Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 6 agosto 2010

370 - XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano, che la liturgia ambrosiana della XI domenica dopo Pentecoste propone per domenica 8 agosto, noto come la parabola “del ricco epulone” e del povero Lazzaro, mostra le conseguenze tragiche prodotte dall’uso perverso delle ricchezze da cui il Signore aveva già messo in guardia con la precedente parabola dell’amministratore infedele (16,1-8) e con il suo insegnamento al riguardo (16,9-13) che addita, nell’elemosina, l’uso buono delle stesse ricchezze.

La parabola si presenta divisa in due parti. Nella prima, vv 19-25, viene illustrato il totale ribaltamento di situazione che avviene per il ricco e per il povero, nell’ora della morte. Un cambiamento reso drammatico dalla visione del ricco non più vestito di “porpora e di lino finissimo”, ma nell’inferno tra “i tormenti”. Egli, abituato ai sontuosi banchetti quotidiani, ora chiede solo una goccia d’acqua fresca. Il povero, al contrario, ora è “nel seno di Abramo” ovvero partecipa della beatitudine e della felicità eterna. Un simile cambiamento, avverte il v 26, è irreversibile e non è pensabile passare dai “tormenti” al “seno di Abramo” per via del “grande abisso” che divide per sempre le due situazioni.

Nella seconda parte della parabola (vv 27-30) l’attenzione è rivolta ai cinque fratelli del “ricco” i quali, evidentemente, vivendo come lui, sono inesorabilmente destinati alla sua orribile fine. Essi, però, essendo ancora in vita, possono evitare tale fine, decidendo di obbedire a “Mosè e i Profeti” (v 29. v 31).

Nel progressivo dispiegarsi della storia della salvezza che il tempo liturgico “dopo Pentecoste” ci fa rivivere nelle sue grandi tappe considerate nella loro tensione alla Pasqua, un posto di rilievo è occupato dai Profeti rappresentati emblematicamente da Elia. Egli riassume la rivelazione vetero-testamentaria che va sotto il nome, appunto, di “Profeti” e che, insieme a Mosè, che riassume in sé il Pentateuco (la Legge), indica, di fatto, tutta la Scrittura così come viene fatto capire nel testo evangelico oggi proclamato.

I profeti sono mandati da Dio con il compito essenziale di mantenere il popolo a lui appartenente nella fedeltà all’alleanza, additando le mancanze che ledono tale alleanza e che spiegano anche le “prove” che, per questo, si abbattono sul popolo stesso. I profeti, perciò, predicano la necessità di conversione dall’idolatria e dalla condotta malvagia volgendosi con fiducia a Dio e camminando nelle sue vie.

La Lettura ci offre la testimonianza di Elia che non teme di affrontare il perfido re Acab denunciando apertamente il suo crimine – l’uccisione proditoria di Nabot e l’usurpazione della sua vigna – e la conseguente punizione che lo attende (1Re 21,8-19).

Tutta la Scrittura (= Mosè e i Profeti), perciò, è da Dio donata perché sia “ascoltata” e “obbedita”. Essa, in realtà, annuncia e prepara l’invio nel mondo non più di intermediari per quanto grandi come Mosè e i Profeti, ma della stessa “Parola” ossia di Gesù di Nazaret. Egli insegna agli uomini la via per sfuggire al triste destino del “ricco” ossia alla rovina eterna e arrivare così nel “seno di Abramo” ossia alla felicità eterna.

Nel Signore Gesù, nella sua Parola noi abbiamo la possibilità di ascoltare “tutta la Legge e tutti i Profeti” che lui riassume nel comandamento dell’amore di Dio e del prossimo teso a ribaltare totalmente quella mentalità e quello stile di vita emblematicamente espresso nella figura del “ricco epulone”.

Egli divenuto oramai impermeabile ai divini richiami, si ostina a perseguire un’esistenza illusoriamente ritenuta sicura perché al riparo delle “ricchezze” di questo mondo: il denaro, il potere, il piacere. Una tale esistenza è inesorabilmente avviata al “grande abisso” dal quale neanche un “miracolo”, quello invocato dal “ricco” per i suoi fratelli, potrebbe liberare.

Immensamente grati al Padre per il dono del suo Figlio, sua Parola vivente, cogliamo anche noi l’invito delle Scritture a verificare il nostro autentico atteggiamento di fronte a Gesù e al suo Vangelo. “Oggi” è ancora possibile, qualora registrassimo in noi indifferenza e chiusura alla Parola, fermarci dal cadere nel “grande abisso” e operare quella “conversione” del cuore che l’apostolo Paolo traduce in concreto programma di vita (Epistola: Romani 12,9-18) e che il Canto al Vangelo così sintetizza: «Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono e producono frutto con perseveranza».

(A. Fusi)