Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 26 agosto 2011

583 - LA XI DOMENICA DI PENTECOSTE

Vangelo secondo Marco 12,13-17
In quel tempo. I sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani 13mandarono dal Signore Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. 14Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. è lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?». 15Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». 16Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l'iscrizione di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 17Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.  

Il brano riporta la seconda delle cinque controversie che oppongono Gesù ai «capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani» (cfr. Mc 11,27), i quali, in questo caso, agiscono per interposta persona. Si tratta di «alcuni farisei ed erodiani» presumibilmente contrari i primi al pagamento del “tributo a Cesare”, mentre i secondi erano molto facilmente favorevoli. L’intento dei mandanti è di natura malevola nei confronti di Gesù e cercano di metterlo in tutti i modi in difficoltà anche se, a parole, i loro emissari ne riconoscono la rettitudine e la franchezza (v. 14).
La “trappola” in cui sperano di far cadere Gesù riguarda il pagamento del “tributo a Cesare” che poneva un serio problema alla coscienza del popolo d’Israele fiero nel riconoscere come proprio sovrano e signore il solo Dio! (vedi il primo comandamento: Esodo 20,2-6; Deuteronomio 5,6-10). Pagare il “tributo” equivale infatti a dichiarare la sottomissione all’imperatore romano!
Di qui la difficoltà di rispondere a una tale domanda: dire di sì significa squalificarsi agli occhi del popolo che non sopportava la dominazione dei romani; dire di no significa pronunciare una parola di aperta ribellione al potere di Roma e, dunque, il rifiuto di sottomettersi all’imperatore.
L’evangelista tiene a porre in rilievo il potere divino di Gesù di leggere nel cuore degli uomini precisando che egli immediatamente colse l’intenzione maligna della domanda a lui rivolta. Spiazza così i suoi interlocutori facendosi dare “un denaro” ossia la moneta romana in argento che equivaleva a un giorno di paga per i braccianti e “intrappolandoli” a sua volta con una domanda: «Questa immagine e l’iscrizione di chi sono?» (v. 16) che poteva avere una sola risposta: “Di Cesare” ossia dell’imperatore romano del tempo.
La mirabile “sentenza” del Signore: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare» fa capire che usando la moneta di Cesare i suoi avversari ne accettano, di fatto, il potere e la sovranità e, pertanto, sono tenuti a pagare il tributo.
Nella seconda parte della sua risposta: «e quello che è di Dio, (rendetelo) a Dio» (v. 17), Gesù eleva il dibattito al piano “teologico” per sottolineare come non c'è nessun potere umano che possa ritenersi superiore al potere divino. Anzi “ciò che è di Cesare” è subordinato a “ciò che è di Dio” al quale anche Cesare appartiene. La controversia perciò si conclude con la sottolineatura di Marco: «E rimasero ammirati di lui».
Proclamato nel peculiare contesto liturgico orientato al Martirio del Battista, il brano evangelico vuole sottolineare con forza l’unicità di Dio e della sua esclusiva signoria sul mondo e sulla storia.

Signoria alla quale veniamo esortati a tenere fede sull’esempio del Battista e, ancora prima di lui, dei “martiri per l’osservanza del sabato” di cui ci parla la Lettura. Si tratta di un migliaio di persone tra uomini, donne e bambini che, all’epoca della persecuzione scatenata dal re Antioco IV Epifane contro i Giudei che non accettavano l'ellenizzazione forzata, preferirono andare inermi incontro alla morte dichiarando: «Moriamo tutti nella nostra innocenza», pur di non venir meno alla fedeltà e all’obbedienza alle disposizioni divine (1Maccabei, 2,37).
L’Epistola paolina esorta anche noi credenti nel Signore a rafforzarci in lui «e nel vigore della sua potenza» (Efesini 6,10) per poter perseverare ed essere vittoriosi nella battaglia che dobbiamo ogni giorno affrontare contro i «dominatori di questo mondo tenebroso» (v. 12). L’Apostolo ci dice anche quale “armatura” indossare per affrontare la battaglia e soprattutto ci esorta a prendere «la spada dello Spirito, che è la parola di Dio» (v. 17).
La celebrazione eucaristica ponendoci a contatto con la Parola e con il Corpo del Signore ci riveste dell’invincibile potenza racchiusa nella sua Pasqua e, perciò, siamo in grado di “resistere”, sull’esempio dei martiri, «nel giorno cattivo» e di «restare saldi dopo aver superato tutte le prove» (v. 13) nell’obbedienza della fede al nostro Dio e Signore.