Il brano del Vangelo concerne l’esordio dell’attività pubblica di Gesù che coincide con l’uscita di scena di Giovanni Battista, fatto imprigionare da Erode (v 12). L’attività di Gesù prende avvio, non a caso, dalla Galilea, una regione con una notevole componente di popolazione pagana. L’evangelista con la citazione di Isaia 8,23-9,1 vuole inquadrarla da subito nel disegno divino di universale salvezza di cui è attuazione e compimento.
Gesù, infatti, non si limiterà a predicare al suo popolo ma la sua azione missionaria riguarderà tutte le “genti” oppresse, di fatto, dal potere tenebroso del male e sulle quali egli sfolgorerà come “grande luce”, ossia come salvezza. Essa, perciò, è resa accessibile nel Signore Gesù che annunzia e inaugura nella sua persona «il regno dei cieli» destinato a estirpare dall’umanità il regno delle tenebre. Di qui l’imperativo «convertitevi» (v 17).
Si tratta di distogliersi dal proprio “io” malvagio, dalla condotta cattiva, e rivolgersi con decisione al Signore Gesù. A lui, infatti, il Battista ha indirizzato e diretto il popolo che lo seguiva. Il suo arresto, in seguito alla “testimonianza” resa davanti a Erode, prepara e annuncia la sua morte che lo annovera nel numero dei profeti perseguitati e uccisi proprio a motivo del servizio da essi compiuto a Dio con l’annuncio della sua Parola. In ciò Giovanni viene legato a quello che sarà il destino dello stesso Gesù (cfr. Matteo 17,22; 20,18-19) e di chiunque intende “seguirlo” (cfr. Matteo 10,17-21; 24,9).
La Lettura evidenzia un dato inquietante presente nel popolo d’Israele e che deve far riflettere anche noi membri del popolo di Dio che è la Chiesa. È l’atteggiamento di chi non vuole ascoltare la Parola capace di smascherare convincimenti profondi e atteggiamenti molto radicati nel cuore dell’uomo chiamandolo a conversione.
Questi, infatti, non vuole piegarsi ad accogliere sinceramente la Parola, preferendo impostare la vita sulla propria volontà che porta a confidare «nella vessazione dei deboli e nella perfidia» (Isaia 30,12). Di qui il rifiuto dei predicatori della Parola: «Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni. Scostatevi dalla retta via, uscite dal sentiero, toglieteci dalla vista il Santo d’Israele» (Isaia 30,10-11).
Questa situazione in cui versava Israele è esemplare della situazione in cui versa l’umanità incredula in ogni tempo e che il profeta Isaia, citato nel brano evangelico odierno (Matteo 4,15-16), vede collocata «nelle tenebre e in regione e ombra di morte». Il disegno divino di salvezza che, a partire da Israele riguarda l’intera umanità, è di far sorgere in quell’"ombra di morte”, ossia di perdizione, “una luce” simbolo della divina presenza che salva.
I profeti, il Battista, sono le “lampade” che Dio ha fatto brillare nell’oscurità di questo mondo come annunzio della «grande luce» capace di mettere in fuga e, per sempre, le tenebre dalla storia e dal cuore dell’uomo. La «grande luce» è Gesù, il Figlio, «Luce da Luce».
In lui brilla e risiede concretamente la salvezza destinata a tutti i popoli e che l’Apostolo declina come giustificazione,riconciliazione, nel suo sangue (Epistola: Romani 5,1-11), nell’offerta cioè della sua vita.
La preghiera liturgica, dal canto suo, volge i cuori dei fedeli a colui che oggi e fino alla consumazione dei secoli strappa dal carcere oscuro del male attualizzando ciò che ha storicamente compiuto quando, «mosso a pietà degli errori umani, è voluto nascere dalla Vergine Maria; con la sua morte volontaria sulla croce ci ha liberato dalla morte eterna e con la sua risurrezione ci ha conquistato a una vita senza fine» (Prefazio).
(A. Fusi)