Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 6 febbraio 2016

1158 - L'INFERNO IN SIRIA

“La Siria e l’Iraq come li conoscevamo, di fatto, non esistono più. I tradizionali punti di riferimento sono scomparsi. E non c’è solo il dramma dei profughi, ma anche quello degli sfollati, rimasti nel proprio paese: solo in Siria otto milioni”. Padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa dal 2004, è più pessimista del solito. Ne parliamo con lui al termine di un incontro organizzato da Avsi all’Università di Lettere di Roma e mentre percorriamo a larghe falcate via dei Volsci (negli anni Settanta tristemente nota per i sanguinosi scontri tra studenti ) proviamo a tracciare un quadro del nuovo risiko mediorientale.
Secondo questo atletico francescano di 51 anni la guerra non è l’unico problema. “Sono tornato da poco da Aleppo” racconta come un fiume in piena “e ho assistito a un bombardamento che ha causato 200 vittime fra cristiani e musulmani. Ogni comunità ha contato solo i suoi morti e quando ho raggiunto il parroco del quartiere distrutto, mi ha detto: “Con tutto quello che ci stanno facendo, vuoi che ci preoccupiamo anche dei musulmani?”. E, dall’altra parte, un Imam che conosco ha ribattuto: “Da anni vengono distrutte moschee in Iraq e Afghanistan e a voi cattolici non è mai importato nulla”. Ecco, una delle conseguenze più gravi di cinque anni di guerra è che è stato distrutto anche il tessuto sociale di convivenza”.
In Siria le comunicazioni e le strade sono interrotte: le vie principali sono in mano ai ribelli. Le grandi città hanno un unico accesso. Nelle zone controllate da Assad l’elettricità c’è sei ore al giorno. In altre, zero. Aleppo è senz’acqua. L’unico modo per attingerla sono i pozzi privati, ma senza corrente ci vogliono i generatori. Il gasolio è molto difficile da trovare e costosissimo. Il confine con la Turchia è completamente aperto e tutto arriva da lì, naturalmente con il contrabbando, ma bisogna avere i soldi per comprare. Mancano tutte le materie prime. Quest’anno l’inverno è stato lungo e rigido. E poi ci sono i missili che arrivano da ogni dove: esci e non sai se tornerai a casa.
Che fare? “Dopo quel bombardamento – risponde Pizzaballa – abbiamo celebrato noi i funerali e ho visto il carico enorme di dolore e impotenza. Era morta anche un’intera famiglia: madre, padre e due figli. Ecco, bisogna moltiplicare questo per migliaia di casi, ogni giorno, continuamente. Davanti a questo si cerca di aiutare com’è possibile. Ogni quartiere ha i suoi comitati di organizzazione per distribuire i viveri e raccogliere il denaro. Poi si cerca di individuare zone dove far riparare gli sfollati. Per esempio, dopo ogni bomba molte famiglie rimangono senza casa, perché l’onda d’urto distrugge. Allora occorre trovare luoghi dove ospitare: conventi, scuole. E lì bisogna organizzare le cucine, i materassi, i bagni. È tutto quello che si può fare”.
Secondo il custode di Terra Santa, i cristiani in Medio Oriente non sono nemmeno il primo obiettivo delle violenze e del terrorismo, ma chiaramente ne pagano le conseguenze, penalizzati dal ricordo del colonialismo per cui spesso si associa la fede ai colonizzatori occidentali. Molti credenti hanno abbandonato o stanno lasciando quelle terre, ma c’è chi rimane e difende con coraggio la propria fede anche in mezzo a violenze, povertà e persecuzioni. “Quello che so come religioso – aggiunge – è che posso stare a fianco della gente, aiutare: magari non ho sempre qualcosa da dare, ma posso stare lì, dire una parola o semplicemente un gesto di amore. Non si può fare altro ma sarà da quella realtà lì che si ricostruirà”.
Prima dell’incontro gli avevo chiesto qual era l’obiettivo immediato del suo essere in Medio Oriente davanti a tanta impotenza. “È un amore” aveva risposto. E poi: “Un amore che non è neanche perché le cose cambino, ma perché ci sono. Non ci sono tante altre ragioni. La ami e basta. Io non cambierò forse le sorti della guerra in Siria, ma cambierò quel poco che posso fare: avrò fatto del bene a quella donna che era rimasta senza gas o a quella famiglia che non aveva più verdura, frutta, latte. Qualcosa cambia. Non c’è nessuna circostanza che mi può impedire di vivere fino in fondo la mia vita. E va bene così”.
di Paolo Cremonesi, 5/02/2016 
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