L’odierno brano evangelico fa parte della sezione “escatologica” del Vangelo secondo Matteo (24,1-25,46) quella che attiene, cioè, alle ultime cose che precedono la “parusia” ovvero la seconda definitiva “venuta” del Signore.
È immediatamente preceduto dalle tre parabole della “vigilanza” (24,45-25,30), le quali vogliono esortare a farsi trovare preparati nell’ora della “venuta” del Signore. Oggi tale “venuta” ci viene presentata come “venuta” per il “giudizio universale”.
Il brano si apre al v 31 con l’entrata in scena del “Figlio dell’uomo” (cfr. Daniele 7,13) ossia di Gesù giudice escatologico circondato dagli “angeli suoi assistenti” (Zac 14,5). Il v 32 descrive il raduno universale davanti al Giudice, il quale da subito divide gli uni dagli altri recuperando l’immagine biblica del pastore che separa le pecore a destra e i capri a sinistra (cfr. Ezechiele 37,16-17).
Seguono poi le due parti rispettivamente: 34-40 e 41-45 costruite però in stretto parallelismo. Di fatto entrambe sono avviate dall’emissione della sentenza: favorevole per quelli posti alla “sua destra” (vv 34-36) e di condanna per quelli posti “alla sinistra” (vv 41-43), così come dalla replica meravigliata dei “benedetti” (vv 37-39) e quella dei “maledetti” (v 44) si concludono con la motivazione della stessa sentenza da parte del Giudice (v 40 e v 45) fondata sull’aver fatto o sul non aver fatto queste cose, ossia le opere di misericordia (vv 35-36; vv 42-43) «a uno di questi miei fratelli più piccoli» nei quali si identifica lui stesso.
In questa ultima domenica dell’anno liturgico ambrosiano le pagine della Scrittura pongono in particolare rilievo una delle prospettive essenziali per la nostra fede: quella “escatologica”.
Si vuole, con questo, tener viva nella Chiesa mandata ad annunciare il Vangelo di salvezza a tutti i popoli, l’attenzione alle cose “ultime” che coincidono con la “parusia” ovvero il ritorno del Signore alla fine dei tempi nello splendore della sua “gloria” intravista dal profeta Daniele «nelle visioni notturne» e così descritta: «ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; … Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Lettura: Daniele 7,14).
Tra le “cose ultime” concomitanti alla “parusia” gloriosa del Signore, viene oggi evidenziata quella del giudizio che è una delle prerogative del Figlio dell’Uomo, ossia del Signore Gesù esaltato “alla destra del Padre”. La scena evangelica, in verità, non parla di un giudizio diretto alla singola persona, bensì mostra il raduno universale dell’umanità davanti al Giudice divino per la irreformabile sentenza di beatitudine e di condanna.
Nell’ora solenne del giudizio universale il Signore, venuto una prima volta dal Cielo per radunare in un unico gregge l’umanità dispersa e divisa a causa del peccato, continua ora nel suo compito “pastorale” interpretato, adesso, come un «separare gli uni dagli altri» (v 32) in due greggi distinti.
Il primo è quello dei “benedetti”, di quanti, cioè, nella loro esistenza terrena hanno seguito il Signore, uniformandosi a lui nel tratto distintivo della sua vita: la carità. Egli, fattosi l’ultimo e il “più piccolo” nel mistero della sua continua umiliazione e spogliazione di sé, si è preso personalmente cura dei più umili, dei più emarginati, identificandosi in essi diventati così come il “sacramento” della sua stessa continuata presenza nel mondo.
Sono pertanto “benedetti” e dunque salvi per sempre nel regno di Dio, perché hanno sentito di doversi comportare con gli altri come si è comportato il Signore Gesù! La carità dunque come regola suprema dell’agire dell’uomo che si rifà in tutto a colui che è carità! I “maledetti” che ricevono la sentenza definitiva di condanna sono perciò coloro che, di fatto, hanno idolatrato il proprio “io” e quindi non hanno mai accettato di ascoltare e di convertirsi al Vangelo del regno che ha come sua regola, appunto, la carità.
L’Anno liturgico che va verso la conclusione attiva ogni anno in tutti noi l’attenzione verso le “cose ultime”, quali appunto la fine della nostra esistenza su questa terra e il “giudizio” che tutti ci aspetta davanti al tribunale del grande re.
Alla fine saremo giudicati sull’amore! È questo il potente messaggio che ci viene dal nostro re crocifisso per amore e che a lui domandiamo di saper accogliere con tutta sincerità così da trasformare la nostra esistenza in una vita “data”, come la sua, per amore.
A lui così ci rivolgiamo: «Ave, re nostro, che solo avesti pietà dei nostri errori: obbediente al volere del Padre, ti lasciasti condurre sulla croce come agnello mansueto destinato al sacrificio. A te sia gloria, osanna, trionfo e vittoria, a te la più splendente corona di lode e di onore» (Canto dopo il Vangelo).
(A.Fusi)