Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 23 giugno 2012

700 - IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Come le precedenti parabole dei due figli (21,28-32) e dei vignaioli omicidi (21,33-44), anche questa degli invitati a nozze vuole stigmatizzare il rifiuto da parte dei capi del popolo d’Israele di riconoscere Gesù come l’atteso inviato di Dio. La parabola, contenuta nel vangelo di Matteo (22,1-14) è diretta perciò ad essi (v. 1) e si presenta divisa in due parti: vv. 2-7 e vv. 8-13, con una sentenza conclusiva (v. 14).
La prima parte ambienta la parabola in una festa di nozze organizzata da un re per suo figlio. Segue un primo invio di servi a chiamare gli invitati che, però, rifiutano di partecipare (v. 3) e un secondo invito integrato da istruzioni del re sul banchetto oramai pronto (v. 4). Alcuni invitati si limitano a ignorare l’invito, altri invece giungono a uccidere gli inviati del re che reagisce facendo uccidere a sua volta quegli assassini (v. 7).
La seconda parte si apre con un terzo invio di servi da parte del re con l’ordine di invitare alle nozze chiunque incontrassero per via al fine di riempire la sala di commensali (v. 8-10). I vv. 11-13 riportano l’inattesa ispezione da parte del re dei commensali e l’espulsione dalla sala di uno di essi senza l’abito nuziale.
Questa IV domenica pone in risalto la misteriosa presenza del peccato nel mondo e in ogni uomo. Presenza che, come insegna l’Apostolo, esclude chi lo commette dall’aver parte al regno di Dio (Epistola: 1Corinzi,9-10), ovvero dalla salvezza, anzi su di esso piomba il giudizio di Dio, come è efficacemente detto nel racconto della distruzione di Sodoma e di Gomorra, emblema di perversione e di peccato, sulle quali «fece piovere dal cielo zolfo e fuoco», segni, appunto, dell’irresistibile giudizio divino (Lettura, Genesi 19, 24).
La parabola evangelica, detta dal Signore Gesù in polemica con le autorità del suo tempo, evidenzia come l’incredulità sia il peccato che acceca completamente l’uomo e rende il suo cuore ostinato nel respingere ogni tentativo di Dio di chiamarlo a salvezza.
È il peccato che ha condotto alla persecuzione dei profeti e che annunzia quella a cui andranno incontro i missionari del Regno di Dio raffigurati nei servi inascoltati, insultati e uccisi della parabola evangelica (Vangelo: Matteo 22,6).
È il peccato che, ieri come oggi, caratterizza quanti si chiudono nella loro presunzione di autosufficienza e rifiutano così di accogliere nell’umile Maestro di Nazaret la manifestazione della volontà di universale salvezza che si concretizza nel ridonare ai peccatori «la primitiva ricchezza che nella disobbedienza della colpa era andata perduta» (Prefazio), vale a dire la partecipazione alla vita divina che è l’eredità del regno di Dio ( 1Corinzi, 6,10).
È il peccato che può purtroppo continuare a segnare perfino quanti sono «stati lavati, santificati, giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio» (1Corinzi,6,11) ossia tutti noi che, per la fede e i sacramenti, facciamo parte della Chiesa, popolo santo di Dio.
In essa, nel corso dei tempi, Dio tollera che crescano insieme «cattivi e buoni» (Matteo 22,10), ma la definitiva partecipazione alla festa della salvezza eterna, di cui la celebrazione eucaristica è annuncio e anticipazione, è condizionata dall’“abito nuziale” del quale occorre farsi trovare rivestiti (cfr. Matteo 22,11-12). Per i discepoli del Regno l’abito nuziale è la loro stessa vita vissuta all’insegna dell’obbedienza filiale al volere divino che il Signore Gesù ci ha detto essere tutto racchiuso nel precetto della carità fraterna specialmente verso i piccoli e quanti sono considerati ultimi nella considerazione altrui.
A. Fusi