uno è testimone di qualcosa se dice la verità e la dice in modo che ci si possa fidare di lui. Il Vangelo di oggi ci parla della testimonianza di Gesù: è lui l’inviato del Padre e la sua testimonianza è vera. Gesù è affidabile perché è un “martire di Dio”: annunciando la Parola, egli compie l’opera che il Padre gli ha dato da fare; il suo non è un martirio astratto, ma le sue parole diventano opere e le sue opere sono parole che dicono la verità. Ora siamo in grado di rispondere alla seconda domanda: Giovanni introduce Gesù e Gesù rivela il cuore del Padre; questo avviene nell’incarnazione. La cosa è straordinaria: il Natale, che è la nascita di Dio che diventa uomo tra gli uomini, fa sì che la rivelazione di chi è Dio non sia legata a idee o a parole astratte, ma alla persona viva che è Gesù.
La persona di Gesù è la Verità e il Padre certifica (testimonia) la Verità di quanto Gesù dice e fa. Questa rivelazione divina svela il cuore di Dio. Gesù può dire: «Chi vede me, vede Dio; chi ascolta me, ascolta Dio; chi tocca me, tocca Dio… chi ama me, ama Dio».Questo è il “miracolo” dell’incarnazione. Il cristiano non vive nell’astrattezza, ma la sua fede si consuma nella carne, cioè nella realtà terrena di ogni giorno, dove sta il cuore di Dio. Guardando a Gesù, “garantito” dalla testimonianza del Padre, comprendiamo nella fede chi è il nostro Dio. Bisogna superare un equivoco diffuso, secondo cui per essere cristiani basta credere in Dio: falso! Il cristiano ha una fede che gli fa conoscere Dio; l’amico di Gesù sa chi è il Padre: cosa fa, cosa vuole, come mi guarda, cosa pensa di me e come sta preparando il mio futuro.
Un generico “credere all’esistenza di Dio” non è neppure il primo passo verso il cristianesimo; io non credo in Dio: credo che Dio è il Padre di Gesù. E cosa fa il Padre di Gesù? Vive la relazione con il Figlio e con lo Spirito Santo, cioè è Amore in se stesso e verso gli uomini è infinita misericordia. E noi, cosa dobbiamo fare? La sollecitazione è chiara: fai anche tu il martire, cioè diventa affidabile come Gesù.
Scrivi con le tue parole e le tue opere il “quinto Vangelo”: questo è il tuo martirio. In questa domenica che ci avvicina al Natale il Signore ci dice: «Preparati: non sarà una passeggiata; ma non temere perché la strada che ti ho rivelato è quella giusta».
Commento di don Luigi Galli

998 - AVVENTO: ATTESA E PAZIENZA

" La venuta del Signore impone al cristiano attesa di ciò che sta per venire e pazienza verso ciò che non sa quando verrà. E la pazienza è l'arte di vivere l'incompiuto, di vivere la parzialità e la frammentazione del presente senza disperare. Essa non è soltanto la capacità di sostenere il tempo, di rimanere nel tempo, di perseverare, ma anche di sostenere gli altri, di sopportarli, cioè di assumerli con i loro limiti e portarli. Ma è l'attesa del Signore, l'ardente desiderio della sua venuta, che può creare uomini e donne capaci di pazienza nei confronti del tempo e degli altri."
(Enzo Bianchi, Le parole della spiritualità, BUR, 2014, pag. 54)

997 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - DICEMBRE 2014

INTENZIONE GENERALE
"Perché la nascita del Redentore porti pace, e speranza, a tutti gli uomini".

INTENZIONE MISSIONARIA
"Perché i genitori siano autentici evangelizzatori, trasmettendo ai figli il prezioso dono della fede".

INTENZIONE DEI VESCOVI
"Perché, nei credenti, cresca il desiderio di annunciare con gioia il Cristo, luce delle genti".

sabato 22 novembre 2014

996 - 2 DOMENICA DI AVVENTO 2014

Nelle prossime due domeniche saremo accompagnati dalla figura di Giovanni Battista. Nel Vangelo di oggi la parola chiave è «conversione». Il tempo del Vangelo inizia con la predicazione di Giovanni Battista. Per incontrare Gesù è necessario un percorso di “avvicinamento”: a questo serve il battesimo di penitenza praticato da Giovanni. L’appello è chiaro: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Questa formula è molto densa e vuole significare l’attesa e l’attenzione necessarie per poter riconoscere Gesù quando si presenterà nel suo Natale.
Anche il nostro Avvento, allora, ha bisogno di un “battesimo di penitenza”, cioè di una verifica per capire come e cosa fare per essere pronti quando il Signore verrà. Il Vangelo di oggi ci prende per mano e ci guida in quattro passaggi. Il primo: quale conversione? L’appello di Giovanni è rivolto alla nostra libertà, al luogo dove prendiamo le decisioni; letteralmente la parola greca che noi traduciamo con “conversione” andrebbe tradotta con “cercate di cambiare modo di pensare”.
Dunque devo chiedermi qual è il mio orientamento di fondo e da che parte sta andando la mia vita; ci si riferisce alla vita di fede, cioè alla decisione bella, libera, totale e semplice a favore di Gesù e dello stare con lui. Chi sta con Gesù sul serio e non per abitudine, inevitabilmente cambia modo di pensare; per questo le persone troppo legate alle loro idee, al loro passato, a forme determinate di religiosità fanno fatica a incontrare il Signore; in questo caso non c’è la fede dei poveri, ma c’è una povera fede. Il secondo: riconoscere il limite. Aspetto il mio Salvatore solo se ho coscienza che da solo non ce la farò mai a salvarmi. Io sono povero e incapace di fare un passo verso la salvezza; posso fare molto, ma non posso allungare neppure di un istante la mia vita e non ho idea (nessuno ha idea) di come fare per “uscire vivo dalla vita”. Questo è il Vangelo: Gesù solo è il “Salvatore della vita”.Non basta dire: «Sono battezzato» (nel Vangelo di oggi si dice «abbiamo Abramo per Padre»).
La scoperta del limite non mi umilia ma mi esalta; la mia libertà si carica di responsabilità per costruire il mondo secondo Dio e Dio, in Gesù, si prende cura di me e mette in salvo per l’eternità tutto l’amore che ho avuto nel cuore. Terzo: confessare la misericordia per scoprire il peccato. Il linguaggio del Battista è duro ma spinge a riconoscere l’amore di Dio e a prenderlo sul serio. Così, incamminandoci verso il Natale, dobbiamo confessare la misericordia di Dio perché il suo perdono gratuito e il nostro pentimento ci facciano scoprire – da cristiani liberi e non da sudditi spaventati – il nostro peccato.
Il perdono di Dio precede la scoperta del nostro peccato perché Dio è amore e solo il suo amore mi fa dire «ma che stupido sono stato! Come ho fatto a non vedere un amore così grande e a perdermi inseguendo cose così piccole e brutte?».Quarto: avere il fuoco nelle ossa. Come faccio ad ascoltare un appello così esigente? Nella vita sono così distratto e spesso angosciato da tanti eventi che la misericordia di Dio, la mia conversione verso il Natale di Gesù, la necessità di una “mente elastica”… mi sembrano cose astratte. Eppure questo è il Vangelo: ogni momento dato a lui non tradisce ma – meraviglia! – rende il centuplo. Questo è il fuoco del Battesimo!
Don Luigi Galli

995 - LA CORONA DELL'AVVENTO

“La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolto” – “A quanti però l’hanno accolta ha dato il potere di diventare figli di Dio”: queste due espressioni del Vangelo di Giovanni, che si richiamano vicendevolmente, possono introdurci al tempo di Avvento, che è iniziato domenica scorsa.
In molte chiese è stata accesa la prima delle candele che indicano altrettante date del cammino verso il Natale.
Alcuni zelanti liturgisti non dimostrano eccessiva letizia per la “corona d’Avvento”: dicono che non è un segno liturgico, ma solo una tradizione che proviene dal mondo della riforma protestante. Hanno in parte ragione: quel simbolo non è un segno che esprime il Mistero, ma la liturgia è fedele anche all’umanità, agli uomini e alle donne del nostro tempo che comprendono i messaggi più attraverso i “segni” che non attraverso le “parole”. Gesù, infatti, parlava con parabole e annunciava la buona novella con “segni” umani (pane, vino, acqua, fango, imposizione delle mani…) senza ostentare posture ieratiche e sacrali, senza indossare paramenti sontuosi e barocchi (solo durante l’ultima cena si cinse il grembo con un grembiule!).
La “corona d’Avvento”, anche se originaria dalla riforma, è un segno, oltretutto, ecumenico che riunisce nel mistero del Natale cattolici, protestanti, anglicani. Penso che questo segno, così umano e semplice possa diffondere un anelito di mistero: l’inverno oscuro, i ceri ardenti, il cui numero cresce di domenica in domenica, simboleggiano l’oscurità che si allontana, finché, nel nostro rito ambrosiano, tutte e sei saranno accese: la pienezza del tempo apparirà allora nella luce.
Mentre la fiamma si fa progressivamente più splendente, nell’ombra che avvolge le giornate più corte dell’anno, la cera si scioglie. Nell’attesa, anche gli animi si consumano. Nella luce che aumenta, cresce la speranza e quando, nella notte santa, tutti i ceri saranno accesi, risorgerà la luce splendente del Natale. Si attenderà quella notte vegliando. Si abbandonerà la dolcezza della casa e ci si avvierà verso la chiesa in mezzo all’oscurità e alla nebbia che avvolgono le strade. Ricorderemo che Dio si è fatto uomo nella notte perché noi potessimo credere che Egli può illuminare qualsiasi tempo. Quella notte è un nuovo principio. Dai fondali dell’anima saliranno e si ingigantiranno le ombre, ma nella luce tutto riacquisterà la sua dimensione.
Cadranno le maschere e ogni uomo, davanti al Bambino nato e al pane spezzato condiviso da tutti nel vincolo della carità, apparirà quello che è: povero di relazioni autentiche e di veri sentimenti, nudo d’amore, assetato di concordia.
Le tenebre che sembravano avere il sopravvento nel mondo – l’odio, la guerra, la fragilità, la fame, l’ingiustizia, la persecuzione – saranno squarciate dalla luce.
Durante il nuovo anno, che presto giungerà, si accenderanno altre candeline: quelle sulla torta dei compleanni, quella della “Candelora”, quella, tremula e solenne, della veglia pasquale, quelle del Battesimo. Esse segneranno il tempo che trascorre e la nostra incapacità di viverlo in pienezza. Sforzandoci di accettarlo nella sua realtà, il “passato” da rievocare senza rimpianti e nostalgia, trasmettendolo ai figli e ai nipoti, diventerà “presente” da vivere per preparare il “futuro” che sta oltre la frontiera della morte, “nell’attesa della Sua venuta”.
Edoardo Zin - 21/11/2014, in
http://www.rmfonline.it/

994 - LA VOCAZIONE ALLA SANTITA'

Cari fratelli e sorelle,

un grande dono del Concilio Vaticano II è stato quello di aver recuperato una visione di Chiesa fondata sulla comunione, e di aver ricompreso anche il principio dell’autorità e della gerarchia in tale prospettiva. Questo ci ha aiutato a capire meglio che tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione, che è quella alla santità (cfr Cost. Lumen gentium, 39-42). Ora ci domandiamo: in che cosa consiste questa vocazione universale ad essere santi? E come possiamo realizzarla?

Innanzitutto dobbiamo avere ben presente che la santità non è qualcosa che ci procuriamo noi, che otteniamo noi con le nostre qualità e le nostre capacità. La santità è un dono, è il dono che ci fa il Signore Gesù, quando ci prende con sé e ci riveste di se stesso, ci rende come Lui. Nella Lettera agli Efesini, l’apostolo Paolo afferma che «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (Ef 5,25-26). Ecco, davvero la santità è il volto più bello della Chiesa: è riscoprirsi in comunione con Dio, nella pienezza della sua vita e del suo amore. Si capisce, allora, che la santità non è una prerogativa soltanto di alcuni: la santità è un dono che viene offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano.

Tutto questo ci fa comprendere che, per essere santi, non bisogna per forza essere vescovi, preti o religiosi... Tutti siamo chiamati a diventare santi! Tante volte, poi, siamo tentati di pensare che la santità sia riservata soltanto a coloro che hanno la possibilità di staccarsi dalle faccende ordinarie, per dedicarsi esclusivamente alla preghiera. Ma non è così! Qualcuno pensa che la santità è chiudere gli occhi e fare una faccia da immaginetta, no non è quella la santità; la santità è qualcosa di più grande, più profondo che ci dà Dio. Anzi, è proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno che siamo chiamati a diventare santi. E ciascuno nelle condizioni e nello stato di vita in cui si trova. Tu sei consacrato o consacrata? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione e il tuo ministero. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un battezzato non sposato? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro e offrendo del tempo al servizio dei fratelli. Ma padre, io lavoro in una fabbrica, io lavoro da ragioniere sempre con i numeri, lì non si può essere santi; sì, si può! Lì dove lavori tu puoi diventare santo! Dio ti dà la grazia di diventare santo. Dio comunica con te sempre, in ogni posto si può diventare santo, cioè aprirsi a questa grazia che ci lavora dentro e ci porta alla santità. Sei genitore o nonno? Sii santo insegnando con passione ai figli o ai nipoti a conoscere e a seguire Gesù. E ci vuole tanta pazienza per questo, per essere un buon genitore un buon nonno, una buona madre, una buona nonna, ci vuole tanta pazienza e in questa pazienza viene la santità, esercitando la pazienza. Sei catechista, educatore o volontario? Sii santo diventando segno visibile dell’amore di Dio e della sua presenza accanto a noi. Ecco: ogni stato di vita porta alla santità, sempre! A casa tua, sulla strada, nel lavoro, in chiesa, in qualsiasi momento e stato di vita, è stata aperta la strada verso la santità; non scoraggiatevi di andare su questa strada! È Dio che ti dà la grazia! L’unica cosa che chiede il Signore è che noi siamo in comunione con Lui e al servizio dei fratelli.

A questo punto, ciascuno di noi può fare un po’ di esame di coscienza: adesso possiamo farlo, ognuno risponde dentro di sé, in silenzio. Come abbiamo risposto finora alla chiamata del Signore alla santità? Ho voglia di diventare un po’ migliore? Di essere più cristiano, più cristiana? Questa è la strada della santità. Quando il Signore ci invita a diventare santi, non ci chiama a qualcosa di pesante e di triste, tutt’altro! È l’invito a condividere la sua gioia, a vivere e a offrire con gioia ogni momento della nostra vita, facendolo diventare allo stesso tempo un dono d’amore per le persone che ci stanno accanto. Se comprendiamo questo, tutto cambia e acquista un significato nuovo, un significato bello, a cominciare dalle piccole cose di ogni giorno. Un esempio: una signora va al mercato a fare la spesa, trova una vicina e cominciano a parlare e poi vengono le chiacchiere, e questa signora dice: no, io non sparlerò di nessuno; ecco, quello è un passo verso la santità! Questo ti aiuta a diventare più santo. Poi, a casa tua il figlio ti chiede di parlare un po’ delle sue cose fantasiose e tu dici sono tanto stanco, ho lavorato tanto; ma tu accomodati e ascolta tuo figlio che ha bisogno e tu lo ascolti con pazienza: questo è un passo verso la santità! Poi finisce la giornata, siamo

stanchi tutti, ma facciamo la preghiera: quello è un altro passo verso la santità! Poi arriva la domenica e andiamo alla Messa a fare la comunione, alcune volte una bella confessione che ci pulisca un po’: questo è un passo verso la santità! Poi la Madonna, tanto buona, tanto bella, prendo il rosario e la prego: questo è un passo verso la santità! Tanti piccoli passi verso la santità! Poi vado per strada e vedo un povero, un bisognoso, mi fermo ci parlo, gli do qualcosa: questo è un passo alla santità! Piccole cose sono piccoli passi verso la santità! Ogni passo verso la santità ci renderà delle persone migliori, libere dall’egoismo e dalla chiusura in se stesse, e aperte ai fratelli e alle loro necessità.

Cari amici, nella Prima Lettera di san Pietro ci viene rivolta questa esortazione: «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo» (4,10-11). Ecco l’invito alla santità! Accogliamolo con gioia, e sosteniamoci gli uni gli altri, perché il cammino verso la santità non si percorre da soli, ognuno per conto proprio non può farlo, ma si percorre insieme, in quell’unico corpo che è la Chiesa, amata e resa santa dal Signore Gesù Cristo. Andiamo avanti con coraggio in questa strada della santità!
Grazie.
Papa Francesco, Udienza generale del 19 novembre 2014

sabato 15 novembre 2014

993 - PRIMA DOMENICA DI AVVENTO AMBROSIANO

Inizia con questa domenica l’Avvento ambrosiano. Avvento significa «arrivo di qualcuno» e quindi anche «attesa» di chi lo sta aspettando. La vita quotidiana del cristiano è fatta – come quella di ogni essere umano – di tempo e il tempo porta con sé la memoria del passato, la fede del presente, la fiduciosa speranza del futuro. Ogni secondo del tempo che ci è dato contiene queste tre dimensioni.
Il Vangelo della prima domenica di Avvento (Marco 13,1-27) ce lo dice con chiarezza: «Badate a voi stessi», cioè guardate dentro il vostro cuore. Nel cuore trovo la memoria della vita di Gesù, la gioia della presenza dello Spirito Santo che me lo fa amare e l’attesa dell’incontro faccia a faccia quando il Signore tornerà nella gloria. Riprendiamo queste tre dimensioni del tempo a partire dal Vangelo di oggi. La memoria del passato: l’Avvento ci orienta al Natale di Gesù. Gesù è nato tanto tempo fa e io vivo, nell’oggi dell’Eucaristia, la memoria e, dunque, l’attesa di quella nascita.
La gioia del presente: il Vangelo mi annuncia che, nel tempo che vivo, è presente lo Spirito Santo che tiene viva la fede in Gesù. Il nostro presente si manifesta spesso abitato dalla paura. Il linguaggio apocalittico del Vangelo è usato per descrivere la catastrofe della distruzione del tempio di Gerusalemme; lo stesso linguaggio potremmo usarlo noi, oggi, per descrivere la paura suscitata da tanti eventi. C’è paura nel mondo e nella Chiesa. Ma c’è anche una luce che risplende agli occhi di chi la sa vedere: quella dei martiri. Da quando Gesù è risorto la Chiesa mai ha avuto tanti martiri, che ci dicono che la fede in Gesù è ancora possibile perché, anche oggi, si può amarlo con tutto il cuore fino all’ultima goccia.
La fiduciosa speranza del futuro: il Vangelo e la venuta di Gesù ci dicono che il futuro è nelle mani di Dio e, perciò, il futuro sarà un tempo di misericordia e di pace. Con l’Avvento di Cristo, il mondo è posto nelle mani del Padre. La fatica della nostra fede consiste nell’attesa di ciò che è anticipato nella speranza.
Don Luigi Galli, assistente pastorale pressol' Università Cattolica

992 - LA VENUTA DEL SIGNORE

Con il tempo di Avvento si apre il cammino di un nuovo anno liturgico e stiamo richiamati al dovere della vigilanza. La liturgia, attraverso un linguaggio simbolico che chiede di essere interpretato correttamente, è annuncio della venuta del Signore.
I segni che vengono evocati non devono suscitare timore o smarrimento: non dobbiamo cercare di fuggire dalle difficoltà e dalle situazioni di profonda precarietà dell'esistenza quotidiana, ma orientare la nostra vita al Signore.
Il discepolo non vive nell'ansiosa attesa della "fine", ma nella certezza del compimento della storia. Per questo risuonano più che mai attuali le parole di Gesù: "Badate che nessuno vi inganni! Non allarmatevi: chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato".
 

venerdì 7 novembre 2014

991 - CRISTO RE DELL'UNIVERSO

Guardando a questo ultimo tempo della storia, che è la manifestazione definitiva del regno di Dio, comprendiamo come esso si manifesti solo nel mistero, in piccoli gesti simbolici ma significativi. 

Oggi per la Chiesa ambrosiana è l'ultima domenica dell'anno liturgico e si celebra la festa di nostro Signore Gesù Cristo re dell'universo. Non è facile cogliere come la regalità di Cristo appaia nella storia dell'umanità, piena di crudeltà e di violenze.
Occorre partire dal principio che la festa di Cristo Re dell'universo si svolge secondo due tempi: il primo è quello attuale, nascosto nel mistero. Il secondo è quello definitivo. Esso è il punto di arrivo di tutta la storia dell'umanità (e non solo della storia della Chiesa) e ne costituisce il punto di riferimento. 
Noi siamo in attesa di questo traguardo finale e puntiamo tutto su di esso. Non sarà semplicemente una glorificazione dei singoli e delle loro virtù, ma sarà la pienezza di vita nell'insieme dell'umanità, una sola cosa con Dio Padre, piena di meravigliosa trasparenza reciproca. 
in Carlo Maria Martini, Colti da stupore, pag. 29

venerdì 31 ottobre 2014

990 - COMMEMORAZIONE DEI SANTI E DEFUNTI

Il giorno successivo alla festa dei Santi e delle Sante è il giorno che la Chiesa cattolica dedica alla commemorazione di tutti i defunti. Le due memorie sono logiche e connesse. Il mistero della santità che ieri abbiamo assaporato oggi viene esteso a tutti i defunti che noi vogliamo ancora affidare alla paternità di Dio e nello stesso tempo vogliamo pregare perché siano essi ad intercedere per noi che restiamo ancora pellegrini in cammino verso la Santa Gerusalemme. La commemorazione ha origini antiche e si perdono nella notte dei tempi. Il culto dei morti è la prima forma di religione primitiva che in epoca romana assume la forma del culto dei Lari1, dopo esse-re passati attraverso l’Ade dei Greci e il mondo dell’aldilà della cultura dell’Egitto dei Faraoni.
La commemorazione dei defunti sopravvive alle epoche e ai culti, all’ateismo e all’indifferentismo: dall’antica Roma, alle civiltà celtiche, dal Messico alla Cina, dalla notte dei tempi ai nostri giorni in questi giorni i cimiteri diventano luoghi di mesto pellegrinaggio, di visite alle tombe, ovunque con un solo obiettivo: consolare in qualche modo le anime dei defunti perché proteggano al vita dei viventi sulla terra. Con il passare del tempo questa ricorrenza come sempre diventò un momento pagano, senza alcun riferimento religioso, espressione di esorcismo delle paure che il lungo inverno con il suo messaggio di morte porta con sé. I defunti non sono più a-mici e protettore, ma pericolo e spiriti maligni. La tradizione celtica esprime questa realtà per cui la ricorrenza oggi restaurata di
Halloween (che in origine era Hallowmass: Santificazione/Messa in onore dei Santi), oggi è diventata un espediente economico che sfrutta le paure ancestrali a scapito di una riflessione seria e spirituale sul-la morte e sulla vita. In memoria dei morti e per spaventarli ci si mascherava da santi, da angeli e diavoli con ma-schere ricavate da zucche essiccate o svuotate per esorcizzare la paura accendendo grandi falò che illuminavano la notte e sconfiggevano il buio.
Di fronte a questa degenerazione la Chiesa reagì con l’istituzione della solennità di Tutti Santi istituita da papa Bonifacio IV il 13 maggio del 610 per celebrare la memoria dei cristiani ammazzati per la fede. Nel 835 Papa Gregorio III (731-741) spostò la ricorrenza dal 13 maggio al 1 novembre, pensando in questo modo di dare un nuovo significato alla ricorrenza ormai divenuta pagana. Nel 998 Odilone abate di Cluny nel 1048 aggiunge-va al calendario cristiano il 2 novembre come data per commemorare i defunti. La possibilità concessa ad ogni prete di celebrare in questo giorno tre messe, nel 1748 era riservata alla Spagna fino al 1915 quando Benedetto XV la estese a tutta la Chiesa universale.
Noi celebriamo questa Eucaristia per tutti i defunti dei presenti e ognuno potrà al momento giusto nomi-narli uno per uno: dire il Nome significa evocare la Persona, il suo valore e la sua Presenza. Celebriamo questa Eucaristia anche per tutti i defunti di tutti gli amici che conosciamo attraverso internet e tutti insieme formiamo una sola comunità, una sola chiesa. Di ieri, di oggi e di domani. Possa lo Spirito Santo darci il «gusto» della mor-te perché possiamo assaporare e vivere la vita nel segno della Risurrezione.
don Paolo Farinella

mercoledì 29 ottobre 2014

989 - CHIEDIAMO DI NON ESSERE MOTIVO DI SCANDALO

Quando ci riferiamo alla Chiesa, però, immediatamente il pensiero va alle nostre comunità, alle nostre parrocchie, alle nostre diocesi, alle strutture nelle quale siamo soliti riunirci e, ovviamente, anche alla componente e alle figure più istituzionali che la reggono, che la governano. È questa la realtà visibile della Chiesa. Dobbiamo chiederci, allora: si tratta di due cose diverse o dell’unica Chiesa? E, se è sempre l’unica Chiesa, come possiamo intendere il rapporto tra la sua realtà visibile e quella spirituale?
Innanzitutto, quando parliamo della realtà visibile della Chiesa (abbiamo detto che sono due: la realtà visibile della Chiesa, quella che si vede e la realtà spirituale), non dobbiamo pensare solamente al Papa, ai Vescovi, ai preti alle suore, alle persone consacrate. La realtà visibile della Chiesa è costituita dai tanti fratelli e sorelle battezzati che nel mondo credono, sperano e amano.
Tante volte sentiamo dire: ‘la Chiesa non fa questo, la Chiesa non fa quello”, ma dimmi, chi è la Chiesa? I preti, i vescovi, il papa, la Chiesa siamo tutti! Tutti noi!
Tutti i battezzati siamo la Chiesa, la Chiesa di Gesù. Da tutti coloro che seguono il Signore Gesù e che, nel suo nome, si fanno vicini agli ultimi e ai sofferenti, cercando di offrire un po’ di sollievo, di conforto e di pace. Tutti quelli che fanno ciò che il Signore ci ha comandato fanno la Chiesa. Comprendiamo, allora, che anche la realtà visibile della Chiesa non è misurabile, non è conoscibile in tutta la sua pienezza: come si fa a conoscere tutto il bene che viene fatto? Tante opere di amore! Tante fedeltà nelle famiglie! Tanto lavoro per educare i figli e per trasmettere la fede. Tanta sofferenza nei malati che offrono le loro sofferenze al Signore. Questo non si può misurare. È tanto grande! Come si fa a conoscere tutte le meraviglie che, attraverso di noi, Cristo riesce ad operare nel cuore e nella vita di ogni persona? Vedete: anche la realtà visibile della Chiesa va oltre il nostro controllo, va oltre le nostre forze, ed è una realtà misteriosa, perché viene da Dio.
Per comprendere il rapporto, nella Chiesa, tra la sua realtà visibile e quella spirituale, non c’è altra via che guardare a Cristo, del quale la Chiesa costituisce il corpo e dal quale essa viene generata, in un atto di infinito amore. Anche in Cristo infatti, in forza del mistero dell’Incarnazione, riconosciamo una natura umana e una natura divina, unite nella stessa persona in modo mirabile e indissolubile. Ciò vale in modo analogo anche per la Chiesa. E come in Cristo la natura umana asseconda pienamente quella divina e si pone al suo servizio, in funzione del compimento della salvezza, così avviene, nella Chiesa, per la sua realtà visibile, nei confronti di quella spirituale. Anche la Chiesa, quindi, è un mistero, nel quale ciò che non si vede è più importante di ciò che si vede, e può essere riconosciuto solo con gli occhi della fede (cfr Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 8).
Nel caso della Chiesa, però, dobbiamo chiederci: come la realtà visibile può porsi a servizio di quella spirituale? Ancora una volta, possiamo comprenderlo guardando a Cristo. Cristo è il modello della Chiesa che è il suo corpo, modello di tutti i cristiani, di tutti noi. Quando si guarda Cristo non si sbaglia. Nel Vangelo di Luca si racconta come Gesù, tornato a Nazaret, come abbiamo sentito, dove era cresciuto, entrò nella sinagoga e lesse, riferendolo a se stesso, il passo del profeta Isaia dove sta scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (4,18-19). Ecco: come Cristo si è servito della sua umanità, perché era anche uomo, per annunciare e realizzare il disegno divino di redenzione e di salvezza, perché era Dio, così deve essere anche per la Chiesa. Attraverso la sua realtà visibile, tutto ciò che si vede: i sacramenti, la testimonianza di tutti noi cristiani, la Chiesa è chiamata ogni giorno a farsi vicina ad ogni uomo, a cominciare da chi è povero, da chi soffre e da chi è emarginato, in modo da continuare a far sentire su tutti lo sguardo compassionevole e misericordioso di Gesù.
Cari fratelli e sorelle, spesso come Chiesa facciamo esperienza della nostra fragilità e dei nostri limiti, tutti ne abbiamo. Tutti siamo peccatori. Tutti, nessuno tra tutti noi può dire ‘io non sono peccatore’. Se qualcuno di noi se la sente di non essere peccatore alzi la mano, vediamo quanti. Non si può. Tutti lo siamo. Questi limiti, questi nostri peccati, è giusto che procurino in noi un profondo dispiacere, soprattutto quando diamo cattivo esempio e ci accorgiamo di diventare motivo di scandalo. Quante volte abbiamo sentito nel quartiere ‘quella persona di là sta sempre in chiesa ma sparla di tutti, spella tutti’; che cattivo esempio sparlare dell’altro! Questo non è cristiano, è un cattivo esempio. Così diamo un cattivo esempio: ‘se questo è un cristiano, io mi faccio ateo’. La nostra testimonianza è quella che fa capire cosa significa essere cristiano! Chiediamo di non essere motivo di scandalo. Chiediamo allora il dono della fede, perché possiamo comprendere come, nonostante la nostra pochezza e la nostra povertà, il Signore ci ha reso davvero strumento di grazia e segno visibile del suo amore per tutta l’umanità. Possiamo diventare motivo di scandalo, ma possiamo anche diventare motivo di testimonianza: essere testimone che con la nostra vita diciamo ‘così Gesù vuole che noi facciamo’.
Grazie.
Papa Francesco, Udienza generale 29 ottobre 2014