Il testo evangelico di Gv. 4,5-42 è diviso in due grandi sezioni. La prima, vv. 5-26, riporta il dialogo di Gesù con una donna samaritana mentre la seconda, vv. 27-42, è incentrata sulla rivelazione dell’“opera” per la quale il Padre ha inviato Gesù nel mondo. In particolare i vv. 5-7 ambientano la scena in Samaria e precisamente accanto al pozzo che Giacobbe, il grande patriarca, aveva fatto scavare presso la cittadina di Sicar. L’evangelista sottolinea che Gesù vi arrivò «affaticato per il viaggio» e nell’ora più calda del «mezzogiorno» (v. 6). Di qui la sua richiesta alla donna samaritana che entra in scena al v. 7. I vv. 8-15 riportano, con la risposta della donna alla richiesta di Gesù, le importanti parole del Signore sul dono dell’acqua viva capace di togliere la sete e diventare, in chi la beve, «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». La prima sezione si chiude ai vv. 16-26 con una svolta nel dialogo tra Gesù e la donna alla quale viene rivelata la sua vita disordinata e traviata rispetto alla Legge di Dio (v. 18) inducendola, così, a muovere i suoi primi passi nella fede in Gesù riconosciuto dapprima come un profeta (v. 19). A lui, uomo ispirato da Dio, pone la questione riguardante il luogo dove è possibile incontrare Dio: per i Samaritani era il monte Garazim mentre per i Giudei era il Tempio di Gerusalemme (vv. 20-21). A questa domanda Gesù risponde con parole di rivelazione di grande e permanente attualità e valore (vv. 23-24), con le quali elimina le diatribe legate al luogo in cui si deve rendere culto a Dio. Con il suo ingresso nel mondo, è «venuta l’ora» in cui il culto divino viene sganciato da luoghi e da templi materiali e viene invece compiuto «in spirito e verità» (vv. 23-24) da quanti, rinati dallo Spirito, si lasciano guidare nell’accogliere con fede la pienezza della divina Rivelazione portata da Gesù che, in tal modo, colma l’attesa del Messia (cfr. vv. 25-26). Con la solenne dichiarazione messianica di Gesù: «Sono io, che parlo con te» si chiude il dialogo con la samaritana.
Prende così avvio la seconda sezione (vv. 27-42) inaugurata dall’accorrere a Gesù degli abitanti di Sicar e dell’importante dialogo di Gesù con i suoi discepoli e riguardante il “cibo” con il quale egli si nutre: il compimento della volontà del Padre che lo ha inviato nel mondo per salvare il mondo (vv. 31-34). È questa l’“opera” che il Padre ha affidato a Gesù e alla quale egli ora associa i suoi discepoli con l’invito: «alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» e con l’esplicito mandato missionario espresso con il verbo mietere. Essi, infatti, dovranno raccogliere l’umanità nella comunione con Dio, qui indicata con l’espressione “vita eterna” (vv. 35-38).
La conclusione (vv. 39-42) fa capire che i Samaritani che credono nel Signore «per la parola della donna» e ancora di più «per la sua parola», professando la fede in Gesù quale «salvatore del mondo», sono, in verità, primizie dell’“opera” salvifica commessa da Dio al suo Figlio e da questi ai suoi discepoli e, dunque, ai discepoli di tutti i tempi.
Questa seconda domenica di Quaresima, contrassegnata dal Vangelo della samaritana, fa intendere a quanti si preparano a ricevere il sacramenti pasquali nella prossime solennità e a tutti i fedeli, che è indispensabile ottenere dal Signore l’apertura della mente per arrivare ad aver fede, così come ha fatto con essa al pozzo di Giacobbe. È infatti necessario che l’animo umano si apra alla fede per avvertire con forza la sete di Dio che viene, fin da ora, appagata nella partecipazione ai divini misteri. Ciò è detto efficacemente nella parte centrale del primo dei due Prefazi presenti nel Messale Ambrosiano: «Cristo Signore nostro, a rivelarci il mistero della sua condiscendenza verso di noi, stanco e assetato, volle sedere a un pozzo e, chiedendo da bere a una donna samaritana, le apriva la mente alla fede; desiderando con ardente amore portarla a salvezza, le accendeva nel cuore la sete di Dio».
Prende così avvio la seconda sezione (vv. 27-42) inaugurata dall’accorrere a Gesù degli abitanti di Sicar e dell’importante dialogo di Gesù con i suoi discepoli e riguardante il “cibo” con il quale egli si nutre: il compimento della volontà del Padre che lo ha inviato nel mondo per salvare il mondo (vv. 31-34). È questa l’“opera” che il Padre ha affidato a Gesù e alla quale egli ora associa i suoi discepoli con l’invito: «alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» e con l’esplicito mandato missionario espresso con il verbo mietere. Essi, infatti, dovranno raccogliere l’umanità nella comunione con Dio, qui indicata con l’espressione “vita eterna” (vv. 35-38).
La conclusione (vv. 39-42) fa capire che i Samaritani che credono nel Signore «per la parola della donna» e ancora di più «per la sua parola», professando la fede in Gesù quale «salvatore del mondo», sono, in verità, primizie dell’“opera” salvifica commessa da Dio al suo Figlio e da questi ai suoi discepoli e, dunque, ai discepoli di tutti i tempi.
Questa seconda domenica di Quaresima, contrassegnata dal Vangelo della samaritana, fa intendere a quanti si preparano a ricevere il sacramenti pasquali nella prossime solennità e a tutti i fedeli, che è indispensabile ottenere dal Signore l’apertura della mente per arrivare ad aver fede, così come ha fatto con essa al pozzo di Giacobbe. È infatti necessario che l’animo umano si apra alla fede per avvertire con forza la sete di Dio che viene, fin da ora, appagata nella partecipazione ai divini misteri. Ciò è detto efficacemente nella parte centrale del primo dei due Prefazi presenti nel Messale Ambrosiano: «Cristo Signore nostro, a rivelarci il mistero della sua condiscendenza verso di noi, stanco e assetato, volle sedere a un pozzo e, chiedendo da bere a una donna samaritana, le apriva la mente alla fede; desiderando con ardente amore portarla a salvezza, le accendeva nel cuore la sete di Dio».
L’apertura della mente della Samaritana è significata nel dialogo con il Signore che, partendo da premesse molto concrete, qual è la richiesta di acqua nel meriggio infuocato del medioriente: «Dammi da bere», passa a interrogativi che costringono ad andare oltre il puro dato materiale: non più l’acqua semplicemente, ma l’«acqua viva» (Vangelo: Giovanni 4,6-7)!
Con questa espressione si evoca, nell’Antico Testamento, il dono inestimabile della Legge divina che il popolo d’Israele è invitato a porre «nel cuore e nell’anima» (cfr. Lettura: Deuteronomio 11,18ss.) e la cui osservanza attirerà la benedizione di Dio, così come la non osservanza la maledizione (cfr. vv. 26-28). Nel Nuovo Testamento indica la rivelazione di Dio e del suo mistero recata in pienezza dal suo Verbo fatto uomo. Può anche indicare lo Spirito Santo che è donato agli uomini proprio da Gesù, il Figlio di Dio. L’«acqua viva», capace di estinguere la sete in eterno, ovvero i più profondi e autentici bisogni dell’uomo, è la Parola vivente di Dio, vale a dire il suo Figlio venuto nel mondo e che ora possiamo attingere dal “pozzo” delle divine Scritture affidate, dal Signore, alla sua Chiesa. Pertanto, la Parola che il popolo nato dalla Pasqua del Signore è invitato a «porre nel cuore e nell’anima», a tenere costantemente davanti agli occhi, a «insegnare» e a praticare dando a tutti riconoscibile testimonianza, è il Signore Gesù e il suo Vangelo.
Davvero il popolo dei battezzati può dire in tutta verità: «Signore, tu solo hai parole di vita eterna» (Salmo 18). Per l’Apostolo, la Parola da osservare e praticare è quella della carità, intesa come una disponibilità a portare «i pesi gli uni degli altri», a «operare il bene verso tutti» e a «seminare nello Spirito» (cfr. Epistola: Galati 6,8) compiendo, cioè, le opere dello Spirito: la carità, la pace e il perdono, nelle quali consiste il «culto in spirito e verità» a Dio gradito (cfr. Giovanni 4,23-24).
Si comprende, perciò, come la prima delle opere dell’osservanza quaresimale sia autorevolmente indicata nel testo sacro: «Ascolta, Israele» (Deuteronomio 6,4). Si tratta cioè, di imparare a sostare frequentemente e a lungo, sia in privato come nell’assemblea liturgica, al pozzo dell’«acqua viva» qual è la Parola del Vangelo, supplicando il Signore di aprire la nostra mente e di accendere in noi, come già nella Samaritana, la sete di Dio, che moderi le tante e spesso fuorvianti brame che ci spingono a cercare l’acqua viva presso pozzi avvelenati. Così infatti abbiamo chiesto nel Prefazio secondo: «Con la tua grazia ci liberi da ogni affetto disordinato e ci insegni a operare tra le cose che passano, come chi è radicato in te, bene eterno».
È la sete che il Signore Gesù, attraverso la sua Chiesa, vuole tenere viva negli uomini del nostro tempo sempre alla ricerca di pozzi a cui attingere l’acqua della felicità. Spetta a noi, suoi discepoli, che nell’ascolto della Parola beviamo ogni giorno l’«acqua viva» e ci nutriamo del suo dono d’amore che è l’Eucaristia, tener vivo nel cuore di chi ci sta accanto il desiderio di Dio e accompagnarlo fino al pozzo che è Cristo Signore. Lui solo, infatti, è capace di soddisfare il più profondo dei bisogni del cuore umano: avere parte alla vita, quella eterna, quella di Dio.
Dal fianco di Gesù Crocifisso, infatti, aperto dalla lancia del soldato, è uscito, nel segno del «sangue e acqua» il fiume inarrestabile dell’«acqua viva» che opera, in quanti credono, la rigenerazione alla grazia di figli di Dio, incorporati nella Chiesa abitata dallo Spirito Santo e nella partecipazione al suo Corpo e al suo Sangue nel banchetto eucaristico, sperimentano la bellezza e la sovrabbondanza del dono divino che in essi diventa «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Giovanni 4,14), Per questo così preghiamo: «Dal tuo cuore, Signore Gesù, fiumi d’acqua viva scorreranno. Ascolta pietoso il grido di questo popolo e aprici il tesoro della tua grazia che santifica il cuore dei credenti» (Canto Alla Comunione).
Con questa espressione si evoca, nell’Antico Testamento, il dono inestimabile della Legge divina che il popolo d’Israele è invitato a porre «nel cuore e nell’anima» (cfr. Lettura: Deuteronomio 11,18ss.) e la cui osservanza attirerà la benedizione di Dio, così come la non osservanza la maledizione (cfr. vv. 26-28). Nel Nuovo Testamento indica la rivelazione di Dio e del suo mistero recata in pienezza dal suo Verbo fatto uomo. Può anche indicare lo Spirito Santo che è donato agli uomini proprio da Gesù, il Figlio di Dio. L’«acqua viva», capace di estinguere la sete in eterno, ovvero i più profondi e autentici bisogni dell’uomo, è la Parola vivente di Dio, vale a dire il suo Figlio venuto nel mondo e che ora possiamo attingere dal “pozzo” delle divine Scritture affidate, dal Signore, alla sua Chiesa. Pertanto, la Parola che il popolo nato dalla Pasqua del Signore è invitato a «porre nel cuore e nell’anima», a tenere costantemente davanti agli occhi, a «insegnare» e a praticare dando a tutti riconoscibile testimonianza, è il Signore Gesù e il suo Vangelo.
Davvero il popolo dei battezzati può dire in tutta verità: «Signore, tu solo hai parole di vita eterna» (Salmo 18). Per l’Apostolo, la Parola da osservare e praticare è quella della carità, intesa come una disponibilità a portare «i pesi gli uni degli altri», a «operare il bene verso tutti» e a «seminare nello Spirito» (cfr. Epistola: Galati 6,8) compiendo, cioè, le opere dello Spirito: la carità, la pace e il perdono, nelle quali consiste il «culto in spirito e verità» a Dio gradito (cfr. Giovanni 4,23-24).
Si comprende, perciò, come la prima delle opere dell’osservanza quaresimale sia autorevolmente indicata nel testo sacro: «Ascolta, Israele» (Deuteronomio 6,4). Si tratta cioè, di imparare a sostare frequentemente e a lungo, sia in privato come nell’assemblea liturgica, al pozzo dell’«acqua viva» qual è la Parola del Vangelo, supplicando il Signore di aprire la nostra mente e di accendere in noi, come già nella Samaritana, la sete di Dio, che moderi le tante e spesso fuorvianti brame che ci spingono a cercare l’acqua viva presso pozzi avvelenati. Così infatti abbiamo chiesto nel Prefazio secondo: «Con la tua grazia ci liberi da ogni affetto disordinato e ci insegni a operare tra le cose che passano, come chi è radicato in te, bene eterno».
È la sete che il Signore Gesù, attraverso la sua Chiesa, vuole tenere viva negli uomini del nostro tempo sempre alla ricerca di pozzi a cui attingere l’acqua della felicità. Spetta a noi, suoi discepoli, che nell’ascolto della Parola beviamo ogni giorno l’«acqua viva» e ci nutriamo del suo dono d’amore che è l’Eucaristia, tener vivo nel cuore di chi ci sta accanto il desiderio di Dio e accompagnarlo fino al pozzo che è Cristo Signore. Lui solo, infatti, è capace di soddisfare il più profondo dei bisogni del cuore umano: avere parte alla vita, quella eterna, quella di Dio.
Dal fianco di Gesù Crocifisso, infatti, aperto dalla lancia del soldato, è uscito, nel segno del «sangue e acqua» il fiume inarrestabile dell’«acqua viva» che opera, in quanti credono, la rigenerazione alla grazia di figli di Dio, incorporati nella Chiesa abitata dallo Spirito Santo e nella partecipazione al suo Corpo e al suo Sangue nel banchetto eucaristico, sperimentano la bellezza e la sovrabbondanza del dono divino che in essi diventa «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Giovanni 4,14), Per questo così preghiamo: «Dal tuo cuore, Signore Gesù, fiumi d’acqua viva scorreranno. Ascolta pietoso il grido di questo popolo e aprici il tesoro della tua grazia che santifica il cuore dei credenti» (Canto Alla Comunione).
A. Fusi