Il brano evangelico odierno (Luca 3,1-18) segue immediatamente i primi due capitoli del racconto di Luca altrimenti detti il Vangelo dell’infanzia del Signore. Il brano può essere così suddiviso: vv 1-6 narrano la chiamata di Giovanni come precursore del Messia; i vv 7-14 riportano il ruolo essenziale della sua predicazione, mentre i vv 15-18 tratteggiano la figura del Messia che sta per venire con i tratti di colui che viene per il “giudizio”.
Al cuore del messaggio di questa II domenica di Avvento è posta la manifestazione del mirabile disegno divino che nel suo Figlio, inviato in questo mondo come vero uomo, chiama tutte le genti della terra ad accogliere la salvezza che consiste nella trasformazione di tutti gli uomini in autentici figli di Dio, candidati a entrare nel suo Regno. Si tratta di una grandiosa prospettiva che dice il senso nascosto dell’incarnazione e della venuta nel mondo del Figlio di Dio e che il canto “All’ingresso” liricamente così esprime: «Il suo frutto si innalzerà come il cedro del Libano. Il Signore sarà benedetto per sempre, davanti al sole ascenderà il suo nome; in lui saranno benedette tutte le genti della terra».
Tale prospettiva cozza contro la mentalità mondana deformata dal peccato e, perciò, votata alla divisione, alla contrapposizione tra gli uomini. A essa L’Apostolo reagisce predicando l’accoglienza e la reciproca carità «perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Epistola: Romani 15,6).
Anche la parola profetica parla di un ritorno e di un raduno di tutti i figli d’Israele nella città di Gerusalemme che Dio vuole fare brillare di splendore davanti «a ogni creatura sotto il cielo» come luogo, cioè, di attrazione per tutte le genti e dove si manifesta la «pace di giustizia» e la «gloria di pietà» (Lettura: Baruc 5,4) di Dio per tutti.
Gerusalemme, in questo caso, diventa un annunzio profetico della Città celeste, del Regno “della misericordia e della giustizia” (Baruc 5,9) che è storicamente apparso in questo mondo in Gesù e che è destinato a rivelarsi in pienezza e definitivamente nella “parusia”, nel ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi come ci ricordava la prima domenica di Avvento.
Di qui l’appello rivolto indistintamente a tutti a entrare nel Regno assumendo, mediante la conversione del cuore e l’immersione battesimale nel fuoco trasformante dello Spirito Santo (Luca 3,16), la nuova condizione di “figli” in tutto simili all’unico Figlio di Dio che è il Signore Gesù, nato a Betlemme da Maria, morto sulla croce, risorto per donare il suo Spirito.
Il Battista aveva già indicato percorsi concreti di conversione di cui tutti siamo bisognosi così come lo erano le “folle”, i “pubblicani” e i “soldati” che accorrevano a lui (cfr. Luca 3,10-14). Si tratta, a ben guardare, di un concreto cambiamento di vita essenzialmente nei riguardi del nostro prossimo.
Ci viene chiesto dal Precursore un atteggiamento di condivisione, di rettitudine, di rispetto che prelude a quella che Paolo chiama “accoglienza”, ovvero disponibilità nei confronti dell’altro, chiunque esso sia, sull’esempio di Cristo che «accolse anche voi per la gloria di Dio» (Romani 15,7).
In tale capacità di “accoglienza” che in realtà è un dono divino (cfr. Romani 15,5) si rende a tutti evidente la concretezza del progetto divino di chiamare tutte le genti, nel suo Figlio, a fare parte come “figli” del suo Regno.
“Accoglienza” e anelito incessante al Regno sono doni ricevuti alla mensa eucaristica imbandita dall’amore del Signore. Così, infatti, preghiamo nell’orazione “Dopo la Comunione”: «La forza ricevuta nei tuoi misteri, o Dio onnipotente, ci aiuti a vincere il nostro egoismo e ci confermi nel desiderio del tuo regno».
(A. Fusi)