Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 21 settembre 2012

726 - IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Il brano (GV. 6,41-51) fa parte del discorso sul pane della vita (Giovanni 6,25-71) preparato dal segno prodigioso del pasto dato a cinquemila uomini (6,5-15). Qui ai vv. 41-42 viene riportata l’obiezione dei Giudei riguardante la precedente autoproclamazione di Gesù quale pane della vita (v. 35) e circa la sua origine celeste (v. 38). Nella sua risposta (v. 43) il Signore invita anzitutto i suoi interlocutori a non mormorare, con allusione a ciò che fecero i loro padri nel deserto (cfr. Esodo 16,2 ss.) e afferma che la fede in lui, indicata con l’espressione «venire a me» (v. 44), è frutto dell’«attrazione» che Dio accende nei cuori. Tale attrazione è attivata nei cuori con l’ascolto e la conseguente sequela della Parola di Dio (v.45; cfr. Isaia 54,13). La prima parte del discorso si conclude al v. 47 con l’affermazione riguardante il godimento già da questa vita della vita eterna da parte di quanti, attirati dal Padre, credono nel Signore Gesù.
Nella seconda parte torna l’autoaffermazione di Gesù: «Io sono il pane della vita» (v. 48. e v. 51) seguita dalla memoria di ciò che avvenne nel deserto con il dono della manna (cfr. Esodo, 16). Al contrario di essa, l’effetto prodotto in colui che mangia il pane dato da Gesù è la possibilità di sfuggire alla morte, da intendere anzitutto come rovina eterna (v. 50); affermazione poi ribadita al v. 51 con l’annuncio che egli morirà per dare la vita al mondo. Questa vita, che è eterna, perché partecipazione alla vita divina, è ricevuta con il «mangiare il pane» che Gesù afferma essere la sua «carne», ovvero la sua persona nella pienezza della natura divina e della natura umana che egli ha assunto una volta disceso dal cielo, vale a dire nel mistero della sua incarnazione.
In questa domenica l’ascolto delle divine Scritture illumina il nostro essere radunati per compiere ciò che ci è stato trasmesso dagli Apostoli: «spezzare il pane» e «bere al calice» in memoria di ciò che Gesù fece nella cena pasquale di addio consumata la vigilia della sua morte sulla Croce (cfr. Epistola: 1 Corinzi 11,23-25).
Croce che noi con fede piena annunciamo mentre mangiamo il pane e beviamo al calice del Sangue del Signore, nuova e definitiva alleanza che unisce in un vincolo indistruttibile e insuperabile Dio e l’uomo!
Nell’ascolto che diviene accoglienza di fede e di amore delle celesti Parole, il Padre pone nei nostri cuori un’irresistibile attrazione nei confronti del suo unico Figlio, di Gesù, che egli ha mandato a noi come «pane disceso dal cielo» (Vangelo: Giovanni 6,41).
Egli, infatti, ci nutre anzitutto con la parola, che ci rivela il Padre invisibile e inaccessibile. Nessuno, infatti, può vedere il Padre eccetto «colui che viene dal Padre» (v. 46). Egli, dunque, ci parla della relazione filiale che viene proposta a quanti credono e accolgono la sua bella e, buona notizia. È proprio quella relazione che, a motivo della fede ci trasforma in figli, la vita eterna promessa dal Signore e che già ora è possibile sperimentare in tutta verità (v. 47).
Oltre che con la Parola Gesù ci nutre di sé stesso. Il pane che lui prese tra le sue mani nell’ultima cena è, in verità, il suo corpo, ossia la sua persona nella sua totalità, nell’atto di consegnarsi alla morte a favore nostro e al nostro posto (1Corinzi 11,23-24). Il calice che Gesù tenne nelle sue mani «dopo aver cenato» è la coppa che contiene il suo sangue nel quale viene sigillata l’alleanza, quella ultima tra Dio e l’uomo (v. 25). Perciò nulla noi possediamo di più sacro che il pane e il vino della mensa eucaristica ed è ciò che più di ogni altra cosa ci preme trasmettere (1Corinzi 11,23) agli uomini per farne dei credenti!
Nel pane e nel vino dell’altare è racchiuso infatti il tesoro della nostra salvezza e in esso alimentiamo quella vita eterna, che la fede ha già deposto nei nostri cuori, fino alla fine del cammino, vale a dire del nostro viaggio terreno verso il «monte di Dio» (Lettura: 1Re 19,8). Nessuno di noi, infatti, può sopravvivere in questo difficile viaggio senza mangiare e bere il pane e il vino della mensa preparataci da Dio stesso. Come per il profeta, anche per ogni uomo infatti «è troppo lungo il cammino» (v. 7). Tutto ciò deve sostenere ogni giorno e in ogni tempo l’incessante pellegrinare della Chiesa e di ogni singolo fedele verso la pienezza della vita. Una cosa è certa: non siamo abbandonati a noi stessi tra le difficoltà e le prove anche terribili che la vita può riservarci e tra i flutti impetuosi dei cambiamenti storici e culturali dai quali pare ad ogni istante di venire sommersi. Abbiamo, in verità, tutto ciò che serve per non cadere nello sconforto e nell’angoscia mortale già sperimentata dal profeta in marcia nel deserto (cfr. 1Re 19,4). Siamo infatti ben equipaggiati: la Parola del Dio vivente e il suo Pane! Non ci resta che “alzarci” dal nostro torpore spirituale e dalle nostre paure e deciderci a “mangiare”. La mensa della Parola e del Pane di vita eterna, infatti, è sempre imbandita per noi. 
A. Fusi