Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di celebrare la messa in onore del nostro amato fondatore e padre
Don Bosco, in questo anno in cui siamo invitati ad attingere alla sua
spiritualità per camminare nella santità secondo la specificità della nostra
vocazione.
Avvicinandosi il giubileo per il bicentenario della sua nascita è per me un’immensa
gioia e stimolo trovarmi proprio nei luoghi dove lui è vissuto un’esperienza
spirituale che fece di lui un ‘mistico dell’azione’ e che sbocciò in una
affascinante e feconda scuola di santità. Qui vissero sua madre, Mamma
Margherita, suoi insigni collaboratori San Luigi Orione, San Luigi Guanella, il
Beato Leonardo Murialdo, i suoi successori, il Beato Michele Rua, il Beato
Filippo Rinaldi, i suoi giovani santi come Domenico Savio. E da qui partì una
costellazione di santità salesiana, che è riuscita a diffondersi in tutto il
mondo.
Perciò questa sera vogliamo ringraziare il Signore in modo particolare per il dono di Don Bosco. Un dono che riguarda la sua figura storica, perché è la sorgente dalla quale sono nate tante bellissime iniziative, come la Congregazione Salesiana, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori Salesiani, e l’Associazione di Maria Ausiliatrice. Un dono che riguarda la sua pedagogia e il suo sistema preventivo oggi presente in variegatissime forme di opere di educazione formale, informale e non-formale, di promozione umana e di evangelizzazione. Un dono che si prolunga nella misura in cui Don Bosco viene preso come padre di vita spirituale e modello di progetto apostolico.
Perciò questa sera vogliamo ringraziare il Signore in modo particolare per il dono di Don Bosco. Un dono che riguarda la sua figura storica, perché è la sorgente dalla quale sono nate tante bellissime iniziative, come la Congregazione Salesiana, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori Salesiani, e l’Associazione di Maria Ausiliatrice. Un dono che riguarda la sua pedagogia e il suo sistema preventivo oggi presente in variegatissime forme di opere di educazione formale, informale e non-formale, di promozione umana e di evangelizzazione. Un dono che si prolunga nella misura in cui Don Bosco viene preso come padre di vita spirituale e modello di progetto apostolico.
Da questo profilo la Parola di Dio diventa molto illuminante, perché ci fa
vedere quale fu la grandezza di Don Bosco e come possiamo oggi imitarlo noi e
continuare a realizzare il suo ‘sogno’: vedere felici i giovani nel tempo e
nell’eternità.
Si tratta di quel sogno avuto a soli 9 anni, che segnò tutta la sua vita,
perché allora ricevette assieme alla vocazione, la missione, il campo di azione
e il metodo di lavoro. Ancora ragazzo, cominciò a intrattenere i coetanei con
giochi alternati alla preghiera e all’istruzione religiosa. Diventato sacerdote,
scelse come programma di vita la massima «Da mihi animas, cetera tolle»,
e iniziò il suo apostolato tra i giovani più poveri fondando l’Oratorio e
mettendolo sotto la protezione di San Francesco di Sales.
Con il suo stile educativo e la sua prassi pastorale, basati sulla ragione,
sulla religione e sull’amorevolezza (Sistema preventivo) portava gli
adolescenti e i giovani alla riflessione, all’incontro con Cristo e con i
fratelli, all’educazione alla fede e alla sua celebrazione nei sacramenti,
all’impegno apostolico e professionale. Tra i più bei frutti della sua
pedagogia emerge san Domenico Savio, quindicenne.
Tuttavia la sorgente della sua infaticabile attività e dell’efficacia della
sua azione fu la sua convinzione di essere coinvolto nella trama di Dio, che
esprimeva nella sua filiale familiarità con Lui, che lo faceva camminare come
se vedesse l’Invisibile e vivere in permanente “unione con Dio”.
E ai suoi figli lasciò in eredità una spiritualità semplice ma solidamente fondata sulle virtù cristiane. Dal punto di vista mistico, la esprimeva con la massima: “Da mihi animas, cetera tolle”.
E ai suoi figli lasciò in eredità una spiritualità semplice ma solidamente fondata sulle virtù cristiane. Dal punto di vista mistico, la esprimeva con la massima: “Da mihi animas, cetera tolle”.
Ma dove e da chi imparò Giovanni Bosco questa scuola di spiritualità e di
santità? Non c’è dubbio che Mamma Margherita fu la prima sua grande educatrice,
poi i suoi direttori spirituali, come don Cafasso, quindi l’influsso di grandi
santi che furono fonte della sua ispirazione.
Ma è stata la guida saggia e materna della Vergine Maria che lo guidò e
accompagnò lungo la sua vita e nella fondazione della Congregazione e della
Famiglia Salesiana. Tutte queste figure intervennero, a diverso livello, nella
sua vita per aprirlo al messaggio evangelico e renderlo un buon discepolo di
Gesù, un incomparabile lavoratore del Regno di Dio a favore dei ragazzi, specie
i più poveri e in difficoltà.
La prima lettura ci presenta, infatti, una delle grandi intuizioni
spirituali e pedagogiche di don Bosco, cioè che l’amore di Dio e a Dio è fonte
di gioia, sì da poter dire ai ragazzi dell’Oratorio: “Qui facciamo consistere
la santità nell’essere sempre allegri”.
La frase di Mamma Margherita per educare nel timore di Dio a Giovanni, e che
Don Bosco assunse, “Dio ti vede” è in perfetta sintonia con quello che
dice il primo capitolo del Siracide: «Il timore del Signore allieta il
cuore, e dà contentezza, gioia e lunga vita». Forse dobbiamo imparare noi
stessi a non considerare Dio come una minaccia alla nostra felicità, anzi come
il senso della nostra vita e la fonte della vera felicità. Forse dobbiamo
imparare da Don Bosco ad avere un volto sorridente e uno sguardo sereno,
ottimista, lungimirante, che faccia sapere che siamo credenti di un Dio
Crocifisso sì, ma Risorto, che ha riempito di allegria e di speranza la nostra
esistenza umana. Forse dobbiamo aiutare i ragazzi a far esperienza di quanto si
possa essere felici mentre serviamo Dio.
La ragione di questa verità, che “la legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima, fa gioire il cuore e dà luce agli occhi”, come dice il
salmo responsoriale, si trova nel fatto che, in fondo, la legge è al servizio
dell’uomo, per renderlo sempre più umano e non per sottometterlo.
Questo è possibile quando si scopre che le leggi, i comandamenti, vogliono
mettere in circolazione valori e sono espressione dell’amore. A ciò si
riferisce San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, nel testo che abbiamo
ascoltato. Senza amore, a nulla servirebbero i doni più preziosi, quelli di
natura e quelli di grazia. Il primato dell’amore gli viene appunto del fatto
che esso fa maturare le persone, fino a raggiungere la statura perfetta, che ci
rende ‘divini’, perché ci fa come Dio che è Amore. Proprio perché ha l’immenso
potere di trasformare le persone dal di dentro, l’amore ha anche la energia per
vincere la morte. A ragione, conclude Paolo, che anche se adesso “le tre
cose rimangono: la fede, la speranza, e la carità, la più grande di tutte è la
carità”, l’unica che rimarrà per sempre.
Vivere in amicizia con Dio vuol dire allora vivere in comunione con
Lui, rimanendo uniti attraverso l’osservanza del suo comandamento dell’amore.
Vivere in letizia vuol dire far sprigionare tutte le migliori
energie che ci sono nel nostro cuore, da dove procede tutto quanto c’è di
buono, di bello, di vero.
Vivere così è, in fin dei conti, essere sale della terra, luce
del mondo, città sul monte, insomma operatori di bene, come vuole Gesù che
siano i suoi discepoli.
Questo brano del Vangelo di Matteo sembra essere stato il programma di Don
Bosco, che era consapevole della responsabilità che hanno i cristiani “davanti
agli uomini”.
Il sale della terra, la speranza del mondo, sono coloro che
preservano i valori umani e religiosi, che permettono alla terra di non
marcire, di conservare una riserva di umanità.
Il sale della terra siamo anche noi, quando viviamo lo spirito
delle beatitudini, quando facciamo del discorso della montagna un nostro identikit
e ci poniamo in condizione di società alternativa, di persone che, di fronte a
una società che privilegia il successo, l’effimero, il provvisorio, il denaro,
il godimento, la potenza, la vendetta, il conflitto, la guerra, scelgono la
pace, il perdono, la misericordia, la gratuità, lo spirito di sacrificio,
cominciando dal cerchio più stretto, che è quello della propria famiglia o
della comunità, ma che si allarga alla dimensione sociale.
Gesù avverte però che è possibile che il sale perda il sapore, che i suoi
discepoli non siano autentici, e non dubita di segnalarne gli effetti
disastrosi: «A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato
dagli uomini». O siamo discepoli con chiara identità evangelica, quindi
significativi e utili per il mondo, o siamo da buttar via, da disprezzare,
siamo degli infelici, degli spostati, siamo nulla.
Siamo luce del mondo, come luce è Lui, se viviamo le beatitudini
evangeliche; siamo città sopra un monte, se accettiamo la
responsabilità pubblica che abbiamo e non cerchiamo di fare della fede o del
discepolato una questione privata, senza dimensione sociale, senza
coinvolgimento pubblico; siamo lucerna sopra il lucerniere, se viviamo
secondo il Vangelo e facciamo luce a tutti, credenti e non, discepoli e non,
vicini e lontani; insomma, luce del mondo intero.
Il cristianesimo, la fede, il Vangelo, la Famiglia Salesiana, il MGS, hanno
una valenza sociale e una responsabilità pubblica per la semplice ragione che
tutta la vocazione è missione, perché l’identità si verifica nella vita, perché
questi valori del Vangelo non possono essere intesi e vissuti “ad uso privato”.
Gesù vuole che i suoi discepoli facciano del Discorso della montagna un
programma di vita: mitezza, povertà, gratuità, misericordia, perdono, abbandono
a Dio, fiducia, fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi, ecco le
opere evangeliche che si dovranno far risplendere, quelle che ci fanno
diventare “sale” e “luce”, quelle che giovano a creare quella
società alternativa che non permetterà all’umanità di corrompersi del tutto.
Non era altro quello che cercava Don Bosco a favore dei ragazzi attraverso
tutte le sue opere, il cui scopo era proprio quello di farne “onesti cittadini
e buoni cristiani”. Don Bosco sviluppava quest’obiettivo attorno a quattro
grandi aree: Educazione integrale, incontro con Cristo, inserimento nella vita
della Chiesa e scoperta della propria vocazione. Ecco quanto siamo chiamati a
vivere e proporre ai giovani con gioia, entusiasmo e convinzione, per diventare
santi mentre aiutiamo i giovani a esserlo. Facciamo nostra l’esperienza
spirituale apostolica di Don Bosco. Amen.
Pascual Chávez V., sdb
Torino, 31 gennaio 2014
Torino, 31 gennaio 2014