Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 13 luglio 2013

825 - VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano di Matteo 22,15-22 risente di un clima di opposizione violenta nei confronti di Gesù da parte dei farisei, che si sentono chiamati in causa anche dalla precedente parabola del banchetto nuziale (vv. 1-14). Qui essi appaiono alleati con gli erodiani, partigiani della monarchia, nel porre a Gesù una domanda tranello circa la liceità per un ebreo di pagare o meno l’imposta all’imperatore romano (vv. 16-17). La risposta di Gesù, mentre smaschera l’intento perfido di chi pone la domanda (v. 18), non nega l’autonomia del potere civile nel servire il bene comune, insegnando così ai suoi discepoli ad accettare tale servizio nel contesto dell’ordinamento civile e sociale. In pari tempo esalta il primato di Dio su ogni cosa e, perciò, insegna a rifiutare e a opporsi alla divinizzazione di ogni potere al di fuori di quello di Dio (vv. 20-21).
La presente domenica pone in rilievo tra le figure che hanno segnato l’evolversi della storia della salvezza, quella del profeta Samuele, vissuto nel momento del passaggio dal periodo dei Giudici, di cui egli è l’ultimo, a quello della monarchia.
La Lettura, infatti, riporta la richiesta del popolo fatta a Samuele: «Dacci un re che sia nostro giudice» (1Samuele 8,6); nuovamente reiterata dopo la messa in guardia sui diritti che il re avrebbe vantato su persone e cose che, di fatto, diventano sua proprietà (vv. 11-17).
L’amarezza del profeta è dovuta a ciò che la richiesta del popolo effettivamente significa: l’indifferenza se non l’esplicito rifiuto della regalità di Dio al quale, soltanto, si deve la creazione di Israele come popolo, allorché lo ha «fatto salire dall’Egitto» (v. 8) liberandolo, cioè, dalla tirannia e dall’asservimento al Faraone.
Nelle parole rivolte a Samuele: «Non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro» (v. 7), si avverte, se così è lecito affermare, la delusione e il “dolore” di Dio per l’indifferenza e l’ingratitudine del suo popolo che, davvero, è tale a causa del suo amore di predilezione, della difesa e della protezione a esso accordata. Un amore che è evidente nell’accondiscendenza e nella pazienza di Dio verso il suo popolo quando dice a Samuele: «Ascoltali: lascia regnare un re su di loro» (v. 22).
Questa pagina è profezia e annunzio di ciò che Dio intende realizzare nel suo Figlio morto e risorto, costituito re e guida non di un popolo soltanto, ma dell’intera umanità. Attraverso di lui, «l’uomo Cristo Gesù», unico «mediatore tra Dio e gli uomini» (Epistola: 1Timoteo 2,5), viene effettivamente portata a compimento la volontà divina: «Che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità», liberandoli e facendoli “salire” non già «dall’Egitto» (cfr. 1Samuele 8,1), ma dall’abisso di morte nel quale tutti giacciono, senza eccezione, oppressi dal potere delle tenebre.
L’intera umanità, destinataria della verità, ossia che in Cristo, Dio libera, salva e crea il suo popolo, può pertanto affermare : «Sei tu, Signore, la guida del tuo popolo» (ritornello al Salmo 88).
Proclamata l’assoluta signoria di Dio e la sua regalità sulla storia e sulle vicende umane, la comunità dei credenti è in grado di rapportarsi anche con Cesare ovvero con i re e «tutti quelli che stanno al potere», con il compito di far sì che si possa «condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio» (1Timoteo 2,2).
Il Signore Gesù ci insegna, infatti, a «dare a Cesare ciò che è di Cesare» (Vangelo: Matteo 22,21), ossia a essere buoni e onesti cittadini, rispettosi delle norme e delle leggi che permettono la civile convivenza e, si spera, il progresso nel bene comune.
Ed è ciò che ha caratterizzato l’insegnamento apostolico (cfr. 1Timoteo 2,1-2) e, dunque, l’agire dei discepoli del Signore nei confronti del potere. Le prime generazioni cristiane si sono distinte, infatti, per la lealtà dimostrata in quanto cittadini, per il rispetto e addirittura la cordiale «preghiera per tutti quelli che stanno al potere» (v.2), ma si sono opposti, anche a prezzo della loro stessa vita, alla pretesa di questi di ottenere ciò che «è di Dio» (Matteo 22,21), ossia l’uomo, la sua vita, il suo amore, la sua adorazione e la totale consegna di sé.
Questa è la via indicata e percorsa dallo stesso Signore Gesù, segnatamente nell’ora della sua Passione, ed è la via percorsa dagli apostoli e dalle prime generazioni cristiane. La comunità cristiana, perciò, dovrà guardarsi dall’abbandonarla lasciandosi blandire e sedurre dal fascino del potere mondano, che mette in pericolo la sua esclusiva e totale appartenenza a Dio e al suo Cristo e la distoglie drammaticamente dalla sua missione di evangelizzazione al fine di fare degli uomini il popolo che appartiene a Dio e che cammina alla luce del suo volto (cfr. Salmo 88).
A. Fusi