Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 11 agosto 2012

712 - XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il vangelo di Matteo 21,33-46 presenta la parabola chiamata “dei vignaioli ribelli e omicidi”, pronunziata da Gesù nell’area del Tempio di Gerusalemme con spiccato accento polemico contro le autorità giudaiche a lui ostili e che lo condurranno alla morte. La parabola è introdotta da un invito iniziale di Gesù ad ascoltare, che funge da raccordo con la parabola precedente dei due figli invitati dal padre a lavorare nella vigna (21,28-32). Si presenta divisa in due parti: i vv. 33b-39 sviluppano il racconto della violenta reazione dei vignaioli ai tre tentativi del padrone di inviare a essi suoi rappresentanti; vv. 40-44 presentano, mediante il dialogo tra Gesù e gli uditori, l’applicazione della parabola.
I vv. finali: 45-46 riferiscono della reazione ancora una volta ostile dei capi dei sacerdoti e dei farisei. In particolare nella prima parte risulta in primo piano la vigna oggetto della cura del padrone, nel quale si può pensare di vedere la premura di Dio per il suo popolo (vigna), dal quale si attende dei frutti come l’obbedienza e la fedeltà al suo volere (vv. 33-34). Per ottenerli vengono inviati dal padrone i suoi servi, ossia i profeti. Il v. 35 parla della reazione dei contadini che via via bastonano, uccidono e lapidano gli inviati del padrone. Segue un nuovo invio di servi con eguale esito (v. 36) e, come ultimo, l’invio del proprio figlio, vale a dire di Gesù, contro il quale si scatena la trama omicida dei contadini nei quali sono raffigurati i capi del popolo (vv. 37-39).
Nella seconda parte (vv. 40-42), costruita come un dialogo di Gesù con gli ascoltatori, viene annunciato il passaggio del regno di Dio «a un popolo che ne produca i frutti» (v. 43). Si tratta di un popolo composto da quanti, ebrei o pagani, si convertono al Vangelo e riconoscono Gesù come «la pietra d’angolo» (v. 42) su cui si edifica il popolo di Dio.
In questa domenica viene presentato il profeta Elia, il più grande tra i profeti inviati da Dio al suo popolo, specialmente nell’epoca triste della divisione in due regni e di cui riferiscono il primo e il secondo libro dei Re fino alla tragedia immane della distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. e poi nella stagione dell’esilio a Babilonia e del successivo ritorno nella terra dei Padri. Elia, rapito al termine della sua vita su un carro di fuoco, nel comune sentire della gente al tempo di Gesù sarebbe ritornato all’epoca dell’arrivo del Messia tanto atteso.
Nella Lettura egli appare come l’implacabile avversario di quanti, come il re Acab e la sua perfida moglie Gezabele, ingannano il popolo irretendolo nella perversione dell’idolatria. In pari tempo, Elia non risparmierà le sue forze al fine di riportare a Dio il suo popolo sempre tentato di «saltare da una parte all’altra», ovvero tra la fedeltà al Signore e la degenerazione idolatrica (Lettura: 1Re 18, 21). Egli sa che proprio la caduta nell’idolatria dei popoli vicini, e l’abbandono dei comandi del Signore è ciò che manda in rovina Israele, cosa puntualmente verificatasi prima nell’annientamento del regno del Nord (2 Re 17) e poi in quello già citato di Giuda e Gerusalemme.
Per questo non esita, con la sfida lanciata ai falsi profeti di Baal (vv. 23-24), all’estremo tentativo di condurre il popolo a riconoscere, davanti al prodigio del fuoco del Signore, capace di consumare letteralmente «l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere» (v. 38), che «il Signore è Dio! Il Signore è Dio» (v. 39). Nella sua vita e nella sua attività Elia preannunzia l’arrivo nella «vigna di Dio che è la casa di Israele» e, a partire da essa, nell’intera umanità, non più e non soltanto di un “servo” di Dio quali sono stati i profeti e, in misura eminente, lui stesso, ma «il suo proprio figlio» (Vangelo: Matteo 21,37).
La venuta di Gesù nel mondo, che è la “vigna” amata da Dio e nella quale è posto il germoglio autentico del Regno, è il segno più grande del suo amore per l’umanità e della sua volontà di salvarla dalla rovina a cui va inevitabilmente incontro a motivo dell’incredulità che è idolatria! Al pari dei “servi”, al pari di Elia, anche il “figlio” andrà incontro alla durezza dei cuori, all’incapacità di vederlo e di ascoltarlo come portatore della salvezza, indistintamente offerta a ogni uomo. Anzi è lui, in verità, il figlio «cacciato fuori dalla vigna e ucciso» (v. 39).
Eppure il rifiuto violento opposto a Gesù specialmente da parte dei “contadini”, ovvero dei capi del popolo, non impedisce alla grazia di Dio di eleggere e chiamare alla salvezza “un resto” (Epistola: Romani 11,5) tra questo popolo, come primizia di un popolo preso tra tutti i popoli della terra che è costruito sul Signore Gesù quale pietra d’angolo (Matteo 21,42; cfr. Salmo 118,22). Noi che abbiamo avuto la grazia di essere chiamati, per la fede e il battesimo, a far parte di questo popolo fondato sul Signore Gesù e al quale è stato affidato la cura e l’espansione del Regno di Dio nel mondo, facciamo bene attenzione.
L’essere stati chiamati alla salvezza in Cristo Signore è un dono del tutto gratuito di Dio, il quale si attende di «raccogliere i frutti» (Matteo 21,34), che consistono anzitutto in un’adesione ferma e non “saltellante” (cfr. 1Re 18,21) a lui e alla sua Parola e in un’osservanza amorevole di essa. È ciò che chiediamo all’unisono nell’orazione Dopo la Comunione: «O Dio, che ci hai reso partecipi dell’unico Pane e dell’unico Calice, fa’ che portiamo frutti di vita eterna per la salvezza del mondo, poi che ci concedi la gioia di essere una sola cosa in Cristo Signore».
A. Fusi