Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 2 luglio 2011

563 - LA TERZA DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano del Vangelo di Giovanni 3,16-21 fa parte del discorso di Gesù a Nicodemo che l’evangelista dice essere uno dei “notabili giudei” (Gv 3,1). In particolare i versetti oggi proclamati, conclusivi del discorso, appaiono in verità come un monologo, un parlare di Gesù tra sé e sé, il quale – dopo aver annunziato ciò che lo attende: il suo “innalzamento” ovvero la sua morte sulla Croce (vv. 13-15), iscritta nel più ampio disegno salvifico di Dio al quale sta molto a cuore il mondo (vv. 16-18) – pone all’ascoltatore la necessità di schierarsi davanti a lui (vv. 19-21).
In particolare il v. 16a dice la motivazione che soggiace all’invio del Figlio da parte di Dio: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». Si tratta di un’affermazione di decisiva importanza perché su di essa poggia l’intero progetto divino di salvezza e ogni suo sviluppo. Una parola quindi da assaporare e da accogliere nella profondità del nostro spirito e sulla quale fondare l’intera nostra esistenza di credenti.
Dio dunque “ama il mondo” ossia l’intera umanità e per questo nutre nel suo cuore un progetto di salvezza e di vita per attuare il quale “manda” il suo Figlio unico. I vv. 16b-17 dicono le finalità essenziali di tale invio. La prima delle quali è il dono della “vita eterna”, da intendere come comunione profonda con Dio che è già qui avviata in colui che “crede” nel Figlio inviato! è questa, perciò, la “salvezza” che il Figlio viene a portare e che ha come conseguenza pratica, per chi crede, di sfuggire al “giudizio” ossia di non andare incontro alla “condanna”.
Come avviene per il dono della “vita eterna” che è fin d’ora accordata a colui che accoglie il Figlio mandato nel mondo, così è del “giudizio” che è già dato da ora come condanna per chi “non crede” ovvero non accoglie Gesù!
In sintesi, chi “crede” ha fin d’ora la “vita eterna”, chi “non crede” va incontro fin da ora al giudizio di condanna che, in ultima analisi, consiste nella privazione della comunione di vita con Dio e, di conseguenza, alla rovina eterna, alla morte!
L’ultima parte, perciò, del nostro brano (vv. 19-21) mette tutti noi che ascoltiamo la parola evangelica davanti a una scelta: “credere o non credere” nel Figlio unico inviato dal Padre e alle conseguenze che da essa concretamente derivano.
Comprendiamo, alla luce delle sublimi parole del Signore, come tutto procede dall’amore assoluto di Dio. Questi manda l’unico suo Figlio per recare all’uomo la “luce”, ovvero la “rivelazione” che reclama la nostra adesione di fede. E nella fede ci fa fin d’ora partecipi della vita divina. D’altra parte la parola del Signore ci fa capire che tutto è lasciato alla libera decisione dell’uomo, il quale è invitato a rifuggire dalle tenebre dell’incredulità e ad aprirsi alla fede nel Figlio unigenito di Dio.
Proclamato nel peculiare contesto liturgico del tempo “dopo Pentecoste”, il brano evangelico vuole soprattutto mettere in luce il mistero di per sé incomprensibile della bontà di Dio e dell’incrollabile sua volontà salvifica nei confronti dell'uomo, per la cui realizzazione non esita a “dare” il suo Figlio, quello unico, quello che lui “ama”.
L’iniziale rivelazione trasmessa nelle Scritture veterotestamentarie documenta come l’amore di Dio per l’uomo ha la sua prima essenziale manifestazione nel “plasmarlo” come “un essere vivente” mediante il “soffio “ di vita a lui concesso e nel collocarlo in un “meraviglioso giardino” (Cfr: Lettura: Genesi 2,7-8).
Tutto ciò va considerato e compreso come un annunzio rivelatore di quell’amore di Dio testimoniato in modo insuperabile dall’aver “dato” per l’uomo il suo Figlio unico portatore della “vita eterna” che in lui e per mezzo di lui Dio vuole donare al “mondo”.
Un amore questo che non viene meno di fronte alla trasgressione da parte dell’uomo del comando di Dio (Genesi 2,17) e che, stando al commento dell’Apostolo ha sì introdotto «il peccato nel mondo e, con il peccato, la morte» (Epistola: Romani 5,12), ma ha dato modo a Dio di riversare su tutti gli uomini in maniera sovrabbondante il “dono” di grazia «concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo» (Romani 5,15d).
La preghiera del Prefazio traduce il potente annunzio udito nelle Scritture in una preghiera di ringraziamento e di lode che fa discendere, nel dono eucaristico, quella pienezza di vita e di grazia che Dio ha riversato e non cessa di riversare sul mondo nel suo unico Figlio. Così infatti ci rivolgiamo al Padre che, “con sapienza mirabile”, ha redento il mondo “nel sangue di Cristo”: «Amandoci oltre ogni nostro pensiero e ogni attesa, hai inviato al mondo il tuo Figlio unigenito perché nell’umiliazione della morte in croce riconducesse alla gloria l’uomo che dalla tua bontà era stato creato e per la propria superbia si era perduto».
A. Fusi