Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 8 aprile 2011

520 - DOMENICA DI LAZZARO

Per poter più agilmente affrontare la lettura del brano di Giovanni 11,1-53, proponiamo la seguente suddivisione: I vv. 1-6 sono destinati a presentare la situazione e i personaggi del racconto. In primo piano ci sono ovviamente le parole con cui Gesù parla della “malattia” di Lazzaro come l’occasione perché sia manifestata la “gloria” di Dio, ovvero il suo disegno di salvezza che è destinato a rivelarsi in pienezza nella “glorificazione” di Gesù, il Figlio di Dio. “Glorificazione” che si realizzerà nell’ora della sua croce. I vv. 7-16 riportano le parole con cui Gesù spiega ai suoi discepoli, refrattari ad andare con lui in Giudea dove aveva già rischiato di essere ucciso (cfr. Gv 8,59; 10,31), il senso di ciò che si appresta a fare andando da Lazzaro oramai morto (v. 15). Il “risveglio” di Lazzaro, infatti, manifesterà il disegno di Dio che si compirà anche nel suo Figlio crocifisso, e inviterà ancora una volta i discepoli a “credere” in lui e a “seguirlo”. Segue ai vv. 20-27 e ai vv. 29-32 l’incontro di Gesù con Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro. In particolare a Marta, che professa la fede nella risurrezione “nell’ultimo giorno” ma soprattutto la fede in Gesù capace, con la sua presenza, di liberare dalla morte, Gesù risponde con la solenne autorivelazione: «Io sono la risurrezione e la vita» (v. 25). Essa riguarda la potenza personale di Gesù di riportare in vita i morti e soprattutto di non far cadere nella morte “eterna” ossia nella dannazione coloro che credono in lui! La risposta di Marta è una piena professione di fede nel Signore come il Messia, il Figlio di Dio che viene in questo mondo per portare in esso il regno di Dio. è la fede richiesta a tutti coloro che intendono seguire Gesù, diventare suoi discepoli e per mezzo del Battesimo diventare membri della sua comunità. è la fede che il tempo quaresimale intende far recuperare e brillare in tutta la sua integrità nella Chiesa e in ogni singolo fedele. Nell’incontro di Gesù con Maria invece questa sembra come sopraffatta dalla tremenda realtà della morte che induce in Gesù stesso una triplice reazione così annotata: v. 33 si “commosse profondamente“; ne fu “molto turbato”; v. 35 “scoppiò in pianto”. La “commozione” e il “turbamento” in Gesù dicono quanto egli avvertisse attorno a sé la terribile presenza della morte alla quale egli stesso dovrà presto andare incontro. Le lacrime del Signore sono le lacrime di Dio stesso davanti al potere devastante che la morte esercita sull’uomo uscito dalle sue mani, ma sono anche le lacrime di chi, come Gesù, “deve” lasciarsi avviluppare da quel potere perché si compia il disegno del Padre, quello che ora brilla nel miracolo del “risveglio” di Lazzaro che, addirittura, è morto già da quattro giorni ed è già in decomposizione (v. 39). Il gesto di “alzare gli occhi” (v. 41) verso l’alto mette in luce la continua comunione di vita e di amore con il Padre che sempre ascolta ed esaudisce il Figlio. La narrazione del miracolo vero e proprio e destinato a suscitare la fede in lui occupa soltanto due versetti: 43 e 44. Gesù grida a gran voce il nome del morto al quale ingiunge di lasciare il sepolcro e di uscire incontro a lui; e ai presenti ordina di liberarlo dalle bende, nelle quali va forse vista un’allusione alla morte che Lazzaro dovrà nuovamente affrontare. Gesù invece lascerà il sepolcro sciolto dalle bende in cui era stato avvolto per indicare la definitività della sua risurrezione e della vita cosa che riguarderà anche tutti coloro che perseverano e credono in lui. La narrazione del miracolo vero e proprio e destinato a suscitare la fede in lui occupa soltanto due versetti: 43 e 44. Gesù grida a gran voce il nome del morto al quale ingiunge di lasciare il sepolcro e di uscire incontro a lui; e ai presenti ordina di liberarlo dalle bende, nelle quali va forse vista un’allusione alla morte che Lazzaro dovrà nuovamente affrontare. Gesù invece lascerà il sepolcro sciolto dalle bende in cui era stato avvolto per indicare la definitività della sua risurrezione e della vita cosa che riguarderà anche tutti coloro che perseverano e credono in lui. Il brano si conclude con la reazione dei testimoni dell’accaduto (vv. 45-53). Una reazione duplice: alcuni «alla vista di ciò che egli aveva compiuto» credettero. Altri invece informarono dell’accaduto «i capi dei sacerdoti e i farisei» i quali in una apposita riunione ne decretano la morte (v. 53). Di tale riunione interessano particolarmente le parole di Caifa (v. 50) e il commento che di esse ne fa l’evangelista (51-52). Egli riconosce come “ispirate” le parole dette dal sommo sacerdote e che rivelano la destinazione della morte di Gesù in vista della “salvezza” della nazione giudaica e, a partire da essa, destinata a radunare «insieme i figli di Dio che erano dispersi», realizzando così la missione “pastorale” che Gesù è venuto a compiere sulla terra: chiamare e radunare nella comunione con lui e con il Padre tutti i popoli della terra insieme con il popolo d’Israele Collocato nel contesto del graduale cammino quaresimale verso la Pasqua, il brano evangelico va letto anzitutto come un appello potente a credere nel Signore Gesù, il quale è venuto in questo mondo rivestito della stessa potenza salvifica dispiegata a suo tempo da Dio stesso a favore del suo popolo. Quella “gloria” che Dio dimostra contro il Faraone d’Egitto deciso a sterminare il suo popolo (Lettura: Esodo 14,17-18) e che si concretizzò nell’inaudito prodigio della divisione delle acque del Mar Rosso, è la “gloria” che Dio manifesta nel suo Figlio che viene posto davanti al potere non di un tiranno, ma a quello invincibile della “morte”. Il “risveglio” di Lazzaro dalla morte manifesta che «la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l'Egitto» (Es 14,31a) continua a operare nel suo Figlio Gesù. Davanti al prodigio del Mar Rosso «il popolo temette il Signore e credette in lui» (Es 14,31b). Davanti alla risurrezione di Lazzaro “alcuni” credettero in Gesù e tra questi vanno annoverate le due sorelle, i discepoli e alcuni giudei presenti al miracolo. La fede in Cristo che richiama alla vita i morti e che è soprattutto in grado di liberare dalla “morte eterna” è ciò che viene chiesto a tutti noi che ci diciamo di Cristo! La “morte eterna” è la nostra terribile nemica ed è indotta in noi a causa del peccato, come ci avverte l’Apostolo nell’Epistola (Efesini 2,1). Il fremito interiore, il turbamento e le lacrime del Signore sono certamente dovute alla morte corporale di Lazzaro, alla quale Gesù stesso sta per andare incontro. Ma esse sono dovute all’annuncio tremendo che questa morte rappresenta: quello della morte eterna o dannazione, dalla quale solo la mano potente di Dio ci può preservare e, di fatto, ci ha preservato nel suo Figlio: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo» (Efesini 2,4-5).


La preghiera liturgica evidenzia come tutto ciò si sia già attuato in noi a livello sacramentale nell’acqua del Battesimo dove: «la grazia divina del Cristo libera noi tutti sepolti nella colpa del primo uomo, e ci rende alla vita e alla gioia senza fine» (Prefazio I). Il sacramento eucaristico poi «che ci è dato per liberarci dalla schiavitù della colpa» nella quale purtroppo cadiamo a motivo dell’umana fragilità: «purifichi i nostri cuori e, a immagine della risurrezione, ci riscatti da ogni antica decadenza» (Orazione dopo la Comunione).


A. Fusi