Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 1 aprile 2011

515 - DOMENICA DEL CIECO NATO 2011

Il brano evangelico di Giovanni 9,1-38b, oltre a indicare che con Gesù sono stati inaugurati i “tempi messianici” con riferimento a Isaia 29,18; 35,5; 42,7, ha in sé stesso una portata simbolica evidente: il “cieco dalla nascita” che ora vede rappresenta l’uomo illuminato dalla fede.


Il brano è strutturato in tre parti. La prima: vv. 1-12 riporta sostanzialmente la narrazione del “miracolo” e la reazione dei presenti; la seconda: vv. 13-34 riporta la reazione dei farisei con il duplice interrogatorio del “miracolato” (vv. 15-17; 24-34) e dei suoi genitori (vv. 18-23); la terza (vv. 35-39), ovvero la parte conclusiva, riporta il dialogo tra Gesù e il miracolato che professa la sua fede in lui.


In particolare nella prima parte il racconto del miracolo è preceduto dal dialogo di Gesù con i suoi discepoli convinti che la condizione del cieco fin dalla nascita sia dovuta a colpe commesse «da lui o dai suoi genitori» (v. 2). Non abbiamo da Gesù una risposta esplicita sul problema della sofferenza e specialmente della sofferenza “innocente”. Il cieco nato, in questo caso, offre a Gesù l’occasione per manifestare, con la sua guarigione, che Dio “opera” nel mondo e la sua opera è quella di “illuminare” il mondo e, in esso, ogni uomo che di per sé «giace nelle tenebre e nell'ombra di morte» mediante il suo Figlio.


La narrazione del miracolo (vv. 6-7) sorprende per il gesto compiuto da Gesù nel fare del fango con la sua saliva e nello spalmarlo sugli occhi del cieco con l’ingiunzione di recarsi alla piscina di Siloe di cui viene detto il significato: “Inviato”. In realtà con il suo incomprensibile gesto Gesù fa capire che l’uomo è di per sé prigioniero delle “tenebre” da cui può essere liberato se si recherà dall’“Inviato” ossia da Gesù stesso che è venuto nel mondo proprio per compiere tale opera.


La prima parte si chiude con la constatazione dei conoscenti dell’avvenuta guarigione del cieco nato (vv. 8-12) e soprattutto con le domande sul “come” lui ha ottenuto la vista; domande che saranno riprese drammaticamente nella seconda parte del racconto. Questa si apre con il miracolato condotto dai Farisei, esperti dottori e maestri della Legge, i quali prendono subito una posizione negativa nei confronti di Gesù, dal momento che egli, “facendo del fango”, ha violato il precetto fondamentale per Israele del “riposo” sabbatico.


Sorprende la reazione decisa del guarito nel dichiarare che Gesù è “un profeta” (v. 17). Con ciò l’evangelista mostra come la vera guarigione dell’uomo consiste nella sua adesione di fede in Gesù rivelatore di Dio. Il cieco che ora vede è, al contrario dei Farisei che si ostinano nel rimanere chiusi all’opera di illuminazione del Signore Gesù, l’esemplare per ogni uomo che gradatamente giunge alla pienezza di luce, ossia alla pienezza di fede in Gesù: è “un profeta” (v. 17); “viene da Dio” (v. 33); “Figlio dell’uomo” (v. 35).


Il racconto si conclude con Gesù che volutamente va a cercare e “trova” il miracolato cacciato fuori dalla Sinagoga (vv. 34-35) per proporgli un’adesione alla sua persona che racchiude in pienezza il mistero del “Figlio dell’uomo” che, in verità, è il Figlio di Dio!


La risposta finale del cieco, che ora vede per la prima volta Gesù, è una decisa adesione di fede in lui resa evidente dall’esplicita affermazione: «Credo, Signore». In tal modo il cieco nato, illuminato dal Signore, diviene il prototipo e l’esemplare per tutti i “credenti”.


La preghiera liturgica pone in luce la comprensione “battesimale” del testo evangelico: «Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che al fonte battesimale gli viene donata» (Prefazio I). In questo contesto l’immersione nell’acqua battesimale, evocata dalla piscina di Siloe, rappresenta il passaggio dall’oscurità totale che è l’incredulità alla grazia di “vederci” ossia di pervenire alla fede, che il Vangelo rende plasticamente nel cieco guarito il quale vede con i suoi occhi Gesù!


È questi, il Figlio, la “luce vera” che al credente è concesso di guardare in faccia, “a viso scoperto”. Cosa davvero straordinaria e mirabile se messa a confronto con l’iniziale “illuminazione” concessa da Dio al suo popolo con il dono della Legge dato a Mosè.


A tale proposito l’Apostolo richiamando l’evento proclamato nella Lettura, mentre riconosce l’autenticità della prima rivelazione a Mosè, resa evidente dallo splendore che irradiava dal suo volto (cfr. Esodo 34,29), ne dichiara anche la sua condizione effimera e di provvisorietà rispetto alla rivelazione portata dal Signore Gesù nella potenza dello Spirito (Epistola: 2Corinzi 3,7-8).


Tutti noi che abbiamo avuto il dono della fede e, dunque, siamo in grado di riconoscere che in Gesù Dio «ha lavato la cecità di questo mondo» (Prefazio I), veniamo esortati in questo tempo quaresimale a lodare, ringraziare e «con tutti i nostri sensi rendere gloria a Dio» (Prefazio I) per tale sua “opera”.


Lo faremo se «rifletteremo come in uno specchio la gloria del Signore» al punto da venire «trasformati in quella medesima immagine» (2Corinzi 3,18) dando così la nostra testimonianza pronta e vera a lui con la nostra parola e la nostra vita.


Per questo partecipando all’Eucaristia, mentre fissiamo i nostri occhi sulla gloria di Dio che è il suo Figlio morto e risorto, così preghiamo: «Signore, dà luce ai miei occhi perché non mi addormenti nella morte; perché l’avversario non dica: “Sono più forte di lui”. Tu che hai aperto gli occhi al cieco nato, con la tua luce illumina il mio cuore perché io sappia vedere le tue opere e custodisca tutti i tuoi precetti» (All’Inizio dell’assemblea Liturgica).


A. Fusi