Il brano di Giovanni 14,1-11a fa parte del cosiddetto “discorso di addio”
(Giovanni 13,33-14,31) rivolto da Gesù ai suoi discepoli nel contesto
dell’ultima cena per prepararli all’evento della sua morte e per affidare ad
essi le consegne decisive. Dopo aver esortato i suoi a non turbarsi di fronte a
ciò che sta per succedere e a credere (v. 1), Gesù introduce il tema del suo
ritorno al Padre (vv. 2-3) e della “via” che conduce a lui (v. 4). I vv. 5-6
riportano il dialogo con Tommaso a proposito della “via” mentre i vv. 7-9
conducono all’effermazione: «Chi ha visto me ha visto il Padre», che giustifica
l’appello finale a credere in lui (v. 11).
La partecipazione alla celebrazione eucaristica, attuazione
della Pasqua, è l’ambiente più idoneo per crescere nell’esperienza del Risorto
e riconoscere in lui la “via” che conduce a ciò che, in verità, ogni uomo
desidera dal più profondo: “dimorare” presso Dio, il Padre! Tale esperienza è
propiziata e fondata sull’ascolto ecclesiale delle Divine Scritture e in primo
luogo del Vangelo, nel quale ci parla il Risorto e al quale poniamo tutta la
nostra attenzione piena di fede. Egli spalanca l’orizzonte dei suoi indicando
«nella casa del Padre mio» la sua destinazione che sarà anche la loro (vv.2-3).
Il Signore inoltre spiega come si può giungere fino al Padre
introducendo l’immagine della “via”, ben nota nelle Scritture per indicare
l’orientamento scelto o da scegliere per la propria esistenza (vv.4-6).
All’iniziale non comprensione dei discepoli, evidenziata con la domanda di
Tommaso (v.5), Gesù viene incontro con la solenne dichiarazione sulla sua
identità: lui che è la “verità”, ossia la rivelazione piena e definitiva di
Dio, e la “vita”, è l’unica “via” data agli uomini per accedere a Dio (v. 6).
Ad essa fa seguito un’altra decisiva parola di
autorivelazione: «Chi vede me, vede il Padre», come a dire: si giunge a Dio per
la “via” che è Gesù e si arriva all’esperienza e alla relazione filiale con
Dio, espressa dai verbi conoscere e vedere, conoscendo e vedendo Gesù, ossia
entrando in intimo rapporto di fede con lui che è il Figlio! (vv. 7-9).
Con questo viene superata, nella domanda di Filippo
«Mostraci il Padre» (v. 9), la domanda e l’anelito del cuore umano a conoscere
e a vedere Dio. Egli si fa conoscere e si fa vedere nel suo Figlio, Gesù di
Nazaret, il Crocifisso! Il Risorto! In lui infatti abita Dio, il Padre, e lui,
il Figlio, abita in Dio, il Padre (vv. 10-11): lui e il Padre sono una cosa
sola! Di conseguenza ciò che il Signore dice sono le parole che il Padre, dimorando
in lui, dice.
Le solenni parole di autorivelazione del v.6 e del v.9, al
centro dell’odierno brano evangelico, trovano la loro evidente attuazione nella
Pasqua di morte e di risurrezione. Il Crocifisso Risorto, pertanto, è la “via”
unica data agli uomini per giungere a Dio, ossia alla salvezza e, più ancora,
alla conoscenza di Dio, ovvero alla relazione intima e filiale con lui.
Il Signore Gesù, inoltre, nella sua Pasqua, offre al mondo
intero di vedere Dio, di vedere cioè il Padre che è il vero, profondo,
insopprimibile desiderio del cuore dell’uomo!
Il Signore Gesù Crocifisso e Risorto, pertanto, è «il
mistero nascosto da secoli e da generazioni» la cui gloriosa ricchezza Dio ha
deciso di far conoscere in mezzo alle genti (Epistola: Colossesi 1,26-27) con
l’annunzio degli Apostoli, testimoni della sua Pasqua, esteso nei secoli dalla
Chiesa, la comunità dei credenti.
Credere in lui, pertanto, significa come spiega Paolo al
carceriere di Filippi «essere salvo» (cfr. Lettura: Atti 16,31) e dunque non
soltanto liberato dall’oppressione del male, ma già stabilito nella casa del
Padre per sperimentare la partecipazione alla perenne comunione di vita con lui
e con il Figlio.
Di tutto ciò si fa interprete l’orazione All’Inizio
dell’Assemblea Liturgica nella quale, dopo aver chiesto a Dio di ravvivare
sempre di più nella Chiesa «i desideri che tu le hai suscitato nel cuore», così
si prega: «Rendi più certa la nostra speranza; così i tuoi figli potranno
aspettare con fiduciosa pazienza il destino di gloria ancora nascosto ma già
contemplato senza ombra di dubbio dagli occhi della fede» e già posseduto nella
partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore, «sorgente e certezza della
gioia senza fine» (Dopo la Comunione).
A. Fusi