“Dopo quasi
un’ora di ostinata lotta con la penna” riesco a scrivere alcune righe, “mentre
mi si stava per poco recitando il “De profundis”.
L’11
gennaio ho subito un insulto apoplettico, che mi tolse la parola per un paio di
giorni. Dovevo essere davvero conciato male se il Cittadino di Brescia si
sentiva in obbligo di tranquillizzare i lettori, affermando che “il Direttore
dell’Istituto Artigianelli è assai migliorato, restandogli ora un poco di
inceppamento della parola” e se i miei collaboratori si sentivano in dovere di
ringraziare le molte “benevole persone”che si sono interessate della mia
salute. In attesa di “ricuperare la completa guarigione” e di “ottenere la
grazia plenaria della perfetta libertà di parola, parlata e scritta”, non posso
non ringraziare il Signore per gli anni di servizio della mia parola alla Sua
Parola.
Non sono
mai stato un predicatore di cartello, ma ho avuto la sensazione di essere
ascoltato volentieri dal popolo e di essere di utilità per miei ragazzi e giovani.
Questi, quando ritornano, mi ricordano non poche parole che sono rimaste
impresse, parole che sovente avevo la sensazione di spargere al vento per
l’apparente scarsa attenzione prestata. E’ una conferma che a noi tocca
seminare, anche se i frutti non sono immediati, ma verranno col tempo.
I giovani
ascoltano più di quanto non sembri: solo che non vogliono dare la soddisfazione
di farlo vedere, quasi per affermare la loro autonomia. Noi educatori non siamo
come i lavoratori dell’industria che operano per vedere subito i frutti. Siamo
piuttosto come i contadini che seminano con fiducia sapendo che il frutto verrà
a “suo tempo”. E’ una convinzione da radicare anche nei giovani, i quali pure
devono lavorare sui tempi lunghi della preparazione al loro futuro: Lavorare e
faticare oggi per avere frutti in un domani non immediatamente a portata di
mano. Il volere tutto e subito, forzando i tempi, produce frustrazione,
scoraggiamento e tentazioni di abbandonare l’impresa.
Le parole
che sfuggono
Ora che
faccio fatica a parlare mi vengono in mente le parole che mi sono sfuggite e
non dovevo pronunciare, quando parlavo speditamente. Il mio carattere impulsivo
è sempre stato un problema per me, perché non è mai stato facile dominarmi.
Fin da
giovane avevo preso ad esempio San Francesco di Sales che era considerato il
santo della mitezza, ma che aveva dovuto lottare per più di venti anni per
dominare la sua indole irascibile. Beato lui che ha impiegato solo venti anni!
Quante volte ho dovuto fuggire in chiesa per evitare una scenata e per
calmarmi!
E quante
volte ho chiesto scusa per aver trasceso o esagerato nel rimprovero. Mi sono
ripromesso di seguire le sagge indicazioni dei Padri del deserto: “Sotto
l’effetto della collera, non fare nulla. Taci, perché tacendo vinci più
facilmente”. E ancora: ”Occorre, fin dove è possibile, impedire all’ira di
penetrare fino al cuore; se essa c’è già, fare in modo che non si manifesti sul
volto; e se si mostra, controllare la lingua per cercare di preservarla; se è
già sulle labbra, impedirle di passare agli atti. E sempre vigilare a
eliminarla il più presto possibile dal proprio cuore”.
Il focoso
apostolo San Paolo aveva gli stessi miei problemi…forse la famosa spina
piantata nella carne…o schiaffo di Satana…era proprio quel suo carattere
impetuoso… ..
Spero di
riprendere la parola per poter parlare con più filtri, ma…non certamente con
meno franchezza, sincerità e coraggio!
Brescia 2
marzo 1910
Dal
“Diario” di Padre Piamarta